6
degli aspetti più importanti della crescita economica devono essere
ricercati nei confini tra economia e sociologia” (Temple 1999, 146).
Nella promozione dello sviluppo economico il capitale sociale
è importante per due sue caratteristiche.
In primo luogo, le relazioni che lo costituiscono possono
essere utilizzate dagli individui per attivare risorse attraverso le quali
perseguire proprie strategie. In questo senso, le forme di capitale
sociale utilizzabili sono innumerevoli: dalle aspettative di
adempimento di crediti derivanti da obbligazioni informali, al flusso
di informazioni che transita attraverso le relazioni sociali; alle norme
che regolano il rapporto tra interesse personale e interesse
comunitario, sanzionando, quindi, i comportamenti non collaborativi o
da free rider.
Una seconda caratteristica del capitale sociale è la sua natura
di bene pubblico. Esso infatti, in quanto caratteristica della struttura
sociale in cui un individuo è inserito, non è appropriabile in modo
esclusivo da alcuno; è indivisibile, inalienabile e non è di proprietà
privata di chi momentaneamente ne trae profitto. Conseguentemente,
pertanto, tutti gli individui presenti in una realtà sociale ad alto
capitale sociale possono trarre vantaggio da questa ricchezza delle
relazioni anche se non sono inseriti in determinate strutture
organizzative (spillover).
La recente letteratura empirica sul capitale sociale (della quale
sarà presentata una rassegna dettagliata nel presente lavoro) è
riconducibile a tre filoni principali.
Il primo indirizzo indaga il capitale sociale a livello aggregato,
assumendo come unità di indagine specifiche unità geografiche: le
analisi empiriche, in questo caso, sono volte a dimostrare come, ed in
quali termini, il capitale sociale, (analizzato, di volta in volta, sub
specie di fiducia, partecipazione associativa, cooperazione civica…)
incida direttamente sulla crescita economica di una collettività; la
variabile dipendente “crescita economica” viene, infatti, espressa
come funzione di variabili esplicative volte a misurare il livello di
“virtù civica” (civicness) quali, ad esempio, la “fiducia”, la
“cooperazione civica”, la “partecipazione associativa”, la “civicness”
7
(indice, quest’ultimo, ottenuto attraverso l’analisi fattoriale dei
seguenti quattro differenti indici: lettura dei quotidiani, partecipazione
ai referendum e alle urne, partecipazione alle associazioni culturali e a
quelle sportive).
Tra gli studi più importanti è possibile ricordare quelli di
Putnam, Knack e Keefer, e Beugelsdijk e Van Schaik, relativi,
comunque, a contesti economici differenti: venti regioni italiane nel
primo caso, ventinove stati nel secondo, cinquantaquattro regioni
europee, nel terzo.
Ad esempio, Putnam, nel noto pionieristico studio relativo alle
regioni italiane, dimostra come le regioni con un più alto grado di
civicness presentino un dinamismo economico ed un’efficienza
amministrativa maggiore rispetto a quelle con scarsa presenza di
“virtù civiche”. In queste ultime, infatti, la mancanza di fiducia
generalizzata determina un ethos negativo, che ostacola, impedendola,
la cooperazione tra gli individui e conseguentemente la crescita
economica del paese. Proprio la scarsità delle relazioni cooperative
sarebbe- secondo Putnam- la causa oggettiva dell'arretratezza
economica ed amministrativa del Mezzogiorno italiano.
Un secondo filone di ricerca è impostato sull’analisi del
capitale sociale a livello individuale, assumendo, cioè, quale unità di
indagine, non più specifiche unità geografiche, ma il singolo
individuo. Questo indirizzo prescinde dal difficile e spesso
irrealizzabile compito di calcolare, soppesandoli, gli effetti positivi e
negativi delle esternalità che si generano nel processo di aggregazione
e, pertanto, da questo punto di vista, risulta essere scevro da
quell’errore caratteristico dell’approccio aggregato, determinato dalla
difficile misurazione delle esternalità.
