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Introduzione
La nostra salute, il senso di benessere soggettivo e complessivo che la
persona vive nel suo contesto, può essere minacciata dalla malattia. Quando poi
questa, prende il nome di cancro, la persona che ne è colpita ha l’impressione di
essere completamente invasa dal “male”.
Nonostante i progressi tecnologici in ambito oncologico che hanno
sicuramente determinato un netto miglioramento degli approcci terapeutici e un
aumento della sopravvivenza dei pazienti, il vissuto soggettivo del cancro e
l’interpretazione sociale di questa malattia restano quelli di un processo insidioso
e incontrollabile che trasforma e lentamente porta alla morte: il cancro è il
“nemico” per eccellenza perché è multiforme e sfuggente, ma, cosa ancor più
temibile, esso agisce all’interno dell’individuo, lo invade e “distrugge” in modo
occulto. Senza dubbio è una malattia che ha delle conseguenze evidenti per la
persona che ne viene colpita, minaccia e interferisce su tutte le dimensioni su cui
si fonda un essere umano: fisica, psicologica, spirituale ed esistenziale e la
dimensione relazionale. (Massaglia, Bertolotti et al., 1999). Tali significati
spaventosi sono evidenti nelle modalità con cui ci si riferisce alla parola cancro,
ancora difficilmente pronunciata e nominata direttamente ma più facilmente
definita attraverso i termini di “male incurabile”.
Il corpo rappresenta il primo nucleo dell’identità personale che viene
colpito, il cancro pone la morte come realtà concreta, rende evidente la finitezza
della vita fin dalla comparsa dei primi sintomi. Tutti i cambiamenti legati
all’immagine corporea (dovuti alle terapie, alla nausea, alla perdita dei capelli…)
comportano delle difficoltà nella conduzione della vita quotidiana limitando il
paziente che in molto casi si trova a dover rinunciare alla propria autonomia e a
dipendere dagli altri. Tutto ciò si associa a conseguenze importanti sul piano
psicologico.
L’elaborato è suddiviso in quattro capitoli, nel primo, si è cercato di
mettere in risalto le conseguenze psicologiche e sociali della malattia, le difese
psichiche messe in atto dal paziente e le reazioni emotive (sia quelle fisiologiche
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che patologiche), per comprendere il cancro nella sua essenza complessiva
sottolineando l’importanza di porsi nel passaggio dalla salute alla malattia in
senso longitudinale cioè considerando il singolo individuo con la propria storia e
la propria esperienza di malattia, le storie dei malati di cancro sono storie umane
dolorose, accomunate da qualcosa che cambierà per sempre la loro vita: il cancro.
Partendo dal concetto di approccio bio-psico-sociale introdotto
da Engel (1977), nel secondo capitolo si sono indagati tutti quegli aspetti più
prettamente psicologici, cari alla psicosomatica classica, inerenti all’ insorgenza e
allo sviluppo della malattia cancerosa che trovano radici fin dalla medicina
d’epoca galenica.
Si è indagata la possibile relazione tra fattori emozionali, stress e andamento della
malattia con le ricerche dei coniugi Bahnson (1969) e di Selye (1963), si è
affrontata la questione dell’ espressione comportamentale delle emozioni che
costituisce un aspetto fondamentale della psicosomatica contemporanea.
Tutti questi argomenti sembrano trovare larga espressione all’interno di una nuova
disciplina la Psiconcologia, che, in un’ottica multidisciplinare, mira ad una presa
in carico globale del paziente neoplastico, che va dalla valutazione psicologica
prima della comunicazione della diagnosi, alla fase riabilitativa, sino, dove
necessario, alla corretta gestione psicofisica del malato terminale. La medicina si è
infatti sempre occupata di come ci si ammala, ma ha trascurato quelle che sono le
modalità di reazione alla malattia a livello psicologico.
