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Introduzione
Negli ultimi dieci anni, grazie al notevole impulso delle conoscenze e
all’avanzamento tecnologico al quale si è assistito in ambito biomedico, si è
sviluppato un nuovo settore di studio e ricerca, che si colloca all’intersezione della
medicina, della biologia e dell’ingegneria: l’ingegneria tissutale. Scopo principale di
questa nuova disciplina è ottenere tessuti biologici artificiali destinati ad accelerare
i processi di guarigione, a rigenerare tessuti che non assolvono più alla propria
funzione nonché a sostituirli, qualora siano irrimediabilmente compromessi. In
questo contesto, nel Dipartimento di Istologia ed Embriologia Medica
dell’Università Sapienza di Roma, è stata messa a punto una tecnica per la
realizzazione di un costrutto biologico tridimensionale di cellule satelliti prelevate
da fibre muscolari murine: l’X-MET (eX vivo Muscle Engineered Tissue).
Tale studio fa parte di una ricerca nella quale si sta indagando la possibilità di
effettuare trapianti in vivo sia su muscolo cardiaco (per la cura di ischemie e di
porzioni di miocardio infartuato) che su tessuto muscolare striato (per la cura della
distrofia muscolare di Duchenne e per il recupero dell’attività funzionale di tali
organi).
In questo contesto, lo scopo della tesi è stato di caratterizzare le proprietà
biomeccaniche dell’X-MET, determinando l’andamento della forza e della
deformazione di contrazione in risposta a specifici protocolli di stimolazione. In
particolare, l’evoluzione della deformazione è stata misurata mediante una
metodologia di misura senza contatto, la Digital Image Correlation o D.I.C.,
attraverso l’acquisizione di immagini ad alta frequenza.
A tale scopo è stata realizzata una catena di misura ad hoc, dove le grandezze di
interesse, deformazione e forza, sono state misurate, rispettivamente, da un
sistema ottico e da un trasduttore a disposizione (risoluzione 1µN). La contrazione
dei provini è stata indotta applicando al tessuto degli impulsi elettrici per mezzo di
micro elettrodi collegati ad un elettrostimolatore. I segnali inviati
all’elettrostimolatore sono stati sintetizzati dal computer.
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Entrambi gli elementi sensibili (trasduttore e telecamera) della catena di misura
devono essere collocati sul microscopio. È stato quindi necessario costruire un
supporto opportunamente progettato che consentisse il giusto posizionamento del
trasduttore, degli elettrodi e dell’X-MET sotto l’obiettivo mentre la telecamera è
stata posizionata nell’alloggio apposito del microscopio.
E’ stato necessario, inoltre, controllare l’intero processo di misurazione tramite il
calcolatore in modo che tutta la strumentazione possa coordinarsi ed interagire in
maniera efficace. Ciò è stato possibile grazie alla messa a punto di un adeguato
programma redatto in linguaggio LabView; esso è in grado di gestire
contemporaneamente, in maniera automatica, l’elettrostimolatore per fornire
l’impulso all’X-MET, la telecamera per l’acquisizione delle immagini, e il
calcolatore per il salvataggio delle stesse.
L’elaborazione delle immagini è fatta con un algoritmo originale redatto in C++ e
realizzato dal professor G. B. Broggiato del Dipartimento di Ingegneria Meccanica
e Aerospaziale dell’Università Sapienza di Roma. Tale programma è in grado di
definire quantitativamente e qualitativamente le deformazioni che avvengono
sull’X-MET durante il processo di contrazione. L’algoritmo è stato realizzato
originariamente per applicazioni molto diverse da quella di questo lavoro. Esso era
settato per elaborare immagini di provini meccanici con deformazioni quasi-
statiche e con velocità di acquisizione delle immagini molto ridotta, dell’ordine dei
10fps al massimo: è stato necessario, quindi, modificare alcune righe del codice.
Le qualità metrologiche sia statiche che dinamiche del sistema ottico e le proprietà
del codice in C++ sono state valutate in studi precedenti a questo e, per
completezza, ne verranno solamente richiamati i risultati; mentre la calibrazione
del trasduttore è stata qui eseguita e descritta in modo esaustivo. Anche per la
calibrazione è stato messo a punto un programma redatto in LabView.