Infine, il capitale sociale viene esaminato a livello finanziario
e politico-istituzionale, tentando di stabilire se ed in quale misura il
capitale sociale influenzi, da un lato, lo sviluppo del mercato
finanziario, dall’altro la qualità del governo.
***
8
Passiamo, ora, ad illustrare brevemente gli studi esaminati nei
capitoli 2, 3, e 4 del presente lavoro, dedicati alle analisi empiriche
condotte rispettivamente a livello aggregato, individuale, finanziorio-
istituzionale.
Nel secondo capitolo verrà presentato lo studio cross––
country condotto da Knack e Keefer su 29 paesi, volto a dimostrare
che, mentre le misure dirette di fiducia e cooperazione civica
(utilizzate come proxies del capitale sociale) risultano positivamente e
significativamente correlate alla performance economica (misurata in
termini di crescita economica nel periodo 1980-1992 e di quota degli
investimenti sul PIL), la partecipazione associativa non lo sia, di guisa
che quest’ultima non incida sullo sviluppo economico della comunità.
Di recente, (dicembre 2001), questi risultati sono stati
contraddetti dalla analisi compiuta da Beugelsdijk e Van Schaik su un
campione più omogeneo di cinquantaquattro regioni europee,
comprovante, da un lato, che la performance economica sia
significativamente influenzata dalla partecipazione associativa e, più
precisamente, dalla partecipazione cd. attiva (rinvenibile
ogniqualvolta i membri prestino lavoro di volontariato), dall’altro, che
la fiducia non costituisca una componente significativa della crescita
economica.
Nel terzo capitolo sarà esaminato il recente studio “What is
social capital? The determinants of trust and trustworthiness” di
Glaeser, che, attraverso il sistematico raffronto di inchieste generiche
ed esperimenti reali (tesi ad attestarne la correttezza), giunge a
dimostrare come l’inchiesta volta a cogliere la fiducia dell’individuo
risulti, in realtà, idonea a coglierne la lealtà. La portata innovativa di
tale risultato, che parrebbe, prima facie, imporre una reinterpretazione
dei precedenti lavori (auspicata, peraltro, dallo stesso Glaser), risulta,
in vero, ridimensionata ove si rifletta sulla circostanza che la lealtà è,
comunque, una componente del capitale sociale.
In uno studio successivo, l’Autore, sempre analizzando il
capitale sociale a livello individuale, evidenzia il meccanismo di
decisione ottimale dell’individuo circa il compimento di un
investimento in capitale sociale.
9
Infine, nel quarto capitolo, sarà illustrata l’analisi realizzata,
sul territorio italiano, da Guiso, Sapienza e Zingales, che dimostra
come nel mercato finanziario (dal cui sviluppo dipende la crescita
economica della società), il capitale sociale, sub specie di fiducia,
assuma rilievo decisivo: ed infatti, la composizione del portafoglio
delle famiglie risulta influenzata dalla fiducia riposta nei diversi
strumenti finanziari a disposizione (contanti, depositi bancari o titoli
azionari), di guisa che nelle aree a bassa fiducia (Sud) la percentuale
di ricchezza detenuta in contanti è maggiore rispetto a quelle ad alta
fiducia (Centro-Nord), in cui, al contrario, le famiglie investono la
maggior parte delle proprie ricchezze in titoli azionari.
Notevole risulta l’incidenza del capitale sociale anche sulla
qualità di governo, come dimostra l’analisi di Knack relativa alle
performances governative di 50 Stati americani, condotta utilizzando
come proxy del capitale sociale la responsabilità civica: indice
sicuramente innovativo, sebbene riconducibile alla “famiglia” della
cooperazione civica.
10
1. IL CAPITALE SOCIALE: NOZIONE E
COMPONENTI
Una crescente evidenza empirica indica che la
dimensione e la densità delle reti sociali, delle istituzioni, e delle
interazioni interpersonali, contribuiscono significativamente
all'efficienza e alla sostenibilità di programmi di sviluppo. Al
momento, i canali attraverso cui il capitale sociale pone in
essere conseguenze per lo sviluppo hanno cominciato solamente
ad essere esplorati.