Il terzo capitolo tratta l’argomento della famiglia del malato di tumore e
l’impatto che la malattia ha anche a livello relazionale sottolineando quel percorso
che unisce discipline oncologiche e psichiatriche (Grassi, Gatti, 2002). L’evento
cancro è visto come un evento di rottura che porta molteplici cambiamenti sul
sistema familiare, dove tutti i rapporti sono messi in discussione e dove le
metodologie comportamentali sono differenti da individuo ad individuo. Il cancro
rappresenta sempre, per il paziente e per la sua famiglia una prova esistenziale
sconvolgente. Nell’ambito del sostegno psicologico alle persone gravemente
ammalate, è stata messa in rilievo la necessità di tenere conto delle difficoltà
emozionali e dei bisogni oltre che del malato anche della sua famiglia in quanto
esiste un’influenza reciproca sulla qualità della loro vita: come il malato con le
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sue reazioni influenza il livello di stress dei familiari, le reazioni dei familiari
influiscono sull’adattamento del paziente alla malattia e sull’accettazione della
fine della sua vita. Inoltre, le modalità di reazione emozionali e comportamentali
alla condizione traumatica rappresentata dal cancro possono deragliare, anche per
i familiari, da una condizione di “normalità” ad una di “psicopatologia” che può
riguardare sia il percorso di malattia sia la fase del lutto con quello che è stato
definito lutto complicato (Worden, 1991).
Nel quarto capitolo sono stati indicati tutti i cambiamenti che la medicina
deve attuare per poter diventare una medicina centrata sul paziente.
Il sostegno sociale rappresenta pertanto un elemento costitutivo del trattamento
del paziente oncologico e rientra nelle responsabilità di ciascuna figura
terapeutica: del medico di medicina generale, del medico oncologo,
dell'infermiere, dello psichiatra e dello psicologo, dell' équipe curante nel suo
complesso.
Infine si è scelto di inserire la storia di vita di una ex paziente malata di
cancro che è riuscita a non arrendersi e a vincere la sua battaglia personale, un
messaggio di speranza per tutti coloro che ogni giorno lottano per sconfiggere “il
male oscuro”.
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Primo Capitolo
CANCRO E ASPETTI PSICOLOGICI NEL PAZIENTE
ONCOLOGICO
1.1 Definire il cancro
Nel mondo occidentale circa una persona su tre sviluppa una qualche forma
tumorale nel corso della vita. Il tumore è infatti la principale causa di morte nei
paesi sviluppati dopo le malattie cardiache. Ogni anno, oltre 12 milioni di persone
ricevono una diagnosi di cancro e 7,6 milioni muoiono di questa malattia. Se non
si interviene, nel 2030 si potrebbero raggiungere 26 milioni di nuove diagnosi e
17 milioni di decessi, con l'incremento più rapido nei Paesi a basso e medio
reddito (Hill, 2010).
Una neoplasia (dal greco neo = nuovo e plasis = formazione), rappresenta
la crescita autonoma di tessuti sfuggiti ai normali controlli della proliferazione.
Essa ha origine quando il materiale genetico (DNA), all’interno di una cellula
viene danneggiato e di conseguenza modificato. In virtù della loro capacità di
invadere gli spazi circostanti, le neoplasie sono chiamate anche tumori (latino
tumorem da tumeo “rigonfiamento”): quelli che restano localizzati sono
considerati benigni, mentre quelli che si diffondono sono detti maligni o cancro.
Per definizione i tumori benigni non invadono i tessuti adiacenti né sono capaci di
dare metastasi a distanza, essi rimangono localizzati come masse abnormi
nell’area di insorgenza. Al contrario, il cancro ha la capacità di invadere i tessuti
circostanti e dare metastasi a distanza. Nell’uso comune i termini “benigno” o
“maligno” si riferiscono al comportamento biologico in toto del tumore piuttosto
che alle sue caratteristiche morfologiche.
