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Capitolo I
L'ANSIA: CONCETTI GENERALI AMBIGUITA' ED APORIE
TEORICHE
1. Il concetto di ansietà
Volendo chiarire il significato del
termine "ansia" e ritenendo tra l'altro di non
poter prescindere, in tale disamina, dal far
riferimento per lo meno alle più importanti e
attinenti teorie, chi scrive sente di iniziare
un'impresa non facile.
L'enorme mole di studi e articoli
sull'argomento sono una testimonianza non solo
dell'interesse e dei risultati ottenuti dai
ricercatori, ma della varietà degli approcci
con cui essi si sono accinti a studiare il
fenomeno.
Soltanto per il quinquennio 1990 - 1995 un
programma informatico di ricerca bibliografica
da me consultato forniva alla voce "anxiety"
oltre 14.000 titoli di articoli di riviste e
d'altra parte è dagli anni '50 in poi che il
numero delle pubblicazioni sull'ansia ha subito
un notevole incremento.
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In un articolo di Caprara e Borgognoni
(1987) si legge tra l'altro che negli ultimi
venti anni si sono registrati oltre 300000
titoli sullo stress, argomento che è
strettamente collegato alle ricerche sull'ansia
in quanto quest'ultima "è generalmente
considerata come prodotto dello stress e
mediatore della sua influenza sul
comportamento" (Spielberger 1966).
Accennerò pertanto alle nozioni di
"stress" e "stressor" che d'altra parte sono
frequentemente utilizzate dall'autore dello
STAI, il test d'ansia sul quale è centrato il
presente lavoro.
Dobbiamo a Selye (1973) una definizione
univoca della nozione di stress e il suo
inserimento in una teoria che rende conto sia
dello stato di salute che di quello di malattia
dell'organismo.
Caprara e Borgognoni nell'articolo già
citato riassumono chiaramente il pensiero di
questo studioso: "Selye concepisce lo stress
come la risposta specifica dell'organismo a
qualunque esigenza gli venga imposta, tesa a
ripristinare il normale equilibrio e
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adattamento in qualche modo perturbato da
fattori esogeni e endogeni".
Lo stress è quindi una risposta di
adattamento a vari stimoli di perturbazione che
possono essere sia interni che esterni e che
vengono chiamati "stressor".
L'equilibrio dell'organismo a sua volta
non consiste in una assenza di stimolazioni e
di reazioni ad esse: secondo Selye una quantità
ottimale di stress è necessaria affinché l'uomo
utilizzi l'energia a sua disposizione e nei
fatti "esprima se stesso" (Selye 1974 citato in
Caprara e Borgognoni).
Con il tempo le nozioni di stress e
stressor hanno assunto un significato
prevalentemente negativo riferendosi pertanto a
stimoli nocivi e a processi dannosi e
preferibilmente da evitare. In quest'ottica il
termine "stressor" viene usato anche da
Spielberger come illustrerò più ampiamente in
seguito.
La visione prevalentemente negativa dello
stress porta a collegarlo a eventi patologici e
alla medicina psicosomatica in quanto la
reazione di stress prevede cambiamenti
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fisiologici di una certa entità i quali, nel
caso di stress eccessivo per intensità e/o
durata, presumibilmente aprono la via ad
alterazioni patologiche.
Altri autori come Mason e Lazarus
ritengono essenziale, perché si inneschi la
reazione di stress, una mediazione cognitivo -
emozionale: la valutazione cognitiva di stimoli
come minacciosi e la conseguente attivazione
emozionale provocherebbero la suddetta reazione
che si manifesta poi nei suoi aspetti
fisiologici e comportamentali. Secondo una tale
concezione "una transazione stressante ha
origine quando l'individuo dopo aver valutato
che la situazione richiede un'efficace risposta
in grado di evitare o ridurre un danno fisico e
psicologico, riscontra che nel proprio
repertorio non sono disponibili risposte
adeguate e comincia a produrre una varietà di
risposte che possono essere risolutive o
fallimentari" (Borgognoni e Caprara 1987).
La valutazione cognitiva innescherebbe la
reazione emozionale ed è quest'ultima che è
ritenuta fondamentale nell'attivazione della
reazione di stress.
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Eccoci di nuovo pertanto tornati
all'aspetto soggettivo, all'emozione che assume
molto spesso i connotati dell'ansia e della
paura.
L'ansia pertanto è definita come emozione
ed è pertanto per la stessa definizione
generalmente accettata di emozione,
un'"esperienza soggettiva di intensità
rilevante accompagnata sempre da modificazioni
fisiologiche e spesso da modificazioni
comportamentali ed espressive dell'organismo
(Enciclopedia Europea Garzanti 1976).
