Introduzione
2
internazionale. In questo paese le grandi conglomerate sono state le
protagoniste della storia coreana, il sistema finanziario si è modellato in
maniera tale da assecondare il loro sviluppo. Nel momento in cui le bancarotte
del 1997 hanno esposto il sistema finanziario a forti perdite, si è compresa la
necessità di ridimensionare le conglomerate quale via per consentire al sistema
finanziario di sganciarsi dalla concentrazione dei finanziamenti.
In questa trattazione verrà dedicata particolare attenzione alle riforme avviate
in Corea: il successo di queste permetterà ad un’economia entrata a far parte
dell’élite dei paesi industrializzati di uscire dal tunnel in cui è entrata
nell’ottobre del 1997 ?
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
3
CAPITOLO I
IL SISTEMA FINANZIARIO ASIATICO DAGLI INIZI DEGLI ANNI
SESSANTA ALLA CRISI DEL 1997
1.1 Evoluzione ed esigenza di liberalizzazione
L’oggetto di questo studio non può prescindere dall’esigenza di comprendere il
quadro del sistema finanziario asiatico, in cui s’inserisce quello coreano, che da
sempre ha giocato un ruolo fondamentale nell’assetto dell’intera area.
Le economie del sud-est Asia hanno fatto registrare sin dagli anni Sessanta,
sebbene a ritmi diversi, crescite sostanziose del loro settore reale: tra il 1965 e
il 1996 questa regione ha raggiunto una crescita del prodotto pro-capite del 6%,
rispetto al 2% dei paesi dell’Asia meridionale e all’1% dell’America latina
1
. A
delineare il successo economico di questa area si segnalano tassi medi annui di
crescita del PIL del 7.2% tra il 1965 e il 1980, del 7.6% durante gli anni
Ottanta, fino al 10.3% del periodo 1990-1995
2
. L’impetuosa crescita del
sistema economico non è stata però assecondata dallo sviluppo del sistema
finanziario: quest’ultimo per lunghi anni, ha sofferto di penetranti restrizioni
capaci di compromettere le sue insite potenzialità; infatti, dietro il miracolo dei
paesi asiatici, molti dei quali all’indomani del secondo conflitto mondiale
partirono da situazioni prossime alla povertà generale, si nasconde la mano di
uno Stato capace di orientare, a proprio piacimento, tutti i settori
dell’economia.
1
Fonte: Banca Mondiale “ World Development Report: The State in a Changing World”,
(1997), pag. 235, Oxford U.P., New York.
2
Fonte: Banca Mondiale, “World Development Report” (1989) pag. 167, Oxford; “World
Development Report- Global Economic Prospects and Developing Countries” (1994) pag. 7,
Washington.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
4
Dietro questa condotta politica, c’era una ferma convinzione nella validità della
teoria keynesiana secondo la quale, l’investimento sarebbe il motore della
crescita, per cui il tasso d’interesse reale doveva essere negativo, ed un’alta
inflazione, era il prezzo da pagare per lo sviluppo economico. Negli anni
Cinquanta-Sessanta questo sviluppo teorico conosceva il suo momento di
maggior splendore, ed anche le economie asiatiche vi furono influenzate. Una
delle implicazioni politiche conseguenti, era ovviamente, quella di un
intervento governativo nel fissare i tassi di interesse sui depositi e sui prestiti:
le banche erano, dunque, tenute in pugno dalle autorità locali proprio in quanto
ritenute strumento di ausilio della crescita economica. Talune eccezioni degne
di nota, come Hong Kong, Tailandia e Singapore (dove il sistema bancario è
stato relativamente libero), non tolgono l’impronta generalizzata
d’interventismo governativo, tipica di questo comparto.
