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4) insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
5) agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile
dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o
rallentato)
6) faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno
7) sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che
possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa
o sentimenti di colpa per essere ammalato)
8) ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni
giorno (come impressione soggettiva o osservata dagli altri)
9) pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione
suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l'ideazione
di un piano specifico per commettere suicidio.
B. I sintomi non soddisfano i criteri per un Episodio Misto.
C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti.
D. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es.,
una droga di abuso, un medicamento) o di una condizione medica generale (per es.,
ipotiroidismo).
E. I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto, cioè, dopo la perdita di una
persona amata, i sintomi persistono per più di 2 mesi, o sono caratterizzati da una
compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione
suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
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La diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore può essere posta solo dopo aver
escluso che la sintomatologia depressiva è secondaria ad una patologia organica, alla
perdita di una persona cara o che sia sovrapposta a schizofrenia o ad altro disturbo
psicotico e che non sia mai stato presente un episodio maniacale o ipomaniacale.
Criteri diagnostici per il Disturbo Depressivo Maggiore
Il DSM IV-TR distingue il Disturbo Depressivo Maggiore a episodio singolo o
ricorrente. In quest’ultimo caso vi devono essere stati almeno due episodi depressivi
intervallati da un periodo di almeno due mesi consecutivi durante il quale non
risultano soddisfatti i criteri per un Episodio Depressivo Maggiore.
I criteri diagnostici per il Disturbo Depressivo Maggiore sono i seguenti:
A. Presenza di un episodio (Disturbo ad episodio singolo) oppure due o più
Episodi Depressivi Maggiori (Disturbo ricorrente).
B. Gli Episodi Depressivi Maggiori non sono meglio inquadrabili come Disturbo
Schizoaffettivo, e non sono sovrapposti a Schizofrenia, Disturbo Schizofreniforme,
Disturbo Delirante o Disturbo Psicotico Non Altrimenti Specificato.
C. Non è mai stato presente un Episodio Maniacale, un Episodio Misto o un
Episodio Ipomaniacale. (Questa esclusione non viene applicata se tutti gli episodi
simil-maniacali, simil-misti o simil-ipomaniacali sono indotti da sostanze o da
farmaci, o rappresentano gli effetti fisiologici diretti di una condizione medica
generale).
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Nella diagnosi del disturbo occorre codificare lo stato dell'episodio attuale o più
recente:
.0 Lieve
.1 Moderato
.2 Grave Senza Manifestazioni Psicotiche
.3 Grave Con Manifestazioni Psicotiche
.4 In Remissione Parziale / In Remissione Completa
.9 Non Specificato
Va inoltre specificato (per l'episodio attuale o più recente):
Cronico
Con Manifestazioni Catatoniche
Con Manifestazioni Melancoliche
Con Manifestazioni Atipiche
Ad Esordio nel Postpartum
Diagnosi differenziale
Nella diagnosi differenziale devono essere prese in considerazione le seguenti
condizioni:
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Il Disturbo Depressivo
Maggiore deve essere
Differenziato da
Rispetto al Disturbo Depressivo Maggiore
Disturbo Bipolare I o
Disturbo Bipolare II
Include uno o più episodi Maniacali, Misti o Ipomaniacali. Non si
può diagnosticare un Disturbo Depressivo Maggiore se in
qualche momento è stato presente uno di questi episodi.
Disturbo dell’Umore dovuto
ad una condizione medica
generale
Richiede la presenza di una condizione medica generale
eziologica. Il D.D.M. non viene diagnosticato se gli episodi simil-
depressivi maggiori sono interamente dovuti agli effetti
fisiologici diretti di una condizione medica generale.
Disturbo dell’Umore indotto
da sostanze
E’ dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza. Il D.D.M.
non viene diagnosticato se gli episodi simil-depressivi maggiori
sono tutti dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza
(farmaci inclusi).
Disturbo Distimico
E’ caratterizzato da umore depresso, per la maggior parte dei
giorni, per almeno 2 anni e dall’assenza di Episodi Depressivi
Maggiori durante i primi due anni di alterazione distimica.
Possono essere diagnosticati entrambi se gli Episodi Depressivi
Maggiori hanno esordito dopo almeno 2 anni di Disturbo
Distimico.
Disturbo Schizoaffettivo
E’ caratterizzato da un periodo di almeno 2 settimane di deliri o
allucinazioni che si manifestano in assenza di rilevanti sintomi
dell’umore.
