4
Introduzione
Il 1994 è l’anno di nascita, a detta di molti ma non di tutti, della Seconda Repubblica: la
fine della prima si era consumata nel biennio precedente per effetto dell’erosione di
consenso nei confronti di partiti e uomini simbolo della stagione politica che andava
concludendosi, generata da due fattori concomitanti, consistenti nell’affermazione della
Lega Nord e nelle azioni della magistratura contro i principali leader politici del periodo
(su tutti gli avvisi di garanzia a Craxi da parte del pool di Mani Pulite e ad Andreotti da
parte della Procura di Palermo per associazione mafiosa). I due fattori, pur viaggiando
su due binari distinti, uno politico, l’altro giudiziario, si influenzano vicendevolmente,
spesso marciando di pari passo. Sarebbe difficile immaginare l’elezione di Formentini a
sindaco di Milano nel 1993 senza far riferimento all’operazione partita dall’arresto di
Mario Chiesa l’anno precedente e diffusasi a macchia d’olio con il coinvolgimento
dell’intero PSI milanese; allo stesso tempo appare lecito chiedersi se magistratura e
stampa si sarebbero spinte così in avanti nell’attacco ad un’intera classe politica se non
avessero percepito la debolezza di questa ultima, resa evidente dalla perdita di voti a
testimoniata dalla crescita di suffragi raccolti dalla Lega Nord (e al centro-sud da “La
Rete” capeggiata da Leoluca Orlando) a scapito proprio dei partiti tradizionali.
Simbolicamente il rito funebre con cui si prende atto della conclusione della Prima
Repubblica è il dibattito alla Camera sulla concessione dell’autorizzazione a procedere
nei confronti di Bettino Craxi, il 29 aprile 1993. Col suo discorso, che per gravità della
situazione e contenuti ricorda quello pronunciato nel 1977 da Aldo Moro in occasione
dello scandalo Lockheed, il segretario socialista compie il suo atto polemico di uscita
dalla scena italiana, per poi partire (secondo alcuni latitante, per altri esule) per la
Tunisia. Alcuni giorni prima, il 16 marzo, in occasione della votazione del decreto
Conso, noto giornalisticamente come colpo di spugna, il deputato leghista Luca Leoni
Orsenigo aveva addirittura esposto un cappio destinato simbolicamente al segretario
socialista e ai politici degli altri partiti, un comportamento che venne fortemente
stigmatizzato dalla generalità dei suoi avversari. La gran parte della storiografia, con
poche meritevoli eccezioni1, dimentica di ricordare che, nel segreto dell’urna2, è
ragionevole ritenere, voti alla mano, che i deputati leghisti abbiano votato contro
l’autorizzazione a procedere, compiendo un doppio gioco che avrebbe consentito poi
1
Colarizi S. “Storia dei partiti nell’Italia repubblicana”. Edizioni Laterza, Roma, 1996, p.850.
2
Il Regolamento della Camera dei deputati in seguito alla riforma del 1988 prevede la regola generale del
voto palese. A questa regola sono sottratte tutte le votazioni riguardanti provvedimenti destinati a singole
persone individuate, come è nel caso della concessione o meno di autorizzazioni a procedere.
5
loro di condannare pubblicamente il Parlamento che aveva impedito di processare
Craxi, pur avendo contribuito in prima persona o originare questo esito3.
Le amministrative dell’autunno 1993 confermano la crisi apparentemente irreversibile
delle forze al governo, testimoniata soprattutto dall’uscita al primo turno delle comunali
romane del candidato democristiano Carmelo Caruso. Un altro segnale della crisi è la
costante crescita registrata dalla Lega, una crescita che però non consente ai candidati
del Carroccio di raggiungere il governo municipale di nessuna delle grandi città nelle
quali si votava (Genova, Torino e Trieste). Proprio in questo periodo prende forma,
seppure non esplicitamente, il disegno che Bossi porta avanti fino al 1999, anno cruciale
per comprendere gli sviluppi successivi della storia leghista. L’intento del periodo
1993-99 è quello di diventare il partito di riferimento di quell’elettorato definito
tradizionalmente moderato-conservatore del nord Italia, diventando una forza capace di
dettare le proprie condizioni a tutto il paese, se necessario creando anche una serie di
leghe regionali parallele nelle regioni centro-meridionali4.
