Ai miei genitori 
 
 
 
A tutte le stelle, che, nelle notti della 
vita, hanno illuminato questo cammino 
 
 
 
 
 
 
 
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ABSTRACT  
 
Sono state determinate per via analitico-strumentale (GC-ECD) le concentrazioni di 
Policlorobifenili (PCB) presenti nel fegato (F), nel grasso (G) e nel muscolo (M) di  n° 9 
esemplari di tartaruga marina "Caretta caretta" provenienti dall'Adriatico meridionale. Tutti i 
campioni sono risultati contaminati da PCB a differenti livelli qualitativi e quantitativi, così 
come evidenziato dal riepilogo dei risultati delle analisi in tab 1-5. Non sono stati comunque 
rilevati bassi valori di contaminazione. La media totale dei PCBs espressa in ng/g di campione è 
risultata di 178,03 ng/g nel grasso (G), di 14,43 ng/gr nel fegato (F) e 29,09 ng/gr nel muscolo 
(M). I campioni n° 2 e n° 4 è  sono risultati rispettivamente con il livello di contaminazione più 
bassa e alta nel totale, mentre i campioni n° 9 e n° 8 sono risultati contenere rispettivamente il 
minore (60) ed il maggiore (90) numero di congeneri differenti. 
 
We detected concentrations of polychlorinated biphenyls (PCB) into the liver (F), into the fat (G) 
and into the muscle (M) of n° 9 loggerhead sea turtles "Caretta caretta" from the southern 
Adriatic sea. All analized samples contained various concentrations of PCB at variable 
qualitative and quantitative levels,  as explained in tables n° 1-5. However we have not detected 
low levels of PCBs contamination. The average of the total PCB concentrations, expressed in 
nanograms per grams wet weight, was 178,03 ng/g  in fat (G), 14,43 ng/gr in liver (F) and 29,09 
ng/gr in muscle (M). Samples n° 2 and 4° are with the minimum and the maximum 
contamination level, and samples n° 9 and n° 8 included the minimum (60) and the maximum 
(90) congenerous type. 
 
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INTRODUZIONE E SCOPO DEL LAVORO  
 
La contaminazione ambientale è un problema che desta ormai una sempre maggiore attenzione 
da parte di governi, di istituti di ricerca pubblici e privati, nonché di organizzazioni no profit. 
Pertanto tali enti predispongono azioni di controllo e monitoraggio a riguardo della presenza e 
persistenza in ambiente di tutte quelle sostanze di natura biologica e/o chimico-fisica che una 
volta prodotte e immesse nel territorio, rappresentano inevitabilmente un insulto per l'ecosistema 
stesso, compresi gli animali e l'uomo che ne fanno parte. Un mancato monitoraggio della 
presenza di tali sostanze, al fine di mantenere accettabile l'impatto ambientale che determinano, 
porta spesso a situazioni che nel tempo assumono aspetti drammatici; di esempio sono i tanti 
Paesi in via di sviluppo, caratterizzati dalle economie galoppanti ma dalla scarsa o nulla 
attenzione verso le problematiche ambientali, che troppo frequentemente occupano la cronaca 
con incidenti o con notizie di contaminazioni che causano la presenza e persistenza di inquinanti 
in ambiente. Circa lo specifico tema trattato in questo lavoro è essenziale che ci sia un adeguato 
coinvolgimento anche di tutti quei Paesi (compresa l’Italia) che negli anni addietro hanno 
prodotto, utilizzato e disperso in ambiente importanti quantitativi di PCB (bifenili policlorurati), 
considerando che tali sostanze sono fortemente persistenti in ambiente, trasportabili su lunghe 
distanze e capaci di biomagnificarsi nelle catene trofiche nonché di bioaccumularsi nei tessuti 
animali e dell’uomo.  
Proprio queste particolari peculiarità, nonché l’elevata tossicità che le caratterizza rendono 
l'argomento PCB assolutamente attuale anche a distanza di oltre venti anni dalla loro messa al 
bando. Strettamente dipendente dall’inquinamento delle acque è il fenomeno di contaminazione 
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da inquinanti dei tessuti delle specie animali presenti nei nostri mari. Tale contaminazione, 
nonché gli effetti determinati sull’organismo, rappresentano un motivo di minaccia per tutte le 
specie animali (compreso l’uomo) in particolare per quelle situate ai vertici della catena trofica 
Una tra queste è certamente la Caretta caretta, la cui sopravvivenza nei mari oggi è fortemente 
minacciata. Per via delle sue abitudini pelagiche ed erratiche tale animale non può essere 
considerato un bioindicatore dell’ambiente marino, ma a ragione della sua longevità rappresenta 
sicuramente uno dei maggiori rilevatori dello stato di salute del mare e delle coste sotto il profilo 
del degrado e dell’inquinamento (Basso, 1992). Risulta pertanto interessante indagare se e quali 
PCB sia possibile ritrovare nei tessuti di questo animale. Il presente lavoro si propone di 
analizzare la presenza di PoliCloroBifenili in grasso, fegato e muscolo di esemplari di tartaruga 
marina Caretta caretta quantificandoli e discriminando qualitativamente i relativi congeneri. Si 
intende pertanto, anche per mezzo di questo lavoro, far comprendere meglio l’odierna condizione 
determinata dalla diffusione e permanenza in ambiente acquatico dei PCB, al fine di trarre le 
opportune conclusioni e considerazioni sul già preoccupante stato di salute del "nostro" mare; 
quello che con le nostre famiglie siamo soliti vivere in estate, quello che sfruttiamo ai fini 
commerciali e gastronomici, il mare che ogni giorno entra a far parte della nostra vita, in quanto 
esso stesso parte fondamentale ed insostituibile del nostro bistrattato ecosistema. 
 