Schizofrenia
Disturbo Delirante
Disturbo Psicotico Non
Altrimenti Specificato
Può includere sintomi dell’umore brevi rispetto alla durata totale
dell’alterazione psicotica. Episodi Depressivi Maggiori
sovrapposti ad un Disturbo Psicotico dovrebbero essere
diagnosticati come Disturbo Depressivo Non Altrimenti
Specificato.
Disturbo dell’adattamento
con Umore Depresso
E’ caratterizzato da sintomi depressivi che insorgono in risposta
ad un fattore stressante e che non soddisfano i criteri per un
Episodio Depressivo Maggiore.
Demenza E’ caratterizzata da un’anamnesi premorbosa di declino del
funzionamento cognitivo.
Lutto
Si manifesta in risposta alla perdita di una persona amata ed è
generalmente meno grave di un Episodio Depressivo Maggiore. Il
quadro sintomatologico persiste per almeno 2 mesi dopo la
perdita e non è caratterizzato da marcata compromissione del
funzionamento, preoccupazione patologica di autosvalutazione,
idee suicide, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
Periodi di tristezza non
patologici
Sono caratterizzati da breve durata, pochi sintomi associati e
mancanza di compromissione funzionale o disagio significativi.
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Manifestazioni psicotiche nella depressione
Nell’ambito della diagnosi differenziale particolarmente problematici possono essere
gli esordi atipici.
L'atipia di esordio può riguardare l'assenza di franche fasi affettive, oppure la
comparsa di fasi "paucisintomatiche", oppure la presenza di sintomi psicotici che, per
alcuni, spostano l'asse della diagnostica verso la schizofrenia.
Le manifestazioni psicotiche che possono essere presenti durante un episodio
depressivo sono deliri e/o allucinazioni e possono essere congrue o incongrue
all'umore:
Manifestazioni Psicotiche Congrue all'Umore: deliri o allucinazioni il cui
contenuto è completamente coerente con i tipici temi depressivi di inadeguatezza
personale, colpa, malattia, morte, nichilismo o punizione meritata.
Manifestazioni Psicotiche Incongrue all'Umore: deliri o allucinazioni il cui
contenuto non coinvolge i tipici temi depressivi di inadeguatezza personale, colpa,
malattia, morte, nichilismo o punizione meritata. Sono inclusi sintomi come deliri
persecutori (non direttamente correlati ai temi depressivi), inserzione del pensiero,
trasmissione del pensiero, e deliri di influenzamento.
Un errore diagnostico, in questi casi, espone il paziente a farmaci neurolettici i quali,
per via delle note modificazioni indotte sulla sensibilità e sul numero dei recettori
della dopamina, possono alimentare la disforia e l'irrequietezza psicomotoria,
erroneamente ritenute indici di mancata risposta terapeutica. Questo porta ad
incrementi posologici, variazioni farmacologiche, sino alla convinzione della
cronicizzazione della patologia, alla perdita di fiducia nelle possibilità di recupero del
paziente, infine al suo inserimento residenziale in comunità per psicotici cronici.
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La diagnosi di schizofrenia può essere posta solo dopo essersi accertati che in
concomitanza con i sintomi psicotici della fase attiva non si è verificato un episodio
di alterazione dell'umore, o, in alternativa, se ci sono stati episodi di alterazione
dell'umore, la loro durata totale deve essere stata breve rispetto alla durata dei sintomi
psicotici; in questi due casi, se i sintomi psicotici durano da più di sei mesi la
diagnosi è di schizofrenia, se meno, di disturbo schizofreniforme.
Se la durata totale degli episodi di disturbi dell'umore non è stata breve rispetto alle
fasi attive e residuali e se i sintomi psicotici sono presenti per almeno due settimane
in assenza di disturbi dell'umore la diagnosi si sposta sul versante schizoaffettivo; se
sono concomitanti, la diagnosi è quella di disturbo dell'umore con manifestazioni
psicotiche.
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EPIDEMIOLOGIA
La depressione colpisce ogni anno nel mondo circa cento milioni di persone e si
colloca al secondo posto tra i disturbi psichiatrici. A seconda dei criteri utilizzati per
definire e valutare la depressione, i tassi di prevalenza nell’arco della vita (prevalenza
life-time) del disturbo depressivo maggiore oscillano tra il 2,6 % e il 12,7 % negli
uomini e tra il 7% e il 21 % nelle donne (Hales, Yudofsky, Talbott, 1999).
