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bisogna specificare la qualità del gesto deviante, molto spesso descritto come azione
opaca, nel senso che sovente per l’adolescente è oscura, inconscia, la motivazione
sottostante al suo atto, come conferma la difficoltà a spiegarne le ragioni (Regoliosi,
L., 2005). Per questo il ruolo di un adulto appare significativo ai fini di un
contenimento o, al contrario di un potenziamento del rischio di un’evoluzione
deviante.
Là dove l’adulto ne colga il senso, può restituire all’adolescente il significato
inconscio che ha sostenuto il suo gesto, e cosi facendo facilita l’acquisizione di quegli
strumenti cognitivi ed affettivi che permettono la gestione delle tendenze pulsionali
altrimenti agite. Capita spesso che durante l’adolescenza venga messo in atto un
comportamento deviante, spesso temporaneo, che denuncia la crisi che il soggetto sta
vivendo, ma che non si può interpretare come l’instaurarsi di una patologia
delinquenziale della vita adulta, anche se va tenuto conto dell’età dell’individuo, della
forma e del contenuto del comportamento deviante messo in atto perché tutto ciò
riconduce alla fragilità della struttura di personalità. L’adolescenza è una fase
evolutiva in cui il rischio di emersione di aspetti psicopatologici della personalità e di
mettere in atto comportamenti devianti, fino al punto di diventare antisociali, è
particolarmente elevato.
Ci si riferisce al rischio della messa in atto di comportamenti di isolamento, di
marginalità e di devianza sociale, di microcriminalità, di tossicodipendenza, che
possono facilmente strutturarsi in un Disturbo grave di Personalità (Borderline,
Narcisistico, Antisociale) .
Ci si riferisce anche a quel sottogruppo di adolescenti che sembrano incapaci di
esteriorizzare il loro disagio lasciandolo inespresso e latente e che presentano una
personalità falsamente adattata alle richieste familiari e sociali. Questi ragazzi
esprimono con il loro comportamento a rischio le loro difficoltà evolutive,
relazionali, familiari e sociali. Essi si differenziano da quegli adolescenti che, pur
manifestando al stessa tipologia di comportamenti, non corrono un simile rischio
psicopatologico, in quanto tali manifestazioni comportamentali sono il risultato di un
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adattamento sociale adeguato alle specifiche richieste del loro ambiente di
appartenenza. In questo caso il rischio è di tipo psico-sociale poiché proviene da un
ambiente antisociale.
In altri casi il comportamento deviante dell’adolescente risponde ad una conflittualità
di tipo nevrotico, riconducibile alla ribellione edipica nei confronti delle regole, delle
leggi e di tutto ciò che simboleggia l’universo paterno.
Quindi, il comportamento deviante, fino al punto di diventare violento, accomuna
gruppi di adolescenti portatori di problematiche profondamente diverse fra loro e
necessita di un approccio terapeutico duttile e multifocale.
Risulta necessario evitare di soffermarsi solo sulle categorie diagnostiche perché ciò
potrebbe comportare l’errore di riferire il rischio in adolescenza esclusivamente
all’area psicopatologica.
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1.2 Adolescenza e Personalità
Per arrivare alla completa maturazione della personalità ogni essere umano deve
percorrere un complesso cammino che parte dalla età neonatale per arrivare alla età
adulta.
La personalità indica modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti
dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti, sociali
e personali (APA, 1994). Essa rappresenta il risultato dell’interazione che si viene a
creare tra componenti biologiche e fattori ambientali rappresentanti, questi ultimi,
della famiglia e della società di cui l’individuo fa parte.
Il temperamento, invece, indica l’insieme delle disposizioni biologiche di cui il
soggetto è provvisto sin dalla nascita e differisce da un individuo all’altro.
Quindi, le caratteristiche genetiche insieme alle depressioni temperamentali
costituiscono la base della personalità che l’ambiente con le sue stimolazioni
influenza. È molto importante riflettere sull’esito cui va incontro la personalità in
adolescenza.
Infatti, è proprio in questo momento evolutivo che ogni individuo risente delle
esperienze passate fatte: dalle identificazioni alle emozioni vissute. Si ha un
riemergere dei legami vissuti che confluiscono nella personalità dell’adulto e, quindi,
la determinano.
