Capitolo 1
Introduzione
1.1 Azione del vento sugli impalcati da ponte e risposta strutturale
La costruzione di ponti è stata senza dubbio una delle sfide più importanti che gli
ingegneri civili hanno affrontato nell’arco della storia, soprattutto per le difficoltà legate
alla progettazione e alla realizzazione di tali opere. In tal senso il XIX secolo costituì per
l’ingegneria civile l’inizio di una nuova era, si iniziarono infatti a concepire delle strutture
snelle e leggere, grazie anche all’introduzione di materiali aventi elevate caratteristiche
meccaniche, che posero gli ingegneri dell’epoca di fronte a problemi inaspettati, tra i
quali l’interazione del vento con le strutture. Purtroppo, però, l’ingegneria dell’epoca non
era confortata da esperienze e da teorie particolarmente affidabili per affrontare problemi
di tale natura e queste lacune si evidenziarono drammaticamente nella realizzazione dei
primi ponti sospesi, molti dei quali crollarono per effetto delle azioni del vento. Nel 1826
sir Thomas Telford realizza il ponte sullo stretto di Menai, opera il cui impalcato ebbe
però vita breve. Esso, infatti, fu danneggiato pesantemente dopo solo sei settimane dalla
sua inaugurazione. Successivamente nel 1829, una nuova tempesta di vento, provocò
nuovamente danni rilevanti alla struttura. Ma l’evento che segnò profondamente la vita
di tale opera fu la tempesta di vento del 1836, per la quale l’impalcato andò quasi
distrutto . Stessa sorte toccò al molo Bringhton Chair Pier progettato da Brown e
crollato due volte nell’arco di tre anni (1833-1836), al Wheeling Bridge realizzato da Ellet
nel 1849 e crollato nel 1854 e al ponte ferroviario Tay Bridge, il quale a differenza dei
precedenti non era sospeso, realizzato da Bouch e crollato il 28 dicembre 1878.
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Capitolo 1
(a)
(b)
(c) (d)
Figura 1.1- Primi ponti sospesi crollati per effetto del vento- (a) Ponte sullo stretto di Menai, (b) Bringhton
Chair Pier, (c) Whelling Bridge, (d) Ponte ferroviario Tay .
Analizzando attentamente le tipologie strutturali dei primi tre ponti rappresentati in
figura 1.1, si osserva un comune denominatore legato alle dimensioni delle torri, che
risultano essere imponenti e pesanti, e alla straordinaria leggerezza e deformabilità degli
impalcati che li rende del tutto inadeguati alla resistenza delle azioni orizzontali, causa
appunto dei vari crolli. Nel caso del Tay Bridge, invece, gli elementi dotati di elevata
leggerezza e flessibilità sono le pile. Anche in questo caso, l’alta deformabilità e
leggerezza delle pile rese le stesse inadeguate alla resistenza delle azioni orizzontali, causa
appunto del crollo. Ma l’evento che segnò più di tutti il campo dell’ingegneria civile fu
senza dubbio il crollo del ponte di Tacoma,rappresentato in figura 1.2, crollato dopo
pochi mesi dalla sua apertura sotto l’azione di raffiche di vento che raggiunsero anche i
68 Km/h. La mattina del 7 novembre 1940, infatti, il ponte di Tacoma investito da
queste raffiche di vento cominciò ad oscillare torsionalmente in modo antisimmetrico
raggiungendo anche delle rotazioni di 45° e dopo qualche ora dall’instaurarsi
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Introduzione
dell’oscillazione il ponte crollò. Il tutto fu documentato dal prof. Burt Farquharson
tramite delle riprese video che rapidamente fecero il giro del mondo tra gli studiosi di
settore.
Figura 1.2- Fasi del crollo del ponte di Tacoma
La concezione strutturale del ponte di Tacoma, prevista dal suo progettista Leon
Solomon Moissef, si basava sull'ipotesi che il sostegno dei carichi dovesse essere affidato
ai cavi e che la travata, flessibile e leggera, avrebbe dovuto solo assorbire le deformazioni
dell'impalcato stesso. Il ponte, dunque, era troppo deformabile a flessione e a torsione e
per di più molto leggero, di conseguenza era molto sensibile all'azione del vento, anche
se era stato progettato correttamente dal punto di vista statico, non si era tenuto conto
degli effetti dinamici indotti dal vento. Anche in questo caso dunque le cause del collasso
erano da attribuire alla mancata conoscenza di alcuni fenomeni di interazione tra vento e
struttura.