EZIOLOGIA
La patologia depressiva è sempre stata ricondotta a due fondamentali ambiti
eziopatogenetici: biologico e psicologico.
Per quanto riguarda i fattori biologici è stato dimostrato dal punto di vista scientifico
che le persone possono nascere con una maggiore o minore vulnerabilità alla
depressione. Quindi, un certo livello di tendenza alla depressione può essere di tipo
genetico, ad esempio, ereditata dai genitori. Il rischio di depressione potrebbe essere
maggiore nel caso in cui un genitore abbia sofferto di questa patologia o nel caso di
un gemello monozigote depresso. I geni non danno però una spiegazione completa
della storia di ognuno di noi. Ricerche sui gemelli omozigoti, cioè con lo stesso
patrimonio genetico, hanno dimostrato che la possibilità di manifestare una sindrome
depressiva da parte di un gemello di un depresso è pari al 50-70 %, non al 100 %.
Persone che hanno gli stessi geni possono, quindi, evolversi in modo differente.
Le teorie psicologiche enfatizzano, invece, che alcune esperienze avvenute durante
l’infanzia possono favorire una vulnerabilità acquisita alla depressione. Persone
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vulnerabili, sotto questo aspetto, possono vivere tutta la vita senza sperimentare mai
la depressione o non essere depresse fino a quando accade qualcosa che fa scattare in
loro la manifestazione dei sintomi depressivi. Anche fattori di stress cronico, come la
disoccupazione, gravi problemi finanziari, la mancanza di supporto sociale, possono
portare le persone ad essere più esposte alla possibilità di diventare depresse.
Recentemente queste due posizioni non appaiono più rigidamente contrapposte e
nell’eziopatogenesi della depressione si riconosce il concomitare, sia pure con
diverso peso, di fattori sia biologici-costituzionali sia psicologici-ambientali. Una
persona può essere nata con una tendenza ereditaria alla depressione, ma può non
svilupparla realmente sino a quando nella sua vita non accade qualcosa di
sconvolgente.
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QUADRO CLINICO
Nella sindrome depressiva si evidenziano disturbi della sfera emotiva-affettiva,
neurovegetativi e psicomotori.
L’affettività risulta compromessa, nel senso di una deflessione dell’umore che
assume connotazioni variabili da soggetto a soggetto, secondo le modalità espressive,
l’età, il sesso, la cultura. Nella fase acuta il disturbo dell’umore si manifesta come
profonda tristezza, perdita più o meno totale di slancio, disperazione, sentimento
pervasivo di catastrofe. Il dolore psichico è spesso così profondo da superare
qualunque altro tipo di sofferenza. Il suicidio rappresenta un tentativo di trovare
sollievo a questo persistente tormento psichico e la morte può essere avvertita come
un conforto.
I pazienti con forme meno gravi spesso negano di soffrire d’angoscia e si lamentano
di malanni fisici come cefalea, gastralgie, dolore precordiale, in assenza di malattia
fisica.
Talvolta l’aspetto sintomatologico dominante è rappresentato dall’anedonia, ovvero
l’incapacità di provare piacere e gioia per qualsiasi cosa. In molti individui con
disturbo depressivo l’esasperata percezione del dolore si accompagna all’incapacità
di esperire le normali emozioni. Le persone possono perdere la capacità di piangere.
Tutto appare senza significato, le persone care non suscitano più alcun sentimento e
ciò rappresenta un motivo di ulteriore abbattimento.
Nonostante la depressione possa talora presentarsi con agitazione (logorrea,
irrequietezza…), il rallentamento psicomotorio è il sintomo più frequentemente
osservato. Possono essere presenti una serie di segnali: povertà di movimenti
spontanei, atteggiamento dimesso con sguardo triste, eccessiva stanchezza, fluidità e
facilità di linguaggio ridotte e aumentata latenza di risposta, sensazione soggettiva
che il tempo scorra piano o si sia fermato, scarsa concentrazione, ruminazione di
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pensiero con fissazione su pochi argomenti di solito spiacevoli, indecisione e
incapacità di fare anche le più piccole scelte.
La compromissione delle prestazioni, la consapevolezza della propria anafettività
conducono la persona depressa all’autosvalutazione, al disprezzo di sé, alla
convinzione della propria indegnità e ai sensi di colpa. Il futuro appare privo di
speranza ed il passato vuoto ed insignificante. In alcuni casi il contenuto del pensiero
può assumere toni deliranti con tematiche di colpa e di rovina; altre volte possono
essere presenti fenomeni dispercettivi, principalmente allucinazioni uditive a sfondo
autodenigratorio.
