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INTRODUZIONE
L’ultima crisi finanziaria ha rive lato che le imperfezioni
finanziarie e le istituzioni giocano un ruolo più importante di
quello che viene attribuito in letteratura da lungo tempo, ed è
ragionevole ritenere che negli anni a venire la ricerca
macroeconomica sarà dominata dallo studio delle relazioni tra
frizioni finanziarie, sistemi finanziari e fluttuazioni aggregate.
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Per quanto riguarda le cause della crisi, l’opinione generale
(Brunnermeier 2009; Rajan 2010; Blanchard et al. 2010; Allen e
Carletti 2010) attribuisce le maggiori responsabilità alla politica
monetaria troppo accomodante negli Stati Uniti, in Cina e in
altri paesi, che hanno eccessivamente favorito il risparmio a
livello globale, creando le condizioni ottimali per la nascita di
bolle nei mercati degli immobili e di altre attività. Sicuramente
hanno contribuito alla crescita delle asset price bubbles,
l’incremento dei prodotti cartolarizzati, la mancanza di
un’adeguata regolamentazione, pochi incentivi e credito
economico ed eccessivo; inoltre, il processo di innovazione
finanziaria - comprensivo di un settore bancario senza
regolamentazione - ha incrementato la possibilit{ di “panico”
nei mercati finanziari (Gorton 2008, 2010).
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L.F. Céspedes, R. Chang, D. Saravia, 2010, “Monetary policy under financial turbulence: an
overview”, Working Paper No. 594.
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Allen e Carletti (2010) individuano tre principali cause delle
bolle nel mercato immobiliare
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. Innanzitutto, la politica di bassi
tassi di interesse attuata dalla Federal Reserve – la Banca
Centrale americana – a partire dal 2003, originariamente
motivata dal collasso della bolla tecnologica del 2000 e
dall’attacco terroristico dell’11 settembre 2011, e che portò i
tassi di interesse ad un livello dell’1%. In secondo luogo, un
altro elemento che provocò lo scoppio della bolla, furono gli
squilibri mondiali successivi alla crisi asiatica del 1997.
Quest’ultimo creò problemi in molti paesi del continente, t ra cui
ad esempio, la Corea del Sud che dovette ricorre all’aiuto del
Fondo Monetario Internazionale, il quale a sua volta, chiese alla
nazione in cambio del suo aiuto, di aumentare i tassi di
interesse e tagliare la spesa pubblica. In pratica, l’esatto
contrario di ciò che fecero Stati Uniti ed Europa nell’affrontare
la crisi. Infine, un fattore molto importante che ha contribuito
ad alimentare la bolla, è stato lo yen carry trade, che permetteva
agli investitori di finanziarsi in Giappone a tasso zero e investire
altrove, per esempio in Australia e Nuova Zelanda, ad elevati
tassi di interesse. Ciò comportò ampi flussi di fondi che
lasciavano il Giappone e che hanno, probabilmente, contribuito
alla real estate bubble, per esempio in Australia. Sebbene
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Il Carry Trade può essere inserito nell’ambito del più ampio contesto delle condizioni
creditizie globali. Hattori e Shin (2008) dimostrano che il volume dei finanziamenti in yen fuori
dal Giappone, è riflesso nelle fluttuazioni dei bilanci dei traders americani. Inoltre, le
differenze nei tassi di interesse a breve termine tra le valute aiutano a spiegare l’incidenza del
carry trade sulla Subprime crisis. Il deterioramento delle condizioni creditizie negli Stati Uniti e
la debolezza del dollaro americano contro lo yen, nella prima fase della crisi del 2007/08,
5
l’entità precisa dello yen carry trade non sia noto, si può
desumere dai dati che fino al 2008 circa i 2/3 del mondo
occidentale era indebitato in yen
3
.
