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tumorale possa raggiungere dimensioni critiche.
La teoria dell’immunosorveglianza fu inizialmente sostenuta dal
riscontro sulla superficie cellulare di tumori sperimentali di antigeni di
istocompatibilità tumore-specifici (TSTA, Tumor Specific Transplantation
Antigen), in grado di provocare il rigetto di tumori innestati in animali
preimmunizzati mediante innesto di tumore seguito da ablazioni
chirurgiche, oppure mediante inoculo di cellule tumorali uccise.
Successivamente la teoria dell’immunosorveglianza nella sua formulazione
originale fu messa in crisi dalla dimostrazione che i TSTA, e con loro una
reazione immunitaria specifica antitumorale, sono espressi sulla superficie
cellulare di tumori sperimentali indotti da virus e da sostanze chimiche,
mentre non sono espressi su quelle di tumori spontanei dell’animale e
dell’uomo.
L’ipotesi che le cellule delle neoplasie spontanee, pur incapaci di
suscitare una forte reazione di rigetto, debbano differire da quelle normali
per qualche caratteristica immunologicamente evidenziabile è tuttavia
sopravvissuta al declino della teoria dell’immunosorveglianza.
E’ attualmente noto che in molti casi di tumori umano le cellule
neoplastiche differiscono da quelle normali non perché posseggono
antigeni assolutamente specifici per il tumore, ma perché presentano sulla
loro superficie forme molecolari presenti sulle cellule normali solo in
particolari fasi di differenziazione o in particolari tessuti. Contro queste
proteine, denominate complessivamente antigeni tumore-associati (TAA,
Tumor Associated Antigen), si può sviluppare una risposta immunitaria
come dimostrato dal riscontro, nel sangue periferico di pazienti con tumore,
di T linfociti capaci di reagire con peptidi derivati da tali antigeni. La
reazione immune ed infiammatoria che ne deriva, documentata dalla
6
frequente presenza di infiltrati di linfociti, macrofagi e granulociti, è
tuttavia generalmente debole ed inefficace.
1.2 Immunogenicità dei tumori
Sebbene i tumori derivino da tessuti autologhi, essi esprimono sulla
superficie cellulare molecole riconosciute come estranee al sistema
immune. Questo avviene a causa dell’elevata frequenza di mutazioni che
caratterizza le cellule neoplastiche, oppure a causa dell’espressione
deregolata di geni normali che portano alla produzione di proteine non
mutate. Inoltre, i tumori causati da virus trasformanti (o oncògeni) possono
esprimere proteine virali, per lo più proteine nucleari, che hanno un ruolo
nel mantenimento dello stato trasformato (canceroso). [Roitt I. et al., 2000]
I prodotti di geni mutati, deregolati o virali possono essere
riconosciuti come estranei dai linfociti T o B, in quanto essi non erano
espressi sui tessuti autologhi precedentemente allo sviluppo del tumore, o
erano espressi a livelli sufficientemente bassi da non indurre tolleranza.
Queste proteine possono pertanto stimolare risposte immuni specifiche
contro le cellule tumorali.
Alternativamente, i prodotti di geni mutati o deregolati possono
determinare la sintesi anormale di molecole non proteiche, quali carboidrati
e lipidi, che possono essere riconosciuti come antigeni tumorali dai linfociti
B. Inoltre, proteine di membrana espresse sui tumori in mancanza di
molecole MHC di classe I possono funzionare come bersaglio per cellule
effettrici dell’immunità innata, come le cellule NK.
Gli antigeni tumorali possono essere classificati in base al profilo di
espressione.
7
Il primo gruppo comprende gli antigeni tumore-specifici (TSA,
Tumor Specific Antigen) che sono espressi esclusivamente su cellule
tumorali e che sono quindi potenzialmente in grado di evocare una risposta
immune spontanea dell’ospite in quanto riconosciuti come antigeni
estranei.
Il secondo gruppo comprende gli antigeni tumore-associati (TAA,
Tumor Associated Antigen) che, invece, sono espressi anche su cellule
normali ma che compaiono sulla superficie delle cellule tumorali in modo
abnorme per quantità, sede e tempo; essi soltanto raramente inducono una
risposta immune dell’ospite in quanto nei loro confronti esso è
generalmente tollerante.
