Una separazione è definita solido-liquido quando un soluto si distribuisce tra un
liquido e una fase solida. Questo è il tipo di separazione sfruttata in cromatografia
liquida (LC).
Similmente i vapori stabiliscono un equilibrio tra gas e fase solida (gas
cromatografia, GC), o tra gas e fase liquida (cromatografia liquido-gas, GLC).
1.2 La gascromatografia [2] [3] [4]
Il concetto di gascromatografia comparve per la prima volta nel 1941, ma solo nel
1952, grazie ai lavori di Martin e James si diede valore a questa metodica.
Nel 1955 fu messo in commercio il primo gascromatografo. Grazie alla sensibilità
e all’accuratezza di tale tecnica ne seguì un enorme successo che comportò una
rapida diffusione di questo tipo di analisi. In gascromatografia la fase stazionaria è
rappresentata da un liquido altobollente (GLC = cromatografia liquido-gas), o da
un solido (GSC = cromatografia solido-gas); sulla superficie della fase stazionaria
eluisce la fase mobile gassosa. La risoluzione dei picchi di un cromatogramma
dipende da parametri analitici quali: l’efficienza, la selettività e la risoluzione.
L’efficienza è un parametro legato alla dimensione della banda cromatografica
della sostanza eluita ed è inversamente proporzionale alla sua ampiezza: più
stretto e affilato è il picco, maggiore è l’efficienza. Si può definire l’efficienza
separativa di una colonna sfruttando un concetto sviluppato nella distillazione
frazionata: il “numero di piatti teorici“ (N), che deriva dal rapporto tra la lunghezza
della colonna (L) e l’altezza di ogni singolo piatto (HETP). L’altezza del piatto è un
concetto puramente teorico: indica la lunghezza del segmento di colonna in cui la
distribuzione del soluto tra la fase mobile e quella stazionaria raggiunge una
condizione di equilibrio; maggiore è il numero di piatti teorici, più elevata è
l’efficienza di separazione della colonna.
L’HETP non è fissa e può essere caratterizzata dall’equazione di Van Deemter. La
forma semplificata dell’equazione è la seguente:
HETP = A + B/v + C x v
Tale equazione mette in relazione il valore di HETP in funzione dei seguenti
parametri:
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• A: parametro che rappresenta l’effetto Eddy, dovuto alla possibilità di
percorsi multipli in colonna all’interno della fase stazionaria, attribuibile alla
sua porosità e ad un impaccamento poco uniforme; ciò comporta che
molecole della stessa sostanza eluiscano in tempi leggermente diversi;
• B/v: parametro che dipende dalla viscosità della fase mobile e indica la
diffusione del soluto al suo interno;
• C x v: effetto cinetico dovuto al passaggio non sufficientemente rapido del
soluto tra fase mobile e fase stazionaria;
• v: velocità della fase mobile.
La selettività, invece, è la capacità di un sistema cromatografico di separare
specie chimiche differenti, che eluiscono in tempi e a velocità diversi, in funzione
della natura della fase stazionaria. Lo scopo è di ottenere picchi che rappresentino
un unico composto.
La selettività dipende da forze chimico-fisiche d’interazione dei soluti con la fase
stazionaria e dalla loro migrazione differenziale.
Il fattore di separazione α esprime la selettività di una fase nei confronti di una
coppia critica di composti:
α = t
R2
/t
R1
dove t
R
è il tempo di ritenzione di ognuno dei due composti in colonna: quando la
differenza tra i t
R
è alta, anche α sarà elevato.
Una colonna è tanto più selettiva nei confronti di due soluti quanto maggiore è la
loro migrazione differenziale, ossia quanto maggiore è la differenza di energia con
cui i due soluti sono trattenuti dalla colonna, poiché la selettività dipende dalle
forze chimico-fisiche attraverso le quali un soluto interagisce con la fase
stazionaria.
La risoluzione viene determinata in base ai tempi di ritenzione degli analiti (t
R
) e
alle ampiezze dei picchi (w), come risulta dalla seguente equazione:
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R = 2 t
m
[t
R1
– t
R2
]/ w
1
+ w
2
•
tm: tempo morto, ovvero il tempo di migrazione di un analita che non
interagisce con la fase stazionaria
•
t
R1
e t
R2
: tempi di ritenzione degli analiti 1 e 2 rispettivamente
•
w
1
e w
2
: ampiezze dei picchi.
Figura 1: Risoluzione di un cromatogramma [3]
Lo strumento è costituito da:
• un sistema di iniezione posto a un’estremità della colonna
• una colonna cromatografica
• un rivelatore o detector posto all’altra estremità della colonna
• un forno per termostatare la colonna.
