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INTRODUZIONE
Ho incominciato a pormi il problema della tesi diversi mesi fa: le solite
domande che ogni studente si pone prima di cominciare questo tipo di lavoro:
“quale argomento mi interessa davvero?”, “a chi posso chiederla?”.
Il mio desiderio era di fare una tesi sul sogno, argomento bello e complesso che
mi ha sempre affascinato, ma di cui conoscevo poco.
Nel novembre del 2000 avevo partecipato agli incontri di “social dreaming”
condotti dal professor Gasseau. Questa esperienza era stata estremamente
coinvolgente sia per la modalità di conduzione, sia per il contesto suggestivo
nel quale si svolgeva, sia perché avevo avuto la possibilità di parlare
liberamente dei miei sogni.
Era inoltre per me la prima volta che i sogni erano considerati con attenzione,
sia come una manifestazione della nostra psiche, sia come elemento di
condivisione emotiva.
Per questo motivo ho deciso di rivolgermi per la tesi al professor Gasseau, che
peraltro già conoscevo come referente del gruppo “Il Faro”, di cui facevo
parte.
In uno dei primi incontri avuti, durante il quale gli avevo esposto alcune mie
idee, il professore, mostrandomi un libro che stava leggendo: “IL SOGNO
COME TERAPIA”, mi ha proposto di fare una tesi di laurea sull’autore, Carl
Alfred Meier. Non avevo mai sentito parlare di questo autore, non sapevo
assolutamente chi fosse, quando fosse vissuto e che importanza avesse nel
panorama della psicologia. Ma il titolo del libro mi aveva colpito.
Il sogno è uno di quegli argomenti di cui si sente parlare spesso un po’ da tutti,
perché in fondo “appartiene” a tutti. C’è chi sostiene di sognare poco, di non
ricordarsi i sogni e non attribuisce a questa “curiosa” attività della mente una
grande importanza.
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C’è invece chi, per un motivo o per l’altro, ha più confidenza con i sogni, li
ricorda spesso, impara a conoscerli, a vederne delle costanti e a trarne anche
indicazioni importanti.
In fondo, queste differenze di atteggiamento nascono da un diverso modo di
considerare una parte della psiche, quella inconscia, alla quale appartiene
l’attività onirica.
Anche per quanto riguarda la storia della psicologia, il sogno è stato
diversamente considerato. Da quando Freud, più di cent’anni fa, scrisse
“L’interpretazione dei sogni” (1899), quest’aspetto, pur rimanendo oggetto di
studio e di indagine, non ha coinvolto allo stesso modo psicologi e analisti
appartenenti a correnti teoriche differenti. E ciò vale ancora oggi.
Io sogno spesso, ho “imparato” a sognare nel corso degli anni, riuscendo a
ricordare molti sogni; in alcuni sogni ricorrenti ho colto dei segnali relativi a
intenzioni, paure, desideri che mi riguardano.
Ma il sogno rimane per me un mistero, ed è questo il motivo per cui ho
accettato volentieri di occuparmi di Carl Alfred Meier.
Ho cominciato quindi a leggere il libro che il professore mi aveva presentato,
facendomi una prima idea del pensiero di questo autore; ho letto in seguito gli
altri suoi libri tradotti in italiano.
Purtroppo esistono solo pochi libri di Meier tradotti in italiano, pubblicati dalle
edizioni Mediterranee.
La prima difficoltà che ho dovuto affrontare è stata dunque trovare altro
materiale che lo riguardasse.
Carl Alfred Meier è ancora poco conosciuto in Italia; fino al 1974, quando
aveva ormai settant’anni, di lui non si sapeva praticamente nulla, se non che
fosse uno dei tanti analisti allievi di Jung.
In quell’anno furono pubblicati sulla rivista “Il Minotauro”, alcuni suoi scritti
dai quali cominciò ad intuirsi l’importanza della figura di Meier per la
psicologia analitica.
Consigliato dal professor Gasseau, ho deciso di recarmi, verso la fine di
settembre dello scorso anno, all’Istituto Carl Gustav Jung di Zurigo, fondato
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più di cinquant’anni fa da Meier stesso, in collaborazione con Jung e con altri
analisti.
Ero convinto di trovare lì un’ampia documentazione: articoli, notizie sulla sua
vita, magari da persone che lo avevano conosciuto direttamente. Pensavo infatti
che, essendo morto da pochi anni, all’Istituto la sua persona fosse considerata
ancora un’istituzione.
Arrivato all’Istituto junghiano, mi sono accorto che le cose erano un po’
diverse. La responsabile della biblioteca conosceva a malapena il nome di
Meier e non sapeva dirmi molto di più. Mi ha fornito gentilmente il materiale
che possedeva sul “Professore”, in realtà molto poco e mi ha dato il recapito di
un’analista che probabilmente lo conosceva e poteva aiutarmi.
