2
Infine, determinante per lo sviluppo del tumore, è il rapporto tra la cellula
trasformata dal virus e l’organismo ospite. Osservazioni cliniche e ricerche di
laboratorio hanno chiaramente dimostrato che lo stato immunitario
dell’ospite, inteso sia come capacità di riconoscimento di antigeni virali o
indotti dal virus sia come reazione anticorpale e cellulare verso il bersaglio
tumorale, ha un ruolo critico nel controllo della crescita tumorale (3).
Da ultimo bisogna ricordare che il sistema virus-cellula-organismo ospite è
continuamente soggetto a fattori esterni che possono modificare (rallentando
o facilitando) le varie fasi di sviluppo e di progressione del tumore (4).
PARTE PRIMA
Regolazione della stabilità e/o della traduzione
dell’mRNA di HPV16 E7 mediante l’esapeptide
SEQIKA condiviso dalla globina α 1 di coniglio e
dalla citocheratina 7 umana (5)
4
INTRODUZIONE
I papillomavirus umani
Dati epidemiologici mostrano un’alta incidenza e un’alta mortalità per il
cancro cervicale particolarmente nei paesi sviluppati (6).
Tra i virus oncogeni, i Papillomavirus Umani (HPV) sono di particolare
interesse in quanto rappresentano il fattore di rischio per lo sviluppo di questa
patologia (7, 8).
Gli HPV sono difficilmente coltivabili in vitro per cui non è stato possibile
definirne i sierotipi. Invece, è stato possibile tipizzarli mediante ibridazione
molecolare del loro genoma.
Gli HPV sono piccoli virus a DNA con un diametro di circa 55 nm,
sprovvisti di mantello pericapsidico; presentano simmetria cubica con capside
icoesaedrico e possiedono un genoma a doppio filamento chiuso di circa 7.9
Kb. Le regioni del DNA di HPV che codificano per le proteine virali sono
chiamate Open Reading Frames (ORFs), presenti solo su un filamento. Le
sequenze ORF sono divise in tre regioni: una regione non codificante
chiamata Long Control Region (LCR) che contiene l’origine di replicazione
del DNA e importanti elementi di controllo della replicazione e della
trascrizione virale; una regione Early (E) che contiene sei geni designati da
E1 a E7, il cui prodotto interviene nella replicazione del DNA, nella
regolazione della trascrizione e nella trasformazione cellulare; una regione
Late (L) che codifica per le proteine del capside: L1 e L2 (figura 1).
Sono stati isolati e sequenziati circa 100 genotipi di HPV (9) ognuno dei
quali condivide circa il 90% dei nucleotidi nelle sequenze dei geni L1, E6 e
E7 (10).
La regione LCR è molto importante perché regola l’espressione delle
proteine E6 ed E7, la cui sovraespressione è associata con la trasformazione
5
maligna. Contiene inoltre molti siti per fattori di regolazione; tra i fattori
attivanti sono inclusi varie proteine cellulari dell’ospite tra cui: AP-1 (fattore
enhancer cheratinocita-dipendente) e AP-2, NF-1, glucocorticoid response
elements, transcriptional enhancer factor 1, YY1, octamer-binding
transcription factor 1, etc. La regolazione dell’espressione virale è tuttavia
complessa, in quanto questi fattori possono agire in alcune circostanze da
attivatori e in altre da repressori. Per esempio la stessa proteina virale E2 può
comportarsi da stimolatore, mentre la sua forma tronca da repressore. La
maggiore espressione delle proteine virali E6 ed E7 potrebbe essere dovuta ad
una maggior espressione delle proteine trans-attivatori o ad una minore
espressione delle proteine repressori (11).
Gli HPV sono strettamente ospite- e tessuto-specifici; questo tropismo può
essere suddiviso, inoltre, in specificità cutanea o mucosale a seconda del sito
anatomico suscettibile all’infezione. In particolare, mostrano un tropismo
ristretto alle cellule del tessuto epiteliale stimolandone la proliferazione: le
regioni anatomiche coinvolte sono le mucose cutanee (pelle) e le mucose
epiteliali della cavità orale e del tratto anogenitale.
