Capitolo 1 : Introduzione
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Capitolo 1
Introduzione
La malattia aterosclerotica coronarica (Coronary Artery Disease, CAD) è la forma di
cardiopatia piø diffusa nel mondo occidentale ed influisce fortemente sulla salute, qualità e
aspettative di vita. Attualmente è la piø comune e grave malattia cronica tra le patologie con
maggiore tasso di mortalità.
La base patogenetica di tale quadro è realizzata, nella quasi totalità dei casi, dalla stenosi
coronarica, rappresentata dall’occlusione o dal restringimento dell’arteria coronarica dovuta
alla formazione di una placca aterosclerotica di depositi lipidici o di un coaugulo di sangue.
La principale conseguenza clinica è la cardiopatia ischemica, caratterizzata da un ridotto
apporto di sangue e nutrienti verso il cuore causando, nei casi piø gravi, l’infarto del
miocardio.
La terapia medica che è di estrema importanza per i pazienti affetti da cardiopatia ischemica,
è stata rappresentata fino alla fine degli anni ’70 dall’unico intervento chirurgico in grado di
risolvere il problema, ovvero il bypass aortocoronarico.
Successivamente si è passati ad una tipologia di intervento piø efficace e meno invasiva:
l’angioplastica coronarica trasluminare percutanea (PTCA) che ha segnato l’inizio dell’era
moderna della cardiologia interventistica. La scopo di questa tecnica è la frammentazione
della placca mediante l’inserimento di un catetere con un palloncino terminale. Il gonfiaggio
del palloncino esercita una pressione costante e pulsatoria che permette lo schiacciamento
della placca verso le pareti del vaso, con conseguente dilatazione del lume vasale.
Sfortunatamente il successo di tale tecnica è limitato fortemente dal fenomeno della
restenosi. Questa è dovuta principalmente alla lesione della parete coronarica provocata dal
palloncino, alla perdita di elasticità del vaso, alla progressiva diminuzione del diametro e alla
migrazione e proliferazione delle cellule muscolari lisce della parete vasale.
Capitolo 1 : Introduzione
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Oggi, grazie all’evoluzione tecnologica e a nuovi criteri clinici, la tradizionale tecnica della
PTCA è stata resa piø sicura ed efficace mediante l’impianto di un nuovo dispositivo
cardiovascolare: lo stent coronarico. Questo è costituito da una maglia metallica di acciaio
austenitico 316L, di forma tubolare capace di sostenere le pareti del vaso stenotico riducendo,
così, drasticamente le complicanze acute dell’angioplastica legate all’elastic recoil e al
rimodellamento negativo. Nonostante questi dispositivi abbiano ridotto la percentuale di
restenosi del 35-50%, resta irrisolto il problema dell’iperplasia neointimale e quindi della
proliferazione delle cellule muscolari lisce che rappresentano l’unico meccanismo
responsabile della restenosi dopo impianto di stent.
Numerosi approcci farmacologici sono falliti nel tentativo di risolvere tale problema,
probabilmente perchØ le dosi di farmaco che possono essere somministrate per via sistemica,
senza essere tossiche, non permettono il raggiungimento di un'adeguata concentrazione
terapeutica nel sito della lesione.
Attualmente, nella prevenzione della restenosi intrastent, sono stati introdotti gli stent a
rilascio di farmaco (DES) e con essi è emerso un nuovo concetto di stent. Quest’ultimo non è
piø visto come un semplice supporto della parete vasale, ma come veicolo di un farmaco
all’interno della parete coronarica per impedire la cascata di eventi sfavorevoli che portano
alla proliferazione neointimale.
Già da alcuni anni si era ipotizzato che il rilascio diretto dei farmaci a livello della lesione
vascolare tramite stents con rivestimenti, polimerici o non, fosse un approccio razionale per
realizzare un'adeguata distribuzione locale del farmaco. Con questa metodica il farmaco viene
rilasciato nell'esatto sito in cui è stato provocato il danno vascolare e contemporaneamente
all'effettuazione del danno stesso. Il rilascio locale della sostanza permette il raggiungimento
di elevate concentrazioni locali senza effetti sistemici. Sono stati studiati diversi tipi di
polimeri sintetici e naturali per uso vascolare e testati come rivestimento per gli stent, ma i
risultati di questi studi non sono stati soddisfacenti. La causa di ciò, è probabilmente dovuta
alle caratteristiche intrinseche dei polimeri sintetici, come la superficie del polimero (ruvidità,
porosità), il tasso di frammentazione e degradazione in caso di sostanze riassorbibili.