All’uscita dell’Istituto, abbastanza deluso, ho incontrato un uomo al quale ho
chiesto se per caso conoscesse il nome di Meier. Sapeva bene di chi stavo
parlando e mi ha accennato a non precisati “problemi interni” per i quali Meier
aveva abbandonato l’Istituto Jung già da tempo.
Questo chiariva in qualche modo il motivo la scarsa notorietà di cui godeva
Meier in quella sede.
Sono tornato quindi dalla Svizzera con pochi articoli scritti in inglese, qualche
notizia sulla sua vita, un indirizzo di un’analista svizzera che “forse” avrebbe
potuto aiutarmi e, visto il tenore di vita elvetico, un po’ di soldi in meno. Il mio
contatto con la Svizzera, a parte qualche altra telefonata, si è concluso così.
Avendo incontrato, nelle prefazioni dei libri di Meier, il nome del suo
traduttore italiano, prof. Francesco Paolo Ranzato, ho deciso di provare a
rintracciarlo personalmente. Così è stato. Sono andato a Roma per incontrarlo.
Il professor Ranzato, direttore della rivista “Il Minotauro”, curata dal Gruppo
Autonomo di Psicologia Analitica (G.A.P.A.), si è dimostrato entusiasta e
disponibile ad aiutarmi, contento oltretutto del fatto che finalmente qualcuno si
occupasse di questo analista, a suo avviso molto importante.
Oltre a parlarmi con affetto di questo personaggio che aveva conosciuto
personalmente, mi ha fornito diverso materiale che mi ha permesso di capire
meglio chi fosse Meier, di comprendere la funzione che ha avuto all’interno
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della psicologia analitica, i motivi del suo misconoscimento italiano e dei
problemi all’Istituto junghiano.
Il professor Ranzato e una sua collega, la dottoressa Sambati, da me intervistata
qualche mese dopo, sono stati per me un aiuto fondamentale.
Nel primo capitolo della tesi parlerò della vita di Meier, con particolare
riferimento al suo rapporto con Jung che lo conobbe presto, che lo considerò
sempre con molto affetto, tanto da designarlo suo diretto successore alla
cattedra del Politecnico di Zurigo e suo primo assistente in clinica.
Tratterò anche del periodo del nazismo in cui Meier fu coinvolto dalle accuse
di antisemitismo rivolte a Jung, sia sul piano personale, sia nel suo ruolo
ufficiale di segretario della Società Internazionale di Psicoterapia Medica.
Chiarirò la funzione dello stesso nella fondazione dell’Istituto C.G. Jung nel
1948 e i problemi avuti in seguito allo stesso Istituto; la fondazione della
“clinica del sogno” e gli anni di insegnamento al Politecnico di Zurigo.
Infine, parlerò dell’importanza avuta dopo la morte del Maestro, per quanto
riguarda la diffusione del suo pensiero, in patria ed all’estero e gli ultimi anni
di vita che lo videro lontano dalla ribalta della vita scientifica di Zurigo.
Il secondo capitolo è dedicato alla psicologia analitica attraverso l’opera di
Meier, a ciò che di originale questo autore ha portato all’interno dell’impianto
teorico junghiano, tanto da giustificare la definizione di “delfino” di Jung.
Affronterò in modo particolare il rapporto tra mente e corpo, psicologia e fisica
che tanto lo coinvolse nel corso della sua vita, anche per la profonda amicizia
con il fisico Wolfgang Pauli.
Tratterò della sua particolare visione psicosomatica, per la quale arrivò a
considerare la malattia come un evento sincronico, una “coincidenza
significativa” tra disturbo psichico e alterazione somatica, che non avviene per
caso, ma possiede sempre un suo fine.
Il terzo capitolo è dedicato al sogno terapeutico, il lavoro più originale di
Meier. Esso viene considerato sia dal punto di vista dei rituali di incubazione
che si svolgevano nei templi dedicati al dio greco della medicina, Asclepio, sia
da un punto di vista moderno, nell’ottica junghiana.
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Meier, che dei classici era un profondo conoscitore, trovò che esistevano
analogie tra gli antichi sogni di guarigione e alcune produzioni oniriche di
pazienti psichiatrici.
Partendo da una prospettiva junghiana, definì il sogno terapeutico come un
grande “sogno archetipico”, in grado di condurre il paziente verso la
guarigione. Per la psicologia analitica, i sogni archetipici segnalano bisogni
profondi della personalità e indicano in quale direzione cambiare.
Secondo Meier il sogno “che guarisce”, che è riconoscibile da precise
immagini simboliche, segna l’inizio della riconciliazione di parti psichiche in
conflitto.
Tratterò anche della sua modalità di interpretazione dei sogni e in particolar
modo delle differenze dalla prospettiva freudiana.