Il tropismo che gli HPV mostrano per le cellule epiteliali squamose riveste
grande interesse in oncologia.
E’ noto che gli HPV sono strettamente implicati nella eziopatogenesi delle
neoplasie squamose, incluse la displasia e il cancro cervicale (12); inoltre
numerosi studi suggeriscono che gli HPV possono avere anche un ruolo
importante nel cancro della pelle, del tratto respiratorio superiore e del tratto
digestivo, nel carcinoma anogenitale e probabilmente anche nel carcinoma
bronchiale (13).
La pelle è formata da vari strati; di questi lo strato più esterno, ossia
l’epidermide (o epitelio stratificato squamoso) è composto primariamente da
cheratinociti, che formano 4 strati distinti morfologicamente: germinativo,
spinoso, granulare e corneo (figura 2). Ogni strato o compartimento
rappresenta una fase differente del programma di differenziazione terminale
6
del cheratinocita. Questo programma comincia quando il cheratinocita basale
diventa post-mitotico e inizia la sua migrazione verso lo strato spinoso e
granulare fino ad avere una forma non vitale nello strato corneo. La
differenziazione squamosa è un processo dinamico altamente coordinato di
espressione genica che include l’induzione di alcuni geni delle cheratine e la
repressione di altri (14).
Questi virus per potersi replicare hanno sviluppato strategie per sovvertire
il normale pathway della regolazione del ciclo cellulare e inoltre sono
abbastanza abili nel disaccoppiare la proliferazione dalla differenziazione
cellulare.
A causa dell’associazione intricata tra l’arresto della divisione cellulare e
l’inizio della differenziazione terminale, l’abilità a reiniziare o mantenere la
replicazione cellulare mostrata dagli HPV implica una capacità basale di
questi virus ad alterare il programma di differenziazione cellulare. Inoltre per
le dimensioni ridotte del loro genoma, questi virus non possono codificare
molti enzimi necessari per la replicazione del loro DNA e di conseguenza si
appropriano delle strutture e dei componenti cellulari dell’ospite. Questo
costituisce una sfida particolare per gli HPV, il cui ciclo vitale è intimamente
connesso allo stato di differenziazione della cellula ospite.
Il ciclo biologico virale e il programma di differenziazione del
cheratinocita dell’ospite appaiono strettamente correlati: mentre il genoma di
HPV si può replicare in varie linee cellulari non differenziate, la trascrizione
delle proteine virale è specificatamente ristretta ai cheratinociti (15).
Affinchè si stabilisca con successo un’infezione persistente, il virus
attraverso piccole ferite o abrasioni superficiali della mucosa dell’ospite deve
raggiungere le cellule dello strato epiteliale basale, caratterizzate da una
spiccata attività proliferativa nell’area dell’epitelio transizionale della
giunzione squamo-colonnare (figura 3). Più del 90% delle lesioni benigne e
maligne sono state ritrovate proprio in questa zona di trasformazione della
cervice (16).
7
L’HPV riconosce come ricettore di membrana l’integrina α−6 e attraverso
questa penetra all’interno della cellula ospite (17) dove permane in fase
latente o può subire replicazione attiva portando alla sintesi di virus infettivi
(18). Il periodo di incubazione (ossia il periodo che intercorre dall’infezione
alla manifestazione delle lesioni cliniche) varia da pochi mesi ad oltre 2 anni;
tuttavia, molti individui possono rimanere per tutta la vita portatori sani del
virus e non produrranno mai lesioni cliniche apparenti.
La presenza del DNA di HPV nello strato basale sta ad indicare l’avvenuta
infezione che però, in questo stadio, non è patologicamente manifesta ovvero
non provoca lesioni clinicamente apprezzabili.
La transizione dall’infezione latente alla fase vegetativa appare invece
correlata al processo di differenziazione che le cellule epiteliali subiscono
durante la migrazione verso gli strati cellulari più superficiali. E’ stato
ipotizzato che la stessa attivazione di geni che codificano per le citocheratine
e l’acquisizione delle caratteristiche fenotipiche di cheratinociti maturi, che
costituiranno gli strati spinoso e granulare, favoriscono la replicazione e la
trascrizione del genoma virale (14).
