2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
2
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
2.1 Dati di consumo di materie plastiche
Un quadro dei consumi di materie plastiche può essere ricostruito sui dati del 1998
elaborati dall’APME (Association of Plastics Manufacturers in Europe) [0] che
costituiscono una media di valori per l’Europa Occidentale. Il consumo globale di plastica
in Europa Occidentale nel 1998 è risultato di 29,3 milioni di tonnellate (ton) di polimero
vergine cui si sommano 1,07 milioni di ton di granuli riciclati, per un totale di 30,4
milioni di ton totali, con un 4,8% di incremento rispetto al 1997. Ciò equivale ad un
consumo annuale pro-capite di circa 76 kg, con un incremento pro-capite del 4,4%
rispetto l’anno precedente. Di queste 30,4 milioni di ton totali, l’Italia contribuì nel 1998
con una domanda di quasi 6 milioni di ton, risultando così il secondo consumatore
europeo dopo la Germania. Alla fine del 1999, il consumo di polimeri plastici in Europa è
aumentato del 5,4%, per arrivare ad un valore di 33,6 milioni di ton, con un consumo
medio per individuo di 83,9 Kg. Di queste 33,6 milioni di ton, l’Italia contribuì con una
domanda di 6,6 milioni di ton, classificandosi ancora al secondo posto, dopo la Germania;
includendo anche le applicazioni non plastiche (ad es. per fibre tessili sintetiche,
rivestimenti termici isolanti, imballaggi compositi come film di LDPE su cartoni per cibi
liquidi, ecc.) , nel 1999 il consumo di plastiche totale nell’Europa Occidentale è stato di
42,7 milioni di ton.
Fig. 2.1 Impiego delle materie plastiche, suddiviso per settori (1998, dati APME).
Come si può notare dalla fig.2.1, le maggiori applicazioni delle plastiche sono nel
packaging, con 12,6 milioni di ton nel 1998. Approssimativamente i due terzi di questo
3%
41%
19%
18%
8%
7%
4%
Agricoltura
Packaging
Edilizia
Art. Domestici
Elettrico ed elettronico
Automobilismo
Grossa industria
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
3
valore sono costituiti da sales packaging, quindi soprattutto da protezioni per cibi, ma
anche da articoli domestici e beni di consumo; il terzo rimanente è rappresentato dal
transport packaging, ossia da imballaggi ed involucri. Uno studio recente condotto in
Germania ha dimostrato che senza packaging in plastica, il peso del prodotto più l’imballo
aumenterebbe del 291%, l’energia usata per la produzione dello stesso aumentava del
108% ed il volume dei rifiuti del 158%.
A livello mondiale la produzione arriva a circa 100 milioni di ton di materie plastiche di
cui circa 50 milioni di ton di poliolefine (1996) ed è curioso osservare che, nonostante
queste cifre, le plastiche contino solo per il 4% del consumo mondiale di petrolio.
Il quadro del consumo di materie plastiche si riflette nella distribuzione dei rifiuti da
queste derivati: la prevalenza delle applicazioni del packaging comporta una prevalenza di
poliolefine e PVC nei rifiuti plastici con particolare concentrazione nei rifiuti solidi urbani
(RSU). Negli RSU europei troviamo principalmente i seguenti tipi di plastiche: HDPE
(polietilene ad alta densità), LDPE (polietilene a bassa densità), PP (polipropilene,
Moplen®), PVC (polivinilcluoruro), PS (polistirene), PET (polietilene tereftalato). Tra
questi, LDPE e HDPE costituiscono oltre il 40 wt% del totale negli RSU. Pertanto l’alta
percentuale di poliolefine presenti nei rifiuti plastici giustifica l’interesse per il
recupero/riciclo di tali materiali.
La crescente domanda di plastica da parte di tutti i settori industriali si ripercuote, d’altro
canto, in un considerevole aumento del rifiuto plastico da smaltire. Va comunque detto
che, proprio in virtù della loro leggerezza, i materiali plastici contano meno dell’1 wt%
dei rifiuti totali (1998, fonte APME).