 
  
 
 
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PARTE 1: I POLICLORO BIFENILI 
 
 
 
Cenni storici  
I PoliCloroBifenili (PCB) sono composti chimici artificiali. La sintesi in laboratorio della prima 
molecola di PCB si deve a Griefs, nel 1867, in Germania (Tumiatti e Nobile, 1985), anche se la 
scoperta dell’applicazione industriale avvenne negli USA sul finire degli Anni Venti, ad opera 
della industria agro-chimica Swamm, poi assorbita dalla Monsanto. Successivamente, in poco 
più di trenta anni, vennero brevettati e prodotti su scala industriale. La risposta commerciale ai 
nuovi composti fu da subito importante, tanto che il brevetto venne concesso nei principali Paesi 
industrializzati (Giappone, Germania, Inghilterra, Francia, Italia e Spagna) ognuno per una 
singola industria rappresentativa (Ruzzenenti, 1993). Il percorso che portò a considerare i PCB 
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come sostanze inquinanti e pericolose cominciò nel 1966 in Svezia, dove avvenne la prima 
identificazione di residuo negli uccelli selvatici, ad opera di Jensen, inizialmente identificata 
come "sostanza X", in quanto la molecola non era stata ancora riconosciuta. Nel 1967 iniziarono 
le ricerche sulle molecole PCB ad opera della FDA (U.S. Food and Drug Administration), e nel 
1969-1970, a seguito di ulteriori specifiche indagini, la stessa FDA stabilì i primi limiti di 
tolleranza delle contaminazioni da PCB negli alimenti, fissati in 0,2 ppm per il latte e 0,5 ppm 
per le carni ed il pesce (Tumiatti e Nobile, 1985). Fu questa una prima presa di coscienza del 
fatto che oramai i PCB erano a tutti gli effetti sostanze da annoverare  fra i contaminanti 
ambientali. I primi paesi a sospenderne la produzione furono il Giappone nel 1972, gli Stati Uniti 
nel 1977, la Germania nel 1983, l’Italia nel 1984 (Fieldler, 2001). La produzione di queste 
molecole è terminata definitivamente nel 1989 (Schüürmann, 1997). Per ciò che concerne il 
nostro Paese, la prima azienda produttrice nel 1938 fu la Caffaro di Brescia, un’industria chimica 
produttrice di soda caustica, composti organici, cloro e suoi derivati sorta nel 1906 (Ruzzenenti, 
1993). Da tale produzione derivò un forte inquinamento ambientale che, per ovvi motivi, si 
estese anche alla catena alimentare colpendo tutta la popolazione circostante la zone industriale. 
Ciò provocò una anomala incidenza di tumori che ancora oggi si registra a Brescia, collocandola 
al vertice per tassi di incidenza di tumori rispetto ai dati degli altri registri tumori italiani. La 
produzione della Caffaro fu definitivamente interrotta poi nel 1984 (www.emergenzeiss.it). 
Diversi sono stati, in circa 70 anni, gli incidenti che hanno visto tristemente protagonisti i PCB. 
La prima contaminazione di massa avvenne in Giappone nell'ottobre del 1968 a Kyushu, dove 
ben 31 mila persone furono contaminate tramite olio di riso venuto a contatto con una perdita 
 9 