I fatti del biennio 1992-93 fanno ben sperare Bossi e i suoi uomini, i quali si convincono
che l’obiettivo di portare Milano a Roma5 sia facilmente raggiungibile, con l’unico dato
incerto costituito dai tempi richiesti per arrivare al risultato voluto. Ma nel gennaio 1994
lo scioglimento anticipato della Legislatura e l’entrata nella scena politica di Forza
Italia, il partito di Silvio Berlusconi, mettono in pericolo il disegno leghista. Le elezioni
del 27-28 marzo 1994, oltre a rappresentare simbolicamente il battesimo della Seconda
Repubblica, danno avvio ad un processo di competizione all’interno dell’area moderata,
da intendersi non tanto come il tentativo di fare sparire le forze politiche concorrenti
impegnate a conquistare i voti dello stesso bacino elettorale, quanto piuttosto come la
gara per ottenere la palma di partito più votato di quell’elettorato che fino al 1992 aveva
orientato il proprio voto in funzione anticomunista, compattandosi attorno alla DC
quando il pericolo rosso veniva percepito maggiormente e liberandosi da questo legame
o nel caso in cui la politica dello scudo crociato era ritenuta troppo progressista (come
quando nel 1963 essa registrò una perdita di voti dopo l’avvio della stagione del centro-
sinistra) o quando il pericolo rosso tendeva a scemare, come avvenne dal 1983 in poi. A
questa gara partecipano, almeno inizialmente, il PPI (l’erede diretto della DC), Forza
3
Il capogruppo leghista al Senato nella XII legislatura, Tabladini conferma la presente versione, vd.
Tabladini F. “Bossi: la grande illusione. La Lega Nord nel racconto di un protagonista”, Editori Riuniti,
Roma, 2003, pp.47-48.
4
Progetto che verrà portato avanti con scarsa convinzione da parte dei dirigenti leghisti, a fasi alterne,
senza essere mai una priorità del partito e, a conti fatti, senza portare a risultati dotati di una certa
incidenza.
5
Diamanti I. “Il male del Nord. Leghe, localismo, secessione”, Donzelli, Roma, 1996, pp.55-71.
6
Italia, la Lega Nord e Alleanza Nazionale-MSI6: tutti convinti di riuscire nell’impresa di
ottenere la maggioranza dei consensi nel settore di elettorato tradizionalmente
anticomunista; non va dimenticato che agli albori del 1994 non era possibile definire
quali fossero i rapporti di forza in termini di voti tra queste forze, soprattutto per il ruolo
dell’outsider Berlusconi. Dall’esito di questa sfida, che non si risolve nel 1994, ma
prosegue per alcuni anni sarebbe derivata la configurazione e l’offerta politica
prevalente del centro-destra italiano negli anni a venire.
Un termine usato (e talvolta abusato) per comprendere le vicende politiche successive al
1994 è la parola transizione: l’idea ad esso sottintesa è che dal 1994 si sia avviato un
processo di trasformazione destinato a concretizzarsi nella piena legittimazione di tutte
le forze dell’arco politico presenti in Parlamento ed in una grande riforma di carattere
istituzionale (e quindi, inevitabilmente, costituzionale).
Eppure, ed è il motivo che ispira questo lavoro, è possibile dare al termine un significato
diverso e meno astratto, forse anche più opportuno in sede di interpretazione
storiografica. Qualora si definisse il termine transizione intendendo con esso il processo,
legato all’affermazione di una logica bipolare, di definizione di ruoli e rapporti di forza
interni a due aree politiche contrapposte, in uno spazio politico che non lascia
possibilità all’affermazione di formule come il “terzo polo” o il “grande centro”, la
conseguenza sarebbe uno sdoppiamento del fenomeno in una transizione di centro-
sinistra ed una centro-destra. Una simile scelta comporta una distinzione tra la variabile
politica da una parte, presa in analisi nelle pagine che seguiranno, e quella istituzionale
dall’altra, la quale non sarà oggetto prioritario di questo studio; tuttavia essa verrà
occasionalmente richiamata a causa dell’intrecciarsi vicendevole delle due variabili. Il
presente lavoro, riassumendo e cercando di dare una spiegazione ragionevole ai
principali fatti della vita politica italiana dal 1994 al 2001 vuole verificare la validità
all’ipotesi secondo la quale la “transizione a destra” può considerarsi compiuta con il
riallineamento della Lega Nord nell’area di centro-destra avvenuto nel 2000 e da allora
non più messo in discussione.