1 COS’È IL CAPITALE SOCIALE?
Il capitale sociale di una società include le istituzioni, le
relazioni, gli atteggiamenti e i valori che governano le
interazioni fra persone e contribuiscono allo sviluppo economico
e sociale.
E’ importante sottolineare, fin da ora, che il capitale
sociale non è semplicemente la somma delle istituzioni che
caratterizzano una società, bensì il collante che le mantiene
unite. Esso include i valori condivisi e le regole di condotta
sociale espresse attraverso le relazioni interpersonali, la
diffusione della fiducia, ed un senso comune di responsabilità
"civica" che rende la società un quid pluris rispetto a un mero
agglomerato di individui. Senza un grado di identificazione
comune con forme di governo, norme culturali, e regole sociali,
è difficile immaginare, infatti, una società funzionale.
Gli economisti hanno focalizzato l’attenzione sul
contributo che il capitale sociale apporta alla crescita
economica.
A livello microeconomico, il capitale sociale incide
essenzialmente sul miglioramento dei mercati, limitandone,
nello specifico, i casi di fallimento.
11
Il capitale sociale può contribuire, per esempio, ad
aumentare le conoscenze reciproche in ordine alle scelte
decisionali degli agenti economici, così determinando una
riduzione dei costi e, dunque, un miglioramento del mercato: le
decisioni degli agenti economici, infatti, sono spesso inefficienti
perché questi ultimi non hanno a disposizione informazioni
adeguate o accurate (asimmetrie informative); in alcune
circostanze, un agente può trarre beneficio da informazioni
scorrette; spesso situazioni di questo genere si realizzano nei
mercati finanziari, in particolare in quelli del capitale, o, in
quelli del lavoro; in altre circostanze decisioni "ottimali" sono
difficili a causa dell'incertezza sullo stato futuro del mondo e
sulla risposta degli altri agenti a questo stato. Il capitale sociale
non elimina l'incertezza, ma può contribuire ad aumentare la
conoscenza reciproca in ordine al comportamento che gli agenti
assumeranno, traducendosi in una riduzione dei costi.
A livello macroeconomico, il capitale sociale si
focalizza, invece, sul ruolo del governo, delle istituzioni e della
struttura legislativa che amplificano la performance economica
degli stessi. Al riguardo, sono state elaborate differenti nozioni
di capitale sociale, che ne hanno evidenziato la
“multidimensionalità”.
Putnam (Putnam 1993; Putnam ed altri 1993),
accogliendo una definizione particolarmente restrittiva di
capitale sociale, lo descrive come l’insieme di "associazioni
orizzontali" che si creano tra gli attori: il capitale sociale
consisterebbe, secondo l’Autore, in reti sociali ("networks of
civic engagment") e norme associate che hanno un effetto sulla
produttività della comunità.
12
Questa prima definizione esalta la capacità del capitale
sociale di facilitare la coordinazione e la cooperazione per il
beneficio reciproco dei membri di una associazione (Putnam,
1993).
Originariamente, questo concetto di capitale sociale fu
limitato ad associazioni che hanno effetti positivi sullo sviluppo;
recentemente, è stato esteso ai gruppi che possono avere
conseguenze anche indesiderabili, come, ad esempio, le
associazioni mafiose in Italia meridionale.
Un secondo concetto, più ampio, di capitale sociale fu
proposto da Coleman (1988), che lo definì come "una varietà di
entità diverse che si organizzano in una struttura sociale e
facilitano certe azioni degli attori – sia attori personali che
sociali – che ne fanno parte" (p. 598). Questa nozione, più
estesa di quella elaborata da Putnam, include nel capitale sociale
anche associazioni a struttura verticale, caratterizzate da
relazioni gerarchiche e da una distribuzione di potere disuguale
fra i membri. Questa prospettiva cattura la struttura sociale nella
sua grandezza, esaltando la varietà di norme che governano i
comportamenti interpersonali: "Una data forma di capitale
sociale può essere preziosa nel facilitare alcune azioni, ma, allo
stesso tempo, può essere inutile o addirittura dannosa per altre"
(Coleman).