Il carattere descrittivo primario di qualunque tumore è la sua cellula o il
tessuto di origine, esistono circa cento diversi tipi di cancro e ciascuno è
classificato in base al tipo di cellula che viene inizialmente colpita, il tumore
maligno più diffuso è il carcinoma (riguarda i tessuti epiteliali) mentre un caso
speciale è rappresentato dai tumori del sistema ematopoietico come la leucemia;
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ognuna di queste tipologie presenta ulteriori e più complesse divisioni (Rubin et
al., 2006).
Sia il tasso di crescita sia le modalità di diffusione variano enormemente
da caso a caso in base al tipo di tumore, alla resistenza del paziente e al tipo di
trattamenti cui viene sottoposto. Quasi sempre i tumori benigni non uccidono
mentre quelli maligni sì, anche se oggigiorno molti pazienti hanno buone
prospettive di sopravvivenza. Un terzo di casi negli adulti e oltre la metà di casi
nei bambini sono curabili, la diagnosi precoce aumenta le possibilità di remissione
prolungata o completa mentre le moderne tecniche di controllo della
sintomatologia per quel che concerne i casi non curabili, permettono di vivere la
malattia mantenendo una buona qualità della vita. Le prospettive a lungo termine
dei malati di cancro vanno dalla remissione completa al decesso, tuttavia vi sono
una seria di variabili imprevedibili che non permettono di stabilire se e quanto
tempo un paziente potrà sopravvivere.
Le forme più comuni di tumore, in relazione alla loro localizzazione
primaria sono: il tumore dell’intestino, il quale può venire curato con successo se
diagnosticato precocemente; i tumori cerebrali, primari o secondari che possono
avere effetti diretti sull’umore, sulle funzioni cognitive e/o sulla personalità,
disturbi che possono confondersi con le normali conseguenze psicologiche
provocate dalla malattia e dare vita a quadri clinici complessi; il tumore al seno,
che è molto diffuso e interessa una fascia di età molto ampia, la crescita di questo
tipo di tumore è influenzata dalle condizioni ormonali; il tumore del collo
dell’utero che colpisce maggiormente le donne giovani, esso può interferire con
l’attività sessuale ed essere causa di infertilità per cui queste forme tumorali hanno
molta conseguenze psicosociali; il tumore del polmone che è il più diffuso nel
Regno Unito ed è legato maggiormente ad un’abitudine di vita non salutare come
il fumo; il tumore della prostata che rappresenta per gli uomini il corrispondente
del tumore al seno delle donne, le potenziali metastasi possono avere numerose
sintomatologie; il tumore al pancreas, che risulta associato alla depressione, si
manifesta tardi e comporta una prognosi infausta (Barraclough, 2001).
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Allo stato attuale si è lontani dall’aver scoperto l’eziologia del cancro,
eventuali fattori di rischio vengono considerati (Biondi, Costantini, Grassi, 1995;
Solano, 2001):
- l’invecchiamento: l’incidenza del cancro dopo i 25 anni raddoppia ogni cinque
anni.
- fattori genetici: è noto un aumento di incidenza di tumori in una serie di
alterazioni cromosomiche e sindromi ereditarie anche se si può ipotizzare che si
tratta di una situazione di interazione più che di una causa diretta per esempio tra
cancerogeni ambientali e persone con minore capacità su base genetica di
metabolizzare quell’agente
- abitudini di vita (fumo, diete povere di fibre..)
- fattori di rischio ambientali (negli addetti ad alcune lavorazioni come radiazioni,
amianto..)
-anche un’eccessiva esposizione ai raggi naturali o a quelli artificiali delle
lampade abbronzanti può far crescere il pericolo di tumori della pelle.
Nello scorso febbraio, inoltre, la UICC (Unione Internazionale Contro il Cancro)
ha voluto richiamare l’attenzione in particolare sulla protezione dalle infezioni
(papilloma virus umano, responsabile del carcinoma della cervice uterina, o
epatite B che, come l’epatite C, può portare a una neoplasia al fegato) che
secondo recenti stime sono responsabili del 20% di tutti i tumori nei Paesi in via
di sviluppo e del 6% dei casi nei Paesi sviluppati.
