Il secondo capitolo è dedicato ad un’analisi dettagliata dei tassi
di occupazione e di disoccupazione nelle regioni del Mezzogiorno,
anche alla luce della nuova indagine condotta dall’ISTAT a partire
dal 2004, e viene anche trattato in seguito il problema del lavoro
sommerso nel Mezzogiorno, un fenomeno in costante crescita negli
ultimi anni.
Nel terzo capitolo, dopo aver introdotto alcune delle principali
teorie sul capitale umano, si affrontano i delicati problemi della fuga
del capitale umano qualificato dalle regioni del Mezzogiorno verso
quelle del Centro-Nord e degli sbocchi occupazionali dei laureati
meridionali una volta terminati i loro studi.
Nel quarto ed ultimo capitolo si prende in considerazione la
realtà siciliana: in questa parte conclusiva del lavoro si propone
un’analisi approfondita del sistema scolastico nella provincia di
Palermo, con uno sguardo particolare al fenomeno della dispersione
scolastica, diffuso soprattutto negli istituti superiori, e si descrivono
infine le attuali tendenze del mercato del lavoro in Sicilia.
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Capitolo 1
L’economia nel Mezzogiorno
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1.1 L’economia meridionale: aspetti generali
Il problema del Mezzogiorno è ancora oggi di difficilissima
risoluzione. A tal proposito occorre dire che a partire dal dopoguerra
l’interesse per tale problema si è molto accentuato.
In quel periodo si sostenevano alcune idee generali: la prima,
che per migliorare sensibilmente le condizioni dei contadini era
necessario realizzare una vasta riforma agraria che consentisse di
modificare gli assetti proprietari; la seconda, che per l’effettivo
decollo era indispensabile un rapido processo di industrializzazione.
Per quanto riguarda la riforma agraria si riteneva fortemente
necessario effettuare grossi investimenti nel capitale umano in modo
da creare condizioni favorevoli allo sviluppo di tutti i settori e anche
della società civile.
La Cassa del Mezzogiorno ha sicuramente svolto un ruolo
essenziale nella creazione di alcune fondamentali infrastrutture;
quella che è mancata è stata l’attenzione al problema del capitale
umano che sarebbe stata necessaria, così come sarebbe stato
necessario anche cercare di potenziare le Università del Sud, creare
centri di studio e di ricerca e valorizzare meglio le potenzialità
culturali e ricreative di molte città del meridione.
Il Mezzogiorno ha visto così molti dei suoi elementi migliori
(studiosi, tecnici vari, lavoratori specializzati e persino numerosi
piccoli imprenditori potenziali) emigrare al Centro-Nord.
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Per tanti anni si è sperato nello spostamento al Sud di
imprenditori provenienti dalle regioni centro-settentrionali; in realtà
ciò non si è verificato, soprattutto a causa dell’assoluta inaffidabilità
delle amministrazioni locali che prima promettevano servizi in tempi
rapidi, ma poi non rispettavano mai gli impegni assunti.
Per quanto riguarda invece il processo di industrializzazione
delle regioni meridionali, non solo non si è riuscito ad impostare una
efficiente politica industriale, ma tutta la politica per il Mezzogiorno
si è sviluppata in termini assistenziali; in sostanza il Mezzogiorno ha
svolto il ruolo di grande mercato per le ricche regioni del Nord.
Le amministrazioni locali (e regionali in particolare) avrebbero
sicuramente potuto prendere delle iniziative efficaci per favorire il
commercio dei prodotti locali e stimolarne la vendita anche al di
fuori dei confini meridionali.
In effetti quella che è mancata in questi tentativi di far partire
l’economia meridionale è stata una strategia globale; le inefficienze
degli altri settori finiscono alla lunga per essere un ostacolo alla
crescita dell’industria. Basta pensare ad esempio al ruolo dei servizi;
infatti anche nel Centro-Nord diversi processi di sviluppo si spiegano
per la diversa presenza dei servizi nelle varie regioni.
Solo uno sviluppo di tutti i settori può giustificare un sistema
efficiente di infrastrutture; in particolare i sistemi di comunicazione
possono essere realizzati in maniera valida soltanto se riescono a
servire a tutta una serie di attività nelle aree coinvolte.
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Per ottenere una certa stabilità demografica è necessario che
nelle varie aree siano assicurate ai giovani delle prospettive di
impiego nei diversi settori.
Allora anche in aree periferiche si possono creare condizioni
favorevoli all’insediamento di piccoli operatori che oggi, grazie ai
sistemi dell’informatica, possono produrre anche per imprese e
mercati lontani.
L’economia del Mezzogiorno è caratterizzata dalla presenza di
gravi squilibri. Non soltanto quello ancora esistente tra le regioni
meridionali e quelle centro-settentrionali: anche all’interno dello
stesso Mezzogiorno si registrano divari tra aree in cui si è realizzato
un certo sviluppo ed aree in regresso economico e di conseguenza
anche demografico.
Anche nei diversi settori economici si riscontrano notevoli
squilibri: l’agricoltura presenta forti divari al suo interno che si
associano anche a divergenze socio-culturali.
Notevoli differenze si osservano anche nel settore dei servizi;
il sistema bancario è diffuso ma non si può certo dire che esso sia
efficiente.
Divari ancora più rilevanti si riscontrano nel turismo: soltanto
piccole aree sono state valorizzate turisticamente e spesso in modo
del tutto inadeguato, tale da compromettere in questo modo il
patrimonio artistico-culturale e da aggravare sempre di più certi
scompensi territoriali.
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L’ostacolo maggiore alla valorizzazione delle risorse turistiche
viene dalle popolazioni locali che non hanno avuto modo nel corso
degli anni di fare delle esperienze positive al riguardo: quindi si
ritiene che le grandi iniziative debbano essere prese a livello almeno
regionale.