Fig.2.2 Rifiuti plastici raccolti in Europa occidentale, suddivisi a seconda del settore da cui sono stati
generati. I dati sono in % in peso, fra parentesi i valori assoluti (* 1000 tonnellate; 1998, dati APME).
22% (3940)
4% (675)
3% (585)
4% (728)
2% (272)
65%
(11370)
RSU
Agricoltura
Automobilismo
Edilizia
Elettrico ed elettronico
Distribuzione ed industria
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
4
2.2 Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
Come accennato nel capitolo precedente, la pirolisi si inserisce nel gruppo di tecnologie
atte a recuperare le materie plastiche nella end-of-life: in particolare appartiene alle
tecniche di riciclaggio (o recupero) chimico (o feedstock recycling), in cui le plastiche
dismesse subiscono una serie di cambiamenti chimici che le trasformano in prodotti ad
alto valore aggiunto (come ad esempio combustibili, lubrificanti o addirittura monomeri).
Questa opzione di riciclaggio è in assoluto la meno indagata e soprattutto la meno
impiegata su scala reale. Oltre a queste tecniche esiste il riciclaggio meccanico e il
recupero energetico; infine l’ultima opportunità, che non è un recupero, è la discarica.
Secondo dati APME, nel 1998, più del 30 wt% del rifiuto plastico è stato
complessivamente recuperato, dal 25 wt% che era nel 1997; il riciclo meccanico è
aumentato del 10,6% dal ’97 al ’98 ed è stata recuperata energia da 3348000 ton di rifiuti
plastici nel 1998, con un aumento del 30 % rispetto al ’97 e del 43% rispetto al ’94.
2.2.1 Il riciclaggio meccanico
Prevede la trasformazione da materia plastica a materia plastica: il rifiuto, cioè, diviene il
punto di partenza per nuovi prodotti in plastica. Tale modalità di riciclo mantiene il
polimero intatto e lo riprocessa, diversamente dal riciclo chimico, dove i polimeri
vengono, a volte, depolimerizzati nei prodotti di base, nei monomeri, appunto.
Questa tecnica consiste essenzialmente nella rilavorazione termica o meccanica dei rifiuti
plastici. Se i materiali sono termoplastici, si riottengono granuli idonei a produrre altri
manufatti, secondo i diversi procedimenti di trasformazione. Se sono termoindurenti,
vengono macinati per essere impiegati come cariche inerti nei polimeri termoplastici
vergini. Si può distinguere tra prodotti riciclati che servono per lo stesso scopo (per
esempio bottiglie da bottiglie) e prodotti che cadono in una differente categoria di
applicazione (per esempio fibre da bottiglie).
Benché questo metodo sia di facile applicabilità e richieda limitati investimenti, le
opportunità per il riciclo sono limitate dagli alti livelli di impurità permanenti e dalle
caratteristiche povere del materiale riciclato nella maggior parte delle applicazioni del
prodotto finito. Il materiale prodotto tramite riciclo meccanico, infatti, ha sfortunatamente
proprietà fisiche inferiori se confrontate con quelle del polimero vergine. Possono allora
essere necessari mescolamento o fusione con una certa quantità di polimero vergine. I
cambiamenti chimici irreversibili nella struttura del polimero, durante le fasi di
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
5
lavorazione e di utilizzo, sono le cause del deterioramento delle proprietà fisiche e delle
caratteristiche meccaniche del prodotto riciclato.
I grafici che seguono mostrano come i diversi Paesi, nel corso dell’anno 2000, hanno
gestito il recupero integrato dei rifiuti, scegliendo tra riciclo meccanico, chimico e
recupero energetico (fonte COREPLA); i dati possono essere letti sia in termini di kton
(sul lato sinistro del grafico), che in termini percentuali rispetto alla quantità totale di
materia riciclata (sul lato destro dello stesso):
Fig.2.3 Percentuali e kton di rifiuti recuperati in maniera meccanica dai vari stati europei nel corso
dell’anno 2000.