I tipi principali di antigeni tumorali appartenenti al gruppo dei TSA sono:
• Prodotti di oncogeni mutati: gli oncogeni cellulari, o c-onc o proto-
oncogeni, sono sequenze di DNA analoghe a quelle degli oncogeni
virali, o v-onc. La loro funzione primaria sembra essere quella di
intervenire nella regolazione della crescita e del differenziamento
cellulare. I proto-oncogeni possono essere alterati per mutazioni
puntiformi, delezioni o traslocazioni cromosomiche indotte da
carcinogeni, così da formare oncogeni i cui prodotti posseggono
attività trasformante. Le mutazioni a livello di alcuni oncogeni sono
ricorrenti in molti tumori diversi, presumibilmente perché solo
alcune mutazioni conferiscono un vantaggio di crescita alle cellule:
un tipico esempio sono le mutazioni nella posizione 12 della proteina
p21 ras, riscontrabili in circa il 10 % dei carcinomi mammari. [Shu
S. et al., 1997]
• Prodotti di geni oncosoppressori mutati: i geni oncosoppressori
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codificano per proteine coinvolte nella normale crescita e
differenziazione cellulare. Mutazioni a carico di questi geni tali da
rendere il loro prodotto inattivo possono portare alla trasformazione
neoplastica, Un esempio di antigene tumorale derivato da una
mutazione a carico di un gene oncosoppressori è rappresentato
dall’antigene p53, che è presente nella metà circa dei tumori
mammari. [Houbiers J.G.A. et al., 1993]
• Prodotti di geni virali in tumori maligni associati ad infezioni virali:
sia virus a DNA sia a RNA sono implicati nello sviluppo di tumori
sia sperimentali che spontanei. Tali tumori presentano di solito il
genoma provirale integrato nel patrimonio genetico delle cellule
ospiti. Le cellule neoplastiche esprimono spesso antigeni codificati
dal genoma virale; le relative proteine vengono sintetizzate
endogenamente e processate, e i complessi costituiti dai peptidi virali
e dalle molecole MHC di classe I vengono quindi espressi sulla
membrana. Di conseguenza le cellule tumorali che esprimono
antigeni virali possono stimolare una risposta linfocitaria T specifica
e diventare il bersaglio elettivo.
Esempi di questi tipi di antigeni tumorali sono prodotti genici del
virus del papilloma umano nel carcinoma della cervice uterina,
prodotti del virus di Epstein-Barr nel linfoma di Burkitt e nel
carcinoma naso-faringeo.
• Prodotti di geni normalmente silenti: alcuni geni non sono in genere
espressi sui tessuti normali o lo sono solo le fasi precoci dello
sviluppo, prima che siano operativi i meccanismi della tolleranza
verso il self. Quando questi geni vengono deregolati in seguito alla
trasformazione neoplastica delle cellule e vengono espressi in modo
9
inappropriato, cioè nel tessuto sbagliato e nel momento sbagliato, i
loro prodotti possono comportarsi come antigeni tumorali ed evocare
una risposta immune. Esempi di questo tipo di antigene sono i geni
MAGE, BAGE, GAGE nel melanoma. [Van Pel A. et al., 1995]
Gli antigeni TAA, condivisi da cellule tumorali e normali, possono essere
raggruppati in :
• Antigeni oncofetali: sono proteine di norma espresse durante lo
sviluppo tissutale nel feto, ma non nei tessuti differenziati
dell’adulto. La presenza di queste proteine sulle cellule tumorali è
dovuta ad una derepressione genica che si verifica attraverso
meccanismi ancora non chiariti. L’espressione degli antigeni
oncofetali nell’adulto non è rigidamente limitata alle cellule
tumorali: sono infatti dimostrabili in diversi tessuti in corso di molte
condizioni infiammatorie e, seppur in piccole quantità, anche in
tessuti normali. Gli antigeni oncofetali non sono immunogenici per
l’ospite durante lo sviluppo. Esempi di tali antigeni sono l’α -
fetoproteina (AFP), elevata in corso di carcinoma epatocellulare,
tumori a cellule genitali, carcinomi dello stomaco e del pancreas, e
l’antigene carcino-embrionale (CEA), elevato in corso di carcinoma
del colon, del pancreas, dello stomaco, della mammella e del
polmone. [Tsang K.Y. et al., 1995]
• Antigeni glicolipidici e glicoproteici alterati: alterazioni
nell’aggiunta sequenziale di residui carboidratici al nucleo lipidico o
proteico possono determinare modificazioni delle caratteristiche
della superficie cellulare in grado di condizionare alcuni aspetti del
fenotipo maligno dei tumori, quale l’invasione tissutale ed il
10
comportamento metastatico. Appartengono a questa classe di TAA i
gangliosidi, gli antigeni dei gruppi ematici e le mucine, di cui li
esempi più comuni sono gli antigeni CA-125, CA 19-9 e MUC-1.
