8
Ed ancora scriverà di lui «fu buono di bontà vera, amico
dell‘umanità, benefico anche coi nemici, padre eccellente,
marito impareggiabile; nell‘arte sua portò un cuore
compassionevole e una mente perspicace e profonda.»2
Dalla dedica ai nipoti Antonio e Goffredo Franceschi (figli
del fratello di Caterina) datata 24 novembre 1856, proemio
alla sua opera I primi quattro secoli della letteratura italiana3, si ha
un‘ulteriore testimonianza del rapporto di stima che la legava
al padre: «dei miei conforti voi non avreste bisogno, se ancora
vivesse il mio caro padre, l‘avolo vostro, Antonio Franceschi.
Che se lo aveste potuto vedere, e udir la sua voce, dal suo
venerando aspetto, lucido specchio d‘anima intera, leale,
intrepida, nobilissima, dalle sue calde parole inspirate sempre
da vivo zelo del bene, avreste preso un amore tanto gagliardo
della virtù che ogni altro sprone sarebbe stato soverchio per
farvi studiosi, e buoni»4.
Nel 1808 la famiglia si trasferisce ad Osimo dove il dottor Franceschi
è nominato medico condotto. Qui Caterina studia presso il «così detto
Collegio convitto Campana, da molti anni salito in fama per la buona
2 C. Franceschi Ferrucci., Epistolario, a cura di G. Guidetti, Reggio Emilia, Tip. U. Guidetti,
1910, in nota ad una lettera indirizzata a Salvatore Betti, p. 306.
3 C. Franceschi Ferrucci., I primi quattro secoli della letteratura italiana dal secolo XIII al XVI,
Firenze,Barbera, Bianchi e Comp., 1856.
4 Ibid., p. 3 del Proemio.
9
disciplina, l‘ottimo trattamento, e la giudiziosa scelta dei maestri
valentissimi in ogni disciplina.»5
Suo precettore è il sacerdote Francesco Fuina, eruditissimo professore
di Eloquenza, autore di varie prose, italiane e latine (lodate dal
Giordani e dal Cesari), sarà lui ad infondere in Caterina l‘amore per gli
scrittori classici. A proposito del rapporto tra allieva e maestro,
Raffaello Barbiera nel medaglione dedicato alla Ferrucci in Italiane
gloriose, scrive: «studiò col solo aiuto d‘un prete erudito, al quale per
tutta la vita serbò gratitudine profonda; la più difficile virtù.»6
Il 1808 è anche l‘anno in cui Caterina, ferita da un compagno durante
il gioco, perde l‘uso dell‘occhio destro ed un‘infezione per cinque anni
le spegne anche il sinistro. In questa dolorosa posizione, in cui le era
negato ogni altro conforto ed ogni altra occupazione, lo studio e le
conversazioni col maestro Fuina sono l‘unico suo sollievo; e fino da
allora nello studio si consolida e si approfondisce, sebbene mai ad esso
sacrificherà, neppure in seguito, le domestiche attribuzioni e le cure
muliebri e materne.
La famiglia Franceschi vive ad Osimo fino al 1823, quando si
trasferisce a Macerata. Caterina riceve qui gli insegnamenti di due
nuovi precettori, il canonico Carlo Hercolani, principe dell‘Accademia
locale dei Catenati e noto traduttore della Cristiade di Marco Girolamo
Vida; e Andrea Cardinali, ben conosciuto per alcuni suoi scritti
pubblicati sulla Repubblica Letteraria.
La morte di Giulio Perticari (26 giugno 1822), difensore e apologista
della gloria di Dante e caposcuola del neoclassicismo dopo Vincenzo
5 G. Eroli, Alcune notizie sopra Caterina Franceschi Ferrucci da Narni. Assisi, Stabilimento
Tipografico Metastasio, 1888, pp. 11-12.
10
Monti; la morte di Antonio Canova (13 ottobre 1822), idolo dei
classicisti dei quali esprimeva gli ideali estetici e civili nella scultura; la
morte del grecista ed archeologo Giuseppe Tambroni (22 gennaio
1824), sono argomento dei primi componimenti in versi della
Franceschi ventenne, tutti dedicati all‘Italia.
Altre circostanze le davano argomento di cantare sentimenti e virtù
particolarmente celebrate dall‘antichità classica: la costanza, l‘amicizia,
la sapienza, la clemenza. Anche il sentimento della natura è materia
delle sue prime prove poetiche, ed è un tema che non abbandonerà
più.