2.2.2 Il recupero chimico
Come già accennato nelle righe precedenti, il recupero (o riciclaggio) chimico, in
generale, prevede il ritorno alla materia prima di base, attraverso la trasformazione delle
plastiche usate, in monomeri di pari qualità di quelli vergini, da utilizzare nuovamente
nella produzione: nel caso delle materie plastiche, questo significa provocare una
depolimerizzazione che solo in pochi casi può essere indotta per via chimica
(idrogenazione, idrolisi, glicolisi), mentre, per la maggioranza delle materie plastiche, si
ottiene per riscaldamento in assenza di ossigeno (pirolisi), in atmosfera inerte (elio o
azoto).
La seguente tabella riporta le quantità in kton di materia plastica recuperata chimicamente
in Italia e mostra come tale riciclo sia ancora agli albori della sua effettiva potenzialità:
Mechanical Recycling 2000
0
50
100
150
200
250
300
350
A
u
s
t
r
i
a
B
e
l
g
i
u
m
F
i
n
l
a
n
d
F
r
a
n
c
e
G
e
r
m
a
n
y
I
t
a
l
y
N
o
r
w
a
y
P
o
r
t
u
g
a
l
S
p
a
i
n
S
w
e
d
e
n
U
K
K
t
o
n
n
0
5
10
15
20
25
30
35
%
Recycling,
Ktonn
Recycling, %
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
6
1999 2000 2001 2002
Feedstock
recycling
0 0 0,2 3
I valori riportati in questa tabella, anch’essi espressi in kton, riassumono i valori del
riciclo complessivo in Italia (fonte COREPLA), prevedendo quello per il 2003 e il 2004:
Per “Incidenza riciclo” s’intende la frazione % di polimero così recuperata sul totale della
massa di plastica complessivamente dismessa:
2000 2001 2002 2003 2004
Totale
riciclo
(meccanico
+ chimico)
305,0 380,3 459,0 470,0 481,0
Incidenza
riciclo wt%
16 20 23 23 23
Fig.2.4 Percentuali e kton di rifiuti recuperati chimicamente dai vari stati europei nel corso dell’anno
2000.
Feedstock Recycling 2000
0
50
100
150
200
250
300
350
A
u
s
t
r
i
a
B
e
l
g
i
u
m
F
i
n
l
a
n
d
F
r
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n
c
e
G
e
r
m
a
n
y
I
t
a
l
y
N
o
r
w
a
y
P
o
r
t
u
g
a
l
S
p
a
i
n
S
w
e
d
e
n
U
K
K
t
o
n
n
0
2
4
6
8
10
12
%
Recycling,
Ktonn
Recycling, %
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
7
1.2.3 Il recupero energetico.
Prevede di riutilizzare l’energia contenuta nei rifiuti plastici, che deriva loro dal petrolio e
che è interamente sfruttabile. L’energia recuperata dal rifiuto è una delle poche
alternative, al momento disponibili, alle risorse energetiche tradizionali.
La plastica ha un valore calorifico uguale a quello del carbone e, sebbene in peso
costituisca circa il 9% dei rifiuti urbani, produce il 50% di tutta l’energia generata durante
la loro combustione. Nella seguente figura vengono riportate le frazioni di plastica
destinata al recupero energetico rispetto a quelle complessivamente recuperate, anno per
anno in Italia (fonte COREPLA).
Fig.2.5 Quantità di plastiche recuperate in totale e in modo energetico in Italia dal 1996 al 2001.
Un semplice allineamento dell’Italia a situazioni medie europee implicherebbe un
notevole miglioramento nella gestione del rifiuto; infatti allinearsi alla media europea
significherebbe raggiungere una percentuale di termovalorizzazione del 27%. Questo
produrrebbe i seguenti risultati (fonte COREPLA):
- quasi 5 milioni di tonnellate di RSU sottratti alla discarica, di cui circa 600 kton di
imballaggi plastici;
- un’offerta di energia di circa 3000 GWh/anno, tre volte quella attualmente ottenuta dai
rifiuti;
- riduzione netta delle emissioni di anidride carbonica ad effetto serra di 1 milione di
tonnellate.
