5
Non stupisce quindi che quest’ultimo sia stato al centro della riflessione
degli economisti che si sono occupati di problemi dello sviluppo delle
economie arretrate, nonché di coloro che hanno analizzato i meccanismi
fondamentali della crescita nei paesi industrializzati.
L’obbiettivo principale di questa tesi è proprio quello di analizzare il
ruolo del capitale umano nella crescita economica di un paese. In
particolare la tesi si suddivide in tre capitoli. Nel primo capitolo si
ripercorrono le principali teorie della crescita, focalizzandosi
maggiormente sui modelli di crescita che hanno incluso il capitale umano
come determinante a partire dalle prime contribuzioni di Uzawa (1965) e
Nelson-Phelps (1966). Nel secondo capitolo si affronta il problema della
misurazione del capitale, spiegando i diversi indicatori con i quali si può
misurare il capitale umano. Nel terzo capitolo si propone un’analisi
descrittiva del miglioramento dell’istruzione in Spagna. In particolare, in
questo capitolo si cerca di analizzare il rapporto tra crescita economica e
istruzione mostrando come questa abbia influito sulla crescita economica
del paese per effetto di una correlazione positiva tra l’aumento del livello
d’istruzione e la crescita della produzione.
6
Capitolo 1
IL CAPITALE UMANO NELLA TEORIA
DELLA CRESCITA
1.1 Le teorie della crescita
Nell’ambito della disciplina macroeconomica, la crescita
economica ha sempre rappresentato uno degli argomenti fondamentali e più
discussi. Da Adam Smith in poi i maggiori economisti si sono domandati
quali siano i fattori determinanti per il processo di crescita all’interno di un
paese e quali gli elementi in grado di garantire che questa sia persistente e
duratura. Tentando di giungere alla risoluzione delle problematiche ad essa
connesse, molteplici sono state le risposte e le teorie presentate.
Formalizzare una teoria in grado di spiegare l’evoluzione di un
sentiero di crescita economica rappresenta un lavoro alquanto arduo dal
momento che si tratta di capire ed esplicitare il meccanismo attraverso il
quale un sistema economico si sviluppa.
Questo è il motivo per il quale si sono formate diverse scuole di
pensiero, ognuna delle quali ha presentato una propria teoria della crescita
e anche all’interno di una stessa dottrina, troviamo molteplici e differenti
contributi che si propongono di spiegare i diversi aspetti della crescita
partendo da premesse simili.
7
1.1.1 Alle origini della teoria della crescita
Il tema della crescita economica è sempre stato centrale nel
pensiero dei maggiori economisti classici, e si può ravvisare una certa
continuità di pensiero a partire da David Hume e Adam Smith, attraverso
David Ricardo e Malthus fino ad arrivare a J.S. Mill e Karl Marx: tutti
questi economisti posero la crescita economica al centro della loro analisi,
e tutti avvertirono che le prestazioni di un’economia erano
inestricabilmente legate al carattere delle società di cui erano parte. Questi
economisti classici formularono più o meno esplicitamente le prime teorie
della crescita economica che per ampiezza della visione, ma anche
incompiutezza e semplificazione, si contrappongono alle moderne teorie
della crescita, dove un numero limitato di variabili ben definite è usato per
spiegare, spesso matematicamente, il funzionamento di un sistema
capitalistico complesso.
Lo studio della crescita economica presuppone l’interesse verso
un’economia dinamica, in grado di riprodursi e svilupparsi. L’idea di fondo
è che nel sistema economico venga a determinarsi un sovrappiù, che
permette, se accumulato, ovvero se trasformato in capitale, di alimentare la
crescita dell’economia. Il sovrappiù è quel che rimane del prodotto sociale
una volta reintegrati i beni di consumo necessari per la sussistenza e la
riproduzione dei lavoratori.
Ricardo e Smith, così come Marx, considerano centrale il ruolo
svolto dal progresso tecnico che, aumentando la produttività del lavoro,
consente, a parità del numero di lavoratori occupati, di accrescere il
prodotto e sostenere quindi il processo di accumulazione. Ciò che tuttavia
distingue il contributo di Ricardo e Marx, da un lato, e quello di Smith,
dall’altro, sono gli effetti che esso genera sull’occupazione. Infatti, per
Smith grazie al progresso tecnico, e agli incrementi di produttività che esso
genera, viene prodotta una ricchezza sempre maggiore, che a sua volta
costituisce uno stimolo per un più grande processo di accumulazione e,
quindi, per un più grande ammontare di mezzi di sussistenza destinati ai
lavoratori produttivi.