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capitolo 1
LA VITA
DI CARL ALFRED MEIER
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“Personalmente lo ricordo come un grande,
proprio perché umile, e quasi inconsapevole
del suo immenso valore.”
(Ranzato, in: Meier, ed. it. 1995, pag. 11)
1.1 I primi anni e l’adolescenza (1905- 1931)
1.1.1 La nascita e gli studi
Carl Alfred Meier nasce a Shaffausen (Sciaffusa), una piccola cittadina
svizzera dal carattere medievale, situata sul Reno, quasi al confine con la
Germania e non distante da Zurigo.
La sua data esatta di nascita è il 19 aprile del 1905, anche se nella
presentazione delle sue opere in italiano, compare come anno il 1907.
Questa discordanza è dovuta ad un errore del traduttore italiano dei suoi scritti,
Francesco Paolo Ranzato, che tuttavia ammette come in fondo Meier non fosse
affatto dispiaciuto di questa piccola imprecisione.
Fredy, come era chiamato dagli amici e dalla famiglia era figlio unico, il padre
e la madre, entrambi da lui sempre molto amati, nonostante definiti
“tipologicamente opposti”, lavoravano entrambi all’ospedale cantonale di
Schaffausen, rispettivamente come soprintendente e come governante capo.
Meier si trovò quindi, fin da piccolo a passare molto tempo in ospedale e
questo determinò in gran parte le sue scelte di vita.
In un intervista alla dott.ssa Maria Antonietta Sambati, tenuta nel 1994, un
anno prima della morte per la rivista “Il Minotauro”, Meier afferma che: “
abitavamo all’ospedale, sono stato tutta la mia gioventù tra i medici”. ( Meier,
1994, pag.3)
Il padre, di origini montanare, trasmise a Meier un profondo amore per la
natura portandolo spesso con sé nelle sue escursioni sulle colline intorno a
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Shaffaussen e, in seguito, gli insegnò a scalare ghiacciai nella Svizzera
centrale. Dalla madre imparò l’attenzione e il rispetto verso la sofferenza dei
malati gravi.
Frequentò, dopo le scuole medie, il liceo classico di Schaffausen.
Nonostante il suo grande amore per la biologia, Meier eccelleva un po’ in tutte
le materie e grande fu la sua preparazione nelle materie classiche, in
matematica, fisica e in musica. A sei anni cominciò infatti a suonare il piano e
negli anni del liceo si interessò molto alla musica lirica: grandi sue passioni
furono il Parsifal di Wagner e successivamente le opere di Verdi. Meier
cantava anche come tenore.
Grande fu anche la sua passione per il teatro, in particolare per Shakespeare.
Parlava fluentemente tedesco, francese, italiano e inglese, lingua questa che
imparò grazie al consiglio di Jung.
Lesse sempre moltissimo, sin da piccolo, e immensa dunque fu la sua cultura.
Probabilmente, come afferma il prof. Ranzato, la sua conoscenza dei classici
era addirittura superiore a quella di Jung. Una sua grande passione fu quella di
leggere l’opera di Omero in greco.
1.1.2 Il ruolo dell’acqua
La casa di Meier, di appartenenza dell’associazione dei pescatori, affacciava
sul fiume Reno.
Questo determinò il suo grande amore per l’acqua, con la quale ebbe sempre un
rapporto molto intenso. Amava nuotare, immergersi, tuffarsi, adorava il mare, i
laghi e i fiumi. Da piccolo nuotava 365 giorni all’anno nel Reno. Possedeva
anche una barca con la quale andava controcorrente fino al lago di Costanza,
per poi tornare a Schaffausen a tutta velocità. Ancora a pochi anni prima della
sua morte, compiva immersioni a Maratea in Italia, dove passò gran parte delle
sue estati. Da bambino fu portato dalla madre a Santa Margherita, vicino
Portofino e si innamorò del Mediterraneo.
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Questa passione per l’acqua lo coinvolse molto negli anni delle scuole
superiori quando, attratto dalle lezioni del suo insegnante di biologia, cominciò
ad interessarsi seriamente all’idrobiologia del fiume Reno, raccogliendo piccoli
organismi che poi osservava al microscopio.
Intorno ai 18 anni inoltre, Meier conobbe Max Auerbach, dell’università
tecnica di Karlsruhe, esperto di idrobiologia, che possedeva a Staad, sul lago
di Costanza, un istituto limnologico.
Meier, già esperto a quell’età di fauna marina, lavorò come assistente del
professor Auerbach per alcune estati.
Questi incontri con l’ambiente marino, risultano essere particolari influenti
nella sua formazione, in quanto l’acqua ebbe ad assumere un significato
fondamentale durante tutta la sua vita. Non a caso, anni dopo, definirà il mare
il simbolo per eccellenza dell’inconscio.
