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INTRODUZIONE 
Ginzburg ha un tocco speciale 
Per le differenze, 
è uno specialista in differenze. 
Adriano Prosperi 
(Uno storico, un mugnaio, un libro) 
 
“Perché scegliere di indagare la produzione intellettuale di Carlo Ginzburg?”. Questa è 
stata la domanda che mi sono posta al momento di decidere l’argomento per il mio 
elaborato finale della laurea magistrale. La risposta risale indietro nel tempo.  
Nel momento di preparare la tesi per la laurea triennale, avevo qualche idea in testa, mi 
interessava il tema della stregoneria e della cultura popolare, e il libro che mi venne 
proposto all’epoca, assieme ad altri sull’argomento, fu Storia Notturna. Una decifrazione del 
sabba. Già il titolo prometteva un testo interessante, ma una volta cominciato a leggere non 
deluse le mie aspettative, ciò che mi incuriosiva si trovava lì e con un’estrema ricchezza di 
elementi e dettagli. Mi affascinava molto anche il modo di scrivere; l’autore partiva da un 
particolare e si espandeva a macchia d’olio, oppure un’altra immagine che mi venne allora 
in mente, era quella della ragnatela, che si originava in un punto e poi si allargava sempre di 
più. Al tempo, decisi perciò di presentare il testo in maniera analitica, in quanto lo scopo di 
allora era mettere il volume a confronto con le opere di altri due autori che avevano trattato 
della stregoneria, Norman Cohn e Stuart Clark. Una volta conseguita la tesi triennale, la 
scelta di proseguire ad analizzare la produzione di questo storico, in un elaborato 
successivo, mi parve la scelta migliore, in quanto, indagando la bibliografia, che si trovava 
dietro il testo in questione, avevo letto della pubblicazione di altre opere in argomento, tra 
cui I Benandanti e Il formaggio e i vermi, precedenti a Storia Notturna, e altri titoli mi colpirono 
molto. Oltre a ciò avevo scoperto che egli aveva realizzato una breve produzione dedicata 
alla storia dell’arte, tra cui un testo su Piero della Francesca e provenendo dalla facoltà di 
Beni Culturali, me lo rendeva ancora più intrigante. Da qui la scelta di dedicarmi alla lettura 
delle sue opere. Ho steso per prima cosa la bibliografia, in ordine cronologico in modo da 
vedere che tipo di produzione, nel senso di argomenti trattati, ha caratterizzato la sua
4 
 
carriera fino al giorno d’oggi. Una volta fatto ciò l’ho divisa, per così dire, in tre settori, poi 
corrispondenti all’incirca ai tre capitoli della tesi, ma la realizzazione non ha seguito un 
percorso molto lineare. Essa, infatti, è partita dalla stesura del secondo capitolo, quello 
dedicato all’arte, giacché non ero totalmente a digiuna dell’argomento; per passare poi al 
primo riguardante in maniera generale la cultura popolare, e anche in questo caso il motivo 
è stato perché partivo con un’infarinatura di base; per terminare infine con il terzo riservato 
alla metodologia, su cui aveva scarse conoscenze. La decisione di lasciare l’aspetto del 
lavoro d’indagine di questo storico come ultima sezione è duplice: da una parte perché 
trattava di ciò in diverse opere, e quindi era importante prima cosa, leggere gran parte della 
sua produzione per avere un’idea e dall’altra perché essa affondava le sue radici in una serie 
di tematiche complesse. Analizzare, infatti, il suo lavoro è stato per me, un compito 
articolato poichè egli affrontava soggetti diversi, con una costante serie di riferimenti a 
opere e autori differenti, che spaziavano dal mondo antico al contemporaneo, su molti dei 
quali avevo, e tuttora ho una conoscenza altamente superficiale.  
Una delle caratteristiche che hanno reso questo storico apprezzato da molti, e dalla 
sottoscritta, è stata e ovviamente è ancora, la vastissima cultura che egli possiede che si 
espande a toccare varie discipline dalla letteratura, alla filosofia, alla storia, all’arte e così via. 
Le ragioni che lo hanno spinto a trattare soggetti differenti tra loro, sono state espresse 
varie volte dall’autore, secondo le varie opere. Nel caso de I Benandanti, ad esempio, che 
affrontava un culto notturno della fertilità, egli raccontava nel saggio Streghe e Sciamani
1
 
