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1 Introduzione
Al giorno d’oggi micro e nanosatelliti aventi piccole masse vengono trasportati nello spazio
come un carico utile ‘aggiuntivo’ o ‘multiplo’. Risulta ancora troppo costoso, infatti,
dedicare missioni aerospaziali separate per il lancio nelle orbite terrestri di masse molto più
piccole di quella di carico utile progettata. Le missioni di volo con carichi utili aggiuntivi
costituiscono dunque la nuova frontiera dell’aerospazio. Durante lo scorso decennio, questa
problematica relativa alle missioni aerospaziali con carichi utili multipli, ha portato l'Europa
a sviluppare un programma internazionale volto alla progettazione di una nuova famiglia di
lanciatori aerospaziali di piccole dimensioni in grado di trasportare in orbite basse micro e
nanosatelliti. Il primo veicolo di lancio appartenente a tale famiglia è stato il lanciatore
aerospaziale VEGA. Quest’ultimo rappresenta il risultato di una stretta collaborazione tra
l'agenzia spaziale italiana e quella europea. In un primo momento, la famiglia di lanciatori
aerospaziali di piccole dimensioni era stata progettata per lanciare satelliti con masse di
carico utile fino a 1500 [kg], tuttavia, la crescente domanda di missioni per microsatelliti e
l'incredibile affidabilità del lanciatore VEGA, hanno costretto l'Europa a ridimensionare la
capacità di carico utile di questa famiglia di lanciatori.
In questo scenario è stato definito un nuovo orientamento europeo ed un nuovo programma
aerospaziale denominato “Consolidamento e preparazione all'Evoluzione del lanciatore
aerospaziale VEGA” attraverso cui sono state poste le basi per lo sviluppo di nuovi veicoli
di lancio con maggiori capacità di carico e la promessa di essere più sostenibili. Nell'ambito
di tale programma, il cui obiettivo è lo sviluppo di una nuova coppia di lanciatori aerospaziali
caratterizzati da una maggiore capacità di carico utile ed una elevata efficienza propulsiva,
l'Università degli studi Roma Tre e l’azienda AVIO hanno costruito un archivio di dati
aerodinamici che guiderà l'azienda stessa attraverso le fasi successive del progetto del primo
dei due nuovi veicoli di lancio, il VEGA-C. Il nuovo archivio sarà ottenuto sia mediante
misurazioni in galleria del vento sia mediante simulazioni fluidodinamiche numeriche che,
correlate con adeguati modelli d’incertezza, forniranno i coefficienti aerodinamici per i
valori di Mach richiesti in corrispondenza di specifici assetti del lanciatore lungo la
traiettoria prestabilita. La campagna sperimentale, che ha fornito le prime informazioni
riguardo all’aerodinamica del lanciatore, è stata condotta presso il centro ricerche INCAS in
Romania. L'intera campagna di simulazioni fluidodinamiche numeriche, invece, sarà svolta
dall’Università degli studi Roma Tre e dall’azienda AVIO.
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Il tutto con lo scopo di produrre un intervallo di confidenza dei coefficienti aerodinamici e
sviluppare un nuovo algoritmo di calcolo per la caratterizzazione preliminare delle azioni
aerodinamiche. Valutare i carichi aerodinamici che agiscono sul veicolo di lancio VEGA-C
è un aspetto di primaria importanza perché rappresenta un dato essenziale per i calcoli della
meccanica del volo e della meccanica strutturale. Per quanto riguarda il nuovo lanciatore, il
VEGA-C aumenterà di almeno 700 [kg] la prestazione nominale del suo predecessore sulla
stessa missione di riferimento. Questo risultato verrà conseguito mediante l’utilizzo di una
configurazione a quattro stadi leggermente differente da quella del VEGA. Il lanciatore
aerospaziale VEGA-C, infatti, sarà dotato di una coppia di nuovi motori a propellente solido
(P120 e ZEFIRO 40) che porterà i nuovi micro e nanosatelliti aventi carichi utili maggiori
sulle stesse orbite.
Figura 1 - La famiglia di lanciatori aerospaziali VEGA prodotti da AVIO
Questa figura è stata presa dal rif. [20] e rappresenta l’insieme dei lanciatori aerospaziali
prodotti dall’azienda AVIO in collaborazione con l’agenzia spaziale europea.