Conseguente all’infezione, il genoma virale si replica come episoma nelle
cellule basali in coincidenza con la replicazione cellulare, mantenendo il
numero di 50 copie circa per cellula. Dopo la divisione cellulare, le cellule
figlie lasciano lo strato basale e cominciano a differenziarsi. Non appena le
cellule raggiungono lo strato soprabasale, è indotta l’entrata nella fase S,
probabilmente attraverso l’azione della proteina virale E7, che porta
all’amplificazione del genoma virale, all’espressione delle proteine virali e
all’assemblaggio della progenie virale nello strato differenziato più esterno
del tessuto infetto. L’espressione delle oncoproteine virali E6 ed E7, infine, si
osserva solo nelle cellule epiteliali squamose pienamente differenziate (19)
mentre, i loro trascritti sono presenti in tutti gli strati cellulari incluso quello
basale. Il livello dell’mRNA di queste proteine è veramente basso nello strato
8
di cellule basali non differenziate ed aumenta fortemente nelle cellule
differenziate.
La delucidazione dei principi trasformanti di queste proteine virali offre
importanti spunti per la comprensione delle strategie di replicazione degli
HPV ad alto rischio e viceversa.
Numerosi studi hanno confermato un ruolo delle oncoproteine E6 ed E7
nella trasformazione, nell’immortalizzazione e nell’induzione dell’instabilità
genomica dei cheratinociti maturi (20), benché non inducono direttamente il
fenotipo tumorale. Tuttavia la proteina HPV16 E7 è risultata più abile rispetto
a E6 nel disaccoppiare la differenziazione dalla proliferazione dei
cheratinociti. Per la progressione maligna però sono richieste cambi
genetici/epigenetici cellulari addizionali indotti da vari fattori di rischio
ambientali. L’epitelio cervico-vaginale, così come quello orale, infatti è
esposto a vari prodotti chimici e/o a microrganismi sul quale possono
svolgere azione oncogena (21). Dal momento che l’infezione da HPV è
ubiquitaria, fattori geografici, etnici ed individuali influiscono in modo
differente sulla manifestazione del virus e sullo sviluppo del cancro ano-
cervicale (22).
La progressione dell’infezione è quindi funzione del programma di
differenziazione delle cellule epiteliali squamose. Anche, il lungo periodo di
latenza (decadi) per lo sviluppo del cancro cervicale dopo l’infezione virale
primaria e l’assenza di modificazioni tumore-specifiche degli oncogeni virali
lasciano supporre l’azione di fattori addizionali per lo sviluppo del cancro
cervicale.
9
HPV ad alto e basso rischio
Le infezioni di HPV sono comuni e possono risultare abbastanza
asintomatiche in varie lesioni benigne e maligne. Dati biologici ed
epidemiologici hanno indotto a suddividere gli HPV in tre categorie: ad alto,
intermedio e a basso rischio basandocisi sul fatto che le lesioni a cui sono
associati hanno un rischio più o meno significativo per la trasformazione
neoplastica. HPV16 e -18 sono rappresentativi del tipo ad alto rischio, che
sicuramente portano allo sviluppo di cancro; HPV31, -33, -35, -51, -52 e -58
sono associati con il rischio intermedio per lo sviluppo del cancro cervicale e
delle Lesioni Squamose Intraepiteliali ad Alto Grado (HSIL) mentre HPV1,
-6 e -11 sono classificati come a basso rischio, che raramente progrediscono
in cancro (23). Gli HPV a basso rischio sono stati trovati principalmente nelle
lesioni iperplastiche benigne delle mucose epiteliali orali o ano-genitali note
anche come condilomi acuminati o papillomi o verruche, e nelle Lesioni
Squamose Intraepiteliali a Basso Grado (LSIL) che frequentemente
regrediscono mentre, gli HPV ad alto rischio sono stati identificati in delle
formazioni piatte e rappresentano una delle principali cause dell’insorgenza di
tumori della cervice uterina, di altri cancri anogenitali, di alcuni cancri della
pelle, della cavità orale e della cavità nasale (7). Inoltre è stato dimostrato che
il tipo di HPV ad alto rischio presente nel carcinoma cervicale può influenzare
il comportamento clinico della malattia (24).