Il recupero di energia dai rifiuti ed il suo utilizzo a fini civili ed industriali, può essere
attuato attraverso: la combustione diretta dei rifiuti (o termovalorizzazione) oppure
attraverso il Package Derived Fuel (PDF) (si tratta del combustibile derivato dagli
102
120 118
168
223
368
225
249
308
396
523
748
0
100
200
300
400
500
600
700
800
1996 1997 1998 1999 2000 2001
K
t
o
n
n
Recupero
energetico
Recupero totale
2. Dati e metodi di recupero delle materie plastiche
8
imballaggi contenuti nei rifiuti solidi urbani; alcuni studi condotti in Scandinavia hanno
dimostrato che il PDF può sostituire l’equivalente di 14 milioni di tonnellate di
combustibile industriale all’anno).
Fig.2.6 Percentuali e kton di rifiuti destinati al recupero energetico dai vari stati europei nel corso
dell’anno 2000.
Concludendo, risulta chiaro che il riciclo chimico dei polimeri di sintesi è un metodo di
recupero assai vantaggioso perché permette l’ottenimento di chemical feedstocks utili per
l’industria chimica se non addirittura olefine leggere, fra cui i monomeri degli stessi
polimeri. Il vantaggio è ancor più evidente se confrontato con gli altri metodi di riciclo,
senza pensare alla discarica. Tuttavia, come si potrà capire dal prossimo capitolo sulle
precedenti esperienze di pirolisi, l’ottenimento di olefine leggere (in particolare l’etilene)
dal PE è assai difficile. In questo contesto si inserisce il presente lavoro di tesi, che
studierà la prima parte di un processo a due stadi per l’ottenimento preferenziale di etilene
da PE.
Energy Recovery 2000
0
100
200
300
400
500
600
700
A
u
s
t
r
i
a
B
e
l
g
i
u
m
F
i
n
l
a
n
d
F
r
a
n
c
e
G
e
r
m
a
n
y
I
t
a
l
y
N
o
r
w
a
y
P
o
r
t
u
g
a
l
S
p
a
i
n
S
w
e
d
e
n
U
K
K
t
o
n
n
0
10
20
30
40
50
60
70
%
Recycling,
Ktonn
Recycling, %
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
9
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni.
3.1 Generalità
La decomposizione termica di polimeri vinilici [1,2,3], (CH
2
CRX)
n
con R = H o alchile e
X = H, alchile, arile, alogeno, CO
2
R’, CN, ecc., è utile per studiare il deterioramento delle
proprietà degli stessi durante usi e processi ad alta temperatura, per metodi analitici basati
sulla pirolisi [1h] e come potenziale metodo pirolitico per recuperare intermedi chimici
utili (chemical feedstocks) oppure combustibili da rifiuti di materie plastiche.
Recenti ricerche hanno enfatizzato la progettazione di reattori e processi per massimizzare
il valore dei prodotti, per ricavare modelli cinetici dalle analisi termogravimetriche (TGA)
e per studiare l’evoluzione del cambiamento del peso molecolare (MW) del residuo di
decomposizione. Molta meno attenzione invece è stata posta sulla modellazione
meccanicistica (a livello molecolare) della formazione dei volatili. Lo scopo della
seguente trattazione è l’esame critico dei dati di letteratura effettuato confrontando diversi
articoli per verificare quali conclusioni sono comuni e quali no.
In questo paragrafo si accennano i tre tipi di rotture di legame (concetti che saranno
approfonditi al §3.2.5).
(1) Rottura della catena principale sui legami C-C con trasferimenti
inter/intramolecolari di atomi di idrogeno che conducono a nuovi gruppi saturi ed
insaturi. Tali reazioni di rottura casuale (intendendo con tale aggettivo la posizione
lungo la catena polimerica, cfr. §3.2.5) si ripetono successivamente nel polimero e
nei prodotti iniziali di degradazione il risultato è inizialmente una diminuzione di
MW ed infine una perdita di peso del campione polimerico causata dalle volatilità
dei prodotti di degradazione: questi hanno, in generale, un ampio range di numero
di atomi di carbonio (nC) e se tale range si sposta verso valori sufficientemente
piccoli, i prodotti evaporano, senza ulteriore scissione dei legami (a meno che non
subiscano altri processi di cracking ad alte temperature).