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2 Background scientifico
La turbolenza
Fluidodinamica Numerica
2.1 La turbolenza
La totalità dei flussi presenti in natura, siano essi basati sull’evoluzione termofluidodinamica
di un fluido incomprimibile od elastico, sono turbolenti. Il modello di flusso laminare,
sebbene ampiamente adottato in molteplici contesti ingegneristici, non è altro che una mera
semplificazione del reale comportamento di un flusso. Sfortunatamente, il carattere
fortemente irregolare ed oscillatorio delle grandezze fluidodinamiche d’interesse per gli
studi ingegneristici, complica notevolmente l’analisi dei flussi turbolenti. Il problema
principale che porta in seno la modellazione matematica di questa classe di flussi è legato
all’impredicibilità nel tempo dei segnali d’interesse (grandezze tempo e spazio varianti la
cui conoscenza consente di svolgere analisi utili per la caratterizzazione delle prestazioni di
un qualsiasi sistema fisico oggetto di studio).
Figura 2 - Esempio di un flusso turbolento a valle di un ugello propulsivo
Questa figura è stata presa dal rif. [21] e rappresenta un’immagine CFD di un flusso
turbolento non confinato a valle di un ugello propulsivo.
Proprio a causa di questa impredicibilità, risulta impossibile definire un modello fisico-
matematico in grado di risolvere in modo esatto un generico problema fluidodinamico in cui
non è possibile (neanche in prima approssimazione) trascurare gli effetti prodotti dalla
turbolenza. L’irregolarità delle grandezze fluidodinamiche, tuttavia, non è da inquadrare
solamente in un’ottica temporale ma anche in una spaziale. Risulta di per sé evidente che, in
un flusso turbolento, esiste anche un’irregolarità di tipo spaziale. In altre parole, un flusso
turbolento è un sistema caotico sia in termini spaziali che temporali.
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Con riferimento a ciò, un’esperienza altamente istruttiva che è possibile fare per
comprendere la turbolenza è quella della misura della velocità assiale di un flusso turbolento
tramite un anemometro a filo caldo. Indipendentemente dalla posizione della sonda, ciò che
si osserva è proprio l’andamento fortemente oscillatorio della velocità assiale adimensionale
( / ) del flusso nel tempo.
Figura 3 - Un esempio dell’andamento irregolare di un segnale in un flusso turbolento
Questa figura è stata presa dal rif. [3] e riporta l’andamento temporale della velocità
assiale adimensionale in due posizioni all’interno di un flusso turbolento.
Come si evince da Figura 3, l’elevato numero di oscillazioni del segnale complica
notevolmente la sua descrizione poiché rende impossibile la predizione del suo valore
istantaneo in un qualsiasi istante di tempo successivo a quello di osservazione (sebbene
nell’esempio di Figura 3 il segnale sia statisticamente descrivibile).
Come ampiamente noto, un segnale caotico può essere o non essere ‘statisticamente
descrivibile’. A tal proposito, occorre fare riferimento alle molteplici classificazioni fornite
dai libri di testo sulla ‘teoria dei segnali’ in merito alla tipologia di segnali presenti in natura.
Un segnale caotico, infatti, può essere statisticamente descrivibile (nel qual caso la sua
dizione rimane immutata) o meno (caso in cui sarebbe corretto utilizzare un’altra dizione,
ossia, quella di segnale irregolare). Nel prosieguo del sotto capitolo quindi sarà introdotto
un modello di turbolenza (che poi si rivelerà utile nella descrizione del caso studio) per
segnali caotici e successivamente verrà descritto il celeberrimo meccanismo di cascata
dell’energia che caratterizza la turbolenza. Stante il problema legato all’impredicibilità dei
segnali d’interesse che è stato precedentemente evidenziato, rimane da comprendere sia
com’è possibile analizzare matematicamente un flusso turbolento sia come si può sfruttare
il sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali di Navier-Stokes.