Nel 1823, una canzone stampata in una raccolta di circostanza
pervenne, cosa rarissima per libri del genere, sino a Roma e letta ed
ammirata dagli accademici Tiberini la fecero ristampare nel Diario
Romano, e mandarono alla giovane autrice il diploma di quella
accademia.
Ma non potevano bastarle le lodi dei suoi ammiratori a renderle
piacevole il soggiorno a Macerata, al cui ristretto orizzonte
intellettuale, ella non sapeva adattarsi, desiderosa di seguire lo
svolgimento degli studi letterari e scientifici.
Il 1823 è anche l‘anno in cui conosce per la prima volta l‘amore, per il
Marchese Giacomo Ricci di Macerata, che la ricambia, ma sarà
costretto a rinunciarvi nel 1824, quando, indotto da ragioni familiari,
entrerà nell‘Accademia Ecclesiastica di Roma; dalla quale uscirà più
tardi per mancanza di vocazione. Le nobili, ardenti, magnifiche lettere
amorose, che la Ferrucci scrive segretamente al Ricci, la cui famiglia
non si dimostra favorevole ad eventuali sue nozze, sono state ritrovate
6 R. Barbiera, Italiane gloriose, Medaglioni. Milano, Vallardi, 1923, p. 125.
11
negli anni trenta del ‗900, dalla Marchesa Olga Ferretti Ricci e donate
alla Biblioteca Civica di Macerata.
Nello stesso anno essendosi maritata a Bologna la sorella maggiore,
Caterina viene mandata presso di lei, per continuare ed estendere i già
bene intrapresi studi. Precorsa dalla fama che già suonava di lei come
di leggiadra verseggiatrice e di profonda conoscitrice delle lettere
italiane e latine non mancarono i letterati di quella dotta città di
andarla a trovare per coltivare sempre più l‘ingegno tanto bene
promettente di sé.
Tornata a Macerata conosce il futuro marito, il lucchese Michele
Ferrucci, valente archeologo e latinista, prediletto discepolo
dell‘illustre prof. Filippo Schiassi della R. Università di Bologna, allora
insegnante in Macerata.
Michele assume il 27 giugno 1826 l‘ufficio di «aggiunto» nella
Biblioteca Universitaria di Bologna, della quale il Mezzofanti era
titolare.
Lasciata Michele Macerata inizia il carteggio tra i due fidanzati.
Caterina invia molte lettere al suo promesso sposo, lettere piene di
dolcezza ed ingenuità, ma anche ferme a difendere l‘esigenza di
Caterina di poter continuare i suoi studi. In una lettera inviatagli il 20
ottobre 1826 si legge: «Ché lo studiare è per me una espressa necessità
ed è tanta la dolcezza che ne ritraggo, che non posso temperare la
voglia ardentissima di applicare molte e molte ore».7
Di stesso tenore la lettera che gli scrive nell‘aprile del 1827, in cui,
riferendosi a i suoi studi scrive: «a quali tengo per certo, che mi farete
7 C. Franceschi Ferrucci, Epistolario, a cura di G. Guidetti, Reggio Emilia, Tip. U. Guidetti,
1910, p. 61.
12
consacrare di buona voglia: ed anzi spero che mi lascerete pienissima
libertà intorno al genere di essi. E perché fino da ora possiate meglio
conoscere quale sia il mio pensare intorno a questo rapporto, vi
manifesterò che io ho in animo di dedicarmi allo studio della morale
Filosofia»8.
In una lettera del 21 febbraio 1827, Caterina parla del suo
ritratto, richiestole dal fidanzato: «Quando saprò che la vostra
venuta è vicina, farò lavorare il ritratto, che con tanta
gentilezza mi richiedete. Qui non vi è alcuno che sappia
miniare bene: però avrete una brutta copia di un bruttissimo
originale; ma voi non la disgradirete, poiché tanto mi amate.»9
Nella stessa lettera si legge anche l‘ennesima dimostrazione di
amore per lo studio, immaginando la vita insieme, Caterina
scrive: «La vostra compagnia mi sarà di grande istruzione, e
ne proverò quella dolcezza, che sola può farmi beata. Nella
cara pace degli studi, i nostri giorni scorreranno tranquilli, e
noi come da un porto sicuro mimeranno le tempeste, in che
sono agitati tutti coloro che vanno cercando la felicità dove
non è stata giammai; ché certo questa si trova soltanto
quando il cuore è occupato da un desiderio, che lo spinge
naturalmente alla ricerca del vero.»10
8 Ibid., pp. 78-79.
9 C. Franceschi Ferrucci, Nozze Ferrucci Tabarrini,
10 Ibidem.
13
Il 26 settembre 1827, a Macerata, Caterina Franceschi sposa Michele
Ferrucci.