Il punto di partenza cronologico della presente tesi è costituito dalle elezioni politiche
del 1994, quello conclusivo dalle politiche del 2001. La periodizzazione adottata,
imperniata sulle vicende politiche nazionali, è la seguente:
1994, dalle elezioni alla sfiducia al governo Berlusconi;
1995, per tutta la durata del governo Dini;
6
Il cambiamento definitivo del nome in Alleanza Nazionale, con la rinuncia alla dicitura MSI avviene
alla fine del gennaio 1995, al congresso di Fiuggi.
7
1996-99 dal successo delle politiche al crollo alle europee, rispettivamente i punti
più alto e più basso in termini di voti ottenuti da parte della Lega nella sua storia,
2000-01, biennio nel quale si consuma il ritorno all’ovile del Polo di centro-destra,
ma a condizioni ben diverse rispetto a quelle del 1994.
L’elaborato focalizza la sua attenzione sulla Lega Nord: come si evince dal titolo questo
lavoro si pone l’intento di illustrare la proposta politica, i mutamenti di alleanze e
l’evoluzione, anche interna, del partito nella prima fase della transizione, al fine di
capire se è possibile individuare una linearità in questo percorso politico oppure se esso
risulta condizionato dagli eventi, con il partito che si adegua ad una serie di cause di
forza maggiore. La periodizzazione adottata è funzionale a questo intento: nella
pubblicistica sul Carroccio si possono ritrovare varie periodizzazioni di breve e medio
periodo (non certo di lungo periodo data la natura recente del fenomeno leghista), come
quella di Biorcio sulle “ondate leghiste”7 o altre incentrate sulla dicotomia
federalismo/secessionismo.
Il criterio ispiratore del riparto temporale qui adottato è quello macrostorico: come
riferimento sono prese la XII e la XIII legislatura ed i governi che in esse si sono
succeduti: il primo governo Berlusconi a maggioranza di centro-destra; il governo
tecnico guidato da Dini retto da una maggioranza unita dal collante antiberlusconiano; il
governo Prodi a maggioranza di centro-sinistra, comprensivo di Rifondazione; i governi
D’Alema a maggioranza di centro-sinistra ma senza il partito di Bertinotti; infine il
governo Amato, retto dalla stessa maggioranza che sosteneva D’Alema.
L’atteggiamento del Carroccio non è sempre stato lo stesso durante questa stagione: e
non solo per l’ovvio dato di fatto che ha partecipato solo ad uno di questi esecutivi.
Anche nella XIII legislatura, caratterizzata dai governi dell’Ulivo il partito di Bossi ha
oscillato tra l’opposizione intransigente e atteggiamenti di disponibilità alla
collaborazione in nome della riforma delle istituzioni.
Il quesito che si pone all’origine di questo lavoro è il seguente: di fronte a tanta
instabilità politica8 la Lega Nord ha avuto un atteggiamento lineare, fondato
sull’attribuzione di priorità ad alcune tematiche avvertite come prioritarie, oppure ha
compiuto un percorso incerto, nel quale ha definito occasionalmente la propria condotta
7
Biorcio R. “La Padania Promessa”, Il Saggiatore, Milano, 1997, pp.62-66, 86-89.
8
I governi della Prima Repubblica avevano altrettanto breve durata; tuttavia all’instabilità degli esecutivi
si accompagnava la stabilità del sistema politico incentrato sulla presenza della DC come partito
maggiore della coalizione di governo e sulla sua disponibilità alla collaborazione con l’opposizione
comunista in sede parlamentare. Gli anni 1994-2001 vedono invece una maggiore instabilità politica; in
particolare il periodo 1994-96 è segnato dal succedersi di tre maggioranze particolarmente differenti tra
loro.
8
politica in base agli eventi? Se fosse vera la seconda ipotesi è comunque possibile
individuare alcune costanti in termini di proposta politica? Infine, prescindendo dalle
due ipotesi: le scelte adottate dal 1994 al 2001 quali esiti hanno prodotto? Hanno
rafforzato o indebolito il Carroccio?
La ricerca condotta per rispondere a queste domande si fonda prevalentemente su
cinque tipi di fonti:
• Monografie: in questo panorama si ritrovano alcuni lavori di carattere storiografico
sulla Lega Nord, nella quasi totalità dei casi concentrati a tracciarne la storia sin
dalle origini, con una maggiore attenzione dedicata alla fase pioneristica. Tra di essi
rientrano i recenti lavori di Passalacqua e Romano e Parenzo, nonché il classico
libro di Vimercati, “I lombardi alla nuova crociata”9.