Il terzo e ancor più ampio concetto di capitale sociale,
proposto da Olson e North (1982 e 1990), include l’ambiente
sociale e politico che plasma la struttura sociale e favorisce lo
sviluppo delle norme. Oltre al grande numero di relazioni
informali, e spesso locali, orizzontali e gerarchiche dei primi due
concetti, questa definizione comprende anche le relazioni
istituzionali più formalizzate e le strutture, come il governo, il
regime politico, il sistema legislativo, il sistema giudiziario, le
libertà civili e politiche.
13
L’accento su questo tipo di istituzioni è stato posto, in
primis, da North (1990)
1
ed Olson (1982) che ne hanno anche
sottolineato il rilevante effetto sul tasso di crescita economica.
Le nozioni di capitale sciale illustrate non dovrebbero, in
vero, essere considerate alternative, ma piuttosto, come
differenti e complementari manifestazioni di capitale sociale in
una società: associazioni a struttura orizzontale, a struttura
verticale e macro istituzioni dovrebbero, infatti, coesistere per
massimizzare l'impatto del capitale sociale a livello economico e
sociale.
Per esempio, le macro-istituzioni possono creare un
ambiente idoneo allo sviluppo di associazioni locali, che, a loro
volta, possono sostenere le istituzioni regionali e nazionali,
procurando loro stabilità, determinando così un circolo virtuoso.
Questo tipo di complementarità aumenta il contributo
che il capitale sociale dà allo sviluppo
2
.
1
In particolare per North l’essenza dello sviluppo economico
moderno è nell’unione di scienza e tecnologia. Egli sottolinea che questa
unione è stata possibile grazie, non solo agli sviluppi delle discipline
scientifiche e ai contratti tra scienziati e inventori, ma specialmente
all’evoluzione di un sistema di istituzioni che, attraverso la tutela dei diritti di
proprietà, favorivano l’introduzione delle invenzioni nell’attività economica.
Secondo North queste istituzioni sono sorte durante la rivoluzione industriale
inglese, a cavallo dei secc. XVII e XIX.
2
SERAGELDIN E GROOTAERT, 1997; Working paper: Defining Social
capital: an Integrating view. Washington, DC: The World Bank.
14
2 IL CAPITALE SOCIALE E LO SVILUPPO ECONOMICO.
Il capitale sociale –come già anticipato- deve essere
analizzato, economicamente, quale forma di contributo allo
sviluppo economico, definito come una crescita elevata e
prolungata del prodotto pro capite
3
e della popolazione
(Serageldin 1996a, 1996b).
Tradizionalmente, si riteneva che elementi determinanti
lo sviluppo economico fossero unicamente il capitale naturale,
il capitale fisico e quello umano, i quali, congiuntamente
considerati, costituiscono la ricchezza delle nazioni, la base per
lo sviluppo e la crescita economica.
In particolare, si riteneva che il “processo di sviluppo”
fosse caratterizzato da una modifica della composizione del
capitale: una parte del capitale umano si esaurisce,
trasformandosi in capitale fisico; quest’ultimo si deprezza e la
tecnologia costituisce lo strumento per una nuova riallocazione.
Il secolo appena conclusosi ha visto una massiccia
accumulazione di capitale umano.
E’ attualmente riconosciuto che questi tre tipi di capitale
determinano solo parzialmente il processo di crescita
economica, in quanto trascurano il modo in cui gli attori
economici interagiscono e si organizzano per generare crescita e
sviluppo.
Il collegamento mancante (missing link) è, appunto, il
capitale sociale
4
(Grootaert, 1997).
3
Tale misura ha il vantaggio di sintetizzare in una grandezza scalare
(una certa somma monetaria) i risultati delle attività produttive che danno
luogo a transazioni di mercato
4
GROOTAERT, C. 1997. Social Capital: The Missing Link? in
Expanding the Measure of Wealth: Indicators of Environmentally
Sustainable Development. Environmentally Sustainable Development Studies
and Monographs Series No. 7. Washington, DC: The World Bank.