Gli HPV ad alto rischio sono stati trovati anche nelle cellule della cervice
uterina istologicamente normale (25). In genere l’infezione da HPV ad alto
rischio non porta all’immediato sviluppo di neoplasie invasive in quanto nella
maggior parte dei casi il virus rimane latente per un periodo compreso tra i 5 e
i 20-50 anni. Ciò suggerisce che l’infezione di HPV può essere un cofattore
della cancerogenesi cervicale e che la mucosa cervicale può portare
l’infezione latente di HPV (26).
10
La causa del differente esito dell’infezione da parte degli HPV a basso
rischio rispetto a quelli ad alto rischio è associata al comportamento del
genoma virale subito dopo l’infezione. HPV può esistere in due stati fisici
differenti: episoma o integrato nel cromosoma dell’ospite. La forma
episomica del virus, associata con la fase di latenza (caratterizzata da 1-2
copie del genoma virale per cellula) o con la fase vegetativa (caratterizzata
invece da 100-300 copie), è stata osservata nelle lesioni a basso grado o nelle
lesioni della neoplasia intraepiteliale premaligna (CIN). Il mantenimento del
genoma in forma episomica è un componente critico del ciclo vitale di HPV e
dell’infezione persistente. La forma integrata in singola copia o in strutture
multicopie ripetute in tandem, invece è osservata nelle lesioni ad alto grado e
nel carcinoma cervicale invasivo e comporta la fine del ciclo di crescita del
virus. L’integrazione implica la distruzione del genoma dell’ospite e parte di
quello virale con conseguenti alterazioni geniche: nel virus si ha la perdita
della regione genica compresa tra i geni E1 ed E2 con successiva mancata
trascrizione dei geni tardivi (codificanti per le proteine strutturali) e nella
trascrizione incontrollata dei geni precoci E6 ed E7 (18, 27) (figura 4).
Benché il virus si integra casualmente nel cromosoma dell’ospite, in alcuni
casi è stato osservato in vicinanza di oncogeni conosciuti e/o in siti fragili del
cromosoma. Inoltre è stato notato che l’espressione aumentata degli oncogeni
virali nelle cellule infette dei tipi ad alto rischio con tropismo mucosale ha
come risultato un’instabilità cromosomica e un accumulo di eventi
mutazionali che favoriscono lo sviluppo della neoplasia maligna. Ulteriori
evidenze del ruolo di HPV nella cancerogenesi deriva dalla sua capacità
trasformante. In vitro cheratinociti umani immortalizzati da HPV possono
diventare cellule tumorali se esposti alle Nitrosamine (agenti genotossici con
azione alchilante il DNA) mentre i cheratinociti normali non subiscono
trasformazione con una esposizione simile (28). Il diverso comportamento è
dovuto sicuramente alla differente stabilità genetica delle cellule normali e
trasformate determinata dalla perdita del controllo del ciclo cellulare e
11
dall’azione inefficace di riparo del DNA cellulare. Le cellule immortalizzate
da HPV infatti presentano: (i) impossibilità ad accumulare intracellularmente
p53 non mutata in quantità tali da attivare la trascrizione del gene
WAF1/CIP1 (codificante p21
WAF1/CIP1
che inibisce sia l’attività delle proteine
chinasi ciclina dipendente, enzimi necessari per la progressione del ciclo
cellulare, sia la replicazione del DNA mediante l’interazione con la proteina
PCNA) e del gene gadd45 (stimolatore del riparo per excisione in vitro del
DNA inibendo così l’entrata della cellula nella fase S); (ii) riparo inefficiente
del danno al DNA causato da agenti genotossici (29). L’impossibilità delle
cellule immortalizzate da HPV ad accumulare p53 nel nucleo è dovuta alla
bassa emivita di questa proteina a causa della presenza di HPV16 E6; la
proteina p53 infatti è inattivata dopo interazione con la proteina virale e
degradata mediante un meccanismo ubiquitina-dipendente (30).