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A tal proposito, non sarà inutile sottolineare che la differenza macroscopica tra un flusso
laminare ed uno turbolento è nella soluzione delle equazioni differenziali. Nel primo caso,
infatti, le soluzioni sono di tipo deterministico e nel secondo caso di tipo caotico. Ciò che
permane immutato è il sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali che modella
matematicamente il problema fluidodinamico. L’elevata complessità dei flussi turbolenti
rende evidente che, al fine di definire un modello fisico-matematico di turbolenza, è
necessario non soltanto adottare molteplici semplificazioni matematiche (volte a
caratterizzare in termini statistici il segnale stesso) ma occorre anche introdurre delle
semplificazioni fisiche volte a definire una particolare classe di flussi turbolenti (quelli
stazionari, omogenei ed isotropi) di più semplice interpretazione. A seguito della precedente
introduzione, è opportuno formalizzare matematicamente ciò che è stato già esplicitato da
un punto di vista concettuale. Per fare ciò conviene anzitutto comprendere come
caratterizzare un segnale da un punto di vista statistico e, solamente successivamente,
comprendere com’è possibile epurare dalle equazioni del moto globale le componenti
statistiche che si è interessati ad osservare (che chiaramente sono quelle medie).
A livello base, un segnale può essere decomposto in una parte media (̅
o ̃
) ed in una
fluttuante ( ′
), con il seguente risultato:
=̅
+ ′
o =̃
+ ′
(1)
La parte media può essere calcolata utilizzando sia la definizione di fornita da Reynolds:
̅
= lim
→∞
1
∫ ( , ) 0
(2)
Sia quella fornita da Favre:
̅ ̃
= lim
→∞
1
∫ ( , ) ( , ) 0
(3)
Risulta utile evidenziare che le eq. (2) e (3) sono ugualmente applicabili ma portano a
risultati differenti (in termini di espressioni matematiche poiché la fisica del problema non
cambia). La duplice possibilità di definire la componente media è associata alla necessità di
analizzare fluidi elastici ed incomprimibili. Quello che si dimostra è che, la seconda
definizione di media, è molto utile in caso compressibile ed agevola notevolmente la scrittura
delle equazioni di governo.
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In ultimo si vuole evidenziare che, indipendentemente dalla definizione adottata per il
calcolo della componente media, la componente oscillante del segnale ha sempre media nulla
(questa affermazione è di per sé una conseguenza dalla definizione stessa di media).
Stante che questa sezione ha come obiettivo quello di introdurre il modello di turbolenza che
verrà utilizzato nel caso studio in esame e che, conseguentemente, non vuole certo essere un
riferimento per l’analisi di flussi turbolenti, verrà analizzato solamente il caso relativo alla
turbolenza stazionaria, omogenea ed isotropa di fluidi incomprimibili. Volendo utilizzare le
precedenti definizioni, conseguentemente, la componente media di un qualsiasi segnale
verrà calcolata tramite l’eq. (2).
Nell’analisi dei fluidi incomprimibili (come noto) due variabili giocano un ruolo
fondamentale, queste sono:
Il campo vettoriale di velocità = ( , )= ∑ 3
=1
=
Il campo scalare di pressione = ( , )
Per tale ragione, applicando la decomposizione di Reynolds, è possibile riscrivere sia le
componenti del campo vettoriale che il campo scalare come di seguito:
=̅
+ ′
(4)
= ̅+ ′
(5)
A questo punto della discussione appare opportuno evidenziare le ipotesi fisiche che
verranno adottate nello sviluppo di questa sezione che porteranno ad una semplificazione
delle equazioni di governo del modello di turbolenza. Stante il fatto che il caso studio trattato
in questo lavoro di tesi è basato sull’ipotesi di stazionarietà, appare opportuno introdurre il
modello di turbolenza stazionaria, omogenea ed isotropa. Questo modello, che venne
definito da Kolmogorov nel 1941, è adottato ancora oggi in molte
applicazioni ingegneristiche e costituisce un primo tentativo di
modellare un flusso turbolento; per tale motivo esso rappresenta
una pietra miliare di ogni libro di fluidodinamica che tratta la
turbolenza. Un flusso turbolento stazionario, omogeneo ed isotropo
rappresenta una particolare semplificazione di un reale modello di
flusso turbolento in cui il flusso stesso appare immutato nel tempo,
omogeneo nello spazio ed indistinguibile indipendentemente dalla
direzione d’osservazione.