I governi hanno gestito direttamente o indirettamente le istituzioni finanziarie,
o si sono avvalsi di strumenti appositi per avocare a sé decisioni strategiche
delle banche in ordine alle politiche di prestito. Seguendo i dettami della teoria
sottostante, i governi locali, imposero alle banche di prestare allo Stato
Centrale, o al settore pubblico in generale, a tassi ben al di sotto di quelli di
mercato, nonché di detenere ampie riserve non remunerate presso le Banche
Centrali. Con l’ausilio di questa condotta, le economie asiatiche, ed in
particolar modo le ‘Tigri asiatiche’
3
, hanno registrato elevate performances di
3
Le cosiddette ‘Tigri asiatiche’ comprendono la Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e
Singapore: questi paesi costituiscono una prima fascia di economie di nuova
industrializzazione (NIEs), a cui si aggiungono altri paese che costituiscono una seconda linea
di NIEs, comprendente nazioni come la Tailandia, la Malesia, l’Indonesia e le Filippine.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
5
crescita economica. Negli anni Settanta, questo approccio teorico, che
guardava solo dal lato degli investimenti, fu oggetto di critiche diffuse: le
inefficienze del sistema bancario, incapace di valutare il rischio di credito, con
un personale in esubero ed un’eccessiva rete di filiali, furono attribuite proprio
al pervasivo intervento governativo.
Dagli anni Settanta, il comportamento delle autorità locali cominciò, dunque,
ad ispirarsi ad un nuovo approccio teorico che contrapponeva al “risparmio
forzato” proprio della precedente corrente di pensiero, l’idea di un “prior-
saving” rispetto all’investimento. In questi anni, venne compreso, che l’assetto
raggiunto nel sistema finanziario, poteva comprometterne la funzionalità; al
suo interno non si potevano scorgere intrinseche capacità di risanamento: le
istituzioni bancarie non vantavano un’esperienza professionale degna di nota in
quanto erano state solo uno strumento per il perseguimento di obiettivi
programmatici, pertanto non avevano sviluppato abilità che facessero sperare
in un’autonoma ripresa. In questo modo, gli istituti di credito continuarono ad
intraprendere operazioni rischiose finanziando progetti senza le dovute indagini
di merito; le Autorità di vigilanza non impedivano questo comportamento,
essendo non solo formalmente, ma anche sostanzialmente controllate dal potere
statale; le banche venivano valutate per la loro capacità di veicolare capitali a
sostegno della crescita reale, non per le performances raggiunte. La situazione
esistente poneva di fronte all’esigenza di improrogabili riforme finanziarie che,
pur non essendo oggetto di questo studio, aiutano a comprendere come la crisi
finanziaria asiatica dell’estate ’97 fu dovuta, in parte al ritardo nella loro
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
6
adozione, in parte agli eccessi raggiunti in queste riforme, quando, negli anni
Novanta, la loro strada venne intrapresa con notevole rigore.
1.2 Interventi di liberalizzazione
Sulla scia di questo nuovo modo di intendere la condotta economica di un
paese, l’esigenza avvertita in questi anni fu quella di liberare l’economia dagli
ostacoli che l’avevano imbrigliata fino ad allora. Il sistema reale e finanziario
doveva aprirsi alla concorrenza, ma al momento della decisione di
intraprendere le riforme finanziarie, la situazione del settore bancario in
particolare, si presentava oramai compromessa da anni di gestione inefficiente.
Tutti gli sforzi intrapresi, pur notevoli, non hanno saputo rompere l’ereditarietà
di un sistema soffocato da controlli e protezionismi. Le istituzioni creditizie si
sentirono protette in quanto le autorità, continuavano a scorgere in loro, uno
strumento di ausilio nella conduzione della politica industriale. Del resto anche
se i risultati raggiunti da questi paesi fecero registrare un miglioramento con
l’avvio delle politiche di liberalizzazione a partire dagli anni Ottanta, l’unico
paese che aveva accolto in pieno le politiche liberiste era Hong Kong; negli
altri, nonostante gli sforzi, lo Stato continuò a giocare un ruolo pregnante,
giungendo persino all’adozione di piani quinquennali in Corea del Sud
4
.
Con riferimento al settore del credito, quando si avviò la politica di
liberalizzazione, secondo Priya Basu
5
, “non si comprese che, per rendere il
4
Cfr. Akyuz Y, “The East Asian Financial Crisis: back to the future? (1998), UNCTAD,
Ginevra.