8
Che questa sorta di circolo virtuoso possa, seppur nel breve periodo,
provocare disoccupazione non è concepito nell’ottimistico approccio
smithiano: l’occupazione cresce continuamente, assieme al resto del
sistema economico.
Con Ricardo inizia invece ad insinuarsi nella mente degli
economisti il dubbio che la crescita dell’economia possa avvenire in
presenza di innovazioni labour-saving. Tali innovazioni si traducono nella
creazione di disoccupazione qualora i meccanismi di compensazione
stimolati dallo stesso operare del mercato non siano sufficienti ad assorbire
i lavoratori disoccupati.
Quello che per Ricardo costituisce una possibilità è per Marx una
certezza: il progresso tecnico, che costituisce una necessità storica per lo
sviluppo del sistema capitalistico, determina inevitabilmente l’accrescere
della disoccupazione. La visione smithiana è dunque ribaltata: non c’è
nessuna “mano invisibile” che armonizza gli interessi individuali e che
conduce il sistema verso una sempre maggiore prosperità. Secondo Marx
l’evoluzione economica porta anzi con sé, come conseguenza inevitabile,
l’impoverimento di larghe masse, in forma sempre più grave e in scala
sempre più grande.
Con l’avvento del Marginalismo il problema dello sviluppo viene
accantonato, e l’analisi degli economisti si sofferma invece sulle condizioni
che permettono un’allocazione ottima di risorse date. Con il termine di
Marginalismo, ci si riferisce soprattutto all’elaborazione del principio
dell’utilità marginale decrescente dei beni, ovvero dell’idea che
all’aumentare del consumo di un bene da parte di un individuo, l’utilità
dell’individuo aumenta, ma ad un tasso via via decrescente. Si tratta di un
gruppo di pensatori che intorno alla fine dell’800, in luoghi diversi e con
metodi diversi, (Jevons sulla base del lavoro empirico, Menger attraverso
uno di tipo logico-deduttivo, Walras per mezzo di uno matematico),
partendo però da una comune insoddisfazione per la teoria classica,
ritennero di dovere riconsiderare il ruolo dell’uso e dell’utilità dei beni per
la determinazione del loro valore.
9
Il contributo di questi, unito con quello dei successivi marginalisti
(Marshall, Pareto), che elaborarono la teoria della produttività marginale,
analoga a quella dell’utilità marginale, costituisce la base della cosiddetta
dottrina neoclassica. L’economia che costituisce l’oggetto dello studio dei
neoclassici è statica: “Il fenomeno dello sviluppo era trattato, in modo
incidentale, analizzando, con i metodi della statica comparata, quali
modificazioni si sarebbero dovute determinare nella posizione di equilibrio
del sistema economico in seguito a variazioni intervenute in qualche dato o
grandezza esogena”.
1
La lunga parentesi storica che vide prevalere il pensiero
marginalista fu successivamente superata prima da Schumpeter e poi dai
modelli di crescita di impostazione keynesiana di Harrod e Domar.
Il problema fondamentale affrontato da Harrod (1939) è proprio se
un sistema economico possa crescere stabilmente e con il pieno impiego
della forza lavoro. La conclusione a cui giunge è tuttavia che ogni
soluzione di equilibrio è instabile: qualsiasi deviazione dal sentiero di
crescita “garantito” porta il sistema economico ad allontanarsi sempre più
dall’equilibrio. Inoltre è assai difficile che l’economia cresca a quel saggio
“naturale” che garantirebbe la piena occupazione dei lavoratori.
A conclusioni assai simili giunge anche Domar. Il suo modello
vuole determinare quale andamento debbano avere gli investimenti e il
reddito di un’economia perché gli imprenditori domandino tutta la forza
lavoro presente sul mercato. Il problema è simile a quello posto da Harrod,
ma non mancano le differenze tra i due modelli: il cosiddetto “principio di
instabilità” è ad esempio in Domar appena abbozzato.
Il modello di crescita neoclassico di Solow nasce proprio come
risposta ai modelli di Harrod e Domar. Con il modello di crescita stabile e
di piena occupazione proposto da Solow si può fare coincidere realmente
l’inizio della teoria moderna della crescita.
1
Cozzi T. (1979), Teoria dello sviluppo economico. Le grandi teorie e i modelli di crescita aggregati,
Bologna, il Mulino.