• Antigeni di differenziazione: questi sono antigeni tessuto-specifici
espressi transitoriamente sulle cellule normali in alcune fasi
differenziative, e presenti stabilmente sulle controparti neoplastiche
delle stesse. Queste proteine sono molto importanti sotto il profilo
clinico, potendo essere impiegabili come marcatori diagnostici per
l’identificazione dell’istotipo di origine della neoplasia, o come
bersaglio per l’immunoterapia. Sono esempi gli antigeni di
differenziazione dei linfociti che caratterizzano i linfomi da essi
derivati (CD10 o GALLA, CD25 o recettore per l’IL-2), oppure
alcuni antigeni di mielosa (S-100 o neural crest derived antigen).
[Kuby J., 1995]
1.3 Cellule effettrici dell’immunità antitumorale
Gli antigeni tumorali evocano in vivo sia risposte umorali sia
cellulari. In vitro molti meccanismi effettori immunologici sono in grado di
uccidere le cellule tumorali, ma resta ancora da stabilire quali di questi
meccanismi siano realmente importanti nell’indurre in vivo risposte
immuni protettive nei confronti dei tumori spontanei e come potenziarli in
modo il più possibile specifico per il tumore. Le cellule effettrici coinvolte
nell’uccisione di cellule tumorali sono i linfociti T, le cellule Natural Killer,
i macrofagi ed i linfociti B mediante la secrezione di anticorpi.
11
1.3.1 Linfociti T
I linfociti T citotossici (CTL) costituiscono una sottopopolazione di
linfociti T in grado di uccidere cellule bersaglio esprimenti peptidi
antigenici associati a molecole MHC.
Essi ricoprono un ruolo importante nel riconoscimento e
nell’eliminazione di cellule self modificate, quali le cellule neoplastiche,
come dimostrato in numerosi studi sperimentali di trapianto di tumore in
animali da esperimento.
Nell’uomo è dimostrata la presenza di CTL nel sangue periferico di
pazienti con carcinomi o melanomi in fase avanzata in grado di lisare
cellule tumorali espiantate dallo stesso paziente. Peraltro, l’importanza dei
CTL nell’immunosorveglianza contro i tumori spontanei non indotti da
virus è incerta, dato che questi tumori non insorgono con maggior
frequenza in animali o soggetti con deficit, spontaneo o indotto, a carico
del compartimento T.
Anche le cellule mononucleate derivate dall’infiltrato infiammatorio
di tumori solidi umani, denominate linfociti infiltranti il tumore (TIL),
comprendono CTL capaci di uccidere le cellule tumorali da cui sono state
isolate, sebbene queste risposte citotossiche non siano probabilmente
efficaci di per sé ad eradicare la maggior parte dei tumori, il potenziamento
di queste risposte è un promettente approccio alla terapia anti-tumorale in
un prossimo futuro.
La risposta immune CTL-mediata può essere suddivisa in due fasi
che riflettono i diversi aspetti delle risposte dei linfociti T citotossici. La
prima fase coinvolge l’attivazione e il differenziamento delle cellule TC in
12
CTL effettori funzionali, mentre nella seconda i CTL riconoscono i
complessi antigene-MHC di classe I presenti sulle cellule bersaglio
specifiche, iniziando una sequenza di eventi che culmina con la distruzione
di queste ultime..