come fosse stata una coperta casuale nell’Archivio di Stato di Venezia a metterlo in 
contatto con alcune carte che riferivano di un interrogatorio ad un bovaro, Menichino della 
Nota (il quale diceva di uscire in spirito la notte a combattere le streghe). Il caso e la 
curiosità sono stati e sono due stimoli, che hanno fatto scattare sempre in lui l’attenzione 
verso i determinati argomenti. Probabilmente, riferiva nello stesso saggio, una forte 
influenza derivò inoltre dai racconti che la madre gli leggeva da bambino, dello scrittore 
siciliano Luigi Capuana, popolati di magia e orrore. Altri poi sono stati i motivi, i quali 
emersero però solo nel corso della sua vita, mentre erano inconsci allora. Nel caso invece 
de Il formaggio e i vermi, la decisione di “rompere le regole” e dedicarsi ad una figura 
marginale, per così dire, era dovuta al suo interesse verso persone, vittime, che avevano 
                                                 
1 Carlo Ginzburg, “Streghe e sciamani”, in Il filo e le tracce. Vero falso finto, Milano, Feltrinelli, 2006.
5 
 
subito la pressione sia fisica sia psicologica, in questo caso da parte dell’Inquisizione. 
L’attenzione e la predilezione di dedicarsi allo studio di queste vittime, da sempre rimaste 
nell’ombra, invece che alla persecuzione stessa, che aveva fatto da sempre la parte del 
gigante nel corso della produzione storica si dovette alla particolarità che questo soggetto 
aveva rappresentato. Al fatto cioè di essere stato un personaggio appartenente ad una 
cultura “subalterna”, ma dotato di notevoli capacità di ragionamento. Oltre a ciò un 
desiderio giovanile da parte dello storico di mettersi alla prova, in un campo irto di 
difficoltà e poco affrontato
2
. Altro elemento d’impulso, ma che gli è stato fatto in seguito 
notare dall’amico Paolo Fossati è stato che egli stesso, in quanto vittima di persecuzioni 
non si doveva poi sentire tanto lontano da questi uomini e donne. Nell’intervista a Trygve 
Riiser Gundersen pubblicata nel 2003, ricordava come la connessione tra il proprio 
background, l’identità di ebreo, e l’interesse verso personaggi come Menocchio fosse 
corretta, e per lui tutto ciò non costituiva un problema. È ovvio che la personale esperienza 
di un ricercatore entri in gioco nell’indirizzare scelte e interessi, e aggiungeva “And there is 
no reason why such subjective elements should have to impose limitations on an historian’s 
work, instead of presenting opportunities”. Nel suo caso personale, era stato cruciale il 
fatto che egli non fosse conscio di questo legame esistente; gli aveva così permesso di 
focalizzarsi, senza essere costretto dalla consapevolezza della propria connessione 
autobiografica con il tema affrontato.
3
 
Un altro breve riferimento diretto alla sua scelta di non specializzarsi si colloca 
nell’intervista apparsa su La Città, nel febbraio 1999, in cui egli affermava che il cambiare 
spesso soggetti e ambiti di ricerca, era dovuto alla convinzione, che non sapeva quanto 
giusta, ma in lui molto radicata, “che nel momento in cui io affronto da ignorante un nuovo 
tema, riuscirò a vedere delle cose che uno specialista non vede”
4
. Egli era comunque 
consapevole che questo atteggiamento comportava un prezzo, cioè il commettere errori 
molto grossi, un rischio dovuto al fatto di “mettere i piedi in un campo non familiare”. Egli 
inoltre, ritiene da sempre che ciò che lo appassiona, sia di per sé utile; aprendo un libro, 
anche a caso, scatta sempre un interesse, perché esiste sempre qualcosa da cercare, che poi 
                                                 