Oltre a questi contribuiti nelle monografie si possono ritrovare alcuni scritti
biografici di leghisti o ex aderenti al partito. La loro utilità consiste nel delineare,
attraverso il racconto dei protagonisti diretti, come si dipanano i rapporti all’interno
del partito, riflettendo così quella struttura organizzativa che nelle forme è ricavabile
dallo Statuto del partito
• Documenti ufficiali: la disponibilità di questo tipo di documenti è molto limitata. La
Lega, infatti, non è un partito che nelle sue riunioni congressuali dà vita ad un
dibattito su mozioni politiche e a una vasta mole di documentazione. Spesso i
congressi si risolvono in discorsi di Bossi per motivare i militanti ed avere
l’attenzione dei media. In questa penuria di documenti si è potuto tuttavia attingere
allo Statuto del 1994 ed al programma elettorale per le politiche del 1996.
• Saggistica ed articoli di riviste scientifiche: attraverso essi è possibile tracciare un
profilo dell’atteggiamento ella comunità degli studiosi nei confronti del fenomeno e
mutuare alcune linee interpretative per verificarne la validità.
• Stampa: gli articoli e le prime pagine dei quotidiani consentono di non perdere di
vista, a differenza di quello che può succedere con le interpretazioni fornite dalla
saggistica, la dimensione cronologica del racconto, della quale non può fare a meno
una tesi in materie storiche. Per il presente elaborato si è fatto riferimento a due tipi
di quotidiano: quello d’opinione e il giornale di partito. I quotidiani scelti in
quest’ottica sono il “Corriere della Sera” e “La Padania”10. Il giornale d’opinione
9
Passalacqua G. . “Il vento della Padania. Storia della Lega Nord 1984-2009”. Arnoldo Mondatori,
Milano, 2009; Parenzo D., Romano D. “Romanzo padano. Da Bossi a Bossi: storia della Lega”.
Mondolibri Milano, 2009; Vimercati D. “I lombardi alla nuova crociata”, Mursia, Milano, 1990.
10
Quest’ultima per i fatti politici a partire dal 1997. Il primo numero de “La Padania” uscì l’8 gennaio
1997.
9
permette di delineare lo Zeitgeist che ispira la vita politica italiana nel corso di
questi anni di fronte agli eventi di maggiore importanza. Il quotidiano di partito è
funzionale sia perché illustra la linea politica del Carroccio, sia perché porta alla
conoscenza dello studioso tutto il grande sforzo di carattere associativo compiuto
dal partito negli anni successivi al 1996, per trasformarsi da collettore della protesta
contro la partitocrazia di fine anni Ottanta in partito di massa novecentesco, o
quantomeno in un partito che si avvicinasse il più possibile a questo modello
organizzativo.
• Atti parlamentari: questa tipologia di documenti consente sia di prendere atto dei
voti espressi da deputati e senatori leghisti11 in occasione di momenti cruciali del
periodo esaminato, sia di raccogliere una serie di discorsi pubblici di esponenti di
spicco del partito e altri documenti rilevanti per comprenderne la parabola politica12.
I capitoli che seguiranno saranno improntanti alla periodizzazione di cui sopra e faranno
riferimento alle fonti appena elencate. Alla fine della trattazione si cercherà di dare una
risposta ai quesiti posti in queste pagine.
11
In seguito alla riforma dei regolamenti parlamentari del 1988 la maggior parte delle votazioni
parlamentari vengono effettuate a scrutinio palese: questo consente agli studiosi di poter attribuire ad ogni
singolo parlamentare il voto espresso per ogni singolo provvedimento e, di conseguenza, di tracciare la
linea politica dei singoli partiti politici prendendo in esame i voti espressi dai suoi gruppi parlamentari.
12
La ricerca sugli atti parlamentari è stata condotta su materiale cartaceo per i resoconti stenografici tra il
1994 ed il maggio 1997 e su quello messo a disposizione dai siti internet www.camera.it e www.senato.it
per gli anni dal giugno 1997 ai giorni nostri. Pertanto per i primi verranno riportati anche il numero del
volume.