5
Cfr. Priya Basu, Financial Reform in Asia (pag. 9), tratto da “Creating resilient financial
regimes in Asia” , Proceedings of an Asian Development Bank Seminar, Manila (1997).
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
7
sistema bancario efficiente bisognava accompagnare la liberalizzazione con
interventi volti a rendere competitive le banche, a riformare la debolezza
bancaria, a consentire l’ingresso di nuovi istituti creditizi quale strumento per
allontanare le banche incompetenti”. Sempre secondo Basu, le riforme
finanziarie rimasero incompiute perché incapaci di essere portate a termine.
Infatti, nonostante gli interventi riformatori, i meccanismi di scalata azionaria
furono ostruiti e l’ostacolo all’ingresso sostanziale delle banche, soprattutto
estere, conservato. Il mantenimento della struttura oligopolistica servì quale
strumento per impedire il diffondersi di una competitività, che avrebbe tolto al
sistema bancario la sua funzione istituzionale di sostegno all’economia.
Nonostante gli sforzi per dare al settore creditizio un’impronta di competitività
e di efficienza, i risultati raggiunti dalle economie regionali dell’area furono
assai diversi:
- in Cina, India, Tailandia, solo recentemente sono state concesse le prime
licenze bancarie per aprire nuove attività, mentre per molto tempo lo Stato
mantenne una solida posizione azionaria nelle banche;
- in Malesia, Corea del Sud, Hong Kong furono attuati vigorosi processi di
privatizzazione.
La scelta di strade diverse da parte di questi paesi rende interessante effettuare
un confronto intorno al diverso livello di efficienza raggiunto dal settore
bancario nell’area. Come prima approssimazione del costo
dell’intermediazione bancaria, la BRI
6
, ha preso in considerazione il margine di
6
Banca dei Regolamenti Internazionali “Report 1996”.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
8
interesse netto (NIM)
7
, sebbene questo sia un indicatore imperfetto soprattutto
nell’ambito di un confronto internazionale dell’efficienza delle banche.
Utilizzando tale indicazione, risultano notevoli similarità a livello di costi
operativi e di NIM tra i paesi della regione, il che farebbe pensare ad una
diversa efficienza piuttosto che ad una differenza nei pagamenti connessi ad
operazioni rischiose. La tabella I-1 supporta le argomentazioni sostenute
evidenziando valori di margine di interesse netto sostanzialmente vicini, e costi
operativi livellati. In questo modo s’individuano due gruppi di paesi asiatici:
ξ quelli ad alto reddito
8
, dove il NIM si mantiene tra lo 0.2%-2.1% del
totale attivo, abbinandosi ad un basso costo operativo, compreso tra lo
0.8% ed 1.9%, sempre rispetto al totale attivo
9
;
ξ ed altri paesi, come Tailandia, Malesia, Indonesia, dove il NIM ruota
intorno al 3,3%-4,7% del totale attivo, con un costo operativo tra
l’1.6% ed il 2.3%, rispetto al totale attivo
10
.
Da notare in tabella anche i dati sul possesso azionario, a testimonianza dei
processi di privatizzazione avviati a partire dalla metà degli anni ottanta nei
paesi di questa regione: in particolare, Hong Kong, Singapore e Giappone
mostrano un valore che nel 1994, raggiunse lo 0% come percentuale sul totale
attività. La presenza dello Stato rimaneva considerevole in Cina ed in
7
Net Interest Margin.
8
Si tratta di Hong Kong, Corea, Singapore e Cina.
9
Dati riferiti al periodo 1990-94; negli anni 95-96 non si apprezzano significativi scostamenti
da questi valori. I periodi prescelti, non a caso sono antecedenti al manifestarsi del
peggioramento causato dalla crisi del 1997.
10
Anche in questo caso i dati si riferiscono al periodo 1990-94, mentre nei due anni successivi
non si notano variazioni tali da delineare un diverso andamento rispetto all’intervallo
precedente. Rimane comunque un impronta generalizzata di una area contraddistinta da due
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
9
Indonesia, mentre passi significativi, sono stati compiuti in particolar modo in
Corea. I valori relativi ai paesi europei appartenenti al gruppo dei G-10 servono
da confronto con paesi animati da cultura diversa, dove tuttavia il possesso
azionario dello Stato nel settore bancario rimase considerevole fino all’inizio
degli anni Novanta.
