Introduzione
Il presente lavoro ha come oggetto di studio le avversioni che si nascondono dietro il
mondo della droga leggera, in particolar modo la Cannabis, il quale uso costituisce una
fattispecie di devianza.
Su questa pianta da più di settanta anni vi è un dibattito acceso tra posizioni
proibizioniste e non, su chi abbia ragione o meno. Mentre le prime dimostrano gli effetti
pericolosi della legalizzazione o della liberazione di questa, o tutte le sostanze voluttuarie,
le seconde mostrano come invece una scelta di strategia di questo tipo possa portare alla
soluzione dei vari costi che comporta tale fenomeno: politici, sociali, sanitari, economici,
ecc. Argomentazioni ancora attuali nel dibattito politico di tutti i paesi coinvolti nella
produzione, nel traffico e/o nel consumo di sostanze, come l’Italia.
Nazione dove ancora si contrappongono e si alternano nel tempo strategie di lotta
penalizzanti o depenalizzanti per l’uso delle droghe. Mentre da un lato c’è chi sostiene la
proibizione e una legislazione repressiva sul tema, dall’altro si trovano personaggi come
Marco Panella e Umberto Veronesi che tentano di rompere il tabù sulla Cannabis, e
scrittori come Roberto Saviano che esprime il suo favore nei confronti della legalizzazione
del mercato delle droghe leggere.
La ricerca eseguita è stata pensata e scritta seguendo un percorso proposto da Bruno
Latour nel suo “Laboratory Life. The Construction of Scientific Facts”, cioè rompendo tutti
i pregiudizi e gli stereotipi costruiti sulla Cannabis (locuzione scientifica con cui si indica
tale pianta, appunto, utilizzata pure per i suoi derivati, nell’elaborato per poter permettere
una visione neutrale).
Nel primo capitolo, infatti, si mostrano i vari campi e i vari aspetti dell’utilizzo della
pianta, in particolare affrontando quegli ambienti dove la sua posizione è più dibattuta:
botanica, farmacologia e storia.
Nel secondo capitolo, dopo un’introduzione alla sociologia dell’etichettamento, si
affronta il tema del processo di stigmatizzazione, realizzato nella campagna proibizionista
statunitense degli anni Trenta, durante la quale la cannabis smette di essere una pianta
naturale per diventare una droga: Marijuana, “ weed from the devil’s garden”. Risultato
che si riflette ancora oggi nel senso di percezione delle società più repressive per tale
sostanza, anche se si va incontro a un processo di normalizzazione come si osserva dai
consumi e dalle opinioni della gente in una ricerca presentata nel terzo capitolo.
In quest’ultimo capitolo, appunto il terzo, viene curato l’aspetto attuale delle sostanze
stupefacenti, combattute con differenti strategie, secondo il punto di vista adottato dalle
diverse politiche dei paesi coinvolti. E tra queste diverse politiche sembra portare dei
risultati quella che si colloca nell’ambito della prevenzione, come risulta da differenti
ricerche portate avanti da studiosi nel tempo.
Il filo conduttore, che accompagna il lettore, tra i tre capitoli è la storia che parte dalle
origini dell’uso della Cannabis, passa attraverso il proibizionismo, per giungere alla crisi
della lotta contro le droghe attuale. Durante questo percorso vengono proposte
comparazioni e confronti tra le varie dichiarazioni e ricerche proposte a sostegno delle
varie tematiche che si presentano e si contrappongono con le argomentazioni contrarie.
Capitolo I
Cannabis: una pianta, tanti aspetti da trattare.
La cannabis è una delle piante, forse, più conosciuta al mondo, chiamata in tanti con
differenti nomi (Kunnubu, Kunupu, Bangue, Bhang, Hash, Azallu, Subìje, Shesh, Ma,
Mayo, Gur, Sabzi, Savia, Sukhu, Boo, Anagcha, Momea…), i quali la maggior parte
rimandano, al suo utilizzo, più discusso e dibattuto negli ultimi settant’anni e poco più, di
sostanza voluttuaria.
In Italia i termini più diffusi, anche tra la popolazione non coinvolta direttamente nel
suo uso illecito sono quasi sicuramente:
•Canapa, deriva dal latino cannabis (o canabis o cannabus, canabus), trova
probabilmente le sue origini nel sanscrito çanas. Questo termine è utilizzato più che altro
per indicare la fibra tessile che si ottiene da questa pianta. Eppure è stata la parola più usata
in assoluto in Italia per indicare la marijuana negli anni Sessanta.
•Marijuana, questo termine deriva da marihuana che affonda le sue radici in
maraguanquo (termine in náhuatl, cioè in dialetto azteco) il cui significato sarebbe “pianta
che dà ebbrezza”. Di sicuro marijuana è stato il termine legato al proibizionismo e
all’accezione negativa della Cannabis nei primi decenni del secolo; anche se adesso il
senso negativo legato a questo termine è diminuito moltissimo.
•Maria, termine in uso in Italia, Spagna e Francia, è la contrazione della locuzione
marijuana, deve il suo successo alla necessità di avere un nome in codice per la pianta nei
decenni passati per via della sua illegalità e per la sua correlazione con uno dei nomi di
donna più diffuso. È di uso prettamente popolare, in voga tra i giovani o da habitué
dell’erba.
•Ganja, è un termine che affonda le sue radici nel sanscrito gāñjyā-, altro termine
utilizzato per indicare la pianta e che, probabilmente, discende a sua volta da una locuzione
sumera (ganzigunno) trovata su delle tavolette la cui datazione risale al 700 avanti Cristo.