14
I. II. Gli anni bolognesi (1827-1836)
La giovane Caterina segue il marito a Bologna e qui, realizza un suo
antico sogno. La città rappresenta infatti la metropoli intellettuale della
Romagna, il soggiorno più desiderato da tutti gli studiosi dello Stato
Pontificio.
Su Caterina esercita un forte fascino una donna bolognese morta da
molti anni, ma viva ancora nelle illustri memorie, della città: la
scienziata Laura Bassi Veratti (1711-1778). Conosciuta a Bologna una
nipote di lei che le fornirà notizie dirette, decide di scriverne la
esemplare vita.
Inoltre, affascinata dalla città che la ospita Caterina inizia a studiarne la
storia, soprattutto quella dei suoi tanti illustri personaggi, tanto che di
ognuno di loro si appresta a scrivere la biografia. Il lavoro iniziato a
Bologna sarà ripreso a Ginevra e pubblicato nel 1836 a Bologna col
titolo Le vite di illustri bolognesi.
Il 4 gennaio 1829 nasce a Macerata, il primogenito della coppia,
Antonio, l‘unico della famiglia che sopravviverà a Caterina.
Nel 1830 conosce Giacomo Leopardi, durante il soggiorno del poeta
protrattosi dal 30 aprile al 9 maggio di quell‘anno.
L‘amicizia tra i due avrà un seguito epistolare, occasioni d‘incontrarsi
nuovamente non ne avrebbero avute altre: Leopardi dal 1811 al ‘36,
manca da Bologna e nel ‘36 i Ferrucci esuleranno a Ginevra. Al loro
ritorno in Italia nel ‘44, il poeta sarà già scomparso.
Il 1830 è anche l‘anno del dolore per la perdita di due suoi cari: in
Ancona, il 5 luglio 1830, muore la prediletta sorella ventunenne Rosa
15
Bianchi, donna «di meravigliosa bellezza e di bontà sovrumana»11,
madre di un figlioletto in tenerissima età; venticinque giorni dopo, il
10 agosto, a Macerata, morirà il padre Antonio, assistito da Caterina.
A Bologna i coniugi Ferrucci prendono parte, attraverso
manifestazioni di carattere intellettuale, al moto rivoluzionario del
1831. Le conseguenze della loro adesione non tardano ad arrivare, il
professor Michele, uno degli otto tra professori ed impiegati
dell‘Università, sospesi dal grado e dallo stipendio, deve abbandonare
l‘incarico di sostituto alla cattedra di Arte Oratoria e Poetica Latina e
Italiana.
Il 2 luglio del 1835 nasce a Bologna la figlia Rosa.
Una lettera datata 8 luglio 1836, inviatale dalla Regia Accademia delle
Scienze di Torino, sottoscritta dal segretario Costanzo Gazzera, le
comunica l‘avvenuta elezione a Socio Corrispondente dell‘Accademia.
A proporne la nomina sarà Ludovico Sauli, in seguito alla lettura delle
vite dei due celebri bolognesi, il naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-
1605) e Ferdinando Marsigli (1658-1730).
Il 1836 sarà un anno di preparazione per gli animi eletti, i quali non
potevano sottostare al servaggio d‘Italia, e siccome Michele si
distingueva per italianità di sentimenti e per avversione al governo di
allora, sarà da quello preso in sospetto e costretto ad esulare da
Bologna, traendo con se la famiglia fino a Ginevra, ove troverà nuovo
impiego presso l‘Università elvetica.
L‘esilio è per Caterina motivo d‘angoscia ma è pur troppo inevitabile,
la partenza le appare senza ritorno. Il 19 settembre 1836 scrive a
Salvatore Betti: «Oh! quanto a me pure è grave lasciare l‘Italia e i
11 C. Franceschi Ferrucci, Prose e versi, Firenze, Le Monnier, 1873, p. 321, in nota.
16
parenti dolcissimi e i provati amici, e quelle terre perfino dove
riposano le ceneri benedette del padre mio, della mia sorella, ma
perché è da vili il cedere all‘afflizione, raffreno le lagrime e invece
prego il Cielo a fare che il mio presente dolore (il quale non passerà
certo col tempo) non sia senza alcun bene avvenire per miei figliuoli.
Siate pur certo che io prima perderò la vita che l‘amore alla nostra
patria e che l‘ultimo mio sospiro sarà per me la felicità dell‘Italia.»12
I Ferrucci partono da Bologna il 25 settembre 1836, dopo una sosta a
Torino, arrivano a Ginevra il 10 ottobre.