12
HPV e cancro: importanza dell’espressione
dell’oncoproteina E7
Il cancro della cervice uterina rappresenta la seconda causa di morte per
tumore nelle donne. In numerosi studi clinici, epidemiologici e molecolari
alcuni tipi di HPV sono stati associato al cancro cervicale (7, 8). E’ stato
notato che l’HPV è un fattore essenziale ma non sufficiente per la
trasformazione tumorale in quanto fattori addizionali sia genetici che
microambientali, inclusi i cancerogeni chimici susseguenti all’infezione di
HPV, sono necessari per l’inizio e la progressione della neoplasia (31).
Questi includono vari aspetti del comportamento sessuale (inizio precoce
dell'attività sessuale, frequentazione di partners multipli, promiscuità,
multiparità in quanto la gravidanza è una condizione in cui il livello di
estrogeni è elevato e inoltre si osserva immunosoppressione) e la
predisposizione genetica, lo stato immunologico dell’ospite, lo stato
nutrizionale, l’uso di tabacco e il livello socioeconomico (32, 33, 34).
Come altre malattie a trasmissione sessuale, l’incidenza dell’infezione di
HPV è alta tra le giovani donne con un'età < 25 anni. HPV genitali sono
evidenziabili in ≈ 10-40% di queste donne. La maggioranza di queste
infezioni appaiono essere limitate e non associate con cambi citologici
evidenziabili mediante Pap test.
E’ stato inoltre riportato un’associazione tra il tipo di alcuni antigeni
associati ai linfociti umani (HLA), in particolare gli antigeni HLA DQ3, la
displasia e il cancro cervicale (35). Inoltre l’immunosoppressione favorisce
lo sviluppo della neoplasia (36) così come le infiammazioni croniche e le
infezioni con Chlamidia trachomatis e Herpes simplex virus-2 (37).
Anche il fumo è stato associato al tumore maligno della cervice uterina
poiché derivati della nicotina sono stati ritrovati nella mucosa cervicale di
fumatrici (38). Ulteriori fattori di rischio sembrano essere l’esposizione a
radiazioni e a sostanze chimiche cancerogene, le scarse condizioni igieniche
13
nonché l’uso a lungo termine di contraccettivi orali (39, 40). La regione LCR
del genoma di HPV16 infatti contiene elementi di risposta ai
progesterone/glucocorticoidi (41). Questo è in accordo con la tessuto-
specificità dell’HPV16 poiché i tessuti cervicali contengono i recettori per il
progesterone e per gli estrogeni. Gli estrogeni incrementano l’espressione
delle proteine virali mentre HPV16 incrementa la conversione dell’estradiolo
a 16 α -idrossiestrone, capacità mostrata proprio dalle cellule della zona di
trasformazione (42). Comunque per la relazione cancro cervicale-HPV16,
sono in corso studi per definire i fattori in grado di influenzare l’esito
dell’interazione virus-ospite.
Altre conseguenze significative dell’integrazione di HPV sono
l’inattivazione delle proteine oncosoppressori (p53, pRB e proteine ad essa
correlate) da parte delle oncoproteine virali E6 ed E7 rispettivamente (43, 44),
il blocco della trascrizione dei geni soppressori dei tumori, la stimolazione
della trascrizione degli oncogeni cellulari in seguito ad integrazione a monte
di sequenze di HPV attivanti la trascrizione (per es. i prodotti della famiglia
del gene ras). E’ stato dimostrato inoltre che l’integrazione del DNA di HPV
nel genoma dell’ospite può determinare alterazioni genetiche nelle bande
cromosomiali 11q22 e 18q21 (45) con successiva deattivazione della
trascrizione di uno o più geni soppressori dei tumori (per es. la proteina
p21
CIP
). In cellule normali la p21 lega e deattiva la proteina PCNA
(l’antigene nucleare della proliferazione cellulare) la quale permette il
legame dell’unità catalitica della DNA polimerasi al DNA stampo
favorendone la replicazione. Il legame della p21 alla PCNA inibisce proprio
questa interazione, bloccando di conseguenza la replicazione del DNA. Se
p21 non è presente, a causa dell’integrazione di HPV nel genoma cellulare, è
persa l’attività di inibizione sulla PCNA che determina un aumento di
replicazione del DNA e della divisione cellulare (45).