10
Capitolo 1: Il governo Berlusconi
1.1 Le elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 e le trattative per la formazione del
governo
Le prime elezioni politiche con il nuovo sistema elettorale, il c.d. Mattarellum13,
stravolgono lo scenario politico italiano rispetto a quello della prima repubblica,
incentrato sulla Democrazia Cristiana. Al voto si presentano tre coalizioni
rispettivamente guidate da Occhetto, Segni e Berlusconi, primo grande segnale di una
tendenza alla personalizzazione della competizione politica che costituirà una costante
degli anni successivi. La Lega Nord il 25 gennaio ha reso nota la propria partecipazione
al cartello elettorale di destra, noto come Polo della libertà, nel quale si univa a Forza
Italia e ai cristiano-democratici di Casini ed ai radicali di Pannella14. Tale esito è frutto
in parte della tenacia di Berlusconi, in parte del doppio gioco dei dirigenti leghisti: due
giorni prima, il 23 gennaio, Maroni aveva infatti stipulato un’alleanza con il PPI, un
patto che viene immediatamente rinnegato da Bossi in favore di quello, decisamente
più favorevole, col partito del Cavaliere, il quale garantisce al Nord la candidatura di
esponenti leghisti in sette collegi sicuri su dieci. Berlusconi dal canto suo è spinto dalla
situazione di urgenza nella quale deve intervenire per a suo dire salvare l’Italia dalla
vittoria elettorale dei comunisti, a dire dei detrattori per salvaguardare le sue aziende
fortemente indebitate. Al nord la coalizione non include Alleanza Nazionale-MSI, ma
Berlusconi costituisce un’ulteriore coalizione al sud (dove la Lega non presenta le
proprie liste), nota col nome di Polo del buongoverno, nel quale si allea col partito
post-fascista. La diversa geometria delle alleanze costituirà un motivo di frizione
continua per il centro-destra lungo tutto il 1994.
Il voto del 27-28 marzo assegna la maggioranza relativa ai due poli nella parte
uninominale e, seppur di soli 300mila voti, di Forza Italia nella parte proporzionale.
Considerata l’incidenza di patti ed accordi interni alle varie coalizioni nella parte
uninominale, l’unico dato utile per individuare i nuovi rapporti di forza tra partiti dopo
13
Sistema elettorale misto con l’assegnazione del 75% dei seggi con la formula uninominale per collegi e
il restante 25% con formula proporzionale.
14
I cristiano-democratici non presentano liste proprie, bensì candidature interne al Polo nell’uninominale e
a Forza Italia nella quota proporzionale. Sull’argomento vd. Colarizi, op cit., pp. 811-812.
11
il sisma 1992-93 è ricavabile, pur con tutte le precauzioni del caso, dalla quota
proporzionale della Camera15.
Tab.1 Elezioni politiche 27-28 marzo 1994, Camera dei deputati parte proporzionale16
Lista Voti %
FI 8.136.135 21,1
AN-MSI 5.214.133 13,5
Lista Pannella 1.359.283 3,5
Lega Nord 3.325.248 8,4
Patto Segni 1.811.814 4,7
PPI 4.287.172 11,1
AD 456.114 1,2
PDS 7.881.646 20,3
RC 2.343.946 6,0
Verdi 1.047.268 2,7
Focalizzando l’attenzione sui quattro soggetti individuati nell’introduzione come
collettori del voto conservatore, si nota che Forza Italia ottiene un grande successo, di
cui ne subisce le perdite il polo di centro guidato da Segni, il quale probabilmente paga
il non aver insistito con convinzione sull’alterità del proprio partito rispetto alla
sinistra, vera chiave di volta del successo di Berlusconi. Alleanza Nazionale-MSI
cresce più del doppio rispetto al 1992; mai il MSI aveva ottenuto così tanti consensi,
nemmeno nel 1972, anno della sua migliore prestazione elettorale, dove alla Camera
per pochi voti non aveva raggiunto i 2.900.000 suffragi.
La Lega Nord si mantiene sostanzialmente stabile, con un calo di 70mila voti rispetto
alle politiche del 1992. Il dato segna effettivamente un arresto di quella dinamica
crescente e apparentemente senza ostacoli che aveva preso il via dalla fine del decennio
precedente, ma non un perdita, piuttosto dando l’idea che la Lega si sia stabilizzata
attorno ad un proprio nucleo elettorale avente caratteristiche sociali ben definite. Non si
può, a meno di voler forzare il dato numerico, parlare di successo nel 1992 e insuccesso
nel 1994.
Il risultato, tuttavia, non è quello atteso da Bossi e dai suoi uomini. Come sottolinea
Diamanti, con Forza Italia, un certo settore dell’elettorato moderato che si stava a
15
Operazione resa possibile dalla presenza di due schede distinte, una per la parte uninominale e una per
quella proporzionale, per l’elezione della Camera, mentre per il Senato la scheda era unica.
16
Fonte Lotti L. “I partiti della repubblica. La politica italiana dal 1946 al 1997”, Le Monnier, Firenze,
1997, pp.183-184.