proveniente da uno scambiatore di calore (Tumiatti e Nobile, 1985). Lo stato patologico che ne 
derivò fu definito "Yusho" (in giapponese Yu significa olio e Sho significa malattia). Un simile 
avvelenamento da PCB si verificò anche a Taiwan e fu denominato "Yu-Cheng"; i segni 
principali erano lesioni dermiche e oculari, ma altri sintomi, quali la comparsa di irregolarità 
mestruali, furono attribuiti all'azione dannosa dei PCB sul sistema endocrino. L'aspetto più 
tragico di queste due patologie fu l'esposizione dei bambini ai PCB (www.emergenzeiss.it). 
Ancora, nel 1971 in North Carolina, un’ avaria ad un macchinario che utilizzava come 
scambiatore di calore olio a base di PCB causò la contaminazione di una importante quantità di 
farina di pesce per l’alimentazione dei polli (Siniscalco et al., 1977). Le carni risultarono 
contaminate da quasi 27 ppm, ma fortunatamente non giunsero al consumo umano. E più di 
recente si ricorda la contaminazione da PCB e diossina avvenuta in Belgio nel 1998 per un fatale 
scambio di fusti contenenti olii idraulici destinati allo smaltimento con fusti di olii vegetali 
esausti da friggitoria destinati alla produzione di mangimi per polli (Van Larebeke et al., 2001). 
Allo stato attuale nonostante la produzione e l’utilizzo siano cessate oramai da tempo, i PCB si 
possono ancora rilevare in ogni parte del globo: dall’aria, alle acque (superficiali e profonde), ai 
terreni e seppur in piccolissime dosi, praticamente in ogni organismo vivente (Van Larebeke, 
2001). 
 
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La molecola dei PCB  
 
 
 
Chimicamente i PCB (C12H10-nCl, con n compreso tra 1 e 10) sono classificati come idrocarburi 
clorurati non polari con nucleo bifenilico e sostituzione degli atomi di idrogeno (da 1 a 10) con 
atomi di cloro (Ruzzenenti, 2003). Nello specifico si formano a temperature superiori ai 750°C, 
quando il benzene, in presenza di piombo come catalizzatore, reagisce formando bifenili. Questo 
per reazione con cloro gassoso e in presenza di FeCl3 come catalizzatore, dà origine a 
cloroderivati per sostituzione degli atomi di H. Quanto maggiore è la quantità di Cl2, tanto più 
lunga sarà la durata della reazione e tanto maggiore il grado di clorurazione con formazione dei 
PCB (www.csgi.unifi.it). La sostituzione può avvenire teoricamente in tutte e dieci le posizioni 
(Apostoli et al., 2009). La loro particolare struttura consente di discriminare le molecole in 
funzione del diverso numero di atomi di cloro e della loro posizione (Ruzzenenti, 2003) 
rendendo possibile quindi la classificazione e la nomenclatura, e ricavando il peso molecolare di 
ogni congenere (Silcher et al., 2007). In passato sono state proposte varie classificazioni; ai 
giorni nostri quella maggiormente utilizzata nel campo della ricerca è quella, riconosciuta dalla 
IUPAC, di Ballschmiter e Zell (1980) che assegna un numero progressivo da 1 a 209 ai singoli 
congeneri a seconda del minor o maggior grado di clorurazione (Pavan et al., 2003), il quale è