Nell'analisi del concetto pertanto è
essenziale la qualità del vissuto soggettivo
(il che ha evidenti implicazioni concettuali
per quanto riguarda la costruzione e la
validità dei questionari di autovalutazione).
Tale vissuto è a carattere spiacevole e
comporta, secondo varie definizioni, sentimenti
di tensione, di attesa apprensiva, di
incertezza, di allarme e preoccupazione o
anticipazioni di eventi negativi.
D'altra parte l'ansia, come altre emozioni
è descritta secondo un modello
multidimensionale che accanto ai vissuti
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soggettivi considera i fenomeni fisiologici e
comportamentali (Perugi, Toni, Cassano 1993;
Meazzini, 1984).
L'aspetto fisiologico è richiamato dalla
stessa derivazione etimologica del termine (dal
latino angere: stringere, soffocare) che
rimanda alla prima e più immediata necessità
vitale dell'organismo: quella di respirare.
L'ansia pertanto sembrerebbe configurarsi come
segnale di un pericolo per la vita
particolarmente grave e immediato in quanto la
funzione che verrebbe ad essere compromessa è
primaria.
I fenomeni fisiologici dell'ansia
caratteristici di iperarousal neurovegetativo
sono di solito aumento della frequenza
cardiaca, tensione muscolare, sudorazione,
accelerazione del respiro ecc.
Con la misura di questi parametri a riposo
(situazione di baseline) e in condizioni di
stress sperimentalmente indotto si ottiene il
cosiddetto "profilo biopsicofisiologico"
(Lambarelli, Meazzini, '92).
Oltre ai fenomeni fisiologici sopra
ricordati, sono prese in considerazione dagli
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studiosi degli aspetti neurofisiologici
dell'ansia, anche altre variabili, e
principalmente i valori degli ormoni coinvolti
nella reazione di stress.
I fenomeni comportamentali sono le
condotte di evitamento, di fuga e di
immobilizzazione e manifestazioni
comportamentali di tipo mimico-espressivo.
Tale modello multidimensionale, che
prevede vari sistemi di risposta (fisiologica,
cognitiva, affettiva, motoria) intesi come
elementi in parte indipendenti, è accettato
dalla maggior parte degli studiosi e applicato
anche in settori di ricerca specifici come
quello relativo all'"ansia da esame"
(Spielberger, 1966; Akiskal, 1985; Weiner,
1985; Perugi et al., 1993).
Alcuni autori comunque sulle orme di Freud
(Meazzini, 1984; Galeazzi, 1993; Battagliese,
1993) sottolineano come non si possa
prescindere soprattutto dagli aspetti
soggettivo e fisiologico.
Il motivo principale per cui si è arrivati
a una concezione multidimensionale dell'ansia
deriva dai risultati delle molte ricerche
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effettuate sia in laboratorio, sia in
situazioni stressanti "naturali", sia in campo
clinico, ricerche che hanno messo in evidenza
una correlazione bassa o nulla tra le variabili
relative ai sistemi di risposta sopra
menzionati.
"C'è una notevole evidenza che non esiste
uno stretto parallelismo tra le misure
soggettive della paura (o dell'ansia), e quelle
relative ai suoi aspetti fisiologici e
comportamentali" (Weiner, 1985). Il che
significa che le correlazioni tra queste
diverse misure sono in genere basse o
inconsistenti.
Spesso si riscontra "desincronia" vale a
dire "i cambiamenti possono manifestarsi a
livello dei vari sistemi di risposte secondo
sfasamenti temporali" (Bettinardi et al.,
1987).
Ad esempio in campo clinico, in seguito ad
un trattamento terapeutico, i miglioramenti
comportamentali possono precedere quelli
riscontrati con gli strumenti di
autovalutazione e questi ultimi quelli
psicofisiologici.
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A volte uno dei sistemi di risposte non
sembra essere attivato, fenomeno che viene
indicato come "frazionamento della risposta"
(Bettinardi 1987).
Addirittura "taluni studi effettuati su
pazienti psicosomatici evidenziano come tra
autovalutazione soggettiva e risposta
psicofisiologica si riscontra non solo
desincronia e frazionamento della risposta, ma
addirittura una tendenza a correlazioni
negative" (Bettinardi, op. cit.).
Osservazioni di questo genere mostrano
come tra i tre sistemi di risposte esistano
complesse interazioni reciproche non sempre
riconducibili a correlazioni di tipo lineare.