(2) I prodotti volatili si possono formare dalle estremità delle catene polimeriche già
dai primi istanti della reazione, con un nC non casuale, mediante un processo di
scissione delle estremità (generiche) della macromolecola (processo chiamato end
scission oppure backbiting).
(3) Infine, il monomero può essere generato con un processo di Ε-scissione
(unzipping).
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
10
A queste reazioni si aggiungono processi di ramificazione e/o di cross-linking che
possono avvenire alle temperature (T) più basse e che aumentano il MW del polimero.
3.2 Riassunto dei dati di letteratura
3.2.1 Metodi di pirolisi
I dati cinetici e di produzione della pirolisi del polietilene (PE) fuso sono molti e non
sempre confrontabili: esistono infatti delle differenze sottili e non sempre chiare fra PE ad
alta densità (HDPE), preparati con catalizzatori contenenti metalli e aventi bassa
ramificazione (0,5-3 catene laterali ogni 1000 nC), e PE a bassa densità (LDPE), preparati
con iniziatori radicalici e contenenti maggiori ramificazioni di catena, che possono essere
corte (C
2
–C
8
) in quantità 10-30 ogni 1000 nC oppure lunghe (C
15+
) in quantità 0.5-4/1000
nC
[4].
Dati dinamici da TGA [5], metodo che registra la frazione di perdita di peso (x) come
funzione di T e del tempo (t) (cfr. §9.2.1), rivelano l’”inizio” della perdita di peso (onset)
per PE a T τ 400°C e la “fine” intorno ai 500°C, a seconda delle velocità di
riscaldamento, con trascurabile residuo di polimero; tuttavia, avvengono diminuzioni in
MW già a T inferiori ai 300°C, anticipando la formazione significativa dei volatili. Gli
studi isotermi condotti su scala di laboratorio nel regime di basse temperature ( δ 500°C)
sono tipicamente svolti in sistemi tipo TGA oppure in reattori aperti dai quali i volatili
(termine generico per indicare i prodotti di pirolisi) sono continuamente rimossi da una
corrente di inerte oppure sottovuoto per un periodo di minuti –ore con seguente analisi
separata (detta off-line) dei prodotti di tipo gascromatografico (GC) o GC accoppiato alla
spettrometria di massa (GC-MS). Pochi dati riguardano reattori chiusi e piccoli aventi,
cioè, poco spazio nella parte superiore al pelo libero del fuso e tali da costringere i tutti i
prodotti di degradazione a rimanere nel polimero fuso.
Nel regime delle alte T (>600°C), sono spesso usati dei riscaldamenti molto veloci per
raggiungere una conversione tendente al 100% (si parla allora di flash pyrolysis); i sistemi
riscaldanti prevedono filamenti o nastri resistivi riscaldati o accoppiati induttivamente con
riscaldatori a punto di Curie [6-8].
Di seguito ci si riferirà raramente a impianti pilota progettati per il tertiary recycling di
polimeri di scarto. Esempi di pirolisi condotte a basse T includono reattori chiusi
ermeticamente [10-12], sistemi con “distillazione reattiva” [13-16], reattori a letto fluido
in cui il PE fuso è disperso con un carrier inerte [17a-18], reattori continuamente agitati
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
11
(CSTR) [19]. Esempi di pirolisi ad alte T, in cui avviene la sequenziale rottura del
polimero a cere, poi a gasolio, poi a nafta ed infine a gas sia nel fuso che in fase gas,
adottano reattori a letto fluido [17b,c,20-24] pirolizzatori conici rotanti [25a,b], e reattori
tubolari con relativamente lunghi tempi di residenza [25c,26]. In condizioni estreme, sono
raggiunte significative quantità di etilene, propilene e metano come anche aromatici
[24c,26b].
3.2.2 Studi cinetici
Dickens [28] commentò i primi studi sulla TGA dei polimeri mentre Westerhout et al.