I numerosi crolli avvenuti nell’arco del tempo indussero gli studiosi di settore a prendere
in seria considerazione l’azione del vento sugli impalcati da ponte; tali azioni, infatti, in
molti casi possono assumere un ruolo predominante sulle azioni indotte dal traffico e dal
peso proprio. Trattando il problema in maniera generale, quando il vento investe un
impalcato, esso induce sulla struttura degli spostamenti che possono essere suddivisi in
una parte statica, indotta dalle velocità medie del vento, e una parte dinamica indotta
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Capitolo 1
dalla parte variabile delle velocità del vento. Inoltre, per come si nota dalla figura 1.3,
l’interazione tra il flusso e la sezione induce un ulteriore fenomeno che è quello del
distacco dei vortici. I fenomeni di interazione tra flusso e sezione descritti in precedenza
danno luogo alla nascita di due tipi di forze, le forze aerodinamiche e le forze
aeroelastiche.
Figura 1.3- Effetto del flusso su una sezione da ponte-distacco dei vortici
Data la complessità del problema, la valutazione di tali forze non è affatto immediata.
Esse, infatti, andranno determinate in funzione delle situazioni che si presenteranno di
volta in volta. In generale è possibile distinguere due casi: il caso di sezioni dette “fisse” e
il caso di sezioni dette “mobili”. Nel caso di sezioni fisse, ovvero di sezioni i cui
spostamenti non sono tali da influenzare la vena fluida, allora le forze aerodinamiche
prevarranno su quelle aeroelastiche che risulteranno essere molto piccole. Di
conseguenza sarà possibile trascurare il contributo di quest’ ultime e focalizzare
l’attenzione sulle sole forze aerodinamiche. Viceversa, nel caso di sezioni mobili, ovvero
di sezioni i cui spostamenti sono tali da influenzare la vena fluida, le forze aeroelastiche
prevarranno su quelle aerodinamiche, che quindi potranno essere trascurate,
focalizzando l’attenzione sulle sole forze aeroelastiche. Nel caso di sezioni fisse, dunque,
la valutazione delle forze aerodinamiche può essere effettuata seguendo l’approccio
introdotto precedentemente, ovvero considerare che tali forze siano somma di una parte
media indotta dalle velocità medie del vento e una parte variabile indotta dalle
fluttuazioni di velocità del vento, fluttuazioni che potranno essere prodotte dalla
turbolenza incidente, ovvero quella presente nel vento stesso per effetto della rugosità
del suolo, o dalla turbolenza indotta dall’interazione tra vento e struttura. Infine le forze
aerodinamiche, per come si nota dalla figura 1.4, potranno essere espresse attraverso tre
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Introduzione
componenti, una longitudinale detta drag, una trasversale detta lift, e una coppia detta
torque.
Figura 1.4- Forze aerodinamiche su una sezione da ponte
L’entità di tali forze, oltre ad essere funzione del flusso, è principalmente funzione della
geometria della sezione. Risultati notevolmente differenti possono aversi, infatti,
considerando il medesimo flusso ma con sezioni aventi geometrie differenti. Solitamente
per la determinazione delle forze aerodinamiche viene utilizzato il così detto approccio
“quasi statico” il quale ipotizza che la sezione sia libera di muoversi ma di non
influenzare il flusso con i propri spostamenti e che il flusso sia turbolento. Attraverso poi
l’assunzione di alcune ipotesi semplificative, sarà possibile assumere che i cariche indotti
dal vento su una sezione flessibile, quindi libera di muoversi in flusso turbolento,
possano essere considerati istante per istante coincidente con i carichi che si hanno in
flusso laminare a patto di sostituire la velocità istantanea relativa alla velocità del flusso
laminare. Nel caso invece delle sezioni mobili, cioè di quelle sezioni che influenzano con
i propri spostamenti la vena fluida, di particolare importanza risulta essere la
determinazione delle forze aeroelastiche, le quali presentano la peculiarità di essere delle
forze fortemente variabili nel tempo e di essere autoeccitate, ovvero eccitate dal
movimento della sezione stessa. Situazioni di questo tipo si verificano frequentemente
nei ponti sospesi, nei quali gli impalcati, molto spesso, sono caratterizzati da un’elevata
snellezza e flessibilità. Tale circostanza ovviamente fa sì che le sezioni possano muoversi
ed avere degli spostamenti che in taluni casi tali possano influenzare appunto la vena
fluida. I fenomeni di instabilità che possono generare tali forze aeroelastiche sono
essenzialmente quattro, ovvero la sincronizzazione del distacco dei vortici, la divergenza
torsionale, il gallopping, ed il flutter, ma nel caso di ponti sospesi e di grande luce in
generale, particolare rilevanza assumo la sincronizzazione del distacco dei vortici e il
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Capitolo 1
flutter. Il distacco dei vortici, può indurre nelle sezioni circolari, che risultano essere
particolarmente sensibili a questo fenomeno, ma in alcuni casi anche nelle sezioni da
ponte, ad un fenomeno di instabilità detto lock-in (o sincronizzazione), il quale si
manifesta attraverso l’aggancio della frequenza di distacco dei vortici alla frequenza
naturale del sistema. Si ha dunque la formazione di un intervallo di frequenze nel quale
l’approccio quasi statico non può essere applicato. In figura 1.5 è rappresentato il
distacco dei vortici per una sezione circolare, fenomeno che successivamente porterà
all’innesco del lock-in.