Se ci si chiede, quali possono essere i fattori di rischio di questa malattia
non si devono sottovalutare i fattori psicosociali. I fattori mentali possono avere
effetti sullo sviluppo e sul decorso di un tumore in quanto una situazione mentale
può esercitare la propria influenza sia sul piano immunitario sia sul piano
ormonale.
La speranza di identificare un’unica causa del cancro appare dunque
infondata, piuttosto si deve considerare un insieme di cause tra le quali quelle
psicologiche ed è per questo che da alcuni anni, numerosi studi e ricerche
sull’argomento hanno portato allo sviluppo di una specifica disciplina: la psico-
oncologia (Solano, 2001).
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1.2 Il paziente affetto da cancro
La diagnosi di cancro irrompe bruscamente nella vita di una persona. Il
primo pensiero di chi riceve tale diagnosi, anche in caso di prognosi favorevole,
continua ancor oggi ad essere: “Perché proprio a me?” Una domanda che
significa sorpresa per qualcosa che non si riesce a giustificare e comprendere
(Pizer, 2004).
Dopo lo shock causato dalla comunicazione della diagnosi, definito da alcuni
pazienti come “un colpo ricevuto”, il soggetto cerca di ritrovarsi e ridefinirsi
rispetto al mondo circostante. E’ inevitabile la sofferenza psicologica che può
accompagnarsi ad una diagnosi di patologia cronica e/o invalidante: dipendenza,
vulnerabilità, senso di perdita della libertà, angosce riguardanti la fine della vita,
sensazioni di smarrimento emotivo (ansia, pessimismo, disperazione), condensano
l’esperienza di malattia. L’improvvisa consapevolezza del proprio essere mortali
costituisce un brusco e repentino distacco dal precedente senso di sé. La diagnosi
di malattia rende concreto il limite della vita che tutti noi conosciamo, ma
coscientemente elidiamo fino al momento in cui la morte non ci tocca da vicino o
viene evocata dalle persone con cui entriamo in relazione. Nonostante i progressi
scientifici, i pazienti continuano a sperimentare sofferenza e dolore psichico e
fisico, paura di danni permanenti, incertezza riguardo alle indagini, alle terapie ed
ai risultati possibili, sentimenti di solitudine ed alienazione e soprattutto paura
della morte.
La prospettiva di terapie che non “garantiscono” la guarigione e che in molti casi
modificano l’aspetto corporeo, di interventi “mutilanti” che in taluni casi possono
decostruire l’identità femminile, il dolore, si pongono nell’immediato come spettri
inavvicinabili. Anche nel senso comune “il male oscuro” rimanda
nell’immaginario all’idea di un nemico feroce da combattere, insidioso e
incontrollabile che invade, trasforma e lentamente porta a morte. La paura della
morte comporta riattribuzione al valore della vita ed in questo senso una
considerazione e valutazione della propria qualità della vita. Il cancro, più di ogni
altra malattia, sin dalla sua diagnosi, esige dal paziente uno sforzo continuo e
ripetuto di adattamento alla nuova situazione. L’adattamento psicologico è
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finalizzato a preservare l’integrità fisica e psichica, ad affrontare i disturbi
reversibili e ad integrare quelli irreversibili ed è costituito da una serie di reazioni
cognitive, emotive e comportamentali. Tale processo, è specifico della storia di
ogni soggetto e della sua struttura psichica e può essere compreso in senso
longitudinale considerando cioè quel paziente con la propria storia di salute e di
malattia.
Fin dalla comparsa dei primi sintomi in quella che in letteratura viene
definita fase pre-diagnostica, si assiste ad una reazione di allarme che porta il
paziente a rivolgersi al proprio medico per gli accertamenti più idonei. In alcune
situazioni compare un’ansia mediata dalla tendenza ad attendere l’esito degli
esami diagnostici, in altri casi compare un atteggiamento pessimista.