E’ proprio sul carry trade e sui suoi effetti a livello
macroeconomico che concentrerò il presente lavoro. Il Carry
Trade è una tecnica speculativa che consiste nell’ indebitarsi in
una valuta “poco costosa”, cioè con interessi debitori bassi (e
non soggetta ad un forte potenziale di rivalutazione), per
investire in attivit{ ad elevato rendimento atteso. L’obi ettivo è
quello di coprire il debito contratto con il prestito e,
naturalmente, di ottenere un profitto positivo anche con
investimenti altamente speculativi. Solitamente per mettere in
atto una tale operazione vengono scelte monete che godono di
un cambio stabile nel tempo mentre l’investimento è rivolto a
strumenti a basso rischio, quali titoli di Stato. Le possibilità di
guadagno con questa strategia sono particolarmente elevate ed
è per questo motivo che essa risulta tra le più diffuse in
assoluto, anche se con caratteri mutati attraverso il tempo.
Infatti, le valute tradizionali storicamente all’origine del Carry
Trade sono state il franco svizzero e lo yen giapponese, i cui
rendimenti, e quindi i cui tassi d’interesse debitori, sono stati
molto inferiori rispetto a quelli medi delle altre valute. Ci si
indebita in queste monete per investire in strumenti azionari od
obbligazionari high-yield, cioè ad alto rendimento, o in valute
possono essere quindi, considerati come due facce della stessa moneta, e come conseguenza
del deleveraging nel settore finanziario statunitense.
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E. Benettazzo, 2008, “Best before: preparati al peggio”, MacroEdizioni.
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dal forte potenziale di apprezzamento, usando strumenti
monetari o, più semplicemente, acquistando la valuta e
tenendola sotto forma di liquidità. Le valute target dei carry
traders sono state, nel tempo, diverse: la sterlina britannica, il
rand sudafricano, la corona norvegese, il dollaro australiano o
neozelandese, la corona islandese, ecc. In molti casi gli elevati
rendimenti offerti non sono però riusciti - ad un certo punto - a
compensare le brusche cadute che queste valute hanno
registrato, per diversi motivi, e molti operatori hanno dovuto
fare i conti non solo con il deprezzamento più o meno
improvviso delle valute in cui investivano ma anche con
l’apprezzamento di quelle in cui si erano indebitati, come per
esempio lo yen giapponese, a seguito di eventi catastrofici quali
il terremoto, lo tsunami e i conseguenti incidenti nucleari.
Il carry trade è tanto più redditizio quanto più ampio è il
differenziale fra i tassi delle due valute utilizzate e quanto più
stabile è tale rapporto, anche se tali condizioni tendono spesso
variare - talvolta improvvisamente - soprattutto a causa della
volatilità dei tassi di cambio e di interesse.
Il presente elaborato ha lo scopo di descrivere questa nuova
pratica speculativa e spiegarne tutte le caratteristiche, nonché i
risvolti a livello macroeconomico.
Il primo capitolo tratterà del Carry Trade, descritto nella sua
essenza e nelle sue finalità. Verranno trattati anche i cosiddetti
extra-rendimenti che sono alla base della scelta di tale strategia
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piuttosto che di altre, e la variante del Carry Trade sulla
volatilità.
Il secondo capitolo si concentrerà sul fenomeno del Carry Trade
Puzzle, cioè sulla circostanza che l’investitore non solo
guadagna dal differenziale dei tassi di interesse ma ottiene
anche profitti aggiuntivi derivanti dal rafforzamento della
valuta ad elevato rendimento, violando la condizione di Parità
scoperta dei tassi di interesse, secondo la quale, invece,
l’eventuale differenziale dei tassi di interesse tra due paesi è
pari al deprezzamento atteso dai mercati finanziari, in misura
tale che i profitti delle due alternative di investimento siano
uguali. Quindi, mi soffermerò sulle diverse motivazioni
sostenute dalla dottrina per spiegare la presenza degli excess
returns, tra le quali quelle basate sul concetto di disaster risk e
risk reversal e sulla volatilità.
Infine, il terzo capitolo illustrerà il Carry Trade nell’ambito del
più ampio scenario macroeconomico e le sue conseguenze. Sarà
approfondita la questione introdotta - tra gli altri - da Olivier
Blanchard, capo economista dell’IMF, relativa alla necessit{ di
un ripensamento complessivo della politica macroeconomica,
visto che negli ultimi anni è stato dato maggiore spazio alle
politiche monetarie, sottovalutando l’importanza della politica
fiscale che, invece, mette a disposizione numerosi strumenti
utilizzabili nel momento in cui la politica monetaria raggiunge i
suoi limiti. Inoltre, saranno esaminati gli effetti a livello
valutario della speculazione sui cambi, nonché le conseguenze
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che le azioni dei carry traders hanno sulla volatilità della valute
estere, creando il rischio di currency crash e di bolle speculative
e, quindi, di crisi finanziarie.
