2
Introduzione
Le opere d’arte diffondono messaggi culturali e suggestioni estetiche, rappresentando
una memoria storica, la cui custodia è di sostanziale interesse per l’uomo e la società.
La loro salvaguardia implica non solo aspetti materiali, ma anche estetici, morali e
filosofici, quindi culturali.
Tenendo conto degli attuali criteri per la conservazione dei beni culturali, il compito
delle discipline tecnico-sperimentali è quello di trovare soluzioni per contrastare il
naturale invecchiamento dei materiali che li costituiscono.
Intervenire su un manufatto artistico, elaborare il progetto di intervento conservativo
significa fornire tutte le informazioni relative alla conoscenza materica dell’oggetto, alle
cause e manifestazioni del degrado, così come significa avere la più ampia conoscenza,
su basi scientifiche, dei prodotti e/o metodologie da impiegare nel corso di un
intervento. L’analisi del degrado di un manufatto è un aspetto prioritario poiché grazie
ad essa si identificano tutte le patologie deteriorative, individuandone le cause primarie
ed i fattori capaci di peggiorare tale situazione. Questi sono i concetti che stanno alla
base della moderna scienza della conservazione.
Il presente lavoro di tesi è incentrato sull’utilizzo delle indagini sperimentali nella
diagnostica di un edificio storico, proponendo quindi una metodologia per la
caratterizzazione dei materiali ed il riconoscimento delle relative tipologie di degrado
con tecniche di analisi chimico-fisiche. Oggetto di questa ricerca è stato il palazzo della
sede centrale della Cassa di Risparmio di Ravenna. Edificato sul finire del XIX secolo,
è testimonianza di un nuovo assetto architettonico della città e costituisce una memoria
storica dell’ambiente e del tempo in cui è sorto. In quel periodo l’architettura era intesa
come manifestazione delle nuove istanze culturali e perciò studiare tali superfici
architettoniche rappresenta l’occasione di studiare i resti materiali di correnti di pensiero
e di idee.
La tesi è stata organizzata in quattro capitoli, nei quali è stato sviluppato l’argomento in
esame. Il primo passo è stato quello della lettura di notizie storiche pervenute e nel
reperimento e consultazione di materiale documentario di vario tipo sia iconografico
che cartografico, come antichi disegni, rilevazioni quotate, mappe storiche, carteggi
contabili, lettere di spesa ecc., i quali si sono dimostrati fonti documentarie molto utili.
Lo screening dei documenti d’archivio infatti, sia per quelli che si riferiscono
direttamente al manufatto oggetto di studio, sia per quelli che lo riguarderanno
3
indirettamente, mi hanno aiutato a ricostruire i motivi dello sviluppo dell’edificio e le
fasi evolutive, anche del tessuto urbano che lo inglobava.
Gli archivi di Stato, quelli storici Comunali, quelli della Soprintendenza dei Beni
Culturali, si sono rilevati depositari di informazioni preziose per mettere in luce
eventuali problemi costruttivi, o di altra natura, in ogni caso un ottima base per
impaginare un corretto progetto diagnostico prima e di restauro poi.
La seconda operazione è consistita nel sopralluogo finalizzato alla conoscenza del
manufatto. Osservare l’edificio dall’esterno, individuare i sistemi costruttivi, l’uso dei
materiali, le soluzioni architettoniche adottate, ha aiutato a conoscere la forma
dell’oggetto ed è diventato un fondamentale supporto conoscitivo durante le operazioni
di rilevamento, nelle quali si è elaborata una vasta documentazione fotografica per
cercare di ottenere una caratterizzazione di tipo più oggettivo possibile delle superfici
esaminate.
Al fine di comprendere il perché dei fenomeni degenerativi che riguardavano il
prospetto principale del palazzo, si è ritenuto opportuno soffermarsi sulla natura dei
materiali impiegati. Essi sono stati indagati e caratterizzati attraverso analisi
diagnostiche realizzate sugli elementi lapidei sia naturali che artificiali ed hanno
consentito di ricavare dati ancora più puntuali e certi. La determinazione analitica ha
costituito la fase centrale del mio lavoro di tesi, grazie alla quale si è riusciti ad
elaborare un quadro diagnostico esplicativo della situazione attuale e sulla cui base si è
potuto poi programmare ed affrontare il restauro dell’elemento più degradato e cioè il
balcone.