Il farmaco ideale deve essere i grado di inibire i complessi meccanismi molecolari che
provocano la restenosi attraverso l’inibizione della precoce risposta infiammatoria e della
crescita delle cellule muscolari lisce, senza avere effetti tossici locali e sistemici.
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Numerosi sono stati i farmaci utilizzati nei drug eluting stent (DES), anche se attualmente gli
unici stent medicati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) e, quindi
disponibili sul mercato sono il BiodivYsio( Biocompatibile), il Cypher(Cordis) a rilascio di
sirolimus e il Taxus a rilascio di paclitaxel.
Numerosi studi clinici hanno evidenziato il notevole miglioramento nella cura della restenosi
apportato da questi stent. Ciò nonostante, hanno la grande limitazione di costituire sistemi
omogenei in grado, cioè di rilasciare in maniera controllata e con cinetiche dettate dalla
semplice diffusione, un solo agente attivo lipofilo, attraverso il rivestimento in cui è disperso
uniformemente. D’altronde la restenosi risulta essere attivata da una serie di eventi a cascata,
quali ad esempio la migrazione e la proliferazione di cellule a seguito del trauma meccanico
provocato dal palloncino e dal conseguente posizionamento dello stent. Appare, dunque,
auspicabile l’utilizzo combinato di piø agenti attivi per contrastarla in maniera efficace.
Molti sono stati i farmaci idrofili sperimentati come inibitori della restenosi, cioè capaci di
bloccare la precoce risposta infiammatoria dell’organismo e il processo di proliferazione delle
cellule muscolari lisce senza avere effetti tossici locali e sistemici. La fludarabina , per
esempio, si è dimostrata capace di inibire la proliferazione delle vascular smooth muscle cell
(VSMC) sia in vitro che in vivo.
Oggi, la tecnologia bioingegneristica sta cercando di creare dei sistemi in grado di veicolare
un farmaco sia di natura idrofoba che idrosolubile altresì non realizzabile con i dispositivi
attualmente in commercio. I farmaci idrosolubili, infatti, non utilizzabili a seguito di ridotta
affinità tra il polimero che costituisce il rivestimento ed il farmaco, possono essere rilasciati
previa incapsulamento in microsfere.
Il sistema proposto, quindi, consentendo di incapsulare all’interno di microsfere polimeriche
farmaci di diversa natura, permetterebbe di utilizzare stent rivestiti capaci di rilasciare in situ e
con cinetiche modulabili farmaci di diversa natura, utili per l’inibizione della proliferazione
delle SMC e la promozione del processo di endotelizzazione.
Le criticità progettuali di questi stent possono essere attribuite ad alcune variabili, come
l’assenza di un rivestimento omogeneo e la presenza dell’agente attivo durante il processo di
sterilizzazione a cui deve essere sottoposto un qualunque dispositivo medico. Infatti, da un
lato è necessario assicurare la realizzazione di un rivestimento omogeneo che permetta di
evitare l’adsorbimento proteico sulla superficie dello stent con conseguente adesione
Capitolo 1 : Introduzione
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cellulare e risposta da parte dell’organismo. Dall’altro la presenza del farmaco impone la
scelta di una corretta tecnica di sterilizzazione, al fine di evitare la denaturazione o
l’inefficacia dello stesso.
E’ da queste problematiche che nasce l’idea di ottimizzare il processo di nebulizzazione, al
fine di produrre un rivestimento omogeneo sulla superficie dello stent, tramite tecnica spray.
Inoltre, si è valutata la possibilità di rivestire in maniera sterile lo stent, in modo da evitare
possibili denaturazioni del farmaco a seguito delle normali procedure di sterilizzazione.
A tale scopo, in una prima fase sono state preparate soluzioni di poli-idrossi-etil-metacrilato
(pHEMA)/etanolo a diversa concentrazione del polimero (5%, 10%, 20% w/v) e sottoposte a
prove reologiche caratterizzandone la viscosità. Poi, sono state valutate le possibili variazioni
della viscosità a seguito dell’introduzione delle microsfere nella soluzione ritenuta ottimale
per la nebulizzazione. Infine, sono state effettuate delle prove di creep per valutare la
possibile variazione della viscosità durante il tempo di nebulizzazione.