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Figura 2: Schema di un gascromatografo: 1-bombola contenente il gas-carrier; 2-iniettore;
3-colonna; 4-detector; 5-sistema di integrazione [4].
Il campione da analizzare è introdotto nella colonna tramite l’iniettore ed è
trasportato attraverso il sistema da un gas inerte (ad esempio: idrogeno, azoto o
elio). I differenti componenti della miscela eluiscono in tempi diversi, in base alle
interazioni con la fase stazionaria; esiste una proporzionalità diretta tra il grado di
interazione e il tempo di eluizione. Laddove il componente manifesti affinità
elevata per la fase stazionaria, il tempo di eluizione sarà maggiore e viceversa.
Alla eluizione delle molecole segue l’identificazione ottenuta tramite il rivelatore.
L’analisi gascromatografica è applicabile alle sostanze con volatilità medio-alta,
poiché il sistema di trasporto è gassoso.
L’iniettore deve consentire l’ingresso di minime quantità di campione (nell’ordine
dei nanolitri), che ricalchino la composizione della miscela di partenza.
I sistemi di iniezione più utilizzati sono:
• SPLIT/SPLITLESS: il sistema di iniezione più adottato è lo split, che tramite
un meccanismo di selezione (lo splitter) invia in colonna solo una piccola
frazione del campione iniettato. Lo splitter è costituito da una camera di
iniezione termostatata a elevata temperatura in cui il campione evapora
rapidamente e si miscela col gas di trasporto. L’iniezione in modalità
splitless si effettua chiudendo la valvola di split, ovvero facendo entrare in
colonna quasi tutto il campione iniettato. Dopo circa un minuto la valvola di
split si riapre in modo che la sensibilità nei confronti del campione iniettato
aumenti.
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• ON COLUMN: è un sistema di iniezione a freddo che permette di effettuare
l’iniezione direttamente in colonna senza preventiva vaporizzazione del
campione. Durante l’iniezione l’ago entra nella colonna, chiude la colonna
stessa evitando l’uscita di parte delle molecole, vi deposita il campione
subendo l’azione del sistema di raffreddamento, che mantiene la
temperatura della colonna al di sotto del punto di ebollizione del solvente,
onde evitarne l’evaporazione. Successivamente si ha l’innalzamento rapido
della temperatura della camera del forno, che provoca un’evaporazione
selettiva del solvente: per primo evapora il solvente, i soluti si concentrano
nella parte restante di solvente, evaporata la quale iniziano la corsa
cromatografica. Tra i vantaggi di questo metodo risulta importante la
possibilità di analizzare sostanze termolabili, che nella camera dell’iniettore
split subirebbero una degradazione termica; inoltre il volume del campione
iniettato è più preciso, in quanto il solvente non vaporizza e l’ago della
siringa non si svuota, fenomeno che, invece, si verifica nell’iniezione a
caldo.
Le colonne gascromatografiche sono di due tipi:
• impaccate, la cui fase stazionaria è rappresentata da un supporto
solido costituito da polimeri inerti (per esempio polietilenglicole o
silossani) ad alta superficie specifica, al quale può essere adsorbito
un sottile strato di liquido. Le colonne sono in acciaio, nichel o vetro,
con diametro interno compreso tra 3 e 6 mm e lunghezza da 1 a 5
metri. Oggi il loro utilizzo è poco diffuso e spesso limitato alle
separazioni preparative.
• capillari, con lunghezza compresa tra 5 e 50 m (in alcuni casi anche
100 m), con un diametro interno tra 0,2 e 0,5 mm; possono essere di
metallo, ma le più utilizzate sono di vetro o silice fusa. La fase
stazionaria riveste, in un film sottile (spessore tra 0,1 e 1 µm), la
superficie interna della colonna. Il loro potere separativo è
notevolmente superiore rispetto a quello delle colonne impaccate: si
può infatti arrivare fino a 50000 piatti teorici per metro, contro 800-
1000 in media.
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Le colonne capillari si distinguono a loro volta in:
• OTC (open tubular column), sono di più ampia applicazione, costituite da
lunghi tubi capillari in silice fusa o vetro che possono essere lunghi fino a
100 m con diametro interno dell’ordine dei nanometri. Generalmente la
silice ha un rivestimento esterno in poliimmide, in grado di resistere a
temperature fino a 350°C. Tale rivestimento ha la funzione di supporto
strutturale e protezione dall’umidità atmosferica e aumenta la flessibilità
della colonna. All’interno di questi capillari, adesa alla parete, si trova la
fase stazionaria, in base alla quale si distinguono tre categorie di colonne:
• WCOT (wall coated open tubular), con fase stazionaria liquida,
• SCOT (support coated open tubular), con fase stazionaria liquida adesa a
un supporto solido,
• PLOT (porus-layer coated open tubular), in cui la fase stazionaria è solida.
