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Introduzione
Modellazione e comportamento meccanico dei
materiali plastici
Materiali metallici
Tutti gli ingegneri conoscono il comportamento dei materiali metallici e le varie fasi
che contraddistinguono una prova di trazione di tali materiali. Gli studi in tale ambito
sono già stati fatti ed in maniera molto esaustiva. Si sa, infatti, che un tipico
diagramma, tensione-deformazione, dato da una prova di trazione in un generico
materiale metallico, è fatto come quello nella seguente figura:
0,00E+00
5,00E+01
1,00E+02
1,50E+02
2,00E+02
2,50E+02
3,00E+02
3,50E+02
0 0,01 0,02 0,03 0,04 0,05 0,06 0,07 0,08 0,09 0,1
Deformazione %
Tensione [MPa]
Fig. 1 Tipica curva tensione (σ )-deformazione (ε) di un materiale metallico.
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Si nota come dopo una fase elastica tipica di tutti i materiali ci sia il punto
corrispondente alla tensione di snervamento, dopo il quale si entra nella così detta
“fase plastica” in cui il provino, anche se venisse tolto il carico che è causa della
deformazione, rimane comunque in condizioni deformate rispetto alla condizione
iniziale.
Questo tratto è caratterizzato anche dal fenomeno dell’incrudimento dove il materiale
continua a rispondere con una tensione sempre maggiore durante la deformazione.
Dopo questo tratto, avviene il fenomeno della strizione durante il quale, localmente, la
sezione del provino diminuisce con il corrispettivo aumento della tensione nella
sezione ristretta, questo provoca una diminuzione della tensione in risposta
all’aumento della deformazione.
Tale fenomeno prosegue fino alla rottura del provino.
Questo, descritto in modo molto generale, è il tipico comportamento di un materiale
metallico.
Materiali polimerici
Questione ben differente è il comportamento di un materiale polimerico sottoposto ad
una prova di trazione.
I polimeri sono definiti come sostanze organiche formate da un insieme di molecole di
elevate dimensioni e di elevato peso molecolare (macromolecole simili tra di loro ma
non necessariamente identiche).
Ciascuna di queste macromolecole è a sua volta formata dalla ripetizione di molte
piccole unità strutturali legate tra di loro con legami covalenti: tali unità sono dette
monomeri ovvero sostanze le cui molecole relativamente semplici hanno la possibilità
di reagire in modo da concatenarsi tra loro con legami primari covalenti e produrre
delle macromolecole cioè: catene lineari o ramificate di unita’ (monomeri) ripetute n
volte. Il numero di ripetizioni prende il nome di grado di polimerizzazione.
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I legami chimici nei polimeri sono:
• legami all’interno delle catene: primari, forti, es: covalenti
• legami fra le catene:
– secondari, deboli, tipo Van der Waals per i polimeri termoplastici.
– covalenti, forti per i polimeri termoindurenti
Le molecole polimeriche si presentano sottoforma di catene lunghe e flessibili con una
struttura portante che di solito è una fila di atomi di carbonio in molti casi legati con
legame singolo.
Tali molecole non sono identiche, ma differiscono per il numero di unità strutturali
concatenate (grado di polimerizzazione) che può essere basso: tra dieci e cento, medio:
tra cento e mille o alto: maggiore di mille.
I monomeri possono essere: bifunzionali cioè con possibilità di legarsi con altre 2
unità monomeriche formando una struttura bidimensionale del tipo a catena,
caratteristica dei polimeri lineari; oppure trifunzionali con tre legami attivi che possono
dar luogo a struttura tridimensionale tipica di polimeri ramificati e tridimensionali.
I polimeri possono avere struttura amorfa o cristallina, la cristallinità si ottiene per
impacchettamento delle catene molecolari, ovvero un ripiegamento per formare
strutture ordinate localizzate all’interno di una massa amorfa.
Il grado di cristallinità dipende dalla velocità di raffreddamento con cui viene prodotto
il polimero, più è lenta, maggiore sarà il grado di cristallinità che va da zero al 95%.
I polimeri lineari non hanno limitazioni all’interno delle catene, è quindi facile ottenere
elevata cristallinità, i polimeri ramificati hanno invece bassa cristallinità mentre i
polimeri reticolati sono quasi totalmente amorfi.