15
Non c’è consenso generalizzato, comunque, circa quali
aspetti di interazione e organizzazione meritino l’etichetta di
capitale sociale né, tantomeno, sulla validità dell’appellativo
capitale per descriverli.
Progressi sono stati fatti nel misurare il capitale sociale e
nel determinare empiricamente il suo contributo alla crescita
economica e allo sviluppo.
16
3 IL CAPITALE SOCIALE NEL QUADRO
MACROECONOMICO.
A livello macroeconomico, il capitale sociale rappresenta
la quarta categoria di capitale nella funzione di produzione (con
capitale fisico, naturale, ed umano). Il suo contributo alla
crescita economica, agli investimenti, o all'equità può essere
stimato in due modi.
Una prima stima si ottiene facendo riferimento ai modelli
a schema contabile in cui l’aumento della produzione
complessiva è giustificato dall’aumento dei fattori che stanno
all’origine della funzione di produzione stessa, e, più
precisamente, è attribuito all’aumento dello stock di capitale,
all’aumento della quantità di lavoro impiegata e all’aumento
della tecnologia.
Depurato di capitale fisico e capitale naturale, si ottiene
un "residuo" che racchiude il capitale sociale e quello umano.
Separare il capitale sociale da quello umano richiede una stima
diretta del capitale umano. Questo non è stato ancora fatto con
successo. In principio, il vantaggio dell'approccio “residuale” è
che identifica il contributo del capitale sociale nella sua
interezza (almeno se si accetta l'assunzione che la crescita sia
funzione dei quattro fattori di produzione). Un esempio di
questo approccio è il caso del miracolo dei Paesi del Sud - Est
Asiatico i cui alti tassi di crescita, paragonati ad altre economie,
possono essere spiegati solo in parte dai fattori convenzionali
quali gli investimenti in capitale fisico, umano e in tecnologia: le
politiche governative hanno provveduto a creare un ambiente
caratterizzato da accordi istituzionali e disegni organizzativi che
hanno aumentato l’efficienza, lo scambio di informazioni e la
cooperazione tra il governo e le aziende
5
.
5
STIGLITZ, J. 1996. “Some Lessons from the East Asian Miracle.” The
World Bank Research Observer 11(2): 151-77.
17
Questi studi hanno evidenziato come i modelli a schema
contabile di crescita possono spiegare solamente il 17 percento
su il 36 percento della differenza in termini di performance di
crescita tra Paesi dell’Est Asiatico e le altre parti del mondo.
Un metodo alternativo è rappresentato dalla stima diretta
dell'impatto sullo sviluppo di specifiche componenti del capitale
sociale.
Molti studiosi recentemente hanno utilizzato questo
metodo, spesso focalizzandosi sugli aspetti politici o
democratici della società: gli indicatori includono misure
dell'instabilità politica (cambiamenti di governo, colpi di stato);
misure del livello di corruzione, del grado di rispetto dei
contratti e di sicurezza dei diritti di proprietà; misure di
discriminazione politica ed economica nonché di disintegrazione
sociale (crimini, suicidi, insurrezioni, illegittimità, divorzi ecc.).
Uno studio (cross–country) di ventinove Paesi basato
sulla misura diretta della fiducia e della cooperazione civica
(Worl Values Survey) ha stabilito che ciascuna variabile ha un
effetto positivo e significativo. Questo studio ha anche
evidenziato come il grado di fiducia sia più elevato nei Paesi a
basso reddito, dove si presume che ricopra un ruolo cruciale
perché sostitutivo di quelle istituzioni formali finalizzate al
rafforzamento dei contratti e dei diritti di proprietà (Knack e
Keefer 1996).
Le analisi cross-country sono state intraprese
considerando anche il regime politico come variabile esplicativa
nella regressione e, i risultati, a cui si è pervenuti, hanno messo
in rilievo come le libertà, civili e politiche, abbiano una
correlazione positiva con la crescita, mentre, regimi repressivi
portino, al contrario, a tassi di crescita più bassi (Scully 1988;
Grier e Tullock 1989; Barro 1989).