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Capitolo I
IL CARRY TRADE
Negli ultimi anni, una particolare strategia di investimento
denominata “Carry Trade” ha attirato l’attenzione della
letteratura economica (K. Kisgergely 2010; S. Rebelo et al. 2008;
G. Galati et al. 2007; Brunnermeier et al. 2009; etc). Si tratta di
un fenomeno associato all’apprezzamento e alla volatilit{ delle
valute mondiali e alla sempre maggiore correlazione tra di esse,
ma che può essere fonte di crisi e di recessioni.
Con l’espressione Carry Trade si definisce, più esattamente, una
pratica speculativa che consiste nel prendere a prestito capitali
in una valuta in cui i tassi di interesse sono bassi (denominata
valuta di finanziamento), per poi investirli in strumenti
finanziari dei paesi in cui i tassi di interesse sono più elevati
(chiamata valuta di investimento o valuta obiettivo). Il profitto
si determina dalla differenza tra il rendimento
dell’investimento e il costo del finanziamento. Di conseguenza,
affinché l’operazione sia remunerativa, le valute scelte devono
godere di un tasso di cambio stabile nel tempo, altrimenti le
perdite sul cambio potrebbero ridurre i guadagni, se non
addirittura annullarli. Infatti, non a caso, tale attività è più
intensa quando la volatilità nei mercati dei cambi è bassa ed è
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più ridotta quando la volatilità aumenta. Dunque, la redditività
del carry trade dipende da due fattori principali: il differenziale
di tasso di interesse tra le due valute che è noto ex-ante e il
rischio di cambio che, invece, non può essere conosciuto in
anticipo. Il rapporto tra queste due variabili è noto come carry
to risk; più tale rapporto è elevato, tanto maggiore è l’incentivo
degli investitori a perseguire strategie di carry trading. Ma è
necessario considerare anche un altro elemento importante che
alimenta tali operazioni: l’avversione al rischio, ovvero la
tendenza degli investitori a rischiare purché ottengano elevati
rendimenti.
1. GLI EXTRA-RENDIMENTI
L’attivit{ di carry trade può determinare un ulteriore profitto
derivante dall’apprezzamento della valuta ad alto rendimento.
Tale fenomeno rende ulteriormente redditizia l’attivit{ di carry
trade, ma costituisce una violazione della condizione di Parità
scoperta dei tassi di interesse (UIP – Uncovered Interest rate
Parity; Kisgergely 2010; Brunnermeier et al. 2008; Burnside et
al. 2007). Questa relazione afferma che l’eventuale differenziale
dei tassi di interesse tra due paesi è pari al deprezzamento
atteso dai mercati finanziari, in misura tale che i profitti delle
due alternative di investimento siano uguali. Dunque, in base a
tale condizione, qualsiasi differenziale di interesse è
compensato dai movimenti valutari. Tuttavia, la condizione UIP
si è dimostrata quasi sempre non verificata dato che l’evidenza
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empirica ha dimostrato in molti casi il contrario, e cioè le valute
con alti tassi di interesse si apprezzavano e quelle a basso
rendimento si svalutavano. Remolona e Schrijvers (2003)
dimostrano che la UIP fallisce, in particolare, quando gli
investitori detengono strumenti con scadenze più lunghe
rispetto all’orizzonte temporale dell’investimento. Il Carry
Trade deriva proprio da questo fallimento della UIP, di cui gli
investitori sono naturalmente a conoscenza. Questo fenomeno è
ormai comunemente noto in letteratura come Carry trade
puzzle o Forward premium puzzle. Inoltre, la condizione di
Parità scoperta dei tassi di interesse afferma che i profitti attesi
sono uguali indipendentemente dal rischio, ma ovviamente in
un mondo che non è privo di rischio, tale definizione si rivela
falsa.