Le indagini sono state condotte con le metodologie analitiche, usualmente applicate nel
campo della conservazione dei materiali lapidei naturali ed artificiali:
caratterizzazione macroscopica in situ e allo stereomicroscopio per un’analisi
qualitativa della struttura, grado di coesione, porosità, tipo di fatturazione,
identificazione di particolari minerali accessori, colore;
analisi mineralogico-petrografica in sezione sottile al microscopio in luce
trasmessa, per lo studio delle caratteristiche composizionali, qualitative e
quantitative;
analisi diffrattometrica a raggi X, previa macinazione manuale in mortaio
d’agata, per verificare la presenza di minerali non risolvibili otticamente come,
per i laterizi, minerali argillosi e gli eventuali silicati di calcio di neoformazione,
mentre per il marmo distinguere quello puro calcitico da quello a componente
dolomitica;
4
analisi al microscopio elettronico a scansione equipaggiato con
microanalizzatore (SEM-EDX);
microspettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (µ-FTIR).
Sulla base di questa campagna di indagini tecnico-scientifiche è stato redatto poi il
progetto di restauro del balcone che era l’elemento più danneggiato. Tale intervento è
stato eseguito dalla ditta “Laboratorio del Restauro Srl” di Ravenna e si è articolato in
tutta una serie di operazioni, sempre rispettando i fondamentali principi del restauro
moderno.
Allo stesso tempo l’esame critico dei risultati ottenuti dalle indagini e dai dati raccolti
ha permesso di elaborare un prospetto diagnostico di tutta la facciata che potrà
costituire, qualora se ne verificasse la necessità, la base di un intervento di restauro o di
manutenzione.
D’altro canto negli ultimi decenni il concetto di conservazione si è steso dall’edificio
monumentale a tutto l’ambiente urbano caratterizzato anche dalla presenza
dell’architettura cosiddetta minore, di conseguenza anche il problema della
conservazione ha assunto dimensioni più vaste puntando a sensibilizzare l’intero
territorio, in quanto è esso a custodire elementi molto importanti della storia e della
cultura umana.
5
Capitolo I IL PALAZZO DELLA CASSA DI RISPARMIO
DI RAVENNA
1.1 Inquadramento storico
Fino a poco più di un secolo fa Ravenna mostrava tutto il fascino di una città
ibrida, né Oriente né Occidente, grazie ad una storia urbana ricca di complessità. La
città infatti fu fondata da genti diverse, straniere, in tempi storicamente rapidi e le civiltà
che vi si trapiantarono materializzarono tutte parti di città tra di loro autonome e sempre
molto caratterizzate sia urbanisticamente sia architettonicamente. Anche i caratteri del
sito geografico furono importanti in quel processo di crescita avvenuto per successive
addizioni. L’impianto di Ravenna, infatti, venne fortemente condizionato dalla presenza
dell’acqua: i fiumi e i canali interni che l’attraversavano (o esterni che la circondavano),
nonché il mare che la rasentava.
Ravenna, dunque, si costruisce “per parti”, le quali non vennero generandosi da un
nucleo centrale originario – come perlopiù accade nei processi di formazione urbana -
ma, al contrario, andarono disponendosi l’una accanto all’altra, senza contaminarsi, anzi
in certi casi contrapponendosi
1
.
Volendo ora focalizzare l’attenzione sullo scenario della città agli inizi dell’Ottocento,
si nota che Ravenna ha la cinta muraria intatta e soggetta a periodiche manutenzioni.
All’interno, l’abitato è quasi tutto concentrato nella zona nord-occidentale, mentre verso
est, oltre il Corso Garibaldi, si riscontra tutta una vasta area non edificata, retrostante le
basiliche di S. Maria in Porto, S. Apollinare Nuovo, S. Giovanni Evangelista e
circostante la Rocca. Durante la prima metà del secolo furono pochi i momenti edilizi di
rilevanza urbana; solo la graduale sostituzione di abitazioni tradizionali nelle zone più
degradate.
Dalla seconda metà del 1800 si assistette ad una crescente scissione della città dentro e
fuori le mura. Due tipi di operazioni investirono il centro antico: da un lato gli interventi
programmati da parte di coloro che volevano soltanto esaltare l’importanza dei
monumenti bizantini e paleocristiani, isolandoli dal resto; dall’altra le soluzioni
funzionali ai nuovi problemi sociali, indi per cui la ferrovia esigeva l’abbattimento del
tratto orientale delle mura, la stazione un diretto collegamento con il centro, gli istituti
1
PIRAZZOLI N., Ravenna, Essegi editore, Ravenna, 1989, pp.2-3.