In una seconda fase, si è studiata la possibilità di creare una procedura di sterilizzazione dello
stent, al fine di rivestirlo in maniera sterile. Per questo motivo sono stati preparati in modo
sterile campioni di acciaio 316L, stesso materiale dello stent, rivestiti di pHEMA e sottoposti
ai test di citotossicità per valutare la presenza di danni biologici acuti a livello cellulare. Per
avere una sicurezza dell’effettiva sterilità, i risultati dei test sono stai confrontati con campioni
di controllo sottoposti a sterilizzazione Uv per circa due ore dopo il rivestimento.
Capitolo 2 : Stato dell’arte - Stent
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Capitolo 2
Stato dell’arte-Stent
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte e disabilità nel mondo
industrializzato; rappresentano il 49% di tutte le morti in Europa e il 30% di tutte le morti
prima dei 65 anni. Lo spettro delle malattie è ampio e sicuramente la cardiopatia ischemica è
tra le sindromi piø frequenti e viene affrontata, secondo i casi, mediante la prevenzione dei
fattori di rischio, quali l’ipertensione, il fumo e il diabete mellito, la terapia farmacologica ed
infine, con l’intervento chirurgico [1].
La cardiopatia ischemica è una malattia cardiaca caratterizzata da un ridotto apporto di sangue
al cuore, dovuto alla chiusura o al restringimento delle arterie coronarie, i vasi che nutrono il
cuore stesso.
Per quanto riguarda i vasi sanguigni esistono diverse possibili malattie della parete vascolare
che conducono alle due principali cause di malfunzionamento: la stenosi e l’aneurisma.
La stenosi (fig. 1) è un restringimento del diametro dell’arteria causato dalla crescita di una
placca aterosclerotica o dalla formazione di un coagulo. Un’arteria stenotica non è piø in
grado di trasportare efficacemente il sangue verso i distretti piø periferici e quando la stenosi è
molto grave (il diametro utile per il passaggio del sangue si è ridotto moltissimo), i tessuti a
valle possono diventare ischemici. Un’ischemia grave riduce o annulla l’apporto di ossigeno
ai tessuti che perciò muoiono (necrosi).
Stenosi
Ostruzione
arteria
coronarica
Miocardio
Ischemico
Stenosi
Ostruzione
arteria
coronarica
Miocardio
Ischemico
Figura 1: Anatomia del cuore con particolare di coronaria stenotica
Capitolo 2 : Stato dell’arte - Stent
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L’aneurisma, invece, è la dilatazione dei vasi sanguigni, che causa la rottura dell’arteria. In
questo caso la parete arteriosa si dilata in modo anomalo e ciò può portare nei casi piø gravi
alla rottura del vaso provocando emorragie interne con conseguente interruzione del flusso
sanguigno.
Il bypass coronarico (fig. 2) che, fino agli anni ’70, era l’unico intervento chirurgico per
risolvere l’occlusione o il restringimento delle coronarie, consiste nel bypassare il
restringimento ripristinando la circolazione attraverso un ponte costituito da una vena
prelevata solitamente da un arto inferiore.
Figura 2 : Bypass aortocoronarico
Negli anni ’80 l’imporsi dell’angioplastica coronarica percutanea trasluminare (PTCA),
tecnica meno invasiva e costosa del bypass, ha dato inizio all’era moderna della cardiologia
interventistica. La PTCA è una metodica ampiamente diffusa per rivascolarizzare il miocardio
in pazienti che presentano una cardiopatia ischemica sintomatica con stenosi prossimali delle
coronarie. La risoluzione di questo problema è stato uno dei piø importanti obiettivi della
ricerca nella cardiologia interventistica degli ultimi dieci anni ed oggi la patologia
aterosclerotica può essere trattata e risolta mediante tecniche endovascolari minimamente
invasive che ripristinano il lume vasale attraverso lo schiacciamento della placca occlusiva e
la dilatazione locale dell’arteria [2].
La procedura, che ha come obiettivo la frammentazione della placca, consiste nel far
avanzare nell’arteria che deve essere dilatata un catetere con un piccolo palloncino terminale.
Quest’ultimo viene posizionato, con controllo radiografico, a cavallo della stenosi. Gonfiando
il palloncino viene esercita una pressione costante e pulsatoria che frammenta e comprime la
placca permettendo il ripristino del normale flusso ematico (fig.3) [3]. Successivamente
all’espansione il palloncino viene sgonfiato e rimosso dal vaso [4].