[25d] studiarono criticamente dati più recenti e le possibilità di ricavarne rilevanti
informazioni meccanicistiche; Ceamanos et al. [29] fornirono un’ulteriore serie di dati
TGA. Sono anche disponibili recenti compilazioni di dati TGA e metodi per la loro
interpretazione [18b,30a,31,32,33a,b,34,35]. Cinetiche che descrivono la scissione dei
legami accoppiata all’evaporazione dei prodotti furono proposte per la prima volta da
Simha e Wall [36], i quali fornirono soluzioni analitiche per i cambiamenti di MW nel
residuo, usando l’assunzione semplificatrice per la quale il processo di evaporazione
(considerata del primo ordine) cambiasse in maniera discontinua da inesistente a
completamente dominante qualora il MW, calando, fosse inferiore al valore critico L
c
[30a,35a,b,36]. Ci sono indicazioni di effetti legati al rapporto fra la dimensione del
campione e l’area della superficie, alla pressione esterna [28,37] e al ruolo nella
formazione di bolle nel fuso [30b].
Le elaborazioni dei dati TGA assumono comunemente una reazione a singolo step con
una costante di velocità k e un ordine di reazione n al quale è permesso variare con
l’evolversi della pirolisi. Da notare due conseguenze di ciò: (1) l’“ordine di reazione” n è
applicato alla massa del campione rimanente (1-x) in un sistema che costantemente cala di
volume e non, com’è solito, alla concentrazione del reagente in un sistema isocoro. (2) La
“concentrazione” dei gruppi reattivi chiave nel residuo non è collegabile all’aumento di x
nel tempo (che è la massa convertita del polimero durante la reazione, grandezza che
compare nelle leggi cinetiche di pirolisi), al contrario di quanto si verifica nelle usuali
leggi cinetiche in cui si indica ad esempio per il generico reagente A che [A](t) = a
0
– x
A
(in cui a
0
= [A](0) e x
A
= concentrazione di A che ha reagito); infatti, se si intende (in
senso lato) con [A](t) la concentrazione istantanea dei gruppi reattivi nella massa di
reagente residuo risulta che, nel tempo, maggiore è la conversione di A (cioè x
A
), minore è
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
12
quella degli stessi gruppi reattivi, secondo la legge lineare descritta dalla formula
precedente; al contrario, in sistemi complessi come i polimeri queste ipotesi non sono più
valide: infatti, mentre la concentrazione dei legami C-H nel PE pirolizzabile rimane
sostanzialmente costante, i gruppi insaturi aumentano.
Un esempio di legge cinetica può essere:
dx/dt = k (1-x)
n
= A exp(-E/RT) (1-x)
n
. (3.1)
I valori dei singoli parametri cinetici A, E, n variano molto: per es. Westerhout [25d]
riportò per E il range di valori E = 38-76 kcal mol
-1
. Sebbene A ed E si compensano come
valori [29,34b,35b], esistono ancora notevoli variazioni di k, da 10
11
a 10
21
s
-1
, fra le
diverse fonti che sono state ascritte al tipo di PE e distribuzione iniziale dei pesi
molecolari (MWD), all’inadeguatezza del modello di legge cinetica [35b,39] e all’errore
sperimentale. Tipicamente n aumenta da |0 a bassi valori di x, fino a |1 ad alti x; pertanto
l’uso diffuso di n = 1 è giustificato solo qualora la maggior parte della decomposizione
finale sia già finita: quindi l’utilità dei parametri TGA per analisi meccanicistiche è
limitata. Ulteriori ambiguità si sommano nella TGA dinamica (in cui T varia nel tempo)
dove dx/dt aumenta aumentando T perché aumentano sia le costanti di velocità che L
c
.
Esistono approcci più recenti per ottenere dati cinetici: per esempio, il modello di
Darivakis et al. [40] assume che il polimero si possa degradare con un numero infinito di
reazioni parallele del primo ordine aventi valori dell’energia di attivazione distribuiti
secondo una gaussiana; secondo questo modello risulta che E = 49.7 kcal/mol.