La diagnosi di cancro è solitamente ovvia per quei pazienti che hanno notato i
sintomi precoci di questa patologia quali perdite di sangue o un rigonfiamento, il
processo si fa più lungo e complesso quando il medico non ha analizzato i sintomi
in maniera corretta o quando il paziente ha nascosto i sintomi. All’estremo
opposto, la diagnosi può arrivare come uno shock quando il tumore si rivela come
un’emergenza medica o chirurgica o quando viene scoperto da una persona
apparentemente sana che si sottopone a visita di controllo; bisogna inoltre
considerare il periodo del ciclo di vita in cui compare la patologia in quanto ogni
fase è caratterizzata da una propria realtà biologica, psicologica e socioculturale.
Un caposaldo dell’oncologia moderna è la diagnosi precoce, che consente
di intervenire prima che il tumore faccia danni. Per ottenere ciò è necessario
sottoporsi a determinati esami. I programmi di screening prevedono
l’effettuazione periodica di esami di controllo su una determinata fascia di
popolazione al fine di individuare la presenza di determinati tipi di tumore, fattori
di rischio e condizioni precancerose. Lo scopo di tali programmi è quello
aumentare il numero di prognosi favorevoli nei casi di cancro tramite
individuazione precoce e immediata risposta terapeutica. Da alcuni studi risulta
che il programma di screening per il tumore al seno può ridurre la mortalità del
25%. Vi sono molte persone che rifiutano di sottoporsi allo screening o perché
appartengono ad una fascia della popolazione socialmente deprivata o perché sono
contrari all’idea di esaminare un organismo apparentemente sano alla ricerca di
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una patologia oppure perché nutrono dei dubbi sul programma di screening. Le
reazioni dunque, possono essere molteplici e le ragioni del rifiuto possono essere
più o meno valide e più o meno ponderate.
Le persone in buona salute il cui esame di screening risulta regolare costituiscono
la categoria più vasta, questi individui possono diventare più coscienti di essere a
rischio di sviluppare un tumore e ciò può indurli a condurre uno stile di vita più
sano; vi sono anche quei casi di pazienti che si sottopongono a screening per
scopi precauzionali e scoprono invece di essere malate, ciò attiva meccanismi di
rabbia e modalità di proiezione secondo cui l’operatore che effettua lo screening
viene identificato con la causa della malattia, un altro caso è rappresentato da
coloro che presentano sintomi tumorali dopo breve tempo dagli esami di
screening che risultavano negativi, in questi casi la reazione è di notevole
turbamento e la sensazione è quella di sentirsi “traditi” (Barraclough, 2001).
La diagnosi precoce, fornisce numerosi vantaggi rispetto al difficile obiettivo di
cercare di prevenire il cancro tramite cambiamenti di vita, una diagnosi tardiva
implica invece, minori possibilità di successo per ciò che riguarda la terapia.
Il nuovo modello bio-psico-sociale (Engel, 1977), implica che il medico
debba occuparsi dei sentimenti del paziente delle sue idee e interpretazioni circa la
malattia delle sue aspettative e desideri riguardo ciò che dovrebbe essere fatto e
del contesto sociale in cui è inserito, il malato deve essere interpellato ascoltato e
fatto diventare protagonista attivo, il medico deve riuscire a farsi carico non solo
degli aspetti clinici ma soprattutto degli aspetti emozionali della malattia. E’
importante sottolineare il fatto che il superamento della crisi dato da una diagnosi
di cancro dipende oltre che da fattori di personalità e da fattori legati al decorso
della malattia, dal tipo di rapporto che si instaura tra medico e paziente e risulta
di fondamentale importanza l’apporto che può fornire la psiconcologia (Tuveri,
2005).