10
1.1.2 La teoria della crescita neoclassica: il modello di Solow
La teoria moderna della crescita economica trova origine nel
modello di matrice neoclassica di Solow del 1956. Il modello viene
elaborato inizialmente come risposta neoclassica ai modelli di Harrod e
Domar. L’articolo di Solow del 1956 si apre con un commento assai aspro
verso la precedente teoria della crescita:
“Ogni teoria dipende da alcune ipotesi che non sono del tutto
vere…L’arte di rendere una teoria ben riuscita consiste nel fare
delle ipotesi semplificatrici, ma in modo tale che i risultati non
ne siano molto condizionati. Un’ipotesi si dice cruciale quando
le conclusioni ne vengono a dipendere in modo sensibile: è
perciò importante che le ipotesi cruciali siano ragionevolmente
realistiche. Quando i risultati di una teoria sembrano derivare
specificamente da una speciale ipotesi cruciale, allora se
l’ipotesi è dubbia, i risultati sono sospetti…Qualcosa del
genere è vero per il modello di crescita economica di Harrod-
Domar .”
2
L’ipotesi “cruciale” a cui Solow si riferisce è quella dei coefficienti
fissi di produzione che, secondo Solow, assieme all’utilizzo di ipotesi
valide nel breve periodo, ma inconciliabili con un’economia in crescita,
sono i maggiori problemi di Harrod e Domar. Questa assunzione è reputata
del tutto inadatta ad analizzare i problemi della crescita economica. Il
modello Harrod-Domar, infatti, studia i problemi di lungo periodo, con
degli strumenti adatti al breve periodo.
Alla base del modello di crescita neoclassico stanno
fondamentalmente tre ipotesi: il rapporto capitale-lavoro dipende dal
rapporto tra i prezzi dei fattori, i mercati sono competitivi e il progresso
tecnico é esogeno e di tipo labour augmenting. Il sentiero di crescita
dell’output e quello dello stock di capitale così sono uguali al tasso di
2
Solow R.M. (1956), “A Contribution to the Theory of Economic Growth”, p.161
11
crescita della forza-lavoro più il tasso di progresso tecnico. Quindi la
flessibilità dei prezzi e la sostituibilità dei fattori produttivi sono per Solow
le forze spontanee che assicurano che l’economia possa crescere lungo un
sentiero di crescita di steady-state e in condizioni di piena occupazione.
Il modello di Solow è capace di spiegare tutti i “fatti stilizzati” della
crescita, cioè alcune regolarità empiriche osservate nello sviluppo delle
economie moderne, soltanto se viene introdotto un progresso tecnologico
che aumenta ad un tasso costante ed esogeno.
Definendo con K il capitale fisico e con L la forza lavoro, la
funzione aggregata di produzione utilizzata, che indica l’ammontare totale
dell’unico bene finale prodotto, è dunque una funzione di produzione
neoclassica del tipo:
(,)YFKL [0.0.1]
con un prodotto marginale positivo e decrescente, rispetto ad ogni input,
per cui:
2
2
0 e 0
FF
LL
ω ω
!
[0.0.2]
2
2
0 e 0
FF
KK
ω ω
!
[0.0.3]
Si conforma inoltre alle condizioni di Inada: il prodotto marginale
del capitale (o del lavoro) tende all’infinito quando il capitale (o il lavoro)
tende a zero; tende a zero quando il capitale (o il lavoro) tende a infinito:
00
lim lim
K
KL
F
ο ο
φ [0.0.4]
lim lim 0
K
KL
F
ο φ ο φ
0.0.5]
12
L’altra ipotesi che Solow fa sulla funzione di produzione è che sia
omogenea di primo grado, ovvero che abbia rendimenti costanti di scala:
( , ) ( , ) 0FvKvL vFKL v ! [0.0.6]
La funzione di produzione può perciò essere scritta come:
(,) ( ,1) ()Y F K L LF K L Lf k [0.0.7]
dove k è il rapporto tra capitale e lavoro, y è il rapporto tra prodotto e
lavoro, mentre la funzione di produzione f(k) è uguale a F(k,1). Ciò
significa che possiamo vedere scritta la funzione di produzione nella sua
forma intensiva:
()yfk [0.0.8]
In questo caso i prodotti marginali del capitale e del lavoro sono
dati da:
3
'
()
Y
f k
K
ω
ω
[0.0.9]
() '()
Y
f kkfk
L
ω
ω
[0.0.10]
In una economia dinamica la quantità di capitale rispetto al lavoro
presente nell’economia è determinata dal processo di accumulazione del
capitale e dal tasso di crescita esogeno della popolazione. L’investimento
lordo é per ipotesi uguale al risparmio corrente, calcolato, data una
propensione media al risparmio s costante, in base al reddito prodotto con il
pieno impiego dei fattori produttivi:
3
Se consideriamo la forma intensiva della funzione di produzione le condizioni di Inada implicano che:
φ
ο φ ο
)(lim e 0)(lim
'
0
'
kfkf
kk
.
