5
alla luce la gravità dell’ evento e delle sue possibili conseguenze sulla fiducia dei
risparmiatori e di conseguenza sull’economia del paese.
Quando ormai si era compreso appieno la truffa perpetrata per decenni da Parmalat e dai
suoi amministratori, si è cercato di capire cosa non abbia funzionato, quali siano state le
lacune, le “maglie larghe” nel sistema dei controlli che lo abbiano permesso.
Mentre l’ autorità giudiziaria si muoveva contro Tanzi e soci, Consob, Banca d’Italia,
società di revisione contabile, collegi sindacali, società di rating, testate giornalistiche di
settore sono state additate come potenziali responsabili per i rispettivi ambiti di azione.
La politica, tra lunghi e accesi dibattiti, ha cercato di rispondere alla sfiducia dei
risparmiatori lavorando su una nuova legge a tutela degli stessi, per ridare credibilità
alla finanza italiana e non permettere che in futuro si ripetano situazioni analoghe.
Questa trattazione, forse pretenziosamente, vuole analizzare le debolezze del sistema dei
controlli alla luce dei fatti di Collecchio. Più in dettaglio vuole mettere in evidenza la
carenza del quadro normativo, dei poteri e delle risorse delle autorità preposte al
controllo con attenzione particolare alla Commissione Nazionale per le Società e la
Borsa (Consob).
Nel primo capitolo, dopo una breve analisi dell’ evoluzione del mercato finanziario
italiano, sarà ripercorsa la storia della Parmalat dalla nascita alla strabiliante crescita che
la ha portata ad essere la CocaCola del latte, dalle prime falsificazioni al tracollo finale.
Nel secondo capitolo vedremo la lunga serie di azioni che la Consob ha intrapreso,
utilizzando i poteri ad essa attribuitigli, nei confronti della multinazionale, osservando
attentamente i limiti istituzionali che essa ha incontrato nel rispondere alle esigenze di
controllo a cui è stata preposta.
6
Nel terzo capitolo si prenderà in esame la Consob, dalla sua istituzione alla nascita del
Testo Unico della Finanza (TUF), quadro normativo che le attribuisce compiti e poteri.
Analizzeremo i sistemi dei controlli dei principali paesi esteri e le loro esperienze nel
settore e i progetti di riforma che hanno interessato il nostro paese negli ultimi 5 anni.
Nell’ultimo capitolo sarà trattata la legge n. 262 di recente approvata dal parlamento.
Saranno messi in evidenza gli articoli della riforma sul risparmio che modificano e
rafforzano le competenze della Consob nel sistema di vigilanza per poi passare ad una
rapida analisi del recepimento della normativa comunitaria 2003/6 e delle sue
disposizioni sulla Commissione.
La trattazione si chiuderà con una breve conclusione.
7
Capitolo 1
Mercato finanziario Italiano e vicenda Parmalat
1.1 Evoluzione del mercato finanziario italiano
Nell'ultimo decennio il mercato finanziario italiano ha subito una graduale ma profonda
trasformazione. Esso ha progressivamente perso i connotati tipici di un sistema
bancocentrico soprattutto sul versante del finanziamento alle imprese, connotati che lo
avevano caratterizzato per l'intero periodo postbellico, per assumere sempre più i tratti e
la fisionomia di un sistema orientato al mercato.
Come è noto, i due modelli di capitalismo hanno pro e contro. Il modello cosiddetto
bancocentrico è tendenzialmente più conservativo nello scrutinio dei progetti di
investimento, ma proprio per questo meno soggetto ad euforie e bolle. Allo stesso
tempo, però, è più propenso a sostenere le imprese nei momenti di crisi. Al contrario, un
sistema orientato al mercato è più funzionale a consentire la raccolta diretta di mezzi
finanziari da parte delle imprese, ma è più soggetto a shock e instabilità, come
dimostrano i casi Cirio e Parmalat.