6
bancari richiedevano aree centrali, l’edificazione poi del mercato coperto, del teatro,
ecc
2
.
Approfondiamo ora lo sviluppo della linea ferroviaria; la prima di essa giunse a
Ravenna nel 1863. Era il tronco che a Castelbolognese si diramava dalla Bologna-
Ancona, ultimata un paio d’anni prima (1861). Dopo oltre vent’anni venne inaugurato
anche il collegamento adriatico, verso Cervia-Rimini e Argenta-Ferrara. Occorre
sottolineare come il primo collegamento ferroviario di Ravenna si legasse all’intento di
valorizzare il suo porto, che allora si configurava come il più settentrionale sul versante
adriatico, essendo ancora il Veneto sotto il dominio austro-ungarico. L’adriatico
costituiva lo spazio marittimo su cui il Regno d’Italia veniva allora ad affacciarsi e in
cui si confrontava direttamente con l’Austria. Questa necessità di un contatto col porto
spiega il motivo per cui la stazione venne collocata nel ristretto spazio tra la darsena
portuale e la città, le cui mura dovettero essere abbattute per circa 500 metri
3
. Con la
costruzione della stazione si riqualificò dunque la zona tra essa ed il centro storico, con
l’apertura, come in molte città, di un ampio viale alberato, attorno al quale si
collocarono i monumenti che celebrano le figure eroiche dell’unità nazionale (a Luigi
Carlo Farini, nel piazzale della stazione, ed ai Caduti a metà del viale), la realizzazione
di giardini pubblici (uno grande sulla destra uscendo dalla stazione, l’altro, più modesto,
uscendo da San Giovanni) e l’ippodromo, dietro S. Maria in Porto. Inoltre sia il piazzale
che il viale davanti alla stazione furono dedicati a Luigi Carlo Farini poiché egli aveva
fortemente sostenuto la costruzione della ferrovia a Ravenna.
Spostandoci ora nei sobborghi, plasmati fin dal Settecento, al di là delle porte della città,
si osserva come sia avvenuto un riordino viario e ad una nuova collocazione di alcuni
servizi, quali ad esempio il macello fuori porta Adriana ed il foro boario; si installano
due luoghi di spettacolo in via Farini (il “Politeama Zinanni”) ed in via Ponte Marino
(teatro Mariani). Inoltre, ai confini del centro ed oltre le mura sono ubicati il nuovo
carcere, il lavatoio sul canale del molino, il “gazometro” presso porta Serrata, le scuole
pubbliche e la nuova chiesa del borgo S. Rocco.
Sul luogo dove sorgeva l’antica sede della “Casa Matha”, vecchia corporazione di
pescatori, esistente almeno dal X secolo col nome di Schola Pescatorym, fu edificata nel
1894, l’emiciclo della “Pescheria” su progetto dell’ingegnere Ugo Vignuzzi. Tuttavia
2
PIRAZZOLI N., Modificazioni urbanistiche ed attività edilizia: il carattere ottocentesco della città
in: BANDINI B., SCARANO M. Ravenna nell’Ottocento, Longo editore, Ravenna, 1982, pp. 53-54-
55.
3
SCARANO M., Le infrastrutture: sistema portuale e ferrovia, in PIRAZZOLI N., BANDINI B.,
SCARANO M. Ravenna nell’Ottocento, Longo editore, Ravenna, 1982 pp. 87-93-94; MISSIROLI
A.,Ravenna nell’Ottocento, CICERO & C. EDITORE, Rimini, 2002.
7
questo ebbe vita breve, in quanto venne abbattuto nel 1918 perché considerato
ingombrante e mal impiantato, ed al suo posto, sorse, nei tre anni successivi, l’attuale
Mercato Coperto, decorato con stucchi in gusto floreale e sostenuto da colonne in ghisa,
che ospitò botteghe di generi alimentari
4
.
Dunque l’immagine di Ravenna tra Ottocento e Novecento è quella di una città di
provincia isolata sia geograficamente che politicamente che cerca affannosamente di
rinnovarsi.
Tuttavia, le vicende edilizie – di cui ora si faranno brevi cenni - non mutarono
profondamente il centro della città, seppure in alcune sue parti resta il segno della
cultura architettonico-urbanistica dell’epoca.