12
grandi tappe avvicinando alla Lega in concomitanza con la crisi democristiana, trova un
interlocutore più credibile che porta avanti le stesse istanze17. Il progetto egemonico
della Lega incontra per la prima volta un avversario forte e determinato a competere nel
suo stesso ambito; anche il partito di Fini vuole realizzare lo stesso disegno leghista,
ma avendo una base geografica opposta e complementare, incentrata al Sud: tale
differenza, pur essendo fonte di contrasti profondi nei successivi mesi di coabitazione
governativa, determina un diverso trattamento da parte della Lega verso i leader dei due
partiti di centro-destra. Berlusconi è il rivale vero, colui che entrando in politica ha
sottratto voti al partito del nord. Da questa partita esce il Partito Popolare, non tanto per
effetto del risultato elettorale (il polo centrista ottiene nella parte proporzionale un buon
15,8%), ma come conseguenza della linea politica adottata a partire dai mesi
successivi; in compenso negli anni a venire riemergeranno altri soggetti intenti a
realizzare ad un partito cattolico dei conservatori.
Il principale mezzo utilizzato dalla Lega per farsi valere durante i mesi successivi è il
peso della propria delegazione parlamentare, che per effetto del patto stipulato con
Berlusconi, attribuisce alla Lega 117 deputati e 60 senatori, facendone il secondo
gruppo parlamentare più grande dopo quello, di opposizione, dei Progressisti-
federativo18.
L’esito delle votazioni, al momento della trasformazione dei voti in seggi, non
garantisce tuttavia alla coalizione di centro-destra la certezza di una maggioranza al
Senato, determinando una situazione di quasi parità tra i due Poli di centro-destra e le
due opposizioni, 156 senatori per la maggioranza, 153 per le due opposizioni assieme.
La coalizione, che fino al giorno delle elezioni era stata guidata senza margine di
discussioni da Berlusconi, per avere la maggioranza deve ottenere il voto favorevole
dei senatori a vita: è proprio in questo momento che Bossi rilancia, mettendo in
discussione la scelta del Cavaliere come candidato a Palazzo Chigi, al fine di ottenere
per il suo partito il massimo possibile in termini di cariche. In realtà già durante la
campagna elettorale la Lega aveva cercato di manifestare la propria estraneità al
progetto berlusconiano di unire sotto una sola bandiera il centro-destra, dando vita ad
alcune polemiche con l’alleato, al fine anche di sedare i malumori della base leghista di
fronte a quella scelta.
17
Diamanti I. “Il male del nord. Leghe, localismo, secessione”. Donzelli, Roma pp. 68-69.
18
Comprendente membri del PDS, dei Verdi e Alleanza Democratica.
13
Il 10 aprile 1994 la Lega raduna i propri militanti a Pontida per celebrare il successo
elettorale: in quella occasione Bossi pronuncia un discorso, forse il più conosciuto dal
grande pubblico insieme a quello che pronuncerà nel 1996 in ben altra situazione
politica. Trattasi di un discorso decisivo nel quale manifesta la volontà (mai seriamente
in dubbio) di entrare a fare parte del governo e nel quale illustra la linea politica per i
mesi a venire:
“Il federalismo è assolutamente necessario. Il liberismo è assolutamente necessario. Se
questi avvenimenti non avverranno in tempi brevi […] noi saremo qui tra sei mesi […]
a dire basta, non c’è più possibilità di cambiare democraticamente; allora il Nord se
ne va verso la Repubblica del Nord” 19
“La Lega parteciperà [alle prossime elezioni] come forza politica autonoma. Mai Più.
La Lega […] accetta la sfida. A metà giugno vuole essere la prima forza politica in
tutte le Regioni del Nord”20
Bossi apre quindi al governo, dando però una scadenza di sei mesi per la realizzazione
di una riforma federalista delle istituzioni; allo stesso tempo si smarca dal centro-destra
per le amministrative di giugno e fissa l’obiettivo per quella occasione, nella quale si
svolgono anche le europee, di fare diventare la Lega il primo partito in tutte le Regioni
del nord: il disegno della Lega di realizzare l’egemonia nell’ambito dell’elettorato
conservatore viene, per la prima volta, esposto all’opinione pubblica.