2
 Idem, p. 285. 
3 Carlo Ginzburg, Trygve Riiser Gundersen “On the Dark Side of the History”, 
http://www.eurozine.com/articles/2003-07-11-ginzburg-en.html (ultimo accesso 01/02/2012). 
4
 “La catena delle citazioni”, Una Città, n. 74, Gennaio-Febbraio 1999.
6 
 
si traduce in ricerca concreta
5
. A prescindere dalla scelta di non specializzarsi, la stessa 
decisione del mestiere ha avuto una sua “evoluzione particolare”; nella prefazione all’opera 
Miti, Emblemi, Spie, infatti, raccontava come nella metà degli anni Cinquanta non lo sfiorasse 
nemmeno l’idea di intraprendere la carriera di storico, pensava invece di occuparsi di 
letteratura, al fine di superare la diatriba razionalismo, irrazionalismo. Molte sono state le 
letture giovanili che lo hanno portato inconsciamente ad elaborare il proprio pensiero, e 
certamente, crescere in una famiglia così legata alla cultura e ai libri, deve aver avuto il suo 
ruolo, ma due sono state le letture che hanno avuto ruolo maggiore, come ricordava in 
un’altra intervista, apparsa su The Hindu
6
, ed esse furono da una parte la partecipazione al 
seminario di Delio Cantimori sull’opera di Burkhardt, Meditations on World History, la cui 
lettura di venti righe a settimana, e quindi una “slow reading”, fu una rivelazione. In 
generale, in ogni caso, gli insegnamenti di questo grande maestro l’hanno stimolato nelle 
sue prime opere. Dall’altra, la lettura personale di I re taumaturghi di Marc Bloch, in versione 
inglese, opera legata alla storia della mentalità. A parte le varie motivazioni, tentare di 
elencare tutte le influenze e gli spunti che hanno agito su questo storico è quasi impossibile 
perché la lista è pressoché infinita, come mi è stato ben chiaro analizzando la sua 
produzione. Da sempre figura schiva sui fatti biografici personali, i pochi sono, ben noti a 
tutti; è stato per me, perciò molto interessante ricostruire la sua personalità, in modo 
comunque parziale, leggendo i suoi scritti. Ciò che ho potuto realizzare, tirando le somme, 
è l’ immagine di una figura di storico estremamente ricca e complessa, aperta ad affrontare 
tematiche nuove mettendosi in discussione davanti alla pubblica critica, sempre pronto a 
difendere le proprie idee. Un tratto assorbito dall’insegnamento negli Stati Uniti, da ciò che 
ho potuto cogliere, è stata appunto la tendenza ad affrontare direttamente tali critiche, 
rispondendo tono su tono, senza colpire la persona che ha davanti, ma sempre mirando 
all’idea espressa, nel caso di incompatibilità di pensiero. Questo mondo accademico, infatti, 
multietnico e multiculturale, con una tradizione di dibattito e discussione alle spalle ha 
costituto come diceva nell’intervista con Vittorio Foa, un “buon bersaglio da colpire”
7
. 
                                                 
5
 Andrea del Col, Aldo Colonnello, a cura di, Uno storico, un mugnaio, un libro. Carlo Ginzburg, Il formaggio e il 
vermi, 1976-2002, ed. Università di Trieste, n.e. 2003, p. 103. 
6
 Carlo Ginzburg, Sanjay Subrahmanyam “The Stuff of which History is Made: A Brief Conversation with 
Carlo Ginzburg”, http://www.hindu.com/nic/ginzburg-interview.htm (ultimo accesso 01/02/2012) 
7
 Andrea del Col, Aldo Colonnello, a cura di, Uno storico, un mugnaio, un libro. Carlo Ginzburg, Il formaggio e il 
vermi, 1976-2002, ed. Università di Trieste, n.e. 2003;
7 
 
Attirato dal pubblico non specialistico, e dal suo modo di leggere, (simile a quello del 
mugnaio Menocchio), come dalle domande banali, perché entrambi i punti di vista 
nascondono a volte risposte o comunque concetti più interessanti, “in grado di rivelare 
realtà più profonde”; al tempo stesso egli è stato sempre in grado di conciliare rispetto per 
la verità e rigore d’indagine. Il distacco intellettuale e la partecipazione emotiva, come 
ricordava Adriano Proseperi, sono sempre stati i due punti fermi, le linee guida dal suo 
percorso. 
Termino questa breve introduzione, che vuole essere una veloce panoramica sul 
pensiero di questo storico, in maniera “parzialmente imparziale” per dirla con un ossimoro, 
sostenendo che l’interesse e il fascino verso quest’autore sono indiscutibili; ma allo stesso 
tempo ho cercato di analizzare le sue opere portando anche recensioni e critiche. Certo 
molto ancora ci sarebbe da dire, e non solo perché ovviamente si tratta di una produzione 
in costruzione, ma poiché da una ricchezza simile di pensiero, gli spunti che si possono 
trarre sono illimitati.
9 
 