Tabella I-1: Indicatori di efficienza del settore bancario
Costi operativi Margine netto
d’interesse
Nazione Azioni
dello
Stato % sulle attività %sugli impieghi
Margine di
intermediaz
1994 90-94 95-96 90-94 95-96 1997 1999
Hong Kong 0 0.1* 0.4 0.2 0.3
Sud Corea 13 1.9
1
2.1 2.2 2.2 3.6 2.2
Singapore 0 0.8 0.7 2.2 2.0
Cina 57 1.0 1.4 1.7 2.2
Indonesia 48 2.3 2.8 3.3 3.6 1.5 7.7
Malesia 8 1.6
2
1.4 4.7 3.2 2.4 4.4
Tailandia 7 1.9 1.8 3.6 3.6 3.8 4.8
Giappone 0 1.0 1.1 1.2 1.5
Paesi eur.
G-10
50 1.1 1.9 2.3 2.0
Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionali, Report 68-70 (1997-2000)
Il processo di riforma non si è limitato alla cessione delle quote azionarie
detenute dal settore statale nel capitale delle aziende di credito, non essendo il
controllo pubblico l’unico problema strutturale delle istituzioni creditizie:
numerose erano le pratiche bancarie diffusesi nella regione e foriere di un
ulteriore indebolimento del sistema.
sub-sistemi con valori diversi di NIM e di costi operativi, segno appunto di una diversa
efficienza.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
10
In primo luogo, le banche soffrivano per l’eccessiva concentrazione dei prestiti
in pochi settori di attività, creando di conseguenza timori per la stabilità di
economie proiettate verso una difficile transizione. La questione era aggravata
dal fatto che il coinvolgimento del sistema bancario diveniva, di conseguenza,
maggiore a causa degli stretti collegamenti tra mondo industriale e mondo
bancario: le istituzioni creditizie perdevano obiettività nel valutare i progetti di
investimento sentendosi coinvolte nel successo delle iniziative. In effetti, il
sistema bancario era divenuto l’unica fonte di finanziamento del settore reale, e
con l’avallo dei governi si creò una commistione d’interessi pericolosa per la
stabilità: le banche, stimolate dal sostegno governativo, pur di finanziare il
mondo industriale si fondarono su depositi raccolti a breve termine per
sostenere finanziamenti a lungo. Le riforme avviate in questi comparti sono
risultate lente e soprattutto non uniformi.
Gli interventi di liberalizzazione dei tassi d’interesse permisero alle banche di
praticare alti tassi sui prestiti quale via per fronteggiare la mancata coincidenza
temporale tra depositi ed impieghi: una simile pratica fu nuovamente ostacolata
dai governi in quanto deleteria per l’economia reale, ma anche per il settore
finanziario, oramai dipendente dalle sorti del primo.
L’inversione di rotta dei governi nel corso della riforma testimoniava la
necessità di riforme strutturali prima di aprire il settore alla concorrenza.
Un altro versante delle riforme si occupò di un altro annoso problema dell’area:
l’eccessiva esposizione nel settore dei beni immobili.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
11
Questa pratica bancaria risultava esporre il sistema a rischi legati
all’oscillazione del valore attuale dei beni come conseguenza delle fluttuazioni
del tasso d’interesse ed al sostanziale ulteriore immobilizzo dell’attivo
bancario. In questo campo è opportuno segnalare l’intervento di Hong Kong,
che indusse gli istituti che presentavano un’esposizione per beni immobili
superiore al 40% del totale prestito, a ridurre la loro posizione entro limiti più
consoni all’equilibrio. La crescita economica aveva portato a pericolose
sopravvalutazioni di queste garanzie collaterali tali da rendere necessari
opportuni tassi di ammortamento, in modo da fronteggiare gli eventuali crolli
del settore della proprietà.