Le cellule TC quiescenti non sono in grado di uccidere e sono quindi
considerate come precursori dei CTL che si differenzieranno in CTL
funzionali con attività citotossica solo dopo essere stati attivati. La
generazione di CTL da precursori richiede diversi segnali: il primo viene
fornito quando il recettore della cellula T, il CD8, il CD2 e LFA-1
interagiscono con un complesso peptide antigenico-MHC di classe I, LFA-
3 ed ICAM-1 o -2 presenti sulla membrana di una cellula bersaglio; un
secondo segnale viene dato da citochine prodotte da cellule T
H
CD4
+
attivate. L’IL-2 è la principale citochina richiesta per il differenziamento in
CTL effettori, ma è stato mostrato che anche un certo numero di altre
citochine (IL-4, IL-6 ed IFN-γ ) gioca un ruolo in questo processo.
I primi eventi della citotossicità CTL-mediata sono la formazione del
legame fra le due cellule, l’attacco alla membrana, la dissociazione del
CTL e la distruzione della cellula bersaglio.
Alla formazione del coniugato segue una fase Ca
+
-dipendente che richiede
energia, in cui il CTL infligge un danno alla membrana della cellula
bersaglio. Questa, in un periodo di tempo variabile da 15 minuti a 3 ore
dopo la dissociazione del CTL, va incontro a lisi.
Il complesso di membrana TCR-CD3 presente sul CTL riconosce
l’antigene in associazione a molecole di MHC di classe I presente sul
bersaglio. In seguito a questo riconoscimento antigene-specifico, il
recettore integrinico LFA-1 sui CTL si lega alle molecole di adesione
intercellulare sulla cellula bersaglio. In uno studio di Dustin e Springer
13
venne messo in evidenza il fatto che l’attivazione antigene-mediata del
CTL converte l’LFA-1 da uno stadio a bassa avidità ad uno stadio ad alta
avidità. A causa di questo fenomeno, i CTL aderiscono e formano
complessi solo con appropriate cellule bersaglio che mostrano peptidi
antigenici associati con molecole MHC di classe I. L’LFA-1 persiste in uno
stadio ad alta avidità solo per 5-10 minuti dall’attivazione e poi ritorna ad
uno stadio a bassa avidità facilitando la dissociazione del CTL.
Immediatamente dopo la formazione del complesso, l’apparato di
Golgi e i granuli contenenti alcuni proteoglicani ad alto peso
molecolare,varie citochine tossiche, una proteina chiamata perforina e una
famiglia di sette esterasi dette granzimi, si orientano nel citoplasma del
CTL concentrandosi vicino alla giunzione con la cellula bersaglio. I
monomeri di perforina vengono poi rilasciati dai granuli mediante esocitosi
nello spazio giunzionale fra le due cellule. Quando i monomeri di perforina
vengono a contatto con la membrana della cellula bersaglio, subiscono un
cambiamento conformazionale, esponendo un dominio anfipatico che si
inserisce nella membrana; i monomeri poi polimerizzano in presenza di Ca
+
e formano un poro cilindrico con un diametro interno di 5-20 nm. Si pensa
che questi pori facilitino l’ingresso di varie sostanze litiche che distruggono
la cellula bersaglio.
Una singola cellula CTL è in grado di uccidere molte cellule
bersaglio tuttavia non viene danneggiata da questo processo. Un’ipotesi
avanzata è che il CTL abbia una proteina di membrana chiamata protectina,
che inattiva la perforina prevenendo la sua inserzione nella membrana del
CTL o impedendo la sua polimerizzazione. [Young J.D.E, Cohn Z.A..,
1998] Una seconda ipotesi è che la perforina non venga rilasciata in forma
14
solubile, ma piuttosto in piccole vescicole membranose immagazzinate nei
granuli dei CTL.[Peter P.J., 1990]
Sebbene i linfociti T helper CD4 non abbiano in genere una funzione
citotossica, essi possono svolgere un ruolo nelle risposte anti-tumorali
fornendo le citochine necessarie per un efficace sviluppo dei CTL quali, ad
esempio, l’IL-2 che è in grado di attivare anche i macrofagi, le NK ed i
linfociti B. I linfociti T helper attivati da antigeni tumorali possono inoltre
secernere TNF e IFN-γ , in grado di potenziare l’espressione di MHC di
classe I da parte di cellule tumorali e, quindi, la sensibilità alla lisi mediata
da CTL.