Figura 4 - Un esempio di
turbolenza stazionaria,
omogenea ed isotropa
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Per questa particolare classe di flussi turbolenti, svolgere il calcolo della componente media
utilizzando la variabile temporale o spaziale restituisce lo stesso risultato. L’ultima
osservazione avvalora ancora di più l’utilizzo dell’eq. (2). Le semplificazioni matematiche
associate all’ipotesi di turbolenza stazionaria, omogenea ed isotropa sono molteplici ma tra
queste la più importante è sicuramente quella inerente all’indipendenza temporale della
componente media del generico segnale tempo variante d’interesse (sia esso velocità o
pressione). L’obiettivo intrinseco del modello di turbolenza che verrà definito è quello di
pervenire ad un sistema di equazioni differenziali di governo in grado di catturare il moto
medio del flusso. In altre parole, sarebbe molto utile sviluppare un sistema di equazioni
(differenziali alle derivate parziali) di governo in grado di restituire la variazione spaziale
della componente media del campo scalare di pressione e di quello vettoriale di velocità.
Tale obiettivo purtroppo non è di per sé ottenibile con la semplice decomposizione delle
variabili d’interesse. Occorre quindi trovare il modo di epurare dalle equazioni di Navier-
Stokes la componente relativa al moto oscillante. Per questa ragione non soltanto occorre
utilizzare la decomposizione di Reynolds, ma anche applicare l’operazione di media al
sistema di equazioni differenziali che s’intende risolvere. Quest’ultima operazione
costituisce a tutti gli effetti un filtraggio dei termini fluttuanti e restituisce il sistema di
equazioni relative al moto medio (anche se si osserverà che i due moti non sono
completamente disaccoppiabili). Le premesse testé evidenziate consentono di manipolare il
sistema di equazioni differenziali di governo della fluidodinamica in modo semplice.
Partendo dall’equazione di conservazione della massa e proseguendo con l’equazione di
bilancio della quantità di moto si ha
=0 (6)
E decomponendo la velocità nella sua parte media e fluttuante secondo l’eq. (4) si ha:
̅
+
′
=0
Che con l’operazione di media diviene:
̅
=0 (7)
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Lo sviluppo dell’equazione di continuità ha portato ad un risultato importante, ossia,
l’espressione dell’equazione di continuità rimane invariata sia per la componente media sia
per quella oscillante. Questo risultato non avrebbe potuto mai essere differente,
l’incomprimibilità di un fluido è di per sé una caratteristica indipendente dal tipo di flusso
(sia esso laminare o turbolento) e per tale motivo l’equazione di continuità non può cambiare.
Passando dunque all’equazione della quantità di moto, utilizzando il tensore degli sforzi di
Cauchy =
( ⊕ ), è possibile esplicitare l’equazione del moto di Cauchy nella sua
forma più generale che è illustrata di seguito:
+ = +
(8)
Il modello di turbolenza non può non mettere in conto la natura fisica del fluido coinvolto
nello studio e, stante che il caso studio analizzato tratta un fluido Newtoniano, è opportuno
esplicitare l’eq. (8) in modo tale da mettere in conto solamente le principali variabili
d’interesse e dunque pressione e velocità. Utilizzando le relazioni costitutive si ha:
=
( ⊕ )=−
( ⊕ )+2
( ⊕ )=− +2 (9)
Con ( ) parte simmetrica del tensore gradiente di deformazione (∇ ). Il tensore ( ) è un
tensore speciale nella meccanica dei fluidi poiché assembla le derivate spaziali del campo
vettoriale velocità come segue:
=
( ⊕ )=
1
2
(
+
)( ⊕ ) (10)
Da cui l’equazione del moto di Cauchy in forma completa:
+ = −
+ 2
(11)
Manipolando l’eq. (11) è evidente che tutti i termini lineari (derivate spaziali e temporali del
primo e secondo ordine premoltiplicate dai parametri del fluido , ), a valle dell’operazione
di media, restituiscono le corrispettive variazioni associate alle parti medie. Sfortunatamente,
il termine non lineare presente nella definizione di derivata totale non si comporta in modo
analogo e restituisce quanto segue:
= ̅
+ ′
+
′
̅
+
′
′