Polimeri con elevata cristallinità presentano: maggiore densità, punto di
rammollimento più elevato e conseguente maggiore stabilità termica e un maggior
numero di legami intermolecolari che gli conferisce maggiore rigidità e resistenza
meccanica.
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Tipologie di materiali polimerici
I polimeri si possono suddividere in:
1) Termoplastici, quali: polietilene, polivinilcloruro, polistirene, poliammidi,
policarbonati etc.
I quali possono essere lineari o ramificati.
2) Termoindurenti, quali: polieteri, poliesteri, resine epossidiche, resine melaminiche,
resine fenoliche, sono prevalentemente reticolari e possiedono migliori caratteristiche
chimiche e meccaniche
I polimeri termoplastici sono costituiti da macromolecole di grandezza limitata, lineari
o ramificate, con legami secondari fra le catene.
Rammolliscono con il calore e solidificano per raffreddamento in modo reversibile,
senza alterazioni della struttura (es: polietilene); esistono allo stato solido in forma
amorfa (vetro organico) oppure in forma semicristallina, che conferisce loro maggiore
resistenza alla temperatura e agli agenti chimici.
Si lavorano per stampaggio, a temperature più basse rispetto ad altri polimeri, con ritmi
di produzione estremamente elevati.
I polimeri termoindurenti, hanno legami primari, covalenti anche fra le catene, sono
lavorabili a caldo solo una volta, prima della reticolazione, e a successivi
riscaldamenti si decompongono, però presentano resistenza meccanica superiore
rispetto ai termoplastici
Si dividono in due categorie: gli elastomeri (gomme) e i termoindurenti ad alto grado
di reticolazione (rigidi fragili e resistenti alla temperatura).
Gli elastomeri sono polimeri lineari in cui si sono introdotti un certo numero di legami
a ponte che conferiscono al materiale una struttura tridimensionale e assicurano
proprietà di elasticità molto elevate. Questi legami covalenti o iono-covalenti sono
introdotti dopo lo stampaggio del materiale, mediante una reazione chimica chiamata
vulcanizzazione.
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Nei polimeri amorfi e cristallini, è importante definire la”Temperatura di transizione
Tg” ,cioè la temperatura a cui non sono più presenti legami di van der Waals fra catene
perchè le vibrazioni termiche sono sufficienti a romperli. Riguarda la componente
amorfa del materiale.
Con temperatura superiore aTg, le catene polimeriche si possono muovere facilmente.
Quindi quando si prende un pezzo di polimero e lo si piega, le molecole, essendo già in
movimento, non hanno problemi nel muoversi per trovare altre posizioni per diminuire
la sollecitazione trasmesse.
Con temperatura inferiore a Tg, le catene polimeriche non sono in grado di spostarsi
per trovare altre posizioni per diminuire la sollecitazione alla quale sono state
sottoposte.
Le catene sono abbastanza forti per resistere alla forza che viene applicata, ed il
campione non si piega; la forza applicata è troppo elevata perché le catene polimeriche
immobili possano resistere, non potendosi muovere per diminuire la sollecitazione, il
campione di polimero si rompe o va in frantumi.
Le plastiche rigide come il polistirene e il polimetacrilato vengono utilizzate al di sotto
delle loro temperature di transizione; ossia nel loro stato vetroso.
Le loro Tg sono molto al di sopra della temperatura ambiente, entrambe a circa 100°C.
Le plastiche come il polietielene ed il polipropilene vengono usati al di sopra delle loro
Tg, ossia allo stato gommoso, quando sono flessibili e deformabili.
I materiali termoindurenti non hanno Tg, in quanto sarebbe a temperatura così elevata
(>500°C) che in pratica si ha prima decomposizione termica del polimero.
Proprietà meccaniche dei polimeri
Comportamento dei materiali polimerici sotto carico
Nella Figura 3.4 sono riportati i tre tipici comportamenti sforzo-deformazione dei
materiali polimerici. La curva A illustra il caratteristico sforzo-deformazione di un
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polimero fragile, come si nota dal fatto che esso si rompe essendo ancora in campo
elastico. Il comportamento di un materiale plastico, curva B, è simile a quello trovato
nei materiali metallici: all'inizio si ha deformazione elastica, seguita poi dallo
snervamento e da una regione a comportamento plastico.
Infine la deformazione mostrata dalla curva C è completamente elastica, questa
elasticità simile a quella delle gomme(grandi e recuperabili deformazioni prodotte da
bassi carichi), è mostrata da una cllasse di polimeri chiamati elastomeri.