Questa tesi comprenderà inizialmente una breve panoramica sugli aspetti biologici
di fibre e tessuti muscolari, poi si effettuerà una panoramica concettuale e
applicativa sulle tecnologie di misura D.I.C. , si presenterà la strumentazione
utilizzata ed infine verranno descritte le misure effettuate sul costrutto e i relativi
risultati.
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Capitolo 1
Il muscolo
1.1 Il tessuto muscolare scheletrico
Il tessuto muscolare è responsabile dei movimenti volontari ed involontari del
corpo e si può suddividere in tre tipologie:
ξ Tessuto muscolare striato scheletrico che regola il movimento volontario;
ξ Tessuto muscolare striato cardiaco che costituisce il parenchima del cuore
e ne permette la contrazione;
ξ Tessuto muscolare liscio che regola il movimento involontario.
Figura1. Struttura del muscolo scheletrico
Il tessuto muscolare scheletrico è caratterizzato da elementi irregolari di forma
tubolare chiamati fibre muscolari; esse sono dei sincizi, cioè si generano dalla
fusione delle cellule progenitrici, i mioblasti.
Facendo riferimento alla figura 1 si nota come ogni muscolo sia avvolto da una
lamina connettivale esterna, detta epimisio, la quale va a fondersi con il tendine
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per permettere l’attaccatura all’osso da muovere. L’epimisio si ramifica
producendo elementi interstiziali che avvolgono i singoli fasci di fibre muscolari
formando il perimisio, da questo si distaccano dei setti di connettivo che ricoprono
la singola fibra muscolare e che sono detti endomisio.
Le fibre muscolari sono, a loro volta, costituite da miofibrille (figura 2):
Figura2. La miofibrilla
Si distinguono in essa due zone: la banda A e la banda I che presenta al suo
interno la linea Z; tra due linee Z successive si sviluppa l’unità contrattile del
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muscolo, il sarcomero. Le miofibrille sono formate da due tipi di filamenti: i
filamenti spessi, composti in gran parte da miosina, e i filamenti sottili, composti in
maggioranza da actina. L’interazione tra queste due proteine consente la
contrazione muscolare.
Le miofibrille possono dar luogo a due diversi tipi di fibre muscolari: le fibre veloci,
che hanno la capacità di imprimere elevati valori di forza in tempi molto brevi ma
sono particolarmente inclini all’affaticamento, e le fibre lente, che sviluppano una
contrazione più prolungata con una risposta meno intensa e più lenta ma sono
soggette ad un affaticamento minore.
La lunghezza e la forza rappresentano le due grandezze meccaniche
fondamentali nello studio della meccanica del muscolo. Mantenendone costante
una è quindi possibile misurare l’altra; in questo modo vengono inoltre a definirsi le
due principali tipologie di protocollo sperimentale volto allo studio delle proprietà
contrattili del muscolo: si parlerà di contrazione isometrica quando al muscolo
viene fatta sviluppare una forza mantenendo costante la sua lunghezza, e di
contrazione isotonica quando al muscolo viene imposto di contrarsi contro un
carico resistente costante, potendo così misurare la variazione di lunghezza.
Nella contrazione isometrica il muscolo viene stimolato elettricamente mentre è
costretto a mantenere una lunghezza costante.
Figura3. Sommazione meccanica
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Un singolo stimolo determina un aumento della tensione muscolare che poi
decade in seguito al rilassamento del muscolo: twitch. Se viene applicato un
secondo stimolo prima che il muscolo si rilassi completamente, il picco della
tensione muscolare relativa al secondo impulso sarà più elevato di quello relativo
al primo: fenomeno della sommazione meccanica (figura 3). Applicare più stimoli
uno vicino all’altro, porta ad un aumento della tensione muscolare fino ad arrivare
ad un massimo, cioè ad un livello stazionario. In questo caso si dice che il
muscolo è in una condizione di tetano.
Figura4. Relazione forza relativa-lunghezza del sarcomero
Inoltre, il valore della forza massima generata risulta strettamente legato alla
lunghezza alla quale viene stimolato il muscolo (figura 4). A livello microscopico,
infatti, è stato rilevato come il valore di forza sia legato al grado di sovrapposizione
dei sarcomeri, ed il valore massimo si ha quando essi non risultano né troppo
distanti da non poter interagire, ne troppo vicini così da interferire tra loro.