L’adolescenza è una delle tappe evolutive che maggiormente mette in discussione
l’equilibrio psichico. Lo sviluppo sessuale da un lato e le nuove aspirazioni e i
desideri che si modificano dall’altro, cambiano il rapporto relazionale ed emotivo con
l’ambiente e con se stessi.
Un individuo che affronta l’adolescenza, già vulnerabile dal punto di vista
psicologico, incorre in un periodo di vita difficoltoso, e corre il rischio di strutturare
forme di patologia e/o di intraprendere carriere devianti, soprattutto se non
adeguatamente sostenuto dalla famiglia e dal sistema formativo integrato e se
protagonista di una realtà sociale da considerare a “rischio”.
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L’adolescente è vulnerabile in quanto vive un momento storico della sua esistenza
che, anche se è da considerarsi un momento di crescita, vede l’acquisizione
dell’identità di adulto ed è nel vissuto dell’individuo una fase di crisi, che può
degenerare nella patologia a causa della fragilità narcisistica. In questo periodo
evolutivo assistiamo alla rimessa in discussione delle identificazioni e a cambiamenti
fisici dovuti alla maturazione sessuale. I genitori dell’adolescente devono rimanere si
per lui un punto di riferimento affettivo, ma perdere il carattere onnipotente per
assumere quello di persone con pregi e difetti, alle quali poter ricorrere in ogni
momento della vita. L’adolescente deve poter appoggiarsi su altre figure, e questo
spostamento risente anche della disponibilità dell’ambiente. Questo perché l’Io
dell’adolescente è impreparato a vivere un tale cambiamento, per cui si verifica una
rottura, o meglio, una disorganizzazione della personalità che produce stravolgimenti
psichici che conducono nei casi più gravi a comportamenti devianti.
In adolescenza si ha la ripresa degli elementi edipici che portano il soggetto a
sperimentare sentimenti d’amore verso il genitore di sesso opposto e di rivalità verso
il genitore del proprio sesso. La capacità di fare nuove identificazioni segna un
passaggio determinante nell’equilibrio psichico del soggetto, il cui risultato può
essere un’evoluzione normale o patologica, in quanto coinvolge lo psichismo
impegnato nella elaborazione del “lutto”, del distacco emotivo dalle figure genitoriali
che prevede l’esperienza della “perdita” affettiva. “Quando si tratta di una perdita
“oggettuale” (Ladame, 1981) riconosciuta, il soggetto si avvia verso il superamento
di essa”. Ciò dimostra che l’individuo è capace di vivere il lutto con la depressione
che ne consegue, caratterizzata da sentimenti di dolore e di tristezza.
La situazione è diversa quando l’adolescente non è capace di viversi con successo
tale esperienza: egli si trova confrontato direttamente con esperienze di deprivazione
vissute nell’infanzia e non possiede mezzi per l’elaborazione intrapsichica perchè non
ha vissuto in maniera adeguata l’esperienza di fusione con la propria madre che
dovrebbe “accogliere” i bisogni contenendoli (Stern, D., 1985).
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In questo caso l’adolescente vive esperienzedi turbamento che provocano emozioni
che non riesce a controllare in quanto non elaborate e “agisce” per evitare l’angoscia
anziché “pensare” come potrebbe.
La decodificazione dell’aspetto comunicativo dell’azione violenta è pertanto
essenziale per costruirne il significato; è importante, inoltre, riflettere su come alla
base delle diverse forme di patologia che emergono durante l’adolescenza si
configura la patologia del legame, in quanto le relazioni sperimentate nella prima
infanzia riprendono quota con tutto il loro valore emotivo.
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1.3 Adolescenza e Disturbi di personalità
Dall’interazione complessa che si viene a creare tra attori biologi e fattori psico-
sociali può emergere un Disturbo di Personalità. A differenza di quanto accade nella
clinica di soggetti di età adulta, una diagnosi basata esclusivamente su sintomo risulta
molto pericolosa in adolescenza; infatti in questa fase dello sviluppo esistono ancora
possibilità di cambiamento e di riorganizzazione poiché le relazioni interpersonali
con la famiglia e con l’ambiente sono in atto e il loro cambiamento incide
profondamente sugli scenari fantasmatici, influenzando il funzionamento psichico.