CAPITOLO I: CARLO GINZBURG E LA CULTURA POPOLARE 
 
The effort to know the past 
is also a journey 
to the world of the dead 
Carlo Ginzburg 
I. Introduzione 
Attorno agli anni Sessanta Carlo Ginzburg frequentò la Scuola Normale, qui fu allievo 
del grande maestro Delio Cantimori, il quale con le sue profonde ed estese ricerche sugli 
eretici del Cinquecento, ebbe notevole influenza sulle prime indagini del giovane discepolo. 
Fu proprio negli anni dell’università che il tema della stregoneria si affacciò tra i suoi 
pensieri, argomento di cui, come egli stesso affermò, era totalmente a digiuno, e per questo 
motivo il primo gesto che compì fu la ricerca nell’Enciclopedia Italiana
8
 del suo significato. La 
prima sensazione percepita fu “euforia dell’ignoranza”
9
, l’essere cioè davanti ad un soggetto 
completamente nuovo da cui si poteva però apprendere molto. Questo sentimento, come 
sostiene, fu probabilmente uno dei motivi che lo spinsero a non specializzarsi in un campo 
specifico di ricerca ma a spaziare verso settori al di fuori del proprio personale ambito di 
conoscenza.  
Tra gli stimoli che probabilmente lo indirizzarono, egli colloca, con buona probabilità i 
ricordi e le esperienze vissute durante l’infanzia, in modo particolare l’influenza che ebbero 
i racconti della madre, la quale leggeva a lui e al fratello le fiabe raccolte verso la fine 
dell’Ottocento da Luigi Capuana, scrittore siciliano, che trattavano di magia. Forse furono 
queste, il tramite che lo spinsero a iniziare a indagare la realtà e il misterioso mondo degli 
adulti.  
I concetti di magia, stregoneria, antropofagia, metamorfosi, si trovano a partire dal 
primo saggio Stregoneria e magia popolare del 1961, fino a Storia notturna, del 1989. Ci furono 
altri motivi che lo spinsero a dedicarsi al soggetto, uno di essi fu la forte influenza che ebbe 
                                                 
8
Carlo Ginzburg, “Streghe e Sciamani”, versione rivista di una conferenza letta a Tokyo nel 1992 in occasione 
della traduzione giapponese di Storia Notturna. Una decifrazione del sabba. (1989), ora in Il filo e le tracce. Vero, falso, 
finto, ed. Feltrinelli, ultima ed. 2006, p. 282. 
9
 Ivi, p. 282.
10 
 
l’inclinazione politica a sinistra della famiglia; il padre Leone, docente di letteratura russa 
presso l’Università di Torino, aveva rifiutato di giurare fedeltà al regime fascista, e per 
questo era stato arrestato e condannato a due anni di prigione
10
. Con l’inizio della guerra fu 
messo al confino in un piccolo paese in Abruzzo, e lì la famiglia lo raggiunse; alla firma 
dell’armistizio, si trasferirono a Roma, dove egli, riconosciuto, venne arrestato nuovamente 
e incarcerato al Regina Coeli, dove morì nel 1944, per le percosse subite nella sezione in 
mano ai nazisti.  
Lo storico, saggista Franco Venturi, nel libro Il populismo russo trattò della figura di Leone 
e delle sue opere, e mostrò inoltre un forte interesse per i valori che la società contadina 
esprimeva. Un’altra opera che influenzò Carlo Ginzburg quando la lesse nella sua 
adolescenza, fu Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi, in cui egli ritrovò un atteggiamento 
simile a quello espresso da Venturi; furono “il distacco intellettuale e partecipazione 
emotiva, passione per la razionalità e rispetto per la diversità culturale” insegnamenti in 
grado di sostenersi a vicenda, che egli trasse da tale libro. Furono questi, in parte, gli influssi 
che lo spinsero a indagare le vittime della persecuzione, più che la persecuzione in senso 
stretto; anomalia nel periodo in cui egli se ne occupò, gli anni Sessanta, visto che 
l’argomento era considerato marginale. Negli anni successivi, esso fu praticato in maniera 
più intensa, ma rimase sempre la persecuzione a fare da termine di riferimento
11
.  
Altro elemento che egli considera fu che tale tipo di ricerca comportava notevoli 
difficoltà, tra cui il fatto che, la stregoneria si fosse caricata di simili forme nel tempo e 
spazio, ed era necessario quindi ricollocarla nel flusso storico. Infine, dettaglio che fu 
suggerito da un amico (Paolo Fossati), fu che, egli stesso in quanto ebreo vittima delle 
persecuzioni, si sentiva molto vicino a queste figure vessate dall’Inquisizione.  
Una volta stabilito il soggetto di ricerca, egli si propose di analizzare l’ipotesi della 
stregoneria come forma primordiale di lotta di classe, cercando così di dare una 
giustificazione ad un percorso che trovava privo di legittimazione storiografica. Si recò 
all’Archivio di Stato di Modena per potersi immergere nella documentazione inquisitoriale 
tra Quattrocento e Cinquecento, e qui scoprì il caso di una donna, Chiara Signorini, 
accusata con il marito Bartolomeo, di aver maleficiato nel 1518 Margherita Pazzani, che tra 
                                                 