18
L'instabilità politica è stata associata anche
empiricamente ad una crescita più bassa. Queste correlazioni
hanno comunque fallito nel sostenere un modello causale alla
base della crescita economica poiché caratterizzate da alcune
contraddizioni: ad esempio, se da un lato, la libertà migliora
l’efficienza del mercato e la performance economica, dall’altro,
una rapida crescita richiede maggiori controlli e, pertanto, una
riduzione della stessa.
Gli economisti spesso sostengono che il ruolo economico
principale dei governi sia quello di garantire la sicurezza dei
diritti di proprietà e di gestire le esternalità relative ai processi
economici (incluse quelle caratteristiche dei beni pubblici
6
).
Alcune economie in transizione rappresentano un caso
significativo non avendo avuto la possibilità di stabilire una
struttura legale funzionante e integrata e sistemi legislativi
mirati a rafforzare i contratti e i diritti di proprietà.
Analogamente, la gestione delle esternalità è una sfida maggiore
in un'economia controllata che in un'economia di mercato
(poiché, per definizione, in un’economia controllata la gestione
delle esternalità è interiorizzata, dal momento che il governo
controlla i processi economici che le generano). Alcuni studi
empirici hanno evidenziato che le variabili che misurano il
rafforzamento del contratto, il rischio di espropriazione, la
corruzione e la qualità della burocrazia statale sono potenti
fattori esplicativi dei tassi di crescita; in alcuni casi con effetti
tanto forti tanto quelli dell’istruzione (Knack e Keefer 1995).
6
Un bene pubblico può essere interpretato come un caso limite di
effetto esterno positivo. Si ha un’esternalità positiva se il consumo di
un’unità di bene produce utilità non solo al soggetto che compie l’atto di
consumo, ma anche, seppure in misura presumibilmente inferiore, ad altro
soggetto. Nel caso limite in cui il vantaggio del bene che produce
un’esternalità positiva risulti identico per tutti i soggetti, ci troviamo nella
stessa situazione caratteristica di non rivalità nel consumo propria di un bene
pubblico
19
Inoltre, Paesi con istituzioni formali, che tutelano
efficacemente i diritti di proprietà e perseguono il rafforzamento
dei contratti, offrono un ambiente più consono alla fiducia
7
e
alla cooperazione civile per lo sviluppo (Knack e Keefer 1996).
Altri studi, inoltre, prescindendo da fattori politici e
governativi, hanno focalizzato l’attenzione sugli effetti di
integrazione sociale e di disintegrazione della performance
economica.
Una delle forme più dirompenti della disintegrazione
sociale è il conflitto etnico. Esso distrugge il capitale fisico,
disgrega l'economia, deteriora il capitale umano, e dissolve il
capitale sociale.
Più della metà dei Paesi del mondo a basso reddito ha
avuto esperienze di conflitti negli ultimi dieci anni. Di questi
Paesi, trenta hanno avuto più del 10 percento della popolazione
disgregata, dieci, addirittura, il 40 percento. I conflitti etnici
stanno emergendo come un fattore chiave che contribuisce al
declino economico dell’Africa.
Alcuni studi hanno suggerito che la diversità etnica può
portare ad un crescente conflitto civile e all’instabilità politica
con conseguente difficoltà sulla scelta dei beni pubblici da
offrire come l’istruzione, le infrastrutture, e le politiche idonee.
Il ruolo della diversità etnica nella performance di crescita è
stato quantificato in un studio cross-country dell’Africa Sub-
Sahariana (Easterly and Levine 1995).
7
E’ bene precisare come la fiducia svolga un ruolo preponderante
anche in microeconomia, dove essa si pone come catalizzatore dei processi di
crescita e di sviluppo, influenzando le decisioni individuali degli agenti che
operano in un determinato contesto economico. Ed infatti, “ci sono Paesi in
Europa…dove il più grande impedimento nel portare a termine gli affari è
dovuto al fatto che vi siano poche persone disposte ad avere fiducia nella
controparte quando si trattano grosse somme di denaro ( MILL, Principles of
political economy, Londra, 1848)