3.2.3 Cambiamenti iniziali nel residuo del polimero
Il calo di MW del polimero avviene prima dell’inizio della volatilizzazione [42-
45,46b,47-51] e quindi della perdita di peso. Le costanti formali di velocità del calo di
MW non sono tipicamente costanti e indicano una fase “veloce” seguita da una fase
“lenta” [42-45,46b,47,48,53]. A T τ 400°C, temperatura alla quale iniziano le
volatilizzazioni, la rapidità del calo di MW è nascosta dall’inerzia termica del
riscaldamento, tipica di un reattore a batch. Al contrario, a T inferiori ( δ 300°C), il MWD
sviluppa una spalla verso i valori maggiori di MW, in competizione con la degradazione
[31a,46b], che è stata attribuita alla formazione di nuove ramificazioni a catena lunga (le
cosiddette long-chain branches, LCB) [46b] e/o alla “ri-polimerizzazione” [31a]. Esistono
diversi esempi recenti di formazione di LCB per altri polimeri [47,49,51]. Perfino dei
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
13
processi a bassissima temperatura (190-250°C), c’è l’evidenza della formazione di LCB
[54] o di legami trasversali (cross-linking) [55].
Oakes e Richards [42] hanno dimostrato l’aumento dell’insaturazione “generale”
concomitante alla diminuzione di MW a 315 – 360°C; infatti, il numero medio di doppi
legami per molecola, f
t
, rimane |1 mentre M
n
(peso molecolare medio numerico della
macromolecola) diminuisce. I gruppi vinilici terminali (TV, RCH=CH
2
) crescono
continuamente nel tempo, ma i gruppi vinilidene (VD, R
2
C=CH
2
) e trans-vinilene (VL,
RCH=CHR) raggiungono un plateau per M
n
< 1000. Altri Autori hanno riportato la
crescita predominante di gruppi TV, con minori quantità di altre strutture [46b,47b,50,56].
Per un polietilene tipo HDPE ottenuto con processo Phillips avente inizialmente come
gruppi terminali principalmente un gruppo metilico e un TV, f
t
cala verso valori minori di
1 per lunghi tempi di reazione a 350-390°C [47], in contrasto coi valori di [42]. Tale calo
di f
t
da 1,02 a 0,57 è stato riportato anche in [49] per un HDPE Phillips, dopo 6 ore a
370°C.
3.2.4 Produzione di prodotti di pirolisi, genericamente chiamati volatili
Tali prodotti sono principalmente alcani lineari, 1-alcheni e, ad alte T, ∆, Ζ-dieni; sono
state trovate anche minori quantità di prodotti ramificati, in particolare da LDPE piuttosto
che HDPE [57,58a,59,60]. A dispetto dei numerosi dati analitici da gascromatografia
(GC) e spettrometria di massa (MS), i dati quantitativi su Nc (la frazione molare di
prodotto avente nC atomi di carbonio) oppure sul rapporto fra i composti nominati prima
per ogni atomo di C, sono pochi a causa dell’assenza di comuni fattori di calibrazione, di
condensazioni e/o assorbimenti nel sistema GC che causano errori soprattutto nel range di
alti valori di nC [9,61], come anche l’uso di apparati con trappole fredde.
3.2.4.1 Gas leggeri
Il grafico e la tabella seguenti [2] riportano numerosi dati quantitativi per la
quantitativamente piccola frazione di idrocarburi C
2-5
ottenuti in base alle fonti
[20,43,56,62-65]. Va specificato: (1) in genere la frazione ponderale dei gas di pirolisi
ottenuti da processi a lunghi tempi di reazione (escludendo quindi le flash-pirolisi), a
pressione atmosferica (escludendo quindi i processi condotti a pressioni ridotte) si attesta
intorno a valori da 7 ψ17 wt% a seconda delle condizioni sperimentali e del tipo di PE
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
14
[es.14,16,65]; (2) al diminuire della quantità di gas si amplificano molto gli errori
strumentali.
Fig.3.1 Distribuzione dei composti idrocarburici C
2-5
da pirolisi di PE a bassa T: linea piena ■, HDPE,
415°C, 10 min, GC [56]; linea piena ¡, HDPE, 375°C, 20 min, GC, [63a]; linea piena z, polimetilene
(PM) 437°C, 20 min, GC [63b]; linea piena - , HDPE, 420°C, 150 min, GC [64]; linea piena —,
HDPE, 420°C, 15h, GC [65]; linea tratteggiata ■, PM, 405-475°C, 30 min, MS, [62]; linea tratteggiata
¡, PM, 405-475°C, 30 min, MS, [43]; linea tratteggiata ▲, PE, 500°C, 20s, GC [20].