Fig. 2 Curva tensione-deformazione pe un polimero fragile(A), plastico (B) ed
estremamente elastico elastomero (C).
Il modulo elastico (chiamato anche modulo a Young) e la duttilità come allungamento
percentuale vengono determinati, nel caso dei polimeri, con la stessa metodologia
utilizzata per i metalli.
Per i polimeri a comportamento plastico (curva B), quale limite di snervamento si
assume il valore massimo della curva, il quale incorre subito alla fine del tratto di
curva a comportamento elastico (Figura 3); il valore della sollecitazione in questo
punto di massimo è chiamato appunto carico di snervamento (Sn
). La resistenza a
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trazione (Ts), invece, corrisponde alla sollecitazione alla quale avviene la rottura
(Figura 3); TS può essere più grande o più piccolo di Sn. Per questi materiali, quando
si parla di resistenza si intende in genere la resistenza a trazione.
Fig. 3 Curva tensione deformazione per un polimero plastico dove si mostra come
vengono determinati il carico di snervamento e il carico di rottura.
La tabella 1 riporta le proprietà meccaniche per alcuni materiali polimerici.
I polimeri sono, sotto molti aspetti, meccanicamente diversi dai metalli.
Per esempio, il modulo elastico dei materiali polimerici altamente elastici può variare
da soli 7 MPa, fino a 4 GPa nel caso di alcuni polimeri molto rigidi; mentre per i
metalli i valori dei moduli sono decisamente più grandi e vanno da 48 a 410 GPa.
I carichi massimi a trazione per i polimeri sono nell'ordine dei 100 MPa - mentre per
alcune leghe metalliche sono di 4100 MPa.
D'altro canto, laddove l'allungamento massimo per i metalli non supera mai il 100%,
alcuni polimeri altamente elastici possono arrivare ad allungamenti fino al 1000%.
Un altro aspetto da notare è il fatto che le caratteristiche meccaniche dei polimeri sono
molto sensibili alle variazioni di temperatura, soprattutto per temperature vicino alla
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temperatura ambiente. Si consideri, ad esempio, la curva sforzo-deformazione per il
polipropilene a diverse temperature tra -35 e 65°C (Figura 4). Osservando questo
grafico, è interessante notare diverse particolarità: l'aumento della temperatura
determina (1) una diminuzione del modulo elastico, (2) una riduzione del carico di
rottura, (3) un aumento della duttilità.
Tabella 1
Materiale
Peso
Specifico
[ ]
3
/m Mg
Modulo a
trazione
[GPa]
Resisten.
a
trazione
[MPa]
Carico
di
Snervam
.
[MPa]
Allunga
m
a rottura
[%]
Polietilene(bassa
densità)
0.917-0.932 0.17-0.28 8.3-31.4 9.0-14.5 100-650
Polietilene (alta
densità)
0.952-0.965 1.06-1.09 22.1-31.0 26.2-33.1 10-1200
Cloruro di
polivinile
1.30-1.58 2.4-4.1 40.7-51.7 40.7-44.8 40-80
Politetrafluoroetilen
e
2.14-2.20 0.40-0.55 20.7-34.5 - 200-400
Polipropilene 0.90-0.91 1.14-1.55 31-41.4 31.0-37.2 100-600
Polistirene 1.04-1.05 2.28-3.28 35.9-51.7 - 1.2-2.5
Polimetilmetacrilat
o
1.17-1.20 2.24-3.24 48.3-72.4 53.8-73.1 2.0-5.5
Fenolo-formaldeide 1.24-1.32 2.76-4.83 34.5-62.1 - 1.5-2.0
Nylon 6,6 1.13-1.15 1.58-3.80 75.9-94.5 44.8-82.8 15-300
Poliestere(PET) 1.29-1.4 2.8-4.1 48.3-72.4 59.3 30-300
Policarbonato 1.20 2.38 62.8-72.4 62.1 110-150
9
-1,0E+01
0,0E+00
1,0E+01
2,0E+01
3,0E+01
4,0E+01
5,0E+01
6,0E+01
-0,1 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7
DEformazione %
Tensione [MPa]
5°C 25°C 45°C 65°C -15°C -35°C
Fig. 4 Influenza della temperatura sulla curva tensione-deformazione del
polipropilene
Anche l'influenza della velocità di deformazione sul comportamento meccanico è
importante. In generale, la diminuzione della velocità di deformazione ha lo stesso
effetto sulla curva tensione-deformazione di un aumento di temperatura: ovvero il
materiale diventa più morbido e duttile.