Anzuini e Fornari
4
hanno evidenziato che potenzialmente tutti
gli shock, sia reali che valutari, possono influenzare il livello dei
differenziali dei tassi di interesse e il livello dei tassi di cambio,
rendendo il carry trading redditizio nel breve periodo. Ma solo
gli shock sulla domanda e quelli sulla fiducia comportano
profitti di lungo termine. Quindi, anche il sentiment dei mercati
gioca un ruolo rilevante. Di conseguenza, i traders devono
necessariamente considerare il contesto macroeconomico,
poiché gli shock che colpiscono le variabili economiche
determinano le reazioni delle autorità monetarie. In particolare,
le Banche Centrali attuano la politica monetaria per raggiungere
12
gli obiettivi di crescita e di inflazione che, a loro volta, sono
interdipendenti con l’andamento del tasso di cambio.
Sul fenomeno carry trade puzzle, esiste una vasta letteratura
che si incentra sul tentativo di capire come si possano generare
i profitti in eccesso, conseguiti attraverso le pratiche
speculative messe in atto dai carry traders. Lustig e Verdelhan
(2008) sostengono che gli extra-rendimenti offerti dal carry
trade rispetto ad altri investimenti, possono essere ricondotti
ad uno specifico fattore di rischio, il business cycle risk
5
.
Fahri et al. (2009) ritengono che una parte dei rendimenti del
carry trade può essere attribuita al disaster risk
6
, e che il
premio per tale tipo di rischio è statisticamente significativo e
giustifica circa un quarto dei rendimenti in eccesso
7
.
Menkhoff et al. (2011) e Christiansen et al. (2010) associano gli
extra-rendimenti alla volatilità dei prezzi delle attività. Inoltre,
Brunnermeier et al. (2008) ipotizzano che la volatilità inattesa
del tasso di cambio può essere causata dalle operazioni di carry
trading, quando gli speculatori si avvicinano ai limiti di
finanziamento.
Un contributo molto importante nella spiegazione del carry
trade puzzle è dato da Burniside et al. (2010), che pongono il
problema del peso problem, termine utilizzato per indicare gli
effetti sull’inferenza causata da eventi a bassa probabilit{ che
4
Anzuini A., F. Fornari, (2011) “Macroeconomic Determinants of Carry Trade Activity”,
Working Paper n.817, September.
5
Vedi Capitolo II § 2.1.
6
Vedi Capitolo II § 2.2.
7
Vedi Capitolo II § 2.2.1.
13
non si verificano nel campione considerato. Essi si chiedono se i
payoffs derivanti da una strategia di carry trade non coperta
contro i rischi possano essere o meno considerati come una
compensazione per il rischio. Quindi, per rispondere a questo
quesito, confrontano i rendimenti ottenibili da una strategia di
carry trade coperta contro i rischi, con quelli generati da una
strategia non coperta e ottengono che, nel primo caso, i profitti
sono minori di quelli ottenibile nel secondo caso.
2. IL CARRY TRADE SULLA VOLATILITÀ
Negli anni recenti, oltre alla speculazione su valute si è diffusa
una nuova forma di speculazione sulla volatilità delle valute. Ciò
è potuto avvenire grazie a dei contratti noti come Forward
Volatility Agreement (FVA). Il FVA è un contratto a termine
sulla futura volatilità implicita spot, il quale per ogni dollaro
investito, esprime la differenza tra la futura volatilità implicita
spot e la volatilità implicita forward.
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Quindi, si può parlare di
‹‹Carry Trade sulla volatilit{››, quando ci si riferisce ad una
strategia speculativa che prevede l’acquisto e la v endita di
contratti FVA, con cui gli investitori tentano di guadagnare,
cercando di prevedere il livello futuro della volatilità implicita
spot. Come per il carry trade tradizionale, anche il carry trade
sulla volatilità è redditizio se la volatilità implicita spot è
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Per comprendere meglio, si precisa che: la volatilità implicita è una misura della volatilità
attesa; per volatilità implicita spot, si intende la volatilità implicita ricompresa in un intervallo
di tempo che inizia oggi e finisce nel futuro; e la volatilità implicita forward è la volatilità
implicita determinata oggi, per un periodo di tempo che inizierà nel futuro e finirà in un futuro
successivo.