Nel contesto del centro storico si evidenzia il notevole volume del nuovo teatro Dante
Alighieri, il quale definisce il perimetro della piazza in precedenza denominata
“piazzetta degli Svizzeri” (oggi piazza Giuseppe Garibaldi) e per gran parte occupata da
modesti fabbricati. Tra gli obbiettivi dell’Amministrazione comunale, infatti, allorché si
decise la costruzione dell’Alighieri, vi era stato sicuramente anche quello della
realizzazione di un luogo urbano moderno e rappresentativo, proprio nel cuore della
città storica.
La nascita del nuovo corpo sociale, cioè quello della borghesia, che assunse tendenze e
modi culturali fino ad allora esclusivi dell’aristocrazia, spiega la necessità di costruire
una nuova sala pubblica per spettacoli, più ampia e decorosa del vecchio teatro.
L’Alighieri infatti conferì al cuore della città un prestigio nuovo, con la sua maestosa
mole e il solenne colonnato neoclassico sul fronte, oltre un’orchestra stabile di 45
strumentisti. Distribuiti sui 5 ordini, i palchi erano 124 e la loro proprietà rifletteva le
recenti trasformazioni della società ravennate: la metà a “cittadini” e un quarto ai nobili,
un rapporto che era inverso nel precedente teatro.
Per la realizzazione si affidò il progetto agli architetti veneziani Giovan Battista e
Tommaso Meduna. L’edificio fu portato a compimento in circa dodici anni (dal 1840 al
1852) con diverse varianti in corso d’opera, tra le quali la modifica della facciata che
resterà priva di timpano di coronamento. Per l’edificazione fu scelta quella zona che era
rimasta fino ad allora ai margini della vita cittadina, ma che mostrava potenzialità
eccezionali, in quanto prossima a piazza Maggiore e sul percorso che da essa porta alla
Tomba di Dante Alighieri, perciò l’erezione di un teatro avrebbe sicuramente promosso
quel luogo a ritrovo sociale.
4
PIRAZZOLI, Ravenna, op. cit., pp. 54-55-56-81-82.
8
Anche la piazza, allora, venne dedicata a Dante Alighieri, e nei decenni successivi,
cambiò completamente aspetto.
Fig. 1 – A. Brandolini, Pianta della Città di Ravenna, 1888 (part.)
Nel 1895 sul lato di fronte al teatro venne inaugurata la sede della Cassa di Risparmio,
costruita demolendo il vecchio edificio della locanda “Alli Tre Ferri”, una delle più
caratteristiche della città. Nel 1926 fu invece concluso il nuovo palazzo delle poste,
abbattendo quello seicentesco della tesoriera, che faceva corpo unico col palazzo del
legato pontificio, poi della prefettura.
L’ultimo elemento che fu aggiunto a conferire il volto che ha oggi la piazza è il
monumento a Giuseppe Garibaldi. Inaugurato nel 1892, decennale della morte dell’eroe,
e opera del ravennate Giulio Franchi; era stato inizialmente collocato di fronte alla
chiesa di S. Francesco e fu qui trasferito nel 1936: allora la piazza assunse l’attuale
denominazione
5
.
Dunque con la creazione della “Piazza Dante Alighieri” il sistema delle piazze centrali
viene ad articolarsi in tre poli; questa piazza tuttavia, non si integra completamente nel
contesto del centro cittadino poiché, a differenza degli altri luoghi pubblici (piazze e
vie) è perimetrata su tre lati da grossi contenitori edilizi in sé conclusi e viene, di
conseguenza, a mancare quella compresenza di architettura maggiore ed edilizia minore
che caratterizza il tessuto della città.
5
PIRAZZOLI N., Lo sviluppo urbano, in LOTTI L. Storia di Ravenna: l’età risorgimentale e
contemporanea, Marsilio editore, Venezia, 1996 pp.512-513-514.
9
Continuando ad effettuare l’excursus storico dell’evoluzione della città, si deve
osservare come la sua trasformazione proseguì soprattutto nel Novecento; già intorno
agli anni ’20 e ’30 infatti, venne elaborato e realizzato un progetto di sistemazione della
zona dantesca con la demolizione di casa Rizzetti, la costruzione della “Casa Oriani”
col retrostante portichetto proveniente dal Museo Nazionale; venne inoltre abbassato il
piano di piazza S. Francesco e prospiciente ad essa, nonché venne abbattuto un lungo
tratto della doppia cortina edilizia di epoca veneziana per la creazione della piazza del
Littorio (piazza Caduti) e la costruzione dell’isolato dell’INA. Da quella piazza parte il
tracciato della via dell’Impero (via De Gasperi) e sulla piazza stessa vengono eretti il
Palazzo della Provincia, del Genio Civile e del Littorio
6
.