10
 Idem, p. 283. 
11
 Idem, pp. 284-285.
11 
 
l’altro in passato aveva dato da lavorare alla coppia
12
. Chiara aveva affermato che solo il suo 
aiuto avrebbe aiutato la donna malata a guarire, volendo in cambio solo tornare al proprio 
lavoro nella proprietà della donna. La guarigione avvenne, ma a seguito di voci che 
sostenevano la malafede di Chiara e il suo aver compiuto atti malefici, la donna si 
riammalò. La donna quindi per guarire nuovamente, ricorse anche all’esorcismo; insieme 
con lei c’erano altre donne, ma lo spirito indemoniato di una di loro scagliò pesanti accuse 
contro Chiara. Ella venne quindi arrestata dopo una serie di tentativi di resistenza; in sua 
difesa negò soltanto l’aiuto del Diavolo nell’esercizio degli atti di guarigione, ammettendo 
di possedere però particolari poteri donatigli da Dio. Così terminò il primo degli 
interrogatori; ma a queste imputazioni se ne aggiunsero in seguito altre più gravi, sempre 
sull’uso di pratiche di stregoneria da parte dell’imputata. 
Emerge così l’immagine di due contadini sospetti di continuo far ricorso a malefici, 
incantesimi, perciò licenziati spesso, e pronti a fare ricorso alla vendetta; in questo 
particolare caso Ginzburg leggeva la stregoneria come “un’arma di difesa e di offesa nelle 
contese sociali”
13
. Non è semplice distinguere se l’isolamento di Chiara e del marito fosse 
causato dalla reputazione costruitasi o se fosse proprio particolare di questi soggetti l’essere 
messi al margine della società, e quindi un effetto. Non è molto chiaro, poi, se costoro 
avessero fatto uso consapevole della fama che li precedeva oppure se avessero creduto 
concretamente nelle pratiche che compivano. I documenti sono di difficile lettura perché in 
gioco si trovano due fattori perturbanti, la tortura e la tecnica peculiare d’interrogatorio 
specifica in questi casi.  
Al secondo interrogatorio ella negò di aver causato sofferenze alla Pazzani, fino ad un 
preciso punto di passaggio, in cui la donna testimoniò un’apparizione di “Nostra 
Domina”
14
 che inizialmente fu lasciata da parte dal vicario inquisitore, ma successivamente 
riconsiderata nelle domande. Il giorno seguente alla ripresa dell’interrogatorio, la posizione 
dell’accusatore si chiude su se stessa, convinto dell’intervento diabolico nelle visioni della 
donna, la quale continuò su quella linea di pensiero ritenendola una via per la salvezza. A 
questo punto, Ginzburg osservava come aveva inizio una tecnica molto particolare da parte 
dell’inquisitore, volta, attraverso una serie di domande suggestive, a indurre l’accusata a 
                                                 