A causa della fama contemporanea della parola e della particolarità della religione
rastafariana erroneamente si crede che il termine “ganja” sia legato alla lingua creolo-
giamaicana
1
, anche per via della diffusione del genere musicale reggae, reso famoso dal
cantante Bob Marley.
1.1. Aspetti botanici della Cannabis
Secondo la tassonomia ufficiale moderna
2
, la cannabis va inclusa nella famiglia delle
Cannabacee o Cannabinacee, appartenente all'ordine delle Urticali (Urticales)
3
.
Per la maggior parte dei botanici la classificazione da seguire per questa pianta è quella
del 1924 di D.E. Janichewsky (botanico sovietico, il quale studiò le piante selvatiche che
crescono nell'Asia centrale), grazie la quale si possono individuare tre diverse specie: C.
sativa, la più diffusa, può giungere a tre metri d’altezza, molto resinosa e dalla forma
piramidale; C. indica, raggiunge dimensioni più piccole dalla specie precedente e si
presenta con molte foglie; C. ruderalis, al massimo alta mezzo metro e non presenta rami.
Nel 1753, Linneo parlò esclusivamente di Cannabis sativa. Tesi confermata dagli studi
canadesi di Small e Cronquist nel 1976, i quali, in una proposta di classificazione
alternativa a quella precedente, affermarono l’esistenza di una sola specie molto variabile,
C. sativa, con due sottospecie, sativa e indica: la prima tipica dei paesi settentrionali e usata
per fibra e olio; e la seconda, tipica dei paesi caldi e ricca di resina e proprietà intossicanti
(tra cui il cannabinoide THC). Ciascuna sottospecie poi presenterebbe delle varianti
selvatiche e domestiche, secondo il luogo di coltivazione.
1
Ripreso da un articolo pubblicato su: http://www.echeion.it/costume-e-societa/i-mille-nomi-della-
marijuana-etimologia-di-unerba/
2
La tassonomia (dal greco: ταξις, taxis, ordinamento e νομος, nomos, norma o regola) è, nel suo significato
più generale, la disciplina della classificazione. Abitualmente, si impiega il termine per designare la
tassonomia biologica, ossia i criteri con cui si ordinano gli organismi in un sistema di classificazione
composto da una gerarchia di taxa annidati.
3
Le Urticali sono piante, che possono essere legnose o erbacce; con fiori, unisessuali che sono,
solitamente, poco appariscenti, isolati o riuniti a gruppi.. La morfologia del frutto prodotto è varia: infatti in
alcune Urticali si hanno frutti secchi (es.: Canapa, Ortica); in altre si hanno infruttescenze (es.: Albero del
pane, Fico, Gelso). Le foglie sono munite di stipole e in varie parti della pianta possono comparire delle
formazioni caratteristiche (es.: ghiandolari nelle Cannabacee). L’importanza economica delle Urticali è
legata alla produzione di fibre tessili, frutti, droghe, ecc.
1.2. Aspetti morfologici e coltivazione
La cannabis è una pianta dioica, in altre parole
esistono separatamente il maschio (che produce il
polline) e la femmina (che fecondata, produce fiori e
semi), anche se in ambienti particolarmente ostili
possiamo trovare infiorescenze maschili e femminili
sulla stessa pianta. Le foglie a sette punte sono sottili, di
un verde intenso, dai bordi seghettati, con nervature
molte evidenti, e con una sottile peluria. Le foglie partono tutte dallo stesso stelo, che
diventa molto resistente lungo l’arco di tempo della maturazione della pianta. L'apparato
radicale, le radici, si presenta a fittone, lungo 30 - 40 centimetri da cui si diramano sottili
ramificazioni.
È una pianta a ciclo annuale (infatti, la cannabis ha un ciclo breve, con semi piantati
all'inizio della primavera, fioritura a metà estate e maturazione autunnale). I semi
germogliano in meno di una settimana e l'impollinazione avviene generalmente con il
vento, visto che insetti come le api non sono attratti dai fiori della cannabis. Generalmente
le che sono coltivate molto vicine tra loro sono quelle prodotte per la fibra (in questo
modo, infatti, le piante si allungano a dismisura, senza produrre rami, con un piccolo
cespuglio in cima). Mentre per le coltivazioni a scopo medico e/o intossicante è importante
procedere alla coltivazione dividendo e facendo distinzione di genere, poiché sono i fiori
della femmina a produrre maggiore quantità di principio attivo, il delta Δ9-THC
(tetraidrocannabinolo)
4
, il quale è contenuto nella resina di questi fiori. Le infiorescenze
crescono all'estremità dei rami, che così raccolte proteggono lo sviluppo dei semi, ovali e
coriacei. Secondo alcune ricerche, non ancora definitive, questa pianta produce questa
resina per la difesa dall'eccessivo calore, e quindi per trattenere l'umidità necessaria alla
maturazione dei semi; infatti, quando il processo riproduttivo è concluso, la resina non è
4
Sono oltre 460 i componenti chimici della pianta, e più di 60 rivelano la struttura tipica dei cannabinoidi.
Tra questi, il delta - 9 - THC, presente intorno all'1 - 5% del peso totale, è l'unico finora scoperto ad avere
notevoli proprietà psicoattive. Tale percentuale si riduce a meno dello 0.5 % nelle piante coltivate per fibra,
che invece sono ricche di cannabinolo. In realtà la scoperta del recettore del THC nel cervello umano è
molto recente, apre un campo di ricerca illimitato per le sue possibili applicazioni terapeutiche.