Figura 1.5- Distacco dei vortici per una sezione circolare
L’oscillazione indotta dal lock in ha la caratteristica fondamentale di essere autolimitata,
ovvero la stessa arrivata ad una certa ampiezza limite, non aumenta più e ciò consente
alla struttura di oscillare solamente senza arrivare mai al collasso se non per fenomeni di
fatica. Da ciò ne deriva che la condizione di lock-in deve essere verificata nei confronti
dello stato limite di esercizio, ovvero bisogna verificare che gli spostamenti indotti dal
lock-in siano compatibili con le condizioni di esercizio. Ma nel caso delle sezioni da
ponte l’analisi più gravosa da effettuare è senza dubbio quella di flutter, fenomeno
responsabile del crollo del ponte di Tacoma. Il flutter è un fenomeno molto complesso
di instabilità, presente in diverse forme. Quello responsabile del crollo di Tacoma è un
particolare tipo di flutter chiamato flutter ad un grado di libertà causato, per come aveva
dedotto Von Karman all’interno della commissione istituita successivamente al crollo del
ponte per determinarne le cause, dall’interazione del moto della struttura con il
fenomeno del distacco dei vortici che si era innescato sulla sezione dell’impalcato di
Tacoma. Lo studio di questo fenomeno, effettuato per la prima volta dagli ingegneri
aeronautici, può essere effettuato attraverso il modello introdotto da Scanlan, per il quale
le forze aeroelastiche sono funzione di otto quantità chiamate derivate di flutter. La
valutazione delle forze aeroelastiche è di fondamentale importanza per le verifiche delle
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Introduzione
condizioni ultime della struttura. Una non corretta valutazione di tali forze potrebbe
portare in alcuni casi anche al collasso dell’opera, come nello sfortunato caso del ponte di
Tacoma.
La determinazione delle forze aerodinamiche e delle forze aeroelastiche non è agevole da
ricercarsi da un punto di vista analitico, data l’elevata complessità del problema. Si rende
necessario l’introduzione nei modelli di calcolo di alcuni parametri che dovranno essere
determinati per via sperimentale. La galleria del vento per questo motivo dunque, risulta
essere uno strumento indispensabile per la corretta valutazione degli effetti del vento
sulle strutture. Nel caso delle forze aerodinamiche solitamente i test eseguiti sono prove
su modelli sezionali, atte a determinare 3 parametri adimensionali: coefficiente di drag,
coefficiente di lift, coefficiente di torque. La sola conoscenza di quest’ultimi consente di
determinare il valore delle forze aerodinamiche sezionali in maniera relativamente
semplice. La deduzione delle forze aerodinamiche sezionali associata alla definizione
della funzione di correlazione, consente di determinare le forze aerodinamiche totali
agenti sull’intera struttura. Nel caso, invece, delle forze aeroelastiche, i test normalmente
hanno come obiettivo, la determinazione di otto parametri adimensionali detti derivate di
flutter. La determinazione risulta essere più complessa rispetto al caso precedente, ma
anche in questo caso è possibile valutare le forze aeroelastiche in maniera
moderatamente semplice.