Alternativamente, l’integrazione di HPV nel DNA cellulare può stimolare
la trascrizione di alcuni protoncogeni, come risulta dall’inserzione a monte di
14
sequenze attivanti la trascrizione derivate da HPV (44). Recenti studi hanno
suggerito che proprio la quantità di PCNA risulta aumentata per attivazione
della sua trascrizione (47).
Tutti questi possibili meccanismi su menzionati sono in accordo con il
modello a multistep della cancerogenesi (48) (figura 5).
Comunque sembra accertato che nella relazione HPV e cancro, le
oncoproteine E6 ed E7 hanno un ruolo fondamentale (49, 50). L’oncoproteina
E7 è a questo proposito di particolare interesse.
L’HPV16 E7 è una piccola fosfoproteina acida multifunzionale di 98
amminoacidi e peso molecolare di 21 kDa, con nessuna attività enzimatica
nota (51). La sua precisa localizzazione cellulare rimane ancora da essere
definita. Diversi studi suggeriscono che E7 possa essere localizzata nel nucleo
e precisamente nel nucleolo (52), dove esercita la sua principale attività
biologica, e/o nel citoplasma (53).
Le interazioni E7-proteine cellulari sono necessarie per la trasformazione
mediata da E7; nel nucleo interagisce con le proteine RB1, p107 e p130 e
l’interazione risulta altamente specifica, mentre nel citoplasma interagisce con
la forma dimerica dell’isoenzima tipo M2 della piruvato kinasi (M2-Pk),
stabilizzandola (54). E7 interagisce con la M2-Pk modificandone la struttura
quaternaria e alterando l’equilibrio tra la forma tetramerica e la forma
dimerica in favore di quest’ultima. In questo modo viene inibita l’attività
enzimatica della M2-Pk, contribuendo alla trasformazione tumorale. Si
osserva infatti un aumento della glicolisi e della conversione di glucosio in
lattato. Questo implica che l’espressione di E7 incanala gli atomi di carbonio
del glucosio nei processi biosintetici e nello stesso tempo si riduce la richiesta
cellulare di O
2
: due importanti proprietà delle cellule tumorali (55, 56).
E7 interagisce anche con la proteina p27
KIP1
, inibitore della ciclina E/cdk2
e con la p21
CIP1
annullando l’inibizione di queste proteine sul complesso
15
della ciclina E/cdk2 e della ciclina A/cdk2 e promuovendone invece l’attività
(57, 58).
L’oncoproteina E7 di HPV16 sulla base dell’omologia di sequenza con le
oncoproteine di altri virus tumorali a DNA, la proteina E1A di adenovirus e
l’antigene T grande di SV40, presenta due regioni conservate 1 e 2 (CR1 e
CR2), che sono localizzate nella regione N-terminale; la regione conservata
CR3, che invece si trova nella porzione C-terminale, non mostra nessuna
omologia con E1A o l’antigene T grande, ma è altamente conservata nelle
varie proteine E7 di differenti sierotipi di HPV. Queste regioni corrispondono
rispettivamente agli amminoacidi 1-15, 16-37 e 38-98.
La regione CR2 contiene un sottodominio noto come LXCXE (a.a. 22-26)
che è coinvolto nel legame con la proteina p105RB1, con le proteine ad essa
correlate p107 e p130 e con le cicline A ed E compromettendone la funzione.
Dopo il legame, E7 degrada pRB attraverso il proteoma 26S mediante un
meccanismo ubiquitina-dipendente (59). CR2 contiene anche un sito specifico
di fosforilazione della casein kinasi II (CKII) comprendente le serine 31 e 32
ed esistono prove che questo sito possa essere coinvolto nella trasformazione
cellulare. In molti casi, infatti è stato notato che le interazioni di E7 con varie
proteine cellulari risulta significativamente aumentata dopo fosforilazione da
parte della CKII. Inoltre, sostituzioni aminoacidiche di due residui serina con
alanina inibiscono il potenziale trasformante di E7 (60, 61).
La regione CR3 di E7 contiene anche due motivi Cys –X –X -Cys (CXXC)
coinvolti nella formazione di legami con lo zinco (62, 63), entrambi fattori
importanti in quanto intervengono nella dimerizzazione della proteina E7 in
vitro e in vivo (64, 65, 66).