La maggiore instabilità di un sistema orientato al mercato deriva da due fenomeni in
parte correlati tra loro. In primo luogo, le imprese hanno tendenzialmente una maggiore
discrezionalità nelle decisioni di aumento dell’indebitamento e del grado di utilizzo
della leva finanziaria rispetto a quanto avviene in un sistema bancocentrico. In secondo
8
luogo, raccogliendo risorse attraverso il collocamento di strumenti finanziari, il rischio
d'impresa può essere trasferito a famiglie o investitori non soggetti a controlli di
stabilità.
È dunque evidente come una diffusa presenza di investitori istituzionali e un forte
sviluppo dell’industria del risparmio gestito possano attenuare considerevolmente
l'impatto e le ripercussioni di shock e fenomeni di instabilità, tipici di sistemi finanziari
orientati al mercato. Infatti, gli investitori istituzionali, oltre ad essere soggetti a regole
di comportamento e contenimento dei rischi, hanno anche le competenze necessarie per
valutare adeguatamente il profilo di rischio-rendimento degli strumenti finanziari.
Prima di descrivere dettagliatamente il caso Parmalat
1
, è utile fornire alcuni elementi
che testimoniano la trasformazione del sistema finanziario italiano alla luce delle
brevissime riflessioni appena svolte.
Uno dei segni più evidenti del cambiamento è rinvenibile dai bilanci delle imprese
industriali.
A partire dalla fine degli anni Novanta le maggiori imprese non finanziarie italiane
hanno profondamente mutato la composizione e la struttura dei loro debiti finanziari,
aumentando notevolmente il ricorso all’emissione di titoli obbligazionari.
In particolare, i principali gruppi industriali quotati hanno preferito emettere
obbligazioni per raccogliere nuovo capitale di debito, piuttosto che aumentare il ricorso
al sistema bancario. Non vi è stata dunque, almeno a livello aggregato, una sostituzione
fra debito bancario e obbligazioni, ma piuttosto la tendenza a fare un maggiore ricorso
alle obbligazioni che non al debito bancario.
1
Sarebbe utile una analisi parallela dei casi Cirio, Giacomelli e quanti altri siano caduti, in Italia e
all’estero, in gravi crisi finanziarie. Analisi che esula da tale trattato.
9
La trasformazione del sistema finanziario italiano è testimoniata anche dal mutamento
della struttura dei bilanci delle famiglie.
Le famiglie italiane hanno variato profondamente la composizione della propria
ricchezza finanziaria. Il peso dei titoli pubblici domestici si è ridotto drasticamente. È
aumentato, invece, il peso delle attività sull’estero, degli investimenti in fondi comuni e
in obbligazioni di emittenti privati. Il peso del risparmio gestito sulla ricchezza
finanziaria delle famiglie italiane rimane però ancora relativamente basso rispetto a
quanto si riscontra nei principali Paesi europei e negli Stati Uniti.
L’Italia tende, dunque, ad essere più esposta ai fenomeni di instabilità tipici dei sistemi
orientati al mercato, perché non vi è ancora un'adeguata diffusione degli investitori
istituzionali e della cultura del risparmio gestito
2
. Anzi, proprio queste debolezze
configurano l’evoluzione del sistema finanziario italiano come un processo non ancora
perfettamente compiuto.
Le cause che hanno innescato questo processo di trasformazione sono molteplici.
La più importante è forse quella connessa all’aumento della domanda di titoli
obbligazionari (da parte di investitori professionali e non) collegato alla discesa dei
rendimenti dei titoli pubblici. La ricerca di rendimenti nominali superiori a quelli offerti
dai titoli di Stato ha indotto radicali aggiustamenti di portafoglio non solo da parte delle
famiglie, come già detto, ma anche da parte degli investitori istituzionali.
Questo processo è stato facilitato dall’introduzione dell’euro, che ha enormemente
favorito l’integrazione dei mercati europei dei capitali, in particolare nel segmento del
reddito fisso e delle obbligazioni, attraverso l’eliminazione del rischio di cambio e la
creazione di un mercato secondario più ampio e liquido.