Dopo aver sperimentato le diverse possibilità del turismo,
allora cambiamenti verranno nei sistemi socio-culturali locali con
vantaggi anche per lo sviluppo di altri settori.
In molte aree i giovani non saranno più costretti ad emigrare
nelle zone più ricche del Paese: alcuni di loro cercheranno impiego
anche in altri settori che, in un contesto più stabile e più abbondante
di servizi, potranno sorgere.
L’agricoltura ha notevoli possibilità di sviluppo purché siano
affrontati i problemi della commercializzazione, della formazione del
capitale umano, dell’organizzazione dell’impresa agricola e della
formazione di veri imprenditori.
Stretti vincoli potranno stabilirsi tra turismo e agricoltura in
modo da creare prospettive particolari di crescita del turismo in certe
aree ora povere del Mezzogiorno.
Alla luce delle considerazione fatte il problema centrale è
quello dell’imprenditorialità, un problema che si collega a quello già
considerato della formazione del capitale umano.
Per risolvere concretamente il problema dell’imprenditorialità
si ritiene necessario in sintesi:
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a) passare da una politica basata sugli aiuti alle imprese ad una
politica che abbia come obiettivo principale quello di sviluppare la
produttività delle imprese stesse;
b) realizzare un sistema efficiente di servizi e aiuti a favore delle
imprese del Mezzogiorno;
c) creare le condizioni necessarie per l’affermazione del piccolo
imprenditore.
Non basta concedere incentivi alle imprese; tali incentivi sono
efficaci soltanto se si verificano le condizioni appena descritte.
1.2 Il Mezzogiorno nel rallentamento dell’economia italiana
Negli ultimi anni l’economia meridionale ha nuovamente fatto
segnare tassi di crescita inferiori rispetto a quelli del Centro-Nord;
ciò si verifica dopo un periodo (principalmente tra la fine degli anni
’90 e l’inizio del nuovo secolo) in cui invece le regioni meridionali
avevano lasciato intravedere un certo sviluppo con dei tassi di
crescita piuttosto sostenuti e superiori rispetto a quelli del resto del
Paese.
Bisogna considerare che anche a livello nazionale l’economia
del nostro Paese non sta attraversando in questo periodo una fase di
grande sviluppo; se però si può sostenere che l’economia nazionale
non è cresciuta, quella del Mezzogiorno mostra addirittura evidenti e
preoccupanti segnali di recessione.
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Prendendo in considerazione le valutazioni della SVIMEZ
(che si occupa e soprattutto si preoccupa del futuro del Mezzogiorno,
ponendosi tra i suoi obiettivi principali quello dello sviluppo
produttivo e dell’industrializzazione delle aree meridionali), nel 2004
la crescita del Prodotto Interno Lordo è stata, infatti, dell’1,4% nel
Centro-Nord, con un netto aumento rispetto allo 0,2% del 2003,
mentre per quanto riguarda il Mezzogiorno la crescita è stata soltanto
dello 0,8%, che segue lo 0,4% dell’anno precedente. Nel 2005 si
verifica un peggioramento della situazione: infatti a fronte di un
incremento nullo del PIL nel Centro-Nord, nel Mezzogiorno si è
avuta una riduzione percentuale dello 0,3%. Quindi all’interno di una
fase di sviluppo lento dell’economia complessiva nazionale, è
proprio l’economia meridionale a manifestare evidenti segnali di
difficoltà, che sono confermati nettamente anche dai dati relativi
all’andamento dell’occupazione nel nostro Paese, che ormai da circa
un paio d’anni cresce soltanto nelle regioni del Centro-Nord. Tale
incremento è da attribuire sia alla regolarizzazione di molti lavoratori
immigrati che prima lavoravano “in nero”, ma è dovuto anche e
soprattutto al continuo flusso di capitale umano proveniente dalle
regioni del Mezzogiorno.
L’economia italiana non riesce dunque a tenere il passo né
dell’economia mondiale, che registra ogni anno un continuo e veloce
sviluppo, né dei principali paesi europei, la cui crescita è sicuramente
più contenuta rispetto a quella delle più grandi potenze mondiali.
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La situazione per il nostro Paese è tutt’altro che positiva: negli
ultimi anni la quota complessiva dell’Italia sugli scambi mondiali ha
registrato una continua riduzione; si passa dal picco del 1995 (4,6%),
scendendo fino al 2,9% del 2004, per poi registrare un’ulteriore
diminuzione nell’anno successivo.
In Italia si registra un deficit di competitività, che riguarda in
primo luogo la produttività del lavoro, che dopo due anni di
significative flessioni è risultata in Italia nel 2004 poco più che
stazionaria (+0,5%), mentre invece in altri Paesi europei come
Francia e Germania gli incrementi sono stati molto più evidenti.
La conseguenza principale è una elevata crescita del costo del
lavoro per unità di prodotto il quale rappresenta il principale
indicatore di competitività, aumentato nel 2004 del 2,3% in Italia
rispetto allo 0,9% della Francia e alla diminuzione dell’1,3%
registrata in Germania.
Nel 2004, rispetto al quadro nazionale, il Mezzogiorno si è
contraddistinto per un minor apporto complessivo della domanda
estera e per una più forte diminuzione dei consumi interni. Nel 2005
si può osservare come la spesa per consumi delle famiglie
meridionali è calata dello 0,3% (spesa per consumi che riguarda
principalmente gli acquisti di “beni alimentari, vestiti e calzature”),
una situazione che non si verificava nel Mezzogiorno da oltre un
decennio, e che evidenzia ancor di più il forte impatto sociale della
crisi economica.
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