6
PIRAZZOLI, Ravenna.,op. cit., pp.10-11; PIRAZZOLI, in AA.VV. Ravenna nell’Ottocento, op.
cit., p. 81.
10
Fig. 2 – particolare da G. Savini, Ravenna. Pianta ed elevazione da settentrione verso Mezzogiorno, 1903
11
Le illusioni di vedere proseguita l’opera di ammodernamento infrastrutturale ed edilizio
della città caddero però sotto i bombardamenti del ’44 che provocarono ingentissimi
danni anche ai monumenti della città. La documentazione fotografica e le relazioni
tecniche degli uffici del Genio Civile e della Soprintendenza restituiscono un quadro
delle distruzioni difficilmente immaginabile, nonostante la Direzione Generale delle
Antichità e Belle Arti avesse provveduto, anche a Ravenna, ad avviare eccezionali
misure precauzionali per la tutela degli edifici e delle opere d’arte. Nonostante le opere
di protezione, risultarono numerosissimi e gravi i danni di guerra.
Il patrimonio monumentale venne però ripristinato nell’arco di pochi anni grazie a
numerosi interventi rigorosi e competenti
7
.
Giungendo ora al post ’48, occorre notare come, a differenza dell’Europa, ove si
assistette ad un rapido espandersi del mercato creditizio, al moltiplicarsi degli istituti
finanziari, al servizio dello sviluppo industriale, in Italia, ed in specifico quella dello
stato della Chiesa, si osservava un quadro di novità estremamente limitato: il problema
della scarsità di capitale percorse infatti tutta l’Italia pre e post unitaria. Tale quadro di
staticità era essenzialmente dovuto alla scarsità dell’investimento o alla canalizzazione
di questo solo nel settore agricolo, alla totale assenza di possibilità industriali ed ad un
artigianato rivolto alle piccole esigenze locali, fatto di modeste botteghe
8
.
7
PIRAZZOLI N.,in LOTTI, Storia di Ravenna: L’età risorgimentale e contemporanea, op. cit., p. 536.
8
SCARANO, in AA.VV. Ravenna nell’Ottocento, op cit., pp. 135-136.
12
1.2 La cassa di risparmio di Ravenna
1.2.1 Origini
Nella Ravenna pre e post unitaria non sembrava esserci nulla che potesse
condurre verso la modernità civile ed il progresso economico; le novità più interessanti,
all’interno dello Stato Pontificio, sono costituite dalla nascita della Cassa di Risparmio e
dall’esperienza della Banca delle 4 legazioni di Bologna. Perciò il movimento venne
afferrato con lo slancio positivo riservato all’unica novità di natura economico-sociale
che sembrava in grado di smuovere la situazione di stallo esistente, nella speranza di un
miglioramento dell’apparato creditizio del tutto debole in città.
La diffusione delle Casse di Risparmio registra il culmine negli anni 30 e 40 del
Novecento e i loro compiti sono inizialmente la tutela del piccolo risparmio e la
beneficienza
9
.
Anche i ravennati dunque vollero tentare l’impresa usando le stesse argomentazioni
divulgative e le già sperimentate modalità organizzative delle altre città. Nel luglio del
1838 usciva così in città un opuscolo di 13 paginette dal titolo Sulla istituzione della
Cassa di Risparmio in Ravenna. Brevi cenni degli effetti vantaggiosi che per essa
derivano alla società, a firma di Giulio Baccarini; questo era tutto focalizzato
sull’utilità delle Casse come sostegno in periodi imprevisti di difficoltà per i ceti meno
fortunati e sulla necessità del risparmio quale strumento per ottenere ricchezza
10
.
In seguito alla notevole diffusione dell’opuscolo, questa benefica istituzione, ebbe per
promotori i signori Giulio Rasponi, Carlo Arrigoni, Gianbattista Godronchi Ceccoli e
Ippolito Rasponi, i quali riuscirono ad istituire una cassa di risparmio per opera di una
Società Anonima Commerciale composta di sottoscrittori di 100 azioni, formanti un
fondo sociale di scudi 2.000, pari a L. 10.640; si tenga presente come la circolare per la
sottoscrizione delle azioni della costituenda Cassa fu indirizzata ai cittadini più illustri
per censo e come questa abbia rappresentato il primo atto dell’iniziativa dalla quale, nel
1840, doveva sorgere la Cassa di Risparmio di Ravenna.