La comprensione dei meccanismi di deformazione dei materiali polimerici è
importante dal momento ci permette di governare le caratteristiche meccaniche di
questi materiali.
A ttolo di esempio viene mostrato nella figura 5 il comportamento di un generico
materiale polimerico.
il materiale polimerico risponde in maniera completamente diversa rispetto al materiale
metallico.
Come il precedente, anch’ esso possiede una fase elastica nella quale la deformazione
è concessa dai legami covalenti tra i monomeri che permettono di allungare le catene e
recuperare poi la deformazione quando lo stress termina, ma una volta superata la zona
elastica,in corrispondenza della tensione di snervamento il materiale inizia a
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deformarsi plasticamente aumentando da prima la tensione fino a raggiungere un
valore di massimo relativo; successivamente la tensione decresce fino ad un certo
valore, dopo di che, rimane costante per un tratto che può essere più o meno lungo a
seconda del materiale e delle condizioni di prova, dopo questo tratto la tensione inizia
di nuovo a salire gradualmente
Tensione-Deformazione
0
5
10
15
20
25
0,00 0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,60 0,70
Deformazione %
Tensione [MPa]
Fig. 5 comportamento di un generico materiale polimerico sottoposto ad una prova di
trazione .
Nel materiale polimerico viene assunta, come tensione di snervamento, la tensione
corrispondente alla fine del tratto elastico, si nota dal grafico come, dopo tale punto, la
tensione salga fino ad un massimo relativo e poi scenda fino ad un certo valore in
corrispondenza del quale per un tratto si ha tensione quasi costante.
Questo avviene perché nei materiali polimerici avviene il fenomeno detto di
“Propagazione della strizione”
Nel punto di snervamento si inizia a formare una piccola strizione (neck) nella zona
centrale del provino. In questa zona le catene polimeriche sono orientate
parallelamente alla direzione dello sforzo e lo sforzo si localizza. Conseguentemente,
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in questo punto si sviluppa una maggiore resistenza alla deformazione, che puo’
continuare solamente estendendo la strizione lungo il tratto utile del provino non
ancora deformato (cold drawing).
Questo fenomeno procede fino alla fine dell’applicazione del carico, per tutta la
lunghezza libera del provino, tale fenomeno prende appunto il nome di “propagazione
della strizione”
In questo modo la tensione resta pressoché costante durante un buon tratto di
deformazione.
Finita la fase di propagazione si ha nuovamente un aumento di tensione con la
deformazione in quanto il materiale ormai tutto incrudito risponde con tensioni
maggiori ad una crescente deformazione.
E’ quindi di facile intuizione capire la difficoltà che concerne il modellare un materiale
che risponda in maniera così particolare, pensando anche al fatto che gli unici dati
sperimentali sui quali si può fare affidamento per produrre un modello sono quelli
ricavati fino al momento in cui la tensioneraggiunge il primo massimo della curva, la
restante parte di curva dovrà essere modellata facendo diverse prove e verificando
iterativamente la loro corrispondenza alla realtà..
Isteresi meccanica
Se la forza deformatrice applicata a un corpo supera il limite elastico, la deformazione
che il corpo subisce dipende non solo dalla forza applicata, ma anche dalle
deformazioni subite in precedenza, cioe’ dalla storia del corpo. I1 discorso vale per
ogni tipo di sollecitazione; per fissare le idee, si consideri il caso di una prova di
trazione su un filo e si riportino in ascisse l’intensita’ F della forza applicata e in
ordinate l’allungamento Δl provocato. Se la forza considerata non supera il limite
elastico corrispondente al punto L di figura 6, quando essa viene ridotta il punto
rappresentativo dello stato del sistema viene a trovarsi sempre sul tratto OL di figura e
continua a rimanervi se l’intensita’ della forza viene nuovamente aumentata. Se pero’
la forza traente supera il limite elastico, quando poi viene ridotta il punto
rappresentativo non percorre piu’ il tratto OL, ma l’allungamento diminuisce con F
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piu’ lentamente, cioe’ rispetto all’andata a parita’ di carico corrisponde una
deformazione maggiore; quando poi la trazione e’ annullata si ha un allungamento
residuo OM diverso da zero e per riportare la lunghezza del filo al valore primitivo e’
necessario sottoporre il filo a una compressione. Questo fenomeno, cioe’ la pigrizia
mostrata da un materiale nel ripetere la sua storia, prende il nome di isteresi.