2
Questo vale in particolare per i fondi pensione.
10
Lo sviluppo del mercato italiano delle obbligazioni societarie si è concentrato
sostanzialmente fra il 1999 e il 2002, in un contesto congiunturale caratterizzato
(almeno a partire dal 2000) da una brusca correzione al ribasso dei corsi azionari e da
una fase di ristagno economico tuttora in corso. È evidente come la probabilità del
manifestarsi di fenomeni di instabilità e fallimenti societari aumenti nelle fasi negative
del ciclo economico e di Borsa.
Nelle fasi congiunturali negative, come empiricamente accertato dalla letteratura
economica, aumenta la propensione degli amministratori di imprese in difficoltà
finanziarie ad adottare politiche di bilancio non corrette, allo scopo di mascherare la
reale situazione della società. Non vi è dunque da sorprendersi se le crisi societarie
(anche legate a comportamenti fraudolenti) siano più frequenti nelle fasi congiunturali
recessive e, nel caso dell’Italia, in una fase particolare di transizione verso un sistema
finanziario più orientato al mercato.
Nei principali Paesi europei il fenomeno dei fallimenti di emittenti con obbligazioni
diffuse è di gran lunga più ampio e datato nel tempo che in Italia. Esso è inoltre
fortemente concentrato nei Paesi anglosassoni, che tradizionalmente hanno sistemi
finanziari più orientati al mercato.
È alla luce di queste considerazioni e dello scenario macro-economico che ha
caratterizzato l’economia italiana negli ultimi anni che vanno inquadrati i casi Cirio e
Parmalat.
Le crisi societarie degli anni Duemila, per la dimensione delle attività coinvolte e per la
complessità e la profondità delle criticità emerse, non possono essere considerate né
congiunturali né fisiologiche. Il caso Enron e i successivi scandali americani, quali
Worldcom, e europei, quali Vivendi, Cirio e Parmalat, hanno avviato in tutto il mondo
11
una profonda riflessione circa l’adeguatezza delle regole esistenti e dei sistemi di
controllo.
Queste crisi rimarranno, nella storia economica e finanziaria internazionale, tra i grandi
eventi di riferimento e rappresenteranno sicuramente, per la politica del diritto societario
e del diritto dei mercati, un punto di svolta.
È apparso chiaro, dopo il caso Parmalat, l’incapacità delle regole nazionali a gestire un
sistema finanziario sempre più complesso, globale e integrato e l’inadeguatezza degli
strumenti degli organi di vigilanza, non dotati di autorità “nazionale e internazionale",
per gestire tali fenomeni.
In un contesto europeo molto dinamico, proiettato a completare il piano di integrazione
dei mercati finanziari, questi eventi straordinari, anche se talvolta frutto di situazioni
sistematiche di falso, hanno indotto a valutare con attenzione i comportamenti devianti
per adattare le regole e gli strumenti di vigilanza alle nuove realtà, così come si sono
presentate.
12
1.2 Storia Parmalat:la nascita
La lunga vicenda Parmalat inizia a Collecchio, un piccolo centro nei pressi di Parma,
dove Callisto Tanzi, figlio di Melchiorre, si trova, alla morte del padre, ad occuparsi
dell’ azienda di famiglia con lo zio Luigi: la “Callisto Tanzi e figli” che produceva
conserve di pomodoro e salumi. La forte personalità del giovane Tanzi e le divergenze
con lo zio paterno sfociano in una divisione dell’azienda alimentare. Callisto ottenne il
settore dei salumi.
L’intuizione e la svolta imprenditoriale, come lo stesso Tanzi ammise, vennero dalle
frequenti domande dei clienti non emiliani: “Perchè se a Parma avete il formaggio più
buono del mondo non possiamo anche berlo? “. Callisto inizio proprio da lì. Nel 1961
venne costituita Dietelat, nell’anno successivo ribattezzata Parmalat.