12
 Carlo Ginzburg, “Stregoneria e pietà popolare. Note a proposito di un processo modenese del 1519”, 1961, 
raccolto in Miti, Emblemi e Spie. Morfologia e Storia, Einaudi, Torino, 1986, ult. Ed. 2000, p. 5. 
13
 Idem, p. 8. 
14
 Idem, p. 9.
12 
 
rispondere facendo coincidere tali risposte con la visione essenziale di chi le poneva. E 
Chiara, inconsapevole, si adattò a tale complesso meccanismo, sperando di scampare alla 
punizione, ma allo stesso tempo mostrando come tali idee fossero radicate nel suo animo, e 
mostrando quindi una forma di pietà popolare molto sentita in questo periodo. Davanti alla 
decisione di ricorrere alla tortura, la donna cedette e confessò
15
 la presenza del Diavolo 
nelle sue azioni. I dialoghi divennero molto dettagliati e mostrarono come sia gli inquisitori, 
sia le accusate credessero concretamente nella stregoneria, per quanto a livelli diversi. 
Confessioni e ritrattazioni continuarono a intrecciarsi, mentre l’inquisitore cercò di far 
combaciare le due immagini della Madonna e del Diavolo; ciò che era interessante era però 
la visione che aveva la donna della divinità, cioè un essere in grado di aiutarla a uscire dalla 
situazione in cui si trovava.  
Una religiosità popolare ricca di elementi, e di tratti che si mescolano tra loro, 
cristianesimo, superstizione, addirittura tracce precristiane. Alla fine, Chiara si presentò 
spontaneamente e confessò l’influenza demoniaca, la presenza della Vergine scomparsa, e 
ciò costituì, però una contraddizione, e mancava pure un riferimento diretto al sabba, 
elemento finale nella concezione della stregoneria dell’inquisitore. La confessione, perciò 
non si adattava completamente alla visione dell’inquisitore, fermandosi, come affermava 
Ginzburg a costituire “una sorta di compromesso tra l’imputata e il giudice stesso”
16
. La 
richiesta finale di pentimento le salvò la vita. Alla conclusione del saggio, rilevava poi lo 
storico, come proprio da questi documenti inquisitoriali, era perciò possibile vedere sia la 
visione dei giudici, sia quella degli imputati, solitamente ridotti al silenzio.  
 
 
II. I Benandanti 
Tra il 1961 e il 1962 Ginzburg iniziò a girare l’Italia percorrendo i vari archivi 
dell’Inquisizione, sempre più insoddisfatto dell’iniziale ipotesi di ricerca (legata al conceto di 
stregoneria come lotta di classe); giunto a Venezia, raccontava che non sapendo bene cosa 
                                                 
15
 Idem, p. 13. 
16
 Idem, p. 20.
13 
 
cercare
17
, richiedeva buste, senza un preciso indirizzo. Cercando, gli giunse tra le mani, 
assolutamente casualmente, un interrogatorio risalente al 1591 di un bovaro di Latisana, in 
provincia di Udine, Menichino della Nota, che dichiarava che quattro volte l’anno, usciva la 
notte in spirito assieme ad altri, nati con la camicia, conosciuti come benandanti, e insieme 
combattevano gli stregoni; la posta era la fertilità dei campi. L’euforia provata davanti a 
questo documento gli scatenò una serie di riflessioni, in quanto gli sembrava di aver 
riconosciuto
18
 qualcosa di completamente diverso rispetto tutti i precedenti processi letti. E 
quest’anomalia, rispetto alla regola, fu una sorta di chiave che utilizzò da lì in poi, in 
quanto, secondo Ginzburg, è proprio da essa che si possono ricavare i dati più interessanti, 
e grazie a essa che I Benandanti, Storia Notturna, e altre opere sono state scritte. Egli ha 
sempre sostenuto come questa casualità avrebbe potuto ovviamente non verificarsi, ma ciò 
che egli percepì fu che tale documento era pronto lì per lui, e che la sua vita, era stata un 
convergere verso tale scopo.  
Nel 1966 egli pubblicò quindi I Benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, 
opera la cui stesura iniziale era stata presentata già nel 1964 come tesi di perfezionamento 
presso la Scuola Normale di Pisa. In questa ricerca, ispirata da un problema nella storia 
della mentalità, egli analizzò come un nucleo di credenze popolari, lentamente venne 
assimilato alla stregoneria
19
. Molti erano gli atteggiamenti individuali che sono emersi, e su 
cui egli si è soffermato, preferendo evitare però, almeno nella prima pubblicazione 
dell’opera generici termini come “mentalità collettiva”, “psicologia collettiva” tanto cari a 
Marc Bloch e alla scuola delle Annales. Nel post-scriptum del 1972, quest’atteggiamento è 
stato sfumato maggiormente, perché affermò che pure questa indagine poteva ritenersi in 
ogni caso uno studio della mentalità “collettiva”, nonostante restasse convinto nel rifiutare 
il termine stesso. Particolare veramente interessante che si coglieva dalla documentazione 
fu la sua naturalezza, le voci dei protagonisti non erano filtrate, ma ci arrivavano in modo 
diretto; non si aveva la sovrapposizione degli schemi mentali degli inquisitori sulle 
confessioni degli imputati, almeno inizialmente. E tale scarto permetteva “di attingere uno 
strato di credenze genuinamente popolari, poi deformato, cancellato dal sovrapporsi dello 
                                                 