12 C. Franceschi Ferrucci, Epistolario, a cura di G. Guidetti, Reggio Emilia, Tip. U. Guidetti,
1910, p. 141.
17
I. III. L‘esilio (1836-1844)
Nel 1836, i coniugi Ferrucci ed il loro figli Antonio e Rosa, si
trasferiscono a Ginevra dove Michele ha ottenuto la cattedra di
Eloquenza Latina.
A segnalarlo al Senato Accademico ginevrino è stato Camillo Benso
conte di Cavour che così scrive: «Il Ferrucci è senza dubbio migliore
di tutti i latinisti di Francia, d‘Inghilterra, forse anche di quelli di
Germania e Olanda, e ha una moglie sapiente quanto lui e in più
dotata di un‘immaginazione brillante e di una genialità particolare per
le arti e la letteratura.»13
Le notizie su Caterina, Cavour doveva averle avute dal latinista Carlo
Boucheron14, che nel 1829 era stato ospite di lei a Bologna.
A Ginevra i coniugi Ferrucci sono calorosamente accolti per
la gran fama che li ha anticipati. Le ginevrine prendono tale
stima di Caterina, che vogliono farsi sue discepole nello
studio della letteratura italiana.
Riguardo alle sue lezioni Caterina scrive il 23 dicembre 1836
all‘amico Francesco Rosaspina15 a Bologna: «Alcune signore,
ché già conoscevano l‘italiano, hanno desiderato, che dessi
loro un piccolo corso di letteratura, e lo faccio con piacere.»16
13 C. B. Cavour, Lettere edite ed inedite raccolte ed illustrate da Luigi Chiala, Torino, Roux e
Favale, 1884-87 VI volumi, vol. V p. 46 e sgg.
14 Carlo Emanuele Boucheron Torino (1773-1838), celebre latinista, fu anche giurista e
uomo di Stato. Professore all‘Università di Torino.
15 Francesco Rosaspina, incisore Monte Scudolo (Rimini) 1762-1841.
16 C. Franceschi Ferrucci, Epistolario, a cura di G. Guidetti, Reggio Emilia, Tip. U. Guidetti,
1910, p. 149.
18
Le lezioni, tenute in casa sua e declamate in francese, sono a
tal punto gradite, da suggerirle, in seguito, ad uso delle donne
della propria nazione, la tanto ammirata ed applaudita opera,
che, pubblicata in due volumi, si intitola I primi quattro secoli
della letteratura italiana17.
Divenuta angusta la stanza all‘uditorio sempre crescente, i
professori dell‘Accademia la invitano a far lezione in una sala
del Museo Rath, sede della Scuola di Belle Arti. Nel febbraio
del ‘37 scrive alla sorella Giacinta Franceschi Brunelli: «Con
quella sincerità che aver si dee con una sorella, ti dirò che il
mio corso ha un successo straordinario.»18
Alle sue lezioni partecipano, oltre le donne, i professori
dell‘Accademia, gli italiani profughi e nell‘autunno del ‘36 vi
incontra la scrittrice francese Amandine Lucie Aurore Dupin,
ormai divenuta George Sand.
Di Caterina il Vieusseux scrive ad Antonio Ranieri
nell‘ottobre del 1844: «Signora amabilissima, istruita e senza
pretensioni, donna da piacere assai, e tale da offrire ai
professori dell‘Università un centro di riunione che finora è
mancato a quei signori.»19
17 C. Franceschi Ferrucci., I primi quattro secoli della letteratura italiana dal secolo XIII al XVI,
Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., 1856.
18 G. Chiari Allegretti, L’educazione nazionale nella vita e nelle opere di Caterina Franceschi Ferrucci,
Firenze, Le Monnier, 1932, p. 89.
19 Ibid. cap. I, Il problema dell‘educazione e l‘antitesi Gioberti – Mazzini, p. 104.
19
Malgrado l‘affetto e la stima che tutti le dimostrano, Caterina
prova un‘enorme nostalgia per l‘Italia e per i suoi cari, ne
sono testimonianza le numerose lettere che scrive ai vecchi
amici in patria. Ne è un esempio quella che scrive al professor
Francesco Rosaspina,: «Quando, vivendo in paese lontano,
ricevo una lettera di persona cara, come voi siete, la quale sia
troppo breve provo un‘allegrezza mista di dispiacere, e parmi
sentire più vivo il dolore dell‘assenza, poiché vorrei sapere
tante, e tante cose, e il mio desiderio non può essere
soddisfatto»20 ed ancora nella stessa: «Sebbene io qui mi trovi
assai bene, pure le antiche affezioni tengono potentemente
l‘animo mio e col pensiero vivo quasi sempre oltre le Alpi, e
più che altrove in Bologna.»21
Nel 1839 Caterina si separa dal figlio Antonio, mandato a
studiare in un collegio a Vevey, presso il lago di Ginevra.