L’ideazione suicidaria è presente nei due terzi dei pazienti. Solo nei casi più gravi le
condotte autolesive vengono programmate e messe in atto. Il rischio di suicidio deve
sempre essere preso in considerazione, soprattutto in quei pazienti che già hanno
tentato gesti autolesivi o che hanno una familiarità positiva per suicidio.
Tra i sintomi vegetativi è frequente la riduzione della libido. Nell’uomo i sintomi più
spesso riferiti riguardano la difficoltà di erezione fino all’impotenza e più raramente
eiaculazione precoce. Nella donna prevale la frigidità.
Spesso compaiono riduzione di appetito e sintomi gastrointestinali. L’interesse per il
cibo diminuisce gradualmente e i pazienti lamentano secchezza delle fauci, bocca
amara e gonfiore addominale. La riduzione dell’apporto di cibo può avere gravi
conseguenze che vanno da un marcato dimagrimento a stati di malnutrizione a
squilibri elettrolitici. Meno frequente è l’iperfagia con aumento di peso, favorito
anche dalla diminuzione dell’attività motoria.
I disturbi del sonno sono molto frequenti: la persona si sveglia più volte durante la
notte, in particolare nelle prime ore del mattino. Il tentativo di superare il problema
assumendo alcool o psicofarmaci ipnoinduttori, può inizialmente avere successo ma
alla fine porta ad un aggravamento dell’insonnia. I soggetti depressi giovani
lamentano talvolta ipersonnia e difficoltà di svegliarsi al mattino.
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DECORSO
Il disturbo depressivo può esordire a qualunque età, con un'età media intorno ai 25
anni.
Diverse sono le modalità di esordio. A volte si sviluppa lentamente nel giro di
settimane o mesi ed inizia con una lieve astenia, difficoltà di concentrazione,
insonnia, diminuzione degli interessi, permettendo un discreto funzionamento in
ambito sociale e lavorativo. Con il progredire della malattia si accentuano i sintomi
vegetativi con maggiore compromissione del sonno, dell’appetito e della libido. Si fa
più evidente ed accentuato il rallentamento psicomotorio, rendendo difficile lo
svolgimento di qualsiasi tipo di attività. In altri casi, soprattutto quando l’esordio
depressivo fa parte di un disturbo bipolare, l’esordio può essere brusco ed
improvviso.
Il periodo di stato dell’episodio depressivo ha una durata variabile, da settimane a
oltre un anno, con una media di 4-6 mesi.
Il decorso spontaneo della malattia prevede, dopo la fase di esordio e di stato, una
fase di risoluzione.
In circa il 10-15% dei casi l’episodio depressivo può protrarsi oltre due anni.
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IL MODELLO COGNITIVO COMPORTAMENTALE DELLA
DEPRESSIONE
I modelli comportamentali della depressione, ciascuno con presupposti teorici diversi
e modelli terapeutici specifici, hanno un’origine comune nel lavoro di Skinner, che ha
unito i principi del condizionamento classico e operante in un’analisi empirica del
comportamento. Tali modelli evidenziano i legami esistenti tra un osservabile e
definibile funzionamento comportamentale, le condizioni che lo controllano e lo
determinano ed il ruolo delle ricompense o del rinforzo come determinanti del
comportamento e del suo cambiamento.
Negli anni 60 e all’inizio degli anni 70 Lewinsohn ha formulato uno dei modelli
comportamentali della depressione più articolati. Il modello originario proponeva che
la riduzione del rinforzo sociale, la mancanza di capacità sociali e l’aumento di
esperienze eversive fossero responsabili del basso indice di comportamento operante,
della passività e della disforia caratteristici della depressione. Blaney nel 1977
evidenziò che la maggior parte degli studi condotti da Lewinsohn non permettevano
di stabilire se erano le variazioni riscontrate nelle attività di rinforzo a determinare
un’alterazione del livello di depressione o il contrario. Altri studi non rilevarono
riduzioni del grado di depressione in seguito ad un aumento delle attività di rinforzo
positivo. Nel 1985 Lewinshon et al. proposero un nuovo modello teorico che include
variabili cognitive quali la consapevolezza di sé, l’autocritica, le aspettative negative
e il grado di percezione delle proprie capacità sociali.