La pressione per unità di lunghezza in una colonna aperta è di parecchi ordini di
grandezza superiore a quella esercitata in una colonna impaccata. Questo
accorgimento permette un utilizzo di pressioni più basse, con conseguente
miglioramento della separazione.
La funzione del rivelatore è quella di tradurre istantaneamente il rilevamento
dell’eluato in un segnale elettrico, che viene trasmesso ad un sistema di
integrazione.
Si può fare una distinzione tra:
• FID (Flame Ionization Detector) sfrutta una fiamma alimentata da
combustione di idrogeno e aria; la fiamma è immersa in un campo elettrico
con differenza di potenziale di 300 V. Il campo elettrico è responsabile della
ionizzazione delle molecole che fuoriescono dalla colonna cromatografica;
gli ioni formati si raccolgono sull’elettrodo producendo un segnale elettrico.
Questo sistema è estremamente sensibile, ma ha lo svantaggio di
distruggere il campione e di non essere selettivo.
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Figura 3: Rilevatore a ionizzazione di fiamma (FID) [4]
I cambiamenti nella corrente all'interno della fiamma sono misurati e trasmessi al
computer e sono visualizzati come picchi sul cromatogramma. Tranne che per
pochi composti organici (ad esempio monossido di carbonio) il detector a
ionizzazione di fiamma rileva tutti i composti contenenti atomi di carbonio fino al
livello del nanogrammo.
• TCD (Thermal Conductivity Detector) non risulta molto sensibile, rispetto
agli altri rivelatori, ma ha il vantaggio di essere non specifico e non
distruttivo.
• ECD (Electron Capture Detector) sfrutta una fonte di elettroni in grado di
ionizzare parte del gas di trasporto, generando una corrente tra due
elettrodi; le molecole organiche che contengono gruppi elettronegativi
(come gli alogeni, il fosforo, i nitro-gruppi) catturano gli elettroni provocando
la diminuzione dell’intensità di corrente misurata dagli elettrodi.
• FPD (Flame Photometric Detector) è utilizzato per la determinazione di
sostanze contenenti zolfo e fosforo e sfrutta le reazioni di
chemiluminescenza che hanno luogo quando le sostanze contenenti zolfo e
fosforo interagiscono con una fiamma di idrogeno e aria.
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• NPD (Nitrogen-Phosphorus Detector) è specifico per sostanze contenenti
fosforo e azoto; la fiamma del FID è sostituita da una piccola sfera di
silicato di rubidio riscaldata che emette ioni al passaggio di sostanze
contenenti fosforo e azoto. Gli ioni raccolti in un collettore producono quindi
una corrente elettrica.
1.3 La gascromatografia bidimensionale [5] [6] [7] [8]
La gascromatografia classica non sempre permette una soddisfacente
separazione di miscele complesse perché non ha un elevato potere risolutivo. Un
nuovo approccio è rappresentato dalla 2D-GC (gascromatografia bidimensionale)
o GCxGC, comparsa per la prima volta in letteratura nel 1992: da quel momento in
poi le pubblicazioni su tale argomento sono cresciute così rapidamente quanto il
numero di ricercatori che hanno iniziato ad esplorare questo tipo di analisi, le sue
varianti e le sue tecniche. Le basi di questa tecnica innovativa non sono molto
diverse da quelle che si applicano alla GC capillare.
La gascromatografia bidimensionale è una tecnica di separazione
multidimensionale in cui il potere di risoluzione di due colonne è applicato ad
alcuni, o a tutti, i componenti di un campione. In realtà questo non è un concetto
del tutto nuovo, dal momento che erano state utilizzate colonne multiple nella
separazione di campioni complessi, potendo disporre di un gran numero di fasi
stazionarie diverse. Ci si rese presto conto che per velocizzare l’operazione
sarebbe stato necessario disporre di un’unica fase stazionaria in grado separare
quasi tutte le classi di composti: così iniziarono a comparire le prime colonne
costituite da miscele di fasi stazionarie impaccate in cui il contributo di ciascuna
dipendeva dalle sue proporzioni nella miscela.
La gascromatografia bidimensionale è l’ultima tappa di questa “rivoluzione”.
Un 2D-GC è costituito da due colonne con diversa modalità di ritenzione, collegate
in serie: nella soluzione adottata da Thermo Finnigan, sistema utilizzato in questo
lavoro di tesi, la prima è lunga 30 metri, ha un diametro interno di 0,25 mm e uno
spessore della fase stazionaria di 0,25 µm; la seconda è lunga 1 metro, ha un
diametro interno di 0,1 mm e uno spessore del film di 0,1 µm.
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