Fig. 6 principio di isteresi.
Se F viene nuovamente aumentata il grafico si ricongiunge a quello primitivo ma in un
punto B posto al di sopra di quello A di distacco.
Se il campione in esame viene sottoposto a una forza variabile con continuita’ tra F e --
F (valori positivi indicano trazioni e quelli negativi compressioni), dopo un certo
numero di variazioni si stabilisce una situazione in cui la deformazione che si ha nella
fase di diminuzione del carico (tratto AM'A' di figura 7) a parita’ di quest'ultimo e’
sempre maggiore di quella che si ha nella fase di aumento del carico (tratto A'MA): al
variare periodico del carico lo stato del materiale varia periodicamente secondo un
ciclo di isteresi. Durante un ciclo il materiale converte in calore parte del lavoro
compiuto su esso; infatti, quando la forza vale F e l’allungamento aumenta di dl il
lavoro corrispondentemente compiuto risulta Fdl ed e’ rappresentato dall’area del
Δ
l
F
0
M
B
A
L
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rettangolo 1234 di figura, quando l’allungamento diminuisce variando di - dl, la forza
ha un'intensita’ minore e il lavoro e’ rappresentato dall’area (considerata negativa) del
rettangolo 2365: il lavoro complessivo nelle due fasi e’ quindi rappresentato dall’area
del rettangolo 1564. E’ adesso evidente che il lavoro compiuto in un ciclo e’
rappresentato dalla superficie racchiusa dal ciclo di isteresi.
Fig. 7 Ciclo di isteresi meccanico
Creep e fatica
Nei polimeri per applicazioni ingegneristiche la propagazione di cricca in condizioni
di fatica ciclica a carico medio non nullo presenta una componente di propagazione per
creep viscoelastico che, a seconda del materiale, può essere molto rilevante anche a
temperatura ambiente . In un recente lavoro la propagazione di cricca per fatica è stata
misurata nel polipropilene rinforzato con varie percentuali di fibre di vetro corte in
condizioni di carico ciclico a varie frequenze.
Δ
F F
-
A
A’
M
M’
3
2
6
5
4
1
14
A parità di carico applicato la velocità di propagazione della cricca è risultata
fortemente dipendente dalla frequenza della sollecitazione applicata, con valori
decrescenti all’aumentare della frequenza stessa.
L’analisi dei dati ottenuti secondo l’approccio proposto da Wyzgoski et al. ha messo
in evidenza come la propagazione di cricca avvenga prevalentemente per creep
viscoelastico all’apice della cricca, soprattutto alle basse frequenze di sollecitazione.
Tuttavia, durante la propagazione per fatica, la dissipazione di energia legata ai carichi
dinamici causa un’aumento di temperatura all’apice della cricca.
Sebbene l’entità di tale aumento di temperatura sia difficilmente misurabile
sperimentalmente, il carattere non-isotermo della propagazione è stato evidenziato
mediante analisi termografica .
Si è studiato il ruolo dei processi di fatica e di creep nella propagazione
della frattura in compositi costituiti da una matrice polimerica di polipropilene
rinforzata con 10% in peso di fibre di vetro corte, in condizioni di carico ciclico.
In particolare, risultati di prove di propagazione della frattura a carico costante (creep)
condotte a diverse temperature si sono dimostrate estremamente utili per interpretare
dati di propagazione della frattura in condizioni di carico ciclico a diverse frequenze.
Dall’analisi dei dati delle prove di fatica è emerso che in condizioni di carico ciclico
per valori non nulli del carico medio, la crescita della cricca a basse frequenze (0.1 e 1
Hz) è praticamente dovuta solo ad un processo di frattura per creep, caratterizzato da
un aumento della temperatura localizzato all'apice della cricca.
In tali condizioni il processo può essere considerato equivalente ad una frattura per
creep in condizioni quasi isoterme, in cui la temperatura sia però uniformemente
distribuita all'interno del campione.
A frequenze più elevate (10 Hz) il carattere non isotermo della propagazione della
frattura risulta essere più pronunciato e la velocità di crescita della cricca risulta
determinata, in misura confrontabile, sia da un contributo di pura fatica che da un
contributo di creep.