Inoltre, considerare solo il sintomo di un adolescente significherebbe impoverire le
potenzialità della sua personalità, spingerlo ad affermare un solo aspetto di sé, quello
conflittuale e portarlo ad affermare l’identità negativa espressa dai suoi
comportamenti.
Alcuni autori mettono in evidenza che il vivere in un ambiente familiare dove uno dei
genitori presenta un Disturbo della Personalità costituisce per il bambino un rischio
per il suo equilibrio psichico, in quanto sin dall’inizio è sottoposto alla strutturazione
di legami discontinui, patologici, in quanto il genitore disturbato non è in grado di
svolgere le funzioni genitoriali in modo adeguata (Baldassarre, M., 2004).
Inoltre, il grado di vulnerabilità del soggetto, cioè le sue capacità di adattamento che
gli consentono di reggere le tensioni ambientali, e il grado di intensità dei fattori
emozionali contribuiscono ad uno sviluppo sano o non della personalità. Infatti
l’entità dei fattori affettivi è determinante nella strutturazione di una forma di
patologia della personalità quando questi interagiscono con fattori biologici fragili.
Secondo il punto di vista dinamico è importante riflettere sulle esperienze emotive
traumatiche vissute in tenerissima età dagli individui che presentano un Disturbo di
Personalità e sugli effetti di tali esperienze sul loro psichismo. Infatti, molto spesso, il
passato di questi individui è caratterizzato da abusi fisici e psichici, violenze e forti
deprivazioni vissute precocemente in un’età in cui dovevano essere maggiormente
protetti.
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Questi soggetti hanno, probabilmente, vissuto nel loro passato situazioni in cui non
sono stati rispettati i limiti necessari per permettere ad un individuo di sviluppare uno
spazio psichico adeguato per esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni. Tutto
ciò in adolescenza può provocare uno stato di confusione, espresso con
comportamenti aggressivi, senza il rispetto delle regole, a causa della difficoltà
incontrata nello strutturare i limiti.
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1.4 Fattori di predizione della violenza giovanile
Nell’ambito dell’analisi dei soggetti che presentano condotte devianti in età
evolutiva, si evidenziano diverse possibili evoluzioni del profilo comportamentale
relativamente al contesto di sviluppo, alla gravità del comportamento espresso e alla
risposta ambientale a tali comportamenti. L’interazione di queste variabili influenza
significativamente il “percorso criminale” intrapreso. Ciò consente, predittivamente,
l’individuazione delle caratteristiche essenziali e del probabile punto d’arrivo del
disturbo comportamentale.
Alcune ricerche hanno rilevato come tali profili comportamentali siano modificabili
nel tempo, considerando le caratteristiche individuali e sociali.
Come primo dato rilevante, diversi studi hanno mostrato che alcuni individui
abbandonano la carriera criminale piuttosto che continuare con uno stile di vita
antisociale (Osborn, 1980).
Secondo, anche quando questi mostrino uno tra i più persistenti tipi di
comportamento antisociale in epoche di vita precoci, circa la metà non stabilizza tali
condotte in una carriera criminale.
Terzo, la continuità di un comportamento dissociale è ampiamente influenzata dalle
esperienze di vita di tali soggetti. Se individui ad alto rischio incontrano fattori
ambientali “positivi”, possono raggiungere un punto di svolta tale da produrre un
reale cambiamento (Rutter, 1996).
Infine, le caratteristiche ambientali che hanno condotto a un rapido e marcato
incremento dei comportamenti violenti e criminali contengono in sé altrettanti fattori
potenzialmente in grado di determinarne una riduzione.
Per queste e altre ragioni, l’aspettativa circa la modificabilità delle condotte devianti è
molto aumentata negli ultimi anni.
La credenza che l’origine del comportamento criminale possa essere individuata in un
semplice meccanismo di causa-effetto, è stata largamente soppiantata dall’evidenza
che numerosi fattori sono coinvolti nella genesi di condotte devianti (Farrington,
1995; Rutter, 1997).