Una forte spinta per la nascente società furono le tecnologie svedesi , le quali prima con
lo sviluppo di contenitori asettici a forma di tetraedro per il confezionamento del latte,
poi con il processo di sterilizzazione Uht (ultra high temperature) dello stesso,
permisero di non sottostare alla costosa catena del fresco e di approfittare della
progressiva deregulation della distribuzione del latte in atto in Italia. Nuova tecnologia e
vantaggi ambientali spingeranno la giovane azienda ad un ritmo di crescita di fatturato
del 50% annuo nel primo decennio. Da 260 milioni di fatturato nel 1962 si salta ai 6
miliardi dei primi anni 70, anni in cui iniziano le prime diversificazioni dal core
business con lo yogurt. Saranno anche gli anni dei primi rapporti con aziende
sudamericane con la joint venture per la produzione di yogurt con la Mococa (che sarà
acquisita per intero 2 anni dopo) e di una inusuale politica di marketing per l’epoca con
13
sponsorizzazioni sportive iniziando dallo sci per continuare anni dopo con formula uno
(indimenticabile il cappello di Niki Lauda), pallavolo, baseball, calcio.
Nel 1984 Parmalat fatturava 635 miliardi di lire, poco prima si era lanciata nei prodotti
da forno, ma già sul finire degli anni settanta nelle analisi e negli articoli di settore
sull’azienda la parola “debito” era sempre presente con forti preoccupazioni. Già nell’84
lo stesso Tanzi in risposta a domande sul debito aziendale spiegava che l’esposizione
verso le banche era passata dai 30 miliardi dell’82 ai 100 dell’84 a cui bisognava
aggiungere il factoring e l’aumento di circolante per 200 miliardi, situazione dovuta, a
dire suo, alla stagionalità delle nuove produzioni (succhi di frutta e conserve di
pomodoro) e l’allungamento dei tempi di incasso dai distributori. Tra il 1985 e 1986
continuò l’espansione con la nascita di nuovi stabilimenti di produzione nel
Mezzogiorno, e come a non bastare a peggiorare la situazione fu la crisi dello
stabilimento nucleare di Chernobyl con la nube radioattiva in Europa. L’impatto sulle
vendite fu un calo del 20%. Tutto ciò fa pensare che già all’epoca i bilanci subirono
qualche ritocco.
Nel 1988 la famiglia Tanzi fu a un passo dal vendere. A farsi avanti fu un colosso
alimentare: la Kraft che aveva acquisito poco prima la Invernizzi. La situazione di
Parmalat era difficile i debiti vengono stimati intorno ai 300 miliardi con oneri
finanziari che superano i 46 miliardi. L’interesse dell’ azienda americana è dovuto al
fatto che la Parmalat, una volta ricapitalizzata, diventerebbe decisamente interessante. Il
30 giugno del 1988 gli azionisti dell’azienda di Collecchio decidono di continuare
direttamente la gestione, ben sapendo di dichiarare guerra ad una delle più grandi
aziende alimentari con fondi finanziari esorbitanti. A questo punto Tanzi deve aver
deciso di aumentare di 10 volte il fatturato a qualsiasi prezzo. I mezzi finanziari a
14
disposizione scarseggiavano, la società di revisione Hodgson Landau Brands
raccomandava che l’intero cash flow dell’azienda andasse a colmare le ingenti
esposizioni finanziarie. La gestione Parmalat, secondo un’ inchiesta di Umberto Bertelè,
docente al Politecnico di Milano, aveva preteso di entrare in troppi segmenti di mercato
con un timing a volte in ritardo. Se è vero che un portafoglio di prodotti elevato può
ridurre costi di distribuzione, è anche vero che la campagna pubblicitaria, le
sponsorizzazioni di molti prodotti aumentano terribilmente la spesa corrente lasciando
indietro gli investimenti. Tanzi per uscire dal vortice in cui la sua gestione, dovuta
anche alla mancanza di un azionariato diffuso, lo aveva trascinato, aveva bisogno di
liquidità.