13
.
1
( , ) con 0 1
tt
KKK sFKL SI s
δ δ[0.0.11]
Ma l’investimento lordo (la quantità di output acquisito
dall’impresa) é dato dall’investimento netto (l’aumento netto nello stock di
capitale) più il deprezzamento, quindi la [0.0.11] diventa:
(,)KsFKL K Γ
&
[0.0.12]
dove Γ é il tasso di deprezzamento costante.
La forza lavoro, che nel modello di Solow coincide con l’offerta di
lavoro, cresce ad un tasso esogeno e costante n:
0
nt
LLe [0.0.13]
L’equazione [0.0.11] si può quindi riscrivere in termini del rapporto
capitale-lavoro come:
.
()ksfk nk k Γ [0.0.14]
Se dividiamo per il capitale otteniamo:
.
()
()
k
ksfk
n
kk
ϑ Γ {
[0.0.15]
Il primo termine sul lato destro rappresenta, nei termini di Harrod, il
saggio di crescita garantito; il secondo termine il saggio di crescita naturale
più il deprezzamento costante. Da questa relazione inoltre ne possiamo
trarre che la variazione proporzionale del rapporto capitale-lavoro /kk
&
é
funzione crescente della differenza tra l’incremento del capitale ()/sf k k , e
l’incremento del lavoro n. Quando il nk sf k ! il rapporto capitale-lavoro
tenderà a diminuire, quando nk sf k il rapporto tenderà ad aumentare.
14
In altri termini, avendo sia il capitale che il lavoro una curva di
offerta rigida, se il saggio di crescita garantito eccede quello naturale,
aumenta l’intensità capitalistica della produzione; se il saggio di crescita
garantito è minore di quello naturale si passa invece ad un processo di
produzione caratterizzato da un’intensità capitalistica minore.
La figura 1.1 rappresenta graficamente il processo di convergenza
descritto da Solow:
La funzione f(k) presenta un andamento crescente a tasso
decrescente, mentre sf(k)< f(k) perché 0<s<1. La linea nk è crescente, per
ogni valore di n, al crescere del rapporto capitale-lavoro. L’economia
tenderà spontaneamente a raggiungere uno stato dove tasso di crescita
garantito e tasso di crescita naturale convergono. Il punto di equilibrio è
dato dall’intersezione della retta nk con sf(k). A sinistra del punto di
intersezione il rapporto capitale-lavoro tende a crescere, a destra il rapporto
capitale-lavoro tende a diminuire.
y=Y/L
(n+ )k
y = f(k)
sf (k)
k*
figura 1.1
k=K/L
15
Quindi il processo di aggiustamento continuerà fin quando non si
raggiungerà una crescita di steady-state in cui 0
.
k , in cui cioè è
soddisfatta la condizione:
**
()sf k nk k Γ
[0.0.16]
Nel punto di intersezione, il rapporto capitale-lavoro resta costante
al livello k* e l'economia cresce al tasso
k
ϑ.
Quando l'economia è in equilibrio il rapporto tra la produttività del
lavoro ()f k e il rapporto capitale-lavoro k equivale al rapporto capitale-
prodotto, v. Quindi:
()
0
k
sfks
ng
v
ϑ Γ {
&
[0.0.17]
L'equilibrio di stato stazionario del modello di Solow può essere
interpretato come un equilibrio di Harrod in cui il coefficiente di capitale,
dato il tasso di risparmio, si è aggiustato in modo tale da realizzare un tasso
di crescita effettivo, g, eguale al tasso naturale.
Avremo inoltre che:
...
KCY
n
KCY
Γ [0.0.18]
In questa situazione di crescita equilibrata il tasso a cui tutte le
variabili crescono è determinato in maniera esogena: nel lungo periodo
l’economia cresce, in assenza di progresso tecnico, nella misura consentita
dal tasso di crescita della popolazione.
Il modello di Solow dimostra che vi sono forze di mercato che
rendono uguali tasso naturale e tasso garantito di crescita, permettendo
all’economia di crescere in maniera equilibrata.