La maggior parte delle osservazioni
inoltre, sia in laboratorio che altrove,
dimostra una notevole variabilità individuale
nella risposta alle situazioni ansiogene per
cui si parla di "pattern individuali nella
risposta" e le basse correlazioni spesso
trovate tra le varie misure, vengono per lo più
attribuite proprio a tali differenze
individuali.
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Occorre comunque dire che risultati meno
contraddittori, più costanti e interpretabili
sono forniti secondo Weiner (1985) dalle
ricerche effettuate in situazioni "reali",
quali ad es. esami, lanci dal paracadute ecc.,
il che evidenzia anche i problemi e le
difficoltà connesse con l'induzione, il
controllo e la misura dell'ansia in ambiente
sperimentale problemi che secondo Weiner
rimangono per lo più non risolti.
L'ansia, come ho già detto, è un emozione
che è stata ed è ancor oggi oggetto di notevole
interesse da parte di psicologi, psichiatri,
filosofi e studiosi di altre discipline;
spesso è considerata fenomeno centrale della
vita psichica sul quale si incardinano le
problematiche della normalità e della
patologia.
Secondo Freud essa riveste un ruolo
centrale nella genesi della nevrosi e più in
generale nella psicopatologia. Spielberger
scrive (1966) "l'ansia è considerata concetto
centrale esplicativo in quasi tutte le teorie
contemporanee della personalità e principale
agente causale per varie conseguenze
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comportamentali come insonnia, atti immorali,
atti creativi e comportamenti abituali e
idiosincratici di infinità varietà".
Per Klein (1987) l'ansia è un concetto
chiave in psichiatria. Da un lato quindi
l'ansia è considerata facente parte della
normale esperienza dell'uomo, cioè anche
l'individuo sano non nevrotico è soggetto ad
esperirla in condizioni naturali o sperimentali
e si parla pertanto di "ansia normale",
dall'altro questa emozione si rivela il più
spesso disturbante o francamente patologica
come nel caso dell'ansia nevrotica.
2. Epidemiologia degli stati ansiosi
Prima di cercare di approfondire e
chiarire la dicotomia relativa all'aspetto
normale e patologico dell'ansia, vorrei
spendere due parole sulla frequenza con cui si
riscontrano nella moderna società disturbi
psicofisiologici riconducibili a questo stato
emotivo, rientranti per la loro natura più o
meno chiaramente nella patologia.
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Nel far ciò è anche indispensabile
riferirsi alla nasografia e in particolare alle
innovazioni portate in questo campo dal DSM III
- R (1988).
E' possibile trovare una sintomatologia
ansiosa anche nelle psicosi, malattie in cui è
seriamente disturbato il contatto con la
realtà, e si parla di "ansia psicotica", sulla
scia delle elaborazioni psicoanalitiche di
Melanie Klein, ma generalmente quando si parla
di disturbi d'ansia ci si rifersce a una
patologia più lieve riconducibile alle
classiche nevrosi quali classificate da Freud e
che è possibile definire come "disturbi
caratterizzati dalla mancanza di un substrato
organico dimostrabile e da un insieme di
sintomi soggettivi, comportamentali e
vegetativi tali da non alterare gravemente i
rapporti con la realtà esterna".
(Giberti 1993); ho già detto infatti che,
secondo Freud, l'ansia è "fenomeno fondamentale
e problema centrale della nevrosi" (1936).
Il DSM e ancor di più il DSM III - R nel
loro sforzo di proporre una classificazione dei
disturbi mentali, di tipo descrittivo, il più
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possibile univoca e rigorosa, abbandonano quasi
completamente il termine nevrosi ritenuto fonte
di ambiguità in quanto inclusivo di forme
cliniche anche molto diverse tra loro e
scindono le nevrosi di Freud in tre principali
categorie diagnostiche: 1) i cosiddetti
"disturbi di ansia" che comprendono varie forme
acute e croniche tra cui fobie, ossessioni ecc.
2) i "disturbi dissociativi" che comprendono
manifestazioni psichiche del tipo
depersonalizzazione o personalità multiple, 3)
i "disturbi somatoformi" ad espressione
prevalentemente somatica nei quali il
meccanismo fisiopatologico non è evidenziabile
o comprensibile.
A confine con i disturbi somatoformi e in
parte sovrapposte ad essi si pongono, secondo
il DSM III - R, le classiche malattie
psicosomatiche, termine anche questo
abbandonato e sostituito da "Fattori psichici
che incidono sulla condizione fisica". Occorre
dire che questa prossimità e parziale
sovrapposizione tra disturbi somatici più di
competenza psichiatrica e psicologica (disturbi
somatoformi) e di prevalente competenza medica