Al termine del liceo, Meier decise di iscriversi alla facoltà di biologia di
Zurigo. Il rettore dell’università gli consigliò tuttavia di frequentare prima per
quattro semestri i corsi di medicina della scuola di Zurigo, considerati per un
biologo la preparazione più adatta.
Nello stesso periodo gli fu offerto, da un amico di Auerbach, l’incarico di
direttore dell’istituto di Biologia Marina a Rovigno d’Istria, sul mare adriatico.
Questa proposta gli creò gioia ma allo stesso tempo difficoltà: Meier si trovò
costretto a dover sceglier tra la grande opportunità italiana e il corso di studi in
biologia.
Furono poi gli incontri con Jung a determinare la sua scelta.
1.1.3 I primi incontri con Jung
Il primo incontro tra Jung e Meier avvenne quando quest’ultimo aveva solo
diciotto anni.
In quel periodo frequentava il quarto anno di liceo ed era amico dell’allora
tredicenne Marianne, la quarta dei cinque figli di Jung ed Emma
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Rauschenbach. Fu a casa loro, proprio durante una festa della figlia, che Fredy
conobbe il grande analista di Kesswill.
Meier, sebbene ancora molto giovane, aveva appena terminato di leggere “Tipi
Psicologici” , il libro più conosciuto e complesso di Jung.
Quell’incontro così viene raccontato da Thomas Patrik Lavin (1989, pag. 420):
“Quando Jung entrò nella stanza per conoscere gli ospiti di sua figlia,
Marianne Jung disse: “Padre, questo è il ragazzo di cui ti ho parlato.
Si chiama Fredy Meier e ha appena terminato di leggere il tuo libro
Tipi psicologici.”
Jung guardò il ragazzo diciottenne e disse: “ Cosa ne pensa del libro?”
Meier rispose: “Professore, sono rimasto assolutamente affascinato dal
suo libro sulla tipologia psicologica”.
“Mi può spiegare perché?” chiese Jung.
“Ebbene”, Meier rispose, “mi pare che questo libro contenga un
sistema completo delle dinamiche della psiche umana”.
Jung rimase allibito di fronte a questo ragazzo di diciotto anni e disse:
“Meier, lei è la prima persona che conosca che abbia realmente
compreso il significato di questo libro”.
Fredy aveva fatto a Jung un impressione straordinaria, che questi non
avrebbe più dimenticato”.
Il secondo incontro con Jung fu quello decisivo per il futuro di Meier.
Nell’estate precedente all’inizio dell’università, Meier, ancora incerto
dell’indirizzo da seguire, parlò con Marianne dei suoi dubbi al proposito.
Marianne gli consigliò di parlarne con suo padre che lo avrebbe aiutato a
scegliere. Organizzò così un incontro a Bollingen, sul lago di Zurigo, residenza
estiva della famiglia.
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Così Meier racconta come andò (1994, pag.4):
“Lei mi diceva: “Tu devi vedere papà!”. E ha fatto di tutto perché
l’incontrassi. Sono andato a Bollingen e l’ho visto lì. E lui, la prima
frase che mi ha detto è stata: “Ti ricordi dei sogni dell’infanzia?”, ed
io ho detto: “Sì, sì, mi ricordo benissimo, ho sempre avuto lo stesso
sogno di esseri viventi in acqua, di meduse con le braccia, di animali di
tutti i colori che galleggiavano…”. Jung disse: Allora si vede
chiaramente che lei si interessa della vita dell’ inconscio”. E mi fece
diventare analista. Io mi ero già iscritto all’università, alla facoltà di
medicina, perché il professore di zoologia, di cui ho parlato, mi aveva
detto: “ per un biologo i primi quattro semestri di medicina sono la
preparazione più adatta”. Allora Jung aggiunse: “Vada a studiare
medicina, poi vada a Burghölzli per studiare psichiatria, durante
questo periodo verrà da me in analisi e quando avrà finito potrà
diventare mio assistente. Poi potrà anche fare la professione e farsi
pagare 20 franchi all’ora”. Io ho pensato: “Magnifico!”. Ed è andata
così, esattamente secondo il suo programma”. [...]
1.1.4 Gli anni dell’università
Fu così che nell’autunno del 1924, Meier cominciò i suoi studi di medicina e,
in contemporanea la sua analisi con Jung.
Pur permanendo per tutta la vita la sua passione per la biologia, dopo il quarto
semestre universitario decise che sarebbe diventato medico e non biologo.
Durante gli studi in medicina, Meier ebbe modo di recarsi diverse volte
all’estero, in Francia e a Vienna. Qui ebbe la possibilità, prima di assistere ad
alcuni seminari tenuti da Freud e poi, dopo avergli scritto una lettera di
ringraziamento, di incontrarlo personalmente per discutere con lui di alcuni
contrasti teorici tra la sua teoria e il pensiero di Jung.