Il 1843 inizia per Caterina con l‘ennesimo lutto familiare, il 30
gennaio muore la sorella Giacinta. In agosto però una buona
notizia raggiunge i coniugi Ferrucci, Michele è fra i
concorrenti alla cattedra di Storia e Archeologia, lasciata
vacante all‘Università di Pisa dal professor Ippolito Rossellini
(1803-1843).
20 G. Chiari Allegretti, L’educazione nazionale nella vita e nelle opere di Caterina Franceschi Ferrucci.
Firenze, Le Monnier, 1932, p. 144.
21 Ibid., p.. 145.
20
Stupendosi della probabile nomina di Michele, Antonio
Ranieri scrive il giorno 12 agosto a Gino Capponi: «Io mi
sarei aspettato piuttosto a vedere il Sultano sul vaticano, che il
Ferrucci contrastarmi vittoriosamente la cattedra di storia!»22
Il 21 dicembre in un‘altra lettera a Capponi Ranieri scrive: «Il
6 del corrente la Lenzoni mi scrisse ch‘era stata data la sola
archeologia al F. (così nell‘originale), e che la storia vacava
ancora.»23
Ed infatti nel dicembre del 1843 il Gran Duca di Toscana
nomina Michele professore di Archeologia all‘Università di
Pisa, incarico che manterrà fino alla morte avvenuta nel 1881.
Nell‘estate del 1844 la famiglia Ferrucci ritorna in Italia e si
stabilisce a Pisa.
I. IV. Gli anni pisani (1844-1850)
A Pisa Caterina non cerca e non ottiene i plausi ginevrini, e nella
quiete domestica educa i suoi bambini e prosegue gli studi.
Nel 1844 scrive Della educazione morale della donna italiana, che
uscirà solo nel 1847, a Torino, dopo le prime riforme liberali di Carlo
Alberto e verrà presentato l‘anno seguente all‘Accademia della Crusca.
Del giugno ‘46 è l‘esaltazione A Pio IX Pontefice Massimo; del luglio
‘47 L’unione dei popoli Italiani; del novembre l‘invito Alla gioventù
22 G. Capponi, Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da Alessandro
Carraresi. Firenze, Le Monnier, 1890, p. 258.
23 Ibid., p. 264.
21
italiana. Un pensiero è comune in tutte le canzoni: l‘indipendenza
dagli austriaci. Lo stesso desiderio è nell‘Inno alla Terra, scritto nel
1847 e dedicato alla memoria del professor Leopoldo Pilla, morto
combattendo durante la battaglia di Curtatone nel 1848.
In questo anno, partono dalla toscana per partecipare alle operazioni
militari piemontesi, truppe e volontari; rilevante è la partecipazione di
studenti e professori dell‘università di Pisa, guidati da uno dei loro
maestri, Giuseppe Montanelli. Il battaglione parte il 22 marzo 1848,
tra loro, il marito Michele, capitano ed il figlio Antonio, caporale, ai
quali scrive ogni giorno lunghe lettere, la prima risale al 20 aprile:
«Siete bravi e buoni italiani, e Dio benedirà la vostra nobile e santa
deliberazione.»24
I suoi combattono la battaglia di Curtatone e Caterina così scrive il 2
giugno a Pietro Brunelli, marito della sorella Giacinta: «Antonio e
Michele sono, la Dio mercé, sani e salvi, e si sono coperti di onore
nella battaglia del 29, avendo combattuto a lungo in mezzo ad una
grandine di palle, bombe, razzi ecc.»25
Quando sente che i professori cedono alla città di Milano lo stipendio
del mese di aprile, loda e rincuora il marito ed anche lo esorta, se
necessario, ad offrire gli emolumenti di altri mesi, senza pensare a lei
ed ai figli.
La famiglia non è ricca, le sue non sono parole vuote.
24 V. Cian, Patriottismo femminile del Risorgimento, in Fanfulla della Domenica anno XXXI,
numero del 26 aprile 1908, pp. 1-2.
25 C. Franceschi Ferrucci, Epistolario, a cura di G. Guidetti, Reggio Emilia, Tip. U. Guidetti,
1910, p.. 196.