Un piccolo numero di tumori che esprimono molecole MHC di classe II
può attivare direttamente i linfociti T helper CD4 tumore-specifici, ma
comunemente sono le APC professionali che processano e presentano le
proteine internalizzate che derivano da cellule tumorali morte o fagocitate.
1.3.2 Le cellule natural killer
Le cellule NK costituiscono una sottopopolazione di linfociti presente nel
sangue periferico e nei tessuti linfoidi. Derivano dal midollo osseo e si
presentano come linfociti di grandi dimensioni dotati di numerosi granuli
citoplasmatici; per tale motivo sono talvolta denominate “grandi linfociti
granulari” o LGL.
Dati sperimentali ed epidemiologici suggeriscono che le cellule NK
svolgono un importante ruolo nell’immunosorveglianza, ma solo nei
confronti di tumori in via di sviluppo, specialmente quando questi
esprimono antigeni di origine virale.
15
Le cellule NK possono interagire con le cellule tumorali in due modi
differenti: possono entrare in contatto diretto con i loro bersagli in modo
non specifico e non mediato da anticorpi, oppure possono legare anticorpi
fissati sulla superficie della cellula tumorale. Molte cellule NK, infatti,
esprimono il CD16, un recettore di membrana specifico per l’estremità
carbossi-terminale dell’anticorpo. Queste cellule possono pertanto
interagire con anticorpi anti-tumore fissati sulle cellule neoplastiche e
distruggerle. Questo processo è denominato citotossicità cellulo-mediata
dipendente da anticorpi (ADCC). La lisi della cellula bersaglio mediante
ADCC non coinvolge il complemento, ma un certo numero di meccanismi
citotossici. Le NK, così come i monociti attivati ed i macrofagi, secernono
il fattore di necrosi tumorale (TNF-α ) che ha un effetto citotossico; inoltre
esse contengono dei granuli citoplasmatici di perforina che causa un danno
alla membrana.
E’ stato dimostrato che le NK uccidono la cellula bersaglio mediante
apoptosi: un certo numero di molecole citotossiche, incluso il TNF-α ,
possono iniziare il processo di apoptosi.
Si è scoperto che le cellule NK uccidono cellule tumorali e cellule infettate
da virus anche se non possiedono recettori antigene-specifici perché
possiedono recettori per l’MHC di classe I ed in realtà riconoscono una
diminuita espressione di quest’ultimo sulle cellule modificate che
diventano quindi il loro bersaglio. Diversi studi suggerirono l’esistenza di
questi recettori e spiegarono come l’interazione con le molecole di classe I
sulle cellule bersaglio inibisse la distruzione delle stesse. Al contrario, se i
bersagli mancavano di MHC di classe I o ne esprimevano livelli
particolarmente bassi, i recettori delle NK non erano impiegati interamente
16
e quindi uccidevano le cellule bersaglio.
Questa teoria fu supportata da altri studi che dimostravano una
relazione inversa tra il livello di molecole MHC di classe I espresse su una
cellula e la sua suscettibilità alla lisi NK-mediata. Ad esempio fu
dimostrato che cellule murine di una linea cellulare deficiente per la classe
I venivano prontamente uccise dalle cellule NK, ma se transfettate con geni
per molecole MHC di classe I, le cellule diventavano resistenti alla lisi.
[Kuby J., “Immunologia”]
1.3.3 I macrofagi
I macrofagi svolgono un ruolo importante nelle interazioni bidirezionali fra
immunità innata ed acquisita. Rappresentano un elemento potenzialmente
molto importante nell’immunità antitumorale, infatti, numerose
osservazioni in vitro dimostrano che i macrofagi attivati sono in grado di
lisare preferenzialmente cellule tumorali rispetto a cellule normali.
Come le cellule NK, i macrofagi esprimono recettori per le porzioni
Fc delle immunoglobuline con cui possono indirizzare la loro attività
citocida verso cellule ricoperte da anticorpi.