Come si può ben capire dunque la progettazione di un’opera importante come un ponte,
non può prescindere dall’analisi dettagliata delle azioni del vento, le quali generano
numerosi fenomeni che vanno ovviamente valutati con molta attenzione. Progettare e
realizzare opere così importanti senza una corretta sperimentazione in galleria del vento
in fase di progetto potrebbe rivelarsi un errore imperdonabile da parte dei progettisti per
due motivi: il primo è quello che una corretta sperimentazione in galleria del vento
porterebbe ad un’ottimizzazione delle sezioni e degli elementi principali della struttura,
avendo così un notevole risparmio economico; il secondo, quello per certi versi più
importante, la sperimentazione in galleria del vento consente ai progettisti di valutare,
oltre ai suddetti parametri, anche se la struttura possa essere soggetta ad eventuali
fenomeni che in fase di progetto potrebbero essere sottovalutati, così come accade nel
caso di Moissef, progettista del ponte di Tacoma.
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Capitolo 1
1.2 Scopo e organizzazione della tesi
Come descritto in precedenza, la valutazione degli effetti del vento sulle strutture è una
cosa molto complessa, da valutare in molti casi in galleria del vento. Ovviamente questo
ha un senso per opere di una certa importanza, per opere più piccole la sperimentazione
in galleria non viene quasi mai effettuata, sopratutto perché ha un costo aggiuntivo. Per
la progettazione di opere di piccole o medie dimensioni, quali possono essere i ponti di
luce fino ai 200 m, lo strumento che viene adottato dai progettisti è la normativa che
fornisce ai tecnici delle soluzioni semplificate e immediate da applicare nei casi di
interesse pratico. Ovviamente va da se che la normativa per fornire tutti i dati ai
progettisti con un margine di sicurezza adeguato tende a sovrastimare, i carichi indotti
dalle azioni da vento che in realtà agiscono sulle strutture. La normativa di riferimento
per le azioni da vento attualmente in Italia è il D.M. del 14 gennaio 2008 “Nuove
Norme Tecniche per le Costruzioni” (NTC 08), il quale ha come linea guida di
riferimento l’Eurocodice 1. Oltre a questa normativa, nel gennaio del 2008 è stato
pubblicato dal CNR il documento CNR-DT 207/2008 che riguarda appunto le azioni da
vento. Quest’ultima pubblicazione, per quanto riguarda la progettazione di ponti fornisce
i coefficienti di drag , lift e torque in funzione del rapporto tra la base e l’altezza totale di
ingombro attraverso delle espressioni semplificate, senza ricorrere dunque alle prove in
galleria del vento per la determinazione degli stessi. Tali coefficienti, in molti casi,
risultano essere sovrastimati, in quanto non portano in conto le effettive proprietà
geometriche della sezione, bensì sono il risultato di un inviluppo di numerose prove
eseguite su impalcati di differenti forme geometriche e di differenti dimensioni.
Obiettivo della tesi è quello di, ridurre questa sovrastima, tentando di particolareggiare
l’espressione dei coefficienti per ogni tipologia di impalcati trattati. Per fare ciò, si è
articolato il lavoro in tre fasi: la prima che consiste nella ricerca di dati riguardanti le
azioni del vento sugli impalcati da ponte, molti dei quali dedotti da pubblicazioni su
riviste internazionali di settore, e la costruzione di una banca dati digitale. La seconda
fase è stata quella di raggruppare i dati in classi omogenee in funzione della sezione sulla
quale sono stati effettuati questi test. Una volta ottenuti questi dati si è poi passati
all’ultima fase, che è stata quella dell’elaborazione di tutti questi dati per la costruzione di
un nuovo modello particolareggiato per ogni sezione trattata.