Nella contrazione isotonica il muscolo esercita sempre la stessa forza mentre
varia la lunghezza delle proprie fibre. Il protocollo di misura di tale tipo di
contrazione prevede l’applicazione, al muscolo, di un carico fisso, mentre vengono
misurate le variazioni di lunghezza. Nell’apparato sperimentale il muscolo è
attaccato ad un’asta in modo da essere costretto a sollevare un carico durante
l’accorciamento; quando viene rilasciato, la leva poggia contro un punto di arresto
così che il muscolo a riposo non debba sostenere il carico. Qualora non ci fosse
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l’arresto, il muscolo assumerebbe lunghezze iniziali progressivamente maggiori
all’aumentare del carico, rendendo più difficile l’interpretazione dei risultati al
variare dei pesi applicati.
Nella figura 5 viene rappresentato cosa avviene nel muscolo quando questo deve
sollevare un carico moderato mentre è sottoposto a stimolazione tetanica.
Figura5. Scalino forza-velocità
La forza generata dal muscolo aumenta (curva centrale) subito dopo il primo
impulso elettrico (linea a), ma non vi è accorciamento del muscolo che avviene
solo più tardi (linea b): quindi tra a e b vi è una contrazione isometrica. La tensione
muscolare continua ad aumentare fino a raggiungere la forza del carico esterno
(linea c), a questo punto il muscolo inizia ad accorciarsi senza che la tensione
possa aumentare ulteriormente: ci troviamo nella fase di contrazione isotonica. La
derivata della curva di lunghezza del muscolo, fatta rispetto al tempo (dl/dt),
rappresenta la velocità di accorciamento. Come si vede dalla figura essa è
massima all’inizio e va diminuendo all’accorciarsi della fibra muscolare fino ad
annullarsi quando cessa la stimolazione, a questo punto la velocità si inverte quasi
subito. Terminata la stimolazione, infatti, il muscolo torna a distendersi per effetto
del carico.
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1.2 Ingegneria tissutale
Il termine “ingegneria tissutale” (tissue engineering) fu introdotto per la prima volta
nel 1987 dai membri della “US National Science Foundation” a Washington D.C. e
definito nel seguente modo: “L’applicazione dei principi e dei metodi
dell’ingegneria e delle scienze della vita per comprendere a fondo la relazione che
esiste tra struttura e funzione nei tessuti viventi normali e patologici, per lo
sviluppo di sostituti biologici che possano ripristinare, mantenere e migliorare la
funzione tissutale” (Fox and Skalak, 1988). Indica la coltivazione in laboratorio di
cellule per ottenere tessuti artificiali destinati ad accelerare i processi di
guarigione, a rigenerare tessuti che non assolvono più alla propria funzione
nonché a sostituirli qualora siano compromessi. L’obiettivo finale è quello di poter
coltivare tessuti complessi se non addirittura organi interi.
Va considerato che l’ingegneria tissutale è ormai una pratica clinica comune per
quanto riguarda alcuni tessuti, come pelle, osso e cartilagine, mentre in riferimento
al tessuto muscolare, è una tecnica ancora in fase di studio a causa della
complessità strutturale e funzionale di tale sistema. Nonostante le difficoltà in
quest’ultimo ambito, i primi studi sembrano confermare come l’ingegneria tissutale
applicata al tessuto muscolare sia una soluzione vincente nella cura di malattie
quali la distrofia e l’atrofia muscolare progressiva e nel recupero di massa
muscolare in seguito a lesioni di natura traumatica e ad asportazioni chirurgiche di
tumori. La tecnica maggiormente utilizzata è l’autografting, basata sul trapianto o
trasferimento di tessuto muscolare da altri distretti anatomici del paziente. Ciò
porta, però, ad una degenerazione dell’area donatrice con una sua conseguente
perdita di peso e funzionalità; per contro, il trapianto eterologo può dare problemi
di rigetto, anche se questo processo è stato eseguito con successo.
In condizioni fisiologiche il muscolo scheletrico è in grado di rigenerare grazie alla
presenza di cellule satelliti, che definiscono il compartimento staminale nel
muscolo adulto. Purtroppo tali cellule non sono in grado di operare in maniera
efficiente nel caso dell’invecchiamento e in particolari patologie, come per
esempio nella distrofia muscolare di Duchenne. Caratteristica molto importante di
tali cellule è quella di poter essere isolate.
L’idea che si trova dietro l’ingegneria tissutale applicata al muscolo è, quindi,
quella di isolare cellule satelliti dal muscolo di soggetti adulti e porle in colture in