Il grafico illustra anche la difficoltà di distinguere le influenze dalle differenti condizioni
sperimentali.
Frazione molare normalizzata a 1.0 per C
2-5
Condizioni e commenti
C
2
sat C
2
= C
3
sat C
3
= C
4
sat C
4
= C
5
sat C
5
=
1)PE, 20-60 mg; prova condotta in
alto vuoto; corse multiple a 405-
475°C; 30 min; conversione
(frazione di perdita di peso) x = 0.24
– 0.99; composizione non sensibile
alla T; la frazione C
2-7
costituì solo
1.1 wt% dei volatili totale; tecnica
MS; non c’è discussione della
calibrazione
a
[62].
0.15
0.05 0.16 0.05 0.20 0.26 0.07 0.08
2) Presumibilmente analogo al
precedente, tranne con PM invece
che con PE
a,b
[43]
0.05
0.14 0.04 0.25 0.14 0.16 0.08 0.13
3. Letteratura: precedenti esperienze di pirolisi di polietileni
15
3) 0.2 HDPE; tubo sigillato,
atmosfera inerte per azoto con la
parte superiore non riscaldata; T =
415°C; 10 min; x non data; responso
GC considerato proporzionale al
wt% tuttavia il tipo di detector e la
calibrazione non sono discussi
b,c
[56]
0.14
0.10 0.19 0.28 0.10 0.12 0.03 0.04
4) 1g HDPE; sistema chiuso a 10
-4
torr; un’estremità è inserita in una
trappola criogenica; il crogiolo
contenente il campione è inserito
nella zona riscaldata; T = 375°C; 20
min; x non data ma la frazione C
1-6
era solo 0.013 mol% del polimero
iniziale; GC-FID; uso di fattori di
calibrazione; l’analisi era basata sui
composti volatili a T ambiente.
0.11 0.13 0.24 0.34 0.05 0.08 0.02 0.03
5) HDPE; come prima eccetto i
425°C; x non viene data ma la
frazione C
1-6
era 0.30 mol% del
polimero iniziale [63a].
0.11 0.14 0.22 0.31 0.07 0.08
e
0.04 0.05
6) 100 mg di PM; come prima
eccetto T = 437°C; x = 0.025 per C
1-
16
e 0.05 per C
16+
[63b].
0.13 0.13 0.19 0.23 0.11 0.09 0.06 0.07
7) 27.8 mg HDPE; sistema: ampolla
completamente riscaldata e chiusa in
atmosfera di Ar; T = 420°C; 150min;
x = 0.32 in gas e composti solubili in
cicloesano; l’analisi dei gas fatta con
GC-TCD [64].
0.19 0.12 0.16 0.24 0.10 0.11 0.04 0.05
8) 0.1-1.0 mg di PE
f
; sistema:
capillare di quarzo riscaldato con un
filamento; elio gas inerte; la
calibrazione non è discussa;
dichiarati 20°C/ms fino a 500°C;
20s; x = 1 [20].
0.09 0.45 0.09 0.18 0.01 0.12 g G
9) 3.0 g HDPE; reattore statico con
piccola portata di azoto; forse usato
GC-FID ma la calibrazione non è
discussa; 420°C; 15h per completare
la volatilizzazione; rapporti finali
ponderali in wt%:
gas:liquido:residuo = 10 : 81 : 9 [65].
0.21 0.07 0.21 0.24 0.10 0.12 0.03 0.04
a
Tracce di alleni e pentadieni.
b
Tracce di butadiene.
c
Il maggior effetto dell’aumento di T a 600°C era
l’aumento dei C
2
saturi e diminuzione dei C
3
saturi.
d
2-butene : 1-butene = 36 : 64.
e
Tracce di 2-
buteni.
f
PE in generali perché si ottengono gli stessi risultati sia con HDPE [20a] e LDPE [20b].
g
Totale = 0.06 perché saturi/insaturi non risolti
Fig.3.2 Distribuzione degli idrocarburi leggeri prodotti a temperatura <500°C dalla pirolisi dei PE.