A rendere la situazione ancora più complessa, vi era il fatto che le economie
asiatiche si erano concentrate su pochi prodotti, creando un ostacolo agli scopi
di diversificazione delle banche: ciò testimoniava di quanto fosse necessario
creare un sistema bancario elastico, ossia dotato di capacità di recupero;
tuttavia le banche erano isolate dagli shock interni, per cui l’unica via da
seguire era quella della diversificazione internazionale.
Un’ulteriore aspetto capace di indebolire una situazione di per sé preoccupante
era la totale assenza di una cultura di vigilanza: il controllo statale aveva reso
inutili forme d’intervento prudenziale, ma ora di fronte alla liberalizzazione
servivano procedure che evitassero tensioni aggiuntive sul sistema bancario.
In effetti, la liberalizzazione crea problemi di asimmetria informativa, rischio
morale, lievitazione dei rischi, che necessitano di essere affrontati con la
presenza di una vigilanza attiva.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
12
Tra le regole di sorveglianza in cui l’Asia era carente c’erano soprattutto quelle
sull’ingresso di nuove istituzioni, sul rapporto capitale/attivo e le regole di
contabilità.
Le economie asiatiche erano state sempre restie a consentire l’ingresso di
nuove istituzioni creditizie, ma la situazione cominciò a cambiare con
l’eliminazione della moratoria di Hong Kong nel 1978 sul rilascio di nuove
licenze bancarie, e con l’apertura dell’Indonesia della fine degli anni Ottanta.
In questo paese, si operò non solo una semplificazione dei requisiti di ingresso
per le aziende di credito estere ed interne, ma s’incoraggiò persino l’espansione
delle banche private esistenti. Sebbene il passo compiuto poteva considerarsi
significativo, buona parte delle istituzioni operanti in questo settore
rimanevano ancora, alla metà degli anni novanta, (come osservato in tab. I-1),
sotto il controllo statale. Persino la Cina cominciò a compiere passi in avanti
aprendo alla competizione alcune operazioni prima prerogativa delle banche
statali, e consentendo l’ingresso di banche estere.
Per quanto attiene alle regole sul rapporto capitale/attivo, i paesi asiatici
avevano mostrato un uso di diversi tipi di capital ratios, incapaci di fornire un
quadro veritiero della solvibilità bancaria. Tra questi ratios in uso, da segnalare
sono quelli che rapportavano il totale capitale ad alcuni, o a tutti, i tipi di
deposito, oppure, il totale capitale al totale attivo. Un’altra misura lungamente
utilizzata fu il rapporto tra il capitale totale ed i prestiti complessivi, un
rapporto reso obsoleto dal tempo, in quanto le banche tendevano ad assumere
alti rischi anche al di fuori del loro portafoglio prestiti. In poche parole le
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
13
banche di questa regione, si sono fondate su misure basate sul capitale,
incapaci di evidenziare la loro reale esposizione al rischio. Nel 1988, il Basle
Committee della “BRI”, fornì alcune raccomandazioni al fine di migliorare il
calcolo dei rapporti di adeguatezza patrimoniale. Il principale cambiamento era
che il valore di ogni attività doveva essere aggiustato, nel suo inserimento nei
conti bancari, in modo da rappresentare il rischio a cui l’azienda era esposta. Il
nuovo rapporto capitale/attivo proposto, richiedeva di attribuire diversi pesi
alle attività in base al rischio di potenziale inadempimento: in questo modo si
creavano dei sottogruppi di attività sulla base della valutazione di rischiosità.
Anche il numeratore del rapporto venne fatto oggetto di specificazione:
occorreva distinguere il capitale destinato a rimanere in modo permanente
presso la banca (i così detti componenti “TIER 1”), da quei fondi che per loro
natura non erano tali da rimanere nei libri contabili per molto tempo (i così
chiamati “TIER 2”), come, ad esempio, i prestiti subordinati. Questo rapporto
doveva raggiungere almeno un valore dell’8%, e doveva trovare applicazione,
in maniera indifferente, in tutti i paesi della regione. L’introduzione di questo
limite creò non pochi problemi in virtù della sottocapitalizzazione delle aziende
di credito asiatiche, dando luogo a discussioni sull’appropriatezza di una
riforma omogenea in paesi aventi situazioni ben diverse
11
. Anche in questo
campo non sono mancate le lentezze e i ripensamenti dando alla
deregolamentazione asiatica l’impronta di una riforma più che mai incompiuta.