Il discorso del 10 aprile abbonda di tutti i termini chiave adottati dal segretario leghista
nel 1994: oltre alla classica insistenza sul federalismo, molto frequenti sono i richiami
al liberismo ed alla governabilità: se il primo già da qualche anno fa parte del bagaglio
linguistico dei militanti leghisti, il secondo è un’assoluta novità, che consente al
Senatur di fare accettare al proprio elettorato la scelta, a molti non gradita, della
coabitazione governativa con Berlusconi e Fini. L’espressione, non originale, simbolo
di questo atteggiamento ambivalente verso il nascente esecutivo è “Lega di lotta e di
governo”21.
Le trattative vanno avanti fino a metà maggio, con il primo snodo decisivo consistente
nell’elezione delle presidenze di Camera e Senato. Il nome proposto dalla Lega per la
19
Discorso di Bossi al comizio di Pontida del 10 aprile 1994.
20
Ibidem
21
La formula riecheggia quella adottata dal PCI in seguito alle elezioni per i membri dell’Assemblea
Costituente il 2 giugno 1946.
14
Camera è quello di Irene Pivetti, secondo un’operazione di comunicazione politica
avente una molteplicità di fini:
mitigare le polemiche sul maschilismo (il c.d. “celodurismo”) leghista, candidando
una donna ad un ruolo di prestigio;
presentarsi come partito del nuovo, proponendo una figura giovane per un ramo del
parlamento che nelle legislature precedenti non aveva visto figure di presidenti al di
sotto dei quaranta anni di età;
rivolgersi ai settori più religiosi della società, proponendo una persona nota per le
sue simpatie per la Vandea, la regione francese in cui è presente un forte
tradizionalismo cattolico, nota per le insurrezioni contro i rivoluzionari francesi alla
fine del XVIII secolo.
Irene Pivetti diviene presidente della Camera alla quarta chiama, il 16 aprile 1994. La
sua scelta suscita dei dubbi anche all’interno del suo stesso partito: a conferma di ciò va
ricordato che in tutte le votazioni Roberto Maroni ottiene alcuni voti, per i quali, data la
segretezza del voto, non è possibile stabilire la provenienza, ossia se venissero da
leghisti a sostegno di una candidatura meno controversa o se da esponenti di altri partiti
che cercassero un accordo su altro nome proveniente comunque dalla Lega stessa.
Nel suo discorso di insediamento qualche polemica viene generata dal richiamo a Dio e
al saluto finale rivolto non all’Italia o agli italiani, ma alla città di Milano:
“[…] Come cattolico, non posso non affidare la mia opera in questo Parlamento e,
nella preghiera, la vita del paese, alla volontà di Dio, a cui appartengono i destini di
tutti gli Stati e della storia […] Ed approfitto di questa occasione per inviare un saluto
[…], mi sia concesso, alla città di Milano”22.
Si trattò di polemiche di breve durata, che non lasciarono particolari strascichi nel
proseguimento della legislatura. Negli stessi giorni Forza Italia ottiene l’elezione di
Carlo Scognamiglio a presidente del Senato, dopo un testa a testa all’ultimo voto con il
candidato delle opposizioni Giovanni Spadolini.
Il mese di aprile, come detto, vede Bossi all’attacco della laedership di Berlusconi. Un
altro momento critico per la nuova coalizione uscita vincete dalle urne fu la ricorrenza
delle celebrazioni per la liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile. In quell’occasione
Bossi decise di partecipare al corteo antifascista che si svolse lungo le vie di Milano. Fu
22
Atti Camera dei deputati Discussioni XII legislatura, Volume I, Seduta 1 del 15/04/1994 (continuata
nella giornata del 16 aprile) pp.35-36.
15
una scelta coraggiosa. Bossi venne fischiato, contestato ed accusato di fascismo; egli
non reagì agli epiteti che gli vennero rivolti partecipando silenziosamente al corteo. Il
colpo di teatro compiuto dal leader della Lega sortiva nello stesso istante due
importanti effetti:
un monito a Berlusconi, specie riguardo l’ingombrante presenza nella sua alleanza
degli eredi del fascismo;
un segnale di avvicinamento coi partiti delle opposizioni, in nome della natura
popolare del suo partito, cercando di evidenziare il legame di parentela tra il popolo
del nord che aveva combattuto contro Hitler e Mussolini e quello che negli anni
Novanta professava l’appartenenza leghista.