La principale teoria comportamentale della depressione sviluppata negli anni 70 è la
teoria della Learned Helplessness formulata da Seligman. Tale autore notò che alcuni
cani, rinchiusi in una gabbia, sottoposti a scariche elettriche a cui non potevano
sottrarsi, mostravano in successive situazioni nuove, deficit nella motivazione,
nell’apprendimento ed apparivano estremamente passivi. Tale condizione mostrava
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numerose analogie con la fenomenologia depressiva. L’aspetto rilevante della teoria è
che “l’impotenza appresa” di rilievo clinico si sviluppa non a causa di eventi
traumatici, ma perché tali eventi non sono o non si ritengono controllabili. Il limite
del modello consiste nella difficoltà di fornire una spiegazione ed una previsione
della forte variabilità interindividuale in risposta all’impatto di identiche esperienze
di incontrollabilità. Seligman riformulò successivamente la teoria in termini di
processi di attribuzione. La semplice presenza di un evento negativo non è sufficiente
a produrre uno stato di impotenza o di depressione ma l’evento deve essere percepito
come incontrollabile. Quanto più il soggetto ritiene che le ragioni dell’insuccesso
siano interne, cioè personali, globali e stabili, tanto maggiore è la probabilità che egli
si aspetti che le proprie azioni non siano in grado di controllare gli effetti successivi.
Tale stile attribuzionale non deve essere inteso come causa della depressione ma
piuttosto una variabile di tratto, un fattore di vulnerabilità del soggetto nei confronti
della depressione.
Durante la metà degli anni 70 le teorie e le terapie comportamentali e psicodinamiche
della depressione sono state oggetto di numerose critiche ed è in questo periodo che
in alternativa alle limitate teorie stimolo-risposta, si inizia a porre l’enfasi sul
processo di elaborazione dell’informazione. In questi anni Beck intraprende i primi
studi sul ruolo dei fattori cognitivi nella depressione, attingendo anche da alcuni
precedenti studi di Ellis (1962-1977) il quale aveva ipotizzato che alla base dei
disturbi psicologici vi fossero costrutti cognitivi quali le convinzioni irrazionali e i
pensieri negativi.
La teoria cognitiva considera la capacità di costruzione del significato, attraverso
l’elaborazione delle informazioni, come essenziale per l’adattamento dell’organismo
umano all’ambiente. La rappresentazione del significato non conduce direttamente
all’emozione ma a cognizioni e valutazioni del significato soggettivo di una
situazione in funzione del proprio benessere. La nostra organizzazione cognitiva
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assegna un significato alle varie circostanze della vita e conferisce forma alla nostra
risposta emozionale.
Elementi basilari della rappresentazione interna del significato sono gli schemi:
“strutture interne relativamente permanenti di caratteristiche generiche o peculiari di
stimoli, idee o esperienze che vengono immagazzinate ed utilizzate per organizzare
nuove informazioni dotandole di significato, determinando così il modo in cui i
fenomeni vengono percepiti e concettualizzati” (Beck 1967; 1979). Gli schemi
possono essere descritti in base alle loro caratteristiche strutturali e al loro contenuto.
Strutturalmente possono variare per il grado di reciproca correlazione, grado di
complessità, flessibilità-rigidità, permeabilità-impermeabilità, concretezza-astratezza
degli elementi che li costituiscono.
Gli schemi depressogeni, sul piano del contenuto, si possono ricondurre alla triade
cognitiva definita da Beck: visione negativa di se stessi, del mondo e del futuro.
Gli schemi presentano diversi livelli di generalizzazione o astrazione:
a) schemi semplici che riguardano singoli oggetti o idee molto specifiche presenti
nel mondo fisico e sociale; questi hanno un ruolo limitato nello sviluppo della
depressione;
b) schemi intermedi che risultano meno concreti, più personali e nei depressi sono
spesso rappresentati dalle cosiddette regole condizionali “se…allora”, dalle
convinzioni imperative “dovrei…devo”, dalle convinzioni compensatorie “non
piaccio agli altri…se faccio qualunque cosa essi desiderano posso piacere a
loro”;
c) schemi nucleari o convinzioni-base costituiti da affermazioni assolute che
generalmente riguardano caratteristiche del sé. Nei soggetti depressi tali
convinzioni nucleari sono relativi alla convinzione di “essere incapace” e di
“non essere degno d’amore” e risultano solitamente più globali ed assolute
rispetto alle convinzioni intermedie.