17
 Carlo Ginzburg, “Streghe e Sciamani”, versione rivista di una conferenza letta a Tokyo nel 1992 in 
occasione della traduzione giapponese di Storia Notturna. Una decifrazione del sabba. (1989), ora in Il filo e le tracce. 
Vero, falso, finto, ed. Feltrinelli, Terza edizione ottobre 2006, p. 287. 
18
 Idem, p. 288. 
19
 Carlo Ginzburg, I Benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino, ultima ed. 
2002, p. VII.
14 
 
schema colto”
20
. Un primo abbozzo di studi sulle credenze delle streghe, si ebbe nella metà 
dell’Ottocento, per quanto esse fossero ritenute frutto di allucinazioni da uso di sostanze 
stupefacenti; con Margaret Murray, egittologa inglese, lo studio dell’argomento entrò in 
profondità. Pur contenendo un “nocciolo di verità”, attualmente il suo studio risulta 
screditato, poiché ella sosteneva la realtà dei convegni confessati dalle donne; lasciando 
però da parte le affermazioni più rischiose, la deformazione di un qualche antico culto di 
fertilità nelle orge praticate nei sabba, si può ritenere un’ipotesi sensata. È però arduo 
ricondurre la stregoneria popolare a qualche culto simile, in quanto è importante saper 
leggere le confessioni delle donne accusate e distinguere al loro interno i vari livelli di 
“verità”.  
L. Weiser-Aall, nella sua opera Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens
21
 parlava di 
contatto tra stregoneria popolare e colta, e sosteneva che già nel X secolo esisteva un culto 
tipicamente femminile fatto di voli notturni, metamorfosi e di totale assenza dell’elemento 
diabolico, che faceva riferimento a una divinità femminile, Diana, Erodiade, Holda o 
Perchta, nomi diversi per indicare la stessa persona. In realtà in questi tipi di culto, le 
streghe apparivano però nemiche dei raccolti, anzi erano evocatrici di tempeste e 
distruzioni, di uomini e animali.  
In quest’opera Ginzburg indagava invece proprio un culto di fertilità, totalmente privo 
di connotazioni diaboliche, di gesti sacrileghi verso la fede o i sacramenti, il quale venne 
trovato in forme simili persino in Lituania, il che lo portò ad affermare una probabile ampia 
diffusione in Europa centrale di credenze simili
22
. Lentamente questo culto, nelle mani degli 
inquisitori, che accusavano i contadini di stregoneria e patti diabolici, si trasfigurò, 
configurandosi nell’immagine del sabba. Soggetto dell’opera fu quindi questo gruppo di 
contadini (le prime dichiarazioni spontanee risalgono alla fine del Cinquecento, in un’area 
attorno a Cividale del Friuli) friulani, dotati della caratteristica fisica di “essere nati con la 
camicia”, che affermavano di uscire la notte in forma di spirito, durante le quattro tempora 
23
, a cavallo di animali, armati di mazze di finocchio, per combattere streghe e stregoni 
                                                 
20
 Idem, p, IX. 
21
 Citato da Carlo Ginzburg in , I Benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino, 
ultima ed. 2002, p. XI. 
22
 Idem, p. XII. 
23
 Il periodo all’inizio inizio delle quattro stagioni, in cui si pregava e digiunava. Le quattro tempora cadono 
fra la terza e la quarta domenica di Avvento, fra la prima e la seconda domenica di Quaresima, fra Pentecoste 
e la festa della Santissima Trinità e generalmente la settimana seguente l'Esaltazione della Santa Croce, 14