Mentre proseguivano le trattative tra gli alleati per la formazione del governo si
verificava un altro episodio, dalle conseguenze decisamente limitate, che tuttavia
simboleggiava la presenza della diversità tra la Lega e le altre formazioni politiche. La
Camera, appena insediata, deve discutere delle dimissioni di due deputate elette nelle
fila della Lega: Maria Galli ed Angiola Zilli, che adducono motivi di carattere
personale e di salute. La prassi parlamentare vuole che le dimissioni vengano discusse
in aula; inoltre un galateo non scritto stabilisce che nelle prime tre votazioni
sull’argomento esse vadano respinte, per poi essere accolte solo alla quarta votazione.
Il dibattito sin da subito si sposta sul partito di Bossi: i membri dell’opposizione ne
denunciano il maschilismo23, i leghisti si difendono sostenendo che se il motivo fosse
davvero solo riconducibile a questa spiegazione non sarebbe chiaro come mai la Galli e
la Zilli abbiano scelto di dimettersi dalla carica quando avrebbero potuto
semplicemente cambiare gruppo parlamentare di appartenenza; inoltre trasformano
l’occasione per enfatizzare le lentezze delle procedure parlamentari ed attaccare chi, in
nome di una presunta educazione impedivano che il Parlamento fosse operativo e si
dedicasse a temi di maggiore importanza per il paese. Le dimissioni delle due deputate
verranno accolte rispettivamente alla fine di maggio e di giugno.
Le polemiche terminano con il conferimento dell’incarico a Berlusconi da parte di
Scalfaro. Il suo esecutivo presta giuramento di fronte al Capo dello stato il 10 maggio
1994, per poi recarsi alle Camere ad ottenere la fiducia. Berlusconi, consapevole delle
difficoltà presenti al Senato, tenta una manovra di avvicinamento al polo centrista di
Segni, che si concretizza con la nomina del pattista Giulio Tremonti a ministro delle
23
Il maschilismo dei politici leghisti e le polemiche su di esso hanno alla loro origine alcune esternazioni
del segretario a sfondo sessuale, fatte in congressi e sulla scena pubblica.
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Finanze. Tuttavia la manovra non riesce completamente perché Segni mantiene la sua
opposizione al governo; sarà Tremonti (insieme ad altri deputati e senatori, alcuni del
PPI, come Grillo) a confluire a titolo personale in Forza Italia. Il governo Berlusconi I è
composto da 25 ministri, così distribuiti per provenienza politica:
Tab.2 Provenienza politica dei ministri del Governo Berlusconi I24
Lista di
elezione
Num.
Ministri Con portafoglio
Senza
portafoglio
FI * 12
Martino, Biondi, Previti, D'Onofrio, Radice,
Costa, Bernini, Mastella, Podestà
Guidi, Urbani,
Ferrara
AN-MSI 5
Poli Bortone, Fiori, Tatarella, Fisichella,
Matteoli -
Lega Nord 5 Maroni, Gnutti, Pagliarini Speroni, Comino
Patto Segni 1 Tremonti
Indipendenti ** 2 Dini Berlinguer
* comprende anche eletti nelle liste di Forza Italia poi confluiti in altri gruppi parlamentari
** personalità che non si sono candidate alle elezioni, dunque scelte sulla base di competenze tecniche
Berlusconi ottiene così non solo la presidenza del Consiglio, ma, come premio per la
maggioranza relativa ottenuta dal suo partito ben dodici ministeri e il ruolo di
Sottosegretario alla presidenza del Consiglio per il suo uomo di fiducia Gianni Letta,
pur avendo un gruppo parlamentare dalla composizione leggermente inferiore a quella
dei due alleati.
La Lega dal canto suo ottiene un pareggio in termini di numeri con Alleanza Nazionale,
il quale viene confermato con la concessione della vicepresidenza del Consiglio a
entrambi i partiti, rispettivamente a Maroni e Tatarella. Ma se nei numeri la situazione è
di parità, è innegabile che la Lega si accaparra ministeri più prestigiosi rispetto ad AN,
su tutti Bilancio e Interni. Come fa notare Lotti25 questi due costituiscono due punti
nevralgici delle istituzioni repubblicane, tanto che la DC prima del suo crollo non vi
aveva mai rinunciato, anche negli anni in cui il declino del partito aveva dato il via ad
alleanze competitive col Partito Socialista. Il compromesso raggiunto è soddisfacente,
d’altronde nonostante l’autocandidatura di Bossi a Palazzo Chigi, era evidente alla Lega
stessa l’inopportunità di candidare al governo dello Stato Italiano una persona alla
quale molti protagonisti associavano la volontà di dissolverlo.
24
Fonte: Lotti L. op. cit. p. 189.
25
Lotti L. op. cit. p. 71