Ovviamente queste misure rivolte al capitale, avrebbero avuto bisogno di
11
Cfr. Delhaise Philippe F., “Bank Accounting in Asia” pg. 53 di “Asia in crisis: the implosion
of the banking and finance systems”, (1998).
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
14
essere assecondate da un’accurata contabilità; tutto questo non avvenne
permettendo un logoramento dei conti bancari resosi evidente con la crisi del
1997. Molte agenzie di rating, tra cui la Thompson Watch, stimavano che
molte banche della Corea, della Tailandia e dell’Indonesia erano in bancarotta
già nel 1996, ben prima che cominciassero ad intravedersi i segnali di una crisi
che da valutaria diventerà finanziaria, rendendo il settore creditizio il
protagonista degli eventi successivi all’estate del 1997. Questa agenzia di
rating affermava che “il sistema bancario coreano non risultava ben
equipaggiato nell’affrontare i cambiamenti provocati dalla deregolamentazione
e liberalizzazione dei mercati finanziari
12
: la politica seguita dai governi
precedenti aveva lasciato un’eredità di bad loans nei bilanci, per cui la sfida di
queste istituzioni, all’indomani dell’apertura, fu quella di migliorare la qualità
dell’attivo, unitamente alla ricerca di una soluzione alla debole disponibilità di
capitale, ai crescenti costi del lavoro, e al superamento di una inadeguata
cultura di gestione troppo intrisa di burocrazia. I pareri sul sistema bancario
indonesiano non erano più incoraggianti: i prestiti coperti da garanzie
collaterali erano eccessivi, le previsioni inadeguate, la qualità dell’attivo
preoccupante
13
. Sebbene le banche private mostrassero maggiore efficienza di
quelle statali, si trovavano oggetto di forti pressioni, da parte dei gruppi di cui
facevano parte o a cui erano associate, nell’estendere i prestiti ben oltre i limiti
12
Thompson Bank Watch, “Banking System Update on Korea”, (17 ottobre 1996).
13
Questo commento riguardava, in particolare, una delle banche indonesiane, la Bank Lippo,
nel “Report on Bank Lippo” (13 dicembre 1995), ma la situazione andava ben oltre i confini di
una istituzione.
Il sistema finanziario asiatico dagli inizi degli anni Sessanta alla crisi del 1997
15
consentiti dalla regolamentazione esistente
14
. Il problema veniva ingigantito
dal fatto che, nonostante i non-performing loans delle aziende di credito private
fossero solo una frazione minima di quelli delle banche statali, queste non
potevano godere di una implicita garanzia governativa che assisteva invece le
banche in mano pubblica. Non mancavano ulteriori aspetti preoccupanti in
riferimento all’eccessiva concentrazione del portafoglio prestiti in pochi settori
chiave, nonostante l’economia indonesiana si presentasse sufficientemente
diversificata.
Gli esempi del sistema bancario coreano ed indonesiano mostrano come le
politiche di apertura avviate in questo comparto non riuscirono a vincere i
problemi di cui queste istituzioni si erano caricate nel corso di decenni di
gestione inefficiente.
1.3 Il mercato dei capitali in Asia
Il sistema finanziario asiatico si è incentrato, come già sottolineato, da sempre,
sul solo settore bancario, per cui nella maggior parte delle economie della
regione, al momento dell’avvio dei processi di riforma degli anni Ottanta, il
sistema si presentava caratterizzato da una forte intermediazione bancaria e da
un mercato dei capitali ancora allo stato embrionale.
Le ragioni che hanno ostacolato lo sviluppo del mercato dei capitali sono
molteplici.
14
Thompson Bank Watch, “Banking System Update on Indonesia” (giugno 1996).