Nell’agosto del 1839 i quattro promotori poterono rivolgersi al Legato, cardinale Amat,
(che rappresentava il Governo Pontificio a Ravenna) per ottenere l’avvio delle
procedure di approvazione da parte del governo pontificio. A fine anno giunse
9
ivi, pp. 135-136.
10
VARNI A., GIOVANNINI C., La storia della Cassa di Risparmio di Ravenna, Laterza editore, 2000,
pp. 10.
13
l’approvazione governativa sulla Cassa di Ravenna, sul suo statuto e sull’annesso
regolamento. Il 21 dicembre 1839 il papa Gregorio XVII accoglie l’istanza ed autorizza
l’istituzione di una “società anonima commerciale, all’oggetto di stabilire una Cassa di
Risparmio nella Città di Ravenna, approvandone il regolamento e le discipline”
11
.
Il consiglio di Amministrazione era così costituito: Ippolito Rasponi, Presidente;
Francesco Da Porto, Vice-Presidente; Antonio Cavalli, Cassiere; Ippolito Gamba,
Ragioniere; Girolamo Rota, Segretario; Girolamo Rasi, Michele Valenti, Santi
Malagola, Domenico Ghezzo, Francesco Lovatelli, Luigi Malagola e Pietro Martinetti,
Consiglieri.
Il 9 febbraio 1840 si svolse la prima riunione del neoeletto consiglio, in casa dello
stesso presidente Rasponi, nell’intento di programmare l’apertura delle attività
istituzionali. Finalmente, il 1° marzo dello stesso anno, venne aperto il primo sportello
dell’Istituto nel complesso Classense presso l’Accademia di Belle Arti (nell’attuale via
Baccarini), sede che rimase fino al 1851
12
. Si tenga presente che in questa fase la banca
assolse principalmente alla funzione di custodia del risparmio.
Nel decennio successivo, a causa di difficoltà economiche aggravate da un’epidemia di
colera e da scarsità di raccolti agricoli, lo sviluppo delle attività finanziarie subì un forte
rallentamento. Tali difficoltà si accentuarono con l’avvento dell’Unità d’Italia ed il
conseguente mutamento dell’assetto politico e sociale nei territori, fino ad allora
soggetti al dominio pontificio; fase che si prolungò fino alla crisi del 1866.
Durante questa fase sfavorevole si allargarono però i finanziamenti ad enti pubblici e tra
questi, in particolare, al Comune di Ravenna.
La vita della Cassa di Risparmio risentì in modo diretto della struttura
fondamentalmente agricola del territorio. La banca si trovava ad operare in una
situazione a tutti gli effetti conservatrice perché anche l’agricoltura era restia ad
innovazioni di particolare rilievo, soprattutto fino all’avvento dell’Unità d’Italia.
A dare una svolta a questa situazione di stallo, prima ancora delle trasformazioni socio-
economiche, furono nel 1860 le nuovi leggi dello stato in materia finanziaria. Tra queste
emergeva la tassa sulla ricchezza mobile, la quale costrinse la banca a ridimensionare
drasticamente i fondi destinati alla beneficienza pubblica.
11
PIRAZZOLI N., Il palazzo della Cassa di Risparmio di Ravenna, Danilo Montanari editore, 1995, pp.
19.
12
VARNI, GIOVANNINI, op. cit., pp. 13-14-15.
14
Nel 1875 vennero istituite le Casse Postali e le Casse di Risparmio dovettero affrontare
la concorrenza di una Cassa centrale garantita dallo Stato.
La nuova situazione modificò gli indirizzi della Cassa di Risparmio fino a determinare
una nuova revisione degli statuti, nel 1891. Da istituto nato per custodire il piccolo
risparmio, con finalità etiche, la Cassa di Risparmio, pur restando legata all’ambito
locale, divenne ente distributore del credito, strumento di quella lenta avanzata dello
“spirito capitalistico” nelle zone in un certo senso arretrate di un’Italia che sta tentando
di unificarsi non solo politicamente. Vennero così privilegiati i finanziamenti di opere
pubbliche e l’assegnazione di mutui sia a enti pubblici che a privati. È perciò la Cassa
una vera impresa, una realtà economica di notevole importanza per la città e nella
provincia, in continua espansione
13
.
13
SCARANO, in AA.VV. Ravenna nell’Ottocento, op. cit. pp.137-138-139; PIRAZZOLI, Il palazzo
della Cassa di Risparmio di Ravenna, op. cit., pp. 19-22-23.