La lisi delle cellule tumorali da parte dei macrofagi è probabilmente
mediata da numerosi meccanismi diversi, alcuni dei quali sostanzialmente
identici a quelli utilizzati per l’uccisione di microrganismi, quali il rilascio
di enzimi lisosomiali e di radicali dell’ossigeno.
L’uccisione della cellula tumorale può avvenire anche tramite la
secrezione da parte dei macrofagi attivati di TNF-α . Questa citochina è in
grado di uccidere le cellule tumorali, ma non quelle normali, attraverso un
effetto tossico diretto. Il TNF-α si lega ai recettori ad alta affinità espressi
17
sulla membrana elle cellule tumorali e uccide le cellule bersaglio tramite
vari meccanismi: attivazione di una via di morte cellulare simile a quella
attivata dall’interazione del ligando di Fas con Fas, produzione di radicali
liberi non contrastata nelle cellule neoplastiche da adeguata sintesi di
superossido-dismutasi in risposta al TNF-α , azione sulle proteine del
citoscheletro con sovvertimento della normale architettura cellulare.
Il TNF-α può causare necrosi tumorale anche indirettamente,
inducendo in vivo una trombosi della rete vascolare del tumore. Numerose
osservazioni sembrerebbero indicare che il TNF-α possa agire
selettivamente sulla rete vascolare intratumorale, in quanto alcuni fattori
angiogenetici di derivazione tumorale, come il fattore di crescita
endoteliale, potenzierebbero la risposta delle cellule endoteliali al TNF-α .
1.3.4 Gli anticorpi
Sebbene i linfociti T svolgano un ruolo più importante degli anticorpi
nel mediare le risposte immuni antitumorali, i pazienti neoplastici
producono effettivamente anticorpi diretti contro antigeni tumorali. In
alcuni casi di tumori virus–associati, queste risposte sono specifiche per
antigeni virali, mentre in altri casi i pazienti affetti da tumore producono
anticorpi rivolti verso il proprio tumore. In questi casi gli antigeni
individuati sono quasi sempre espressi anche da tessuti normali.
Non esiste nessuna evidenza a favore di un ruolo protettivo di queste
risposte umorali nei confronti dello sviluppo e della crescita dei tumori.
La potenziale funzione per una distruzione anticorpo-mediata è stata
dimostrata un vitro e si basa sull’attivazione del complemento,
determinando l’assemblaggio sulla membrana del complesso di attacco
18
(membrane complex attac, MAC), la formazione di pori e la lisi delle
cellule. Alcuni tumori, tuttavia, sono in grado di fagocitare il foro formato
dal MAC e di riparare la membrana prima che la cellula venga lisata.
Un meccanismo alternativo di distruzione si basa sulla citotossicità
cellulare anticorpo dipendente madiata da macrofagi o cellule NK che
possiedono il recettore per l’Fc. Resta però ancora da stabilire se questi
meccanismi di uccisione delle neoplasie possano svolgere un qualche ruolo
anche in vivo. [Abbas A.K. et al., 1998]
1.4 Le cellule dendritiche nella regolazione dei meccanismi effettori
Le cellule dendritiche (DC) sono cellule accessorie che svolgono un ruolo
fondamentale nella regolazione della risposta immunitaria. L’importanza
delle DC nell’immunità antitumorale è ascrivibile alla loro capacità di
presentare antigeni tumorali su molecole MHC di classe II nonché di classe
I (cross-priming), di orientare le risposte immunitarie attraverso la
secrezione di citochine regolatrici (IL-12 versus IL-10) e di attivare i
linfociti T naive, inducendo così risposte T-citotossiche tumore-specifiche.
Sono inoltre essenziali nella generazione di risposte anticorpali primarie e
potenti stimolatrici dell’attività citotossica delle cellule NK.
Nel sangue periferico umano sono presenti tre distinte popolazioni di
precursori della linea dendritica: monociti CD14
+
, precursori mieloide e
precursori linfoidi. E’ noto che monociti CD14
+
, in seguito ad opportuna
stimolazione con citochine, possono differenziarsi in modo reversibile in
cellule dendritiche di tipo mieloide.