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Capitolo 2
Modelli delle azioni aerodinamiche sugli impalcati da
ponte
2.1 Caratteristiche del vento all’interno dello strato limite atmosferico
La determinazione delle forze indotte dal vento sugli impalcati da ponte, e in generale
sulle strutture, è suddivisa in due fasi: la conoscenza del flusso che caratterizza il luogo
dove è situata la struttura e lo studio dell’interazione del flusso stesso con la struttura
stessa. Prima di introdurre i fenomeni di interazione flusso struttura, è necessario
dunque, comprendere quali siano le caratteristiche del flusso che investe la struttura. Nei
problemi di interesse dell’ingegneria del vento, lo studio di tali fenomeni avviene
all’interno di una porzione dell’atmosfera terrestre denominata strato limite atmosferico,
nella quale si svolgono la maggior parte delle attività umane e nella quale il vento risulta
fortemente influenzato dalle caratteristiche del suolo. Gli elementi che possono interagire
con il flusso sono raggruppabili in tre categorie: l’orografia, la rugosità del terreno, e gli
ostacoli. Tra questi quello che gioca un ruolo fondamentale nella formazione della
turbolenza è senza dubbio la rugosità superficiale. Per una corretta modellazione eolica,
si fa riferimento alle registrazioni delle velocità istantanee del vento dalle quali è possibile
ottenere uno spettro di potenza delle velocità. Lo spettro (detto anche spettro di Van
Der Hoven, dal nome del suo scopritore), come si nota dalla figura 2.1, non è altro che
un diagramma nel quale è rappresentata la funzione di densità spettrale in funzione del
tempo. Osservando attentamente l’andamento di tale funzione, si scopre che essa
presenta quattro picchi, ognuno dei quali corrispondente a un periodo di ritorno diverso.
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Capitolo 2
Figura 2.1- Spettro di potenza delle velocità (Spettro di Van Der Hoven)
I primi tre picchi sono relativi a periodi di ritorno rispettivamente di un anno, quattro
giorni e un giorno e rappresentano la periodicità annuale e giornaliera dei fenomeni
meteorologici. In particolare il picco relativo ai quattro giorni indica il tempo necessario
al passaggio completo di un fronte meteorologico. Nella parte destra dello spettro è
presente un altro picco che è riferito a periodi di ritorno dell’ordine dei minuti, che
rappresenta la turbolenza atmosferica generata dagli ostacoli presenti. Tra le due zone è
presente una terza zona, detta gap spettrale, nella quale non sono presenti sensibili
variazioni della funzione di densità spettrale, compresa tra periodi di ritorno che vanno
da dieci a sessanta minuti. Poiché all’interno dello strato limite, il vento è modellato come
un processo stocastico multidimensionale, l’esistenza di tale zona consente di separare da
un punto di vista statistico i fenomeni connessi a fenomeni di circolazione su larga scala
da quelli connessi al regime turbolento del flusso locale. Conseguenza di ciò è che la
velocità del vento può essere rappresentata mediante due distinte grandezze: una
velocità media U (su un intervallo di tempo ad esempio di 60’ oppure 10’) che è legata
ai fenomeni meteorologici della regione, e le variazioni del campo della velocità
istantanea attorno al valore medio durante una raffica,che sono legate alla turbolenza
locale del vento. Quest’ultima genera le variazioni di intensità e direzione del vettore
velocità del vento. Considerando dunque un sistema di riferimento costituito da una
terna trirettangola con gli assi x e y disposti orizzontalmente e l’asse z disposta
verticalmente, le componenti della velocità del vento possono essere scritte tramite la
relazione 2.1
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Modelli delle azioni aerodinamiche sugli impalcati da ponte
(2.1)
in cui sono le fluttuazioni di velocità, mentre sono la parte
media delle velocità rispettivamente in direzione x, y, z. Assumendo che la velocità in un
dato punto sia un processo stocastico stazionario, scegliendo opportunamente un
sistema di riferimento disposto con l’asse x nella direzione della velocità media U, è
possibile esprimere il vettore delle velocità del vento tramite la relazione 2.2
(2.2)
Definito il modo di variare della velocità del vento in funzione del tempo occorre
adesso valutare come tale vettore vari in funzione dello spazio. La dipendenza dallo
spazio, a differenza della dipendenza del tempo, è trattata in maniera deterministica. Le
velocità medie del vento, infatti, non sono costanti con la quota. La loro variabilità può
essere espressa attraverso una legge di potenza espressa dalla relazione 2.3
(2.3)
in cui è la velocità ad una quota di riferimento (solitamente si pone la quota
degli anemometri presenti negli aeroporti, ), mentre α è un esponente che è
calibrato sulla base di prove sperimentali. Alternativamente può essere utilizzato
l’approccio logaritmico espresso tramite la relazione 2.4
(2.4)
nella quale rappresenta la rugosità del suolo, rappresenta la velocità di taglio e è
la costante di Von Karman posta pari a 0.4. L’andamento delle velocità del vento con la
quota è similare ed è rappresentato in figura 2.2
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Capitolo 2
400
350
300
250
legge di potenza
200
log
150
100
50
0
020406080
Figura 2.2- Confronto tra la legge di potenza ed il profilo logaritmico
Figura 2.3- Fluttuazioni di velocità
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