4
motif très fort comme son amour pour la vie humaine. L’appel pour
une trêve civile a confirmé mon opinion, mais l’appel, bien que
bouleversant est seulement la pointe de l’iceberg. On ne peut pas
oublier ses Chroniques algériennes, ni quelques-unes de ses œuvres
comme L’homme révolté, ni son "aventure journalistique" faite de
dénonciation des violences et des injustices. C’est pourquoi il est
nécessaire d’éclaircir aussi ce point, autant que possible.
Tout commence par la guerre d’Algérie, qui a éclaté en 1954 ;
une guerre pour l’indépendance qui a duré huit ans, pendant la période
de la décolonisation. Le premier chapitre de notre étude est, ainsi,
centré sur les phases historiques du conflit, sur ses causes et ses
développements tragiques. En effet, la guerre a redonné vigueur aux
arabes, et, surtout, au fondamentalisme islamique qui en a profité pour
déchaîner en elle son action terroriste. Et pour mieux comprendre la
position des musulmans envers Camus et, surtout, les raisons pour
lesquelles ils sont arrivés à une lutte si barbare, après des années de
résignation, nous avons cherché à nous rattacher à la culture
spécifique : c’est en étudiant sa base qu’on peut comprendre comment
5
on a pu arriver au fondamentalisme et même à ses moments
culminants de violence.
Dans le deuxième chapitre, nous avons cherché à tracer les
caractéristiques de l’algérianité de Camus pour démontrer combien
l’écrivain algérien était lié à sa terre et combien cette dernière
apparaissait dans ses œuvres, sans oublier que deux tendances précises
ont toujours procédé parallèlement chez lui: l’européenne et l’arabe,
ou, pour mieux dire, la chrétienne et la musulmane, en vertu de ses
origines.
Dans le troisième chapitre, qui forme avec les deux premiers
la "grande préface" de notre étude, nous nous sommes efforcés de
définir la position de Camus envers la Deuxième Guerre Mondiale ;
c’est-à-dire de comprendre avant tout pourquoi il a dénoncé les
atrocités de la guerre et du nazisme et le sens de son appel à la
solidarité et à la responsabilité humaine (il suffit de citer son roman La
Peste). La recherche de la vérité a été aussi développée avec son
"aventure journalistique", dans laquelle l’écrivain algérien a tracé
d’une façon encore plus évidente les valeurs présentes dans chacun de
ses travaux.
6
Le chapitre quatre est le point central de notre étude. Il
commence en 1945, c’est-à-dire, depuis les événements de Sétif et de
la réaction qu’ils provoquèrent immédiatement chez Camus. Il a
dénoncé à temps le caractère dangereux de ce qui s’était passé et les
injustices que subirent les Arabes et les Français d’Algérie. L’écrivain
algérien ne fut pas surpris du début du conflit et il se mit tout de suite
à l’œuvre pour faire triompher le dialogue. D’où ses appels à travers
les pages de L’Express et en particulier l’article dans lequel il requiert
une trêve civile. Tentative qui, échouant en partie, l’a poussé à se
renfermer dans son fameux silence. Silence qui a été jugé, comme
chacun le sait, par les deux factions, arabe et française, comme une
trahison. Les Arabes, en particulier, ont jugé cette attitude comme un
"choix non déclaré" : selon eux, Camus avait choisi la France et par
conséquent la position du gouvernement français. La haine de
beaucoup d’arabes envers Camus, est-elle, d’une certaine façon,
justifiée ? Il n’est pas facile de répondre. De notre côté, même en
individualisant les limites de Camus lorsqu’il n’a pas reconnu à temps
l’indépendance algérienne, nous avons cherché cependant à mettre en
7
évidence les raisons de l’écrivain, toujours dictées par un grand
respect de la vie et des hommes.
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CAPITOLO 1
SINTESI STORICA
DELLA
GUERRA D’ALGERIA
9
I) Le premesse, i “focolai” di guerra, i
movimenti nazionalisti
arlare di una guerra è sempre difficile: andare alla ricerca
di spiegazioni è un’arma a doppio taglio. Si rischia di
giustificarla. E invece nessuna guerra è giustificabile, non in nome di
quello che è il valore della vita umana. Non quando una vita umana
diventa solo un numero. Nella guerra la religione, i nazionalismi e
l’intolleranza si mischiano creando un cocktail esplosivo, destinato
solo a distruggere. La guerra d’Algeria ne è solo un esempio.
La sua lunghezza, fatta di mesi e anni, di grandi personaggi che
appaiono, scompaiono e ricompaiono incessantemente, e di molteplici
livelli d’azione, offre una trama di una mole scoraggiante. «Di punti
focali ben chiari, di culmini netti, qui non ce ne sono, se eccettuiamo
l’unico entr’acte, ovvio, rappresentato dall’avvento di De Gaulle nel
’58»
1
.
1
Alistair Horne, Storia della guerra d’Algeria 1954-1962, Milano, Rizzoli, 1980, p.9
P
10
Avrebbe potuto concludersi con la conquista dell’indipendenza.
Invece no. La guerra d’Algeria non ha avuto ancora fine.
Perché? Una volta ottenuta l’indipendenza, nuovi fattori sono
intervenuti a sporcare di sangue le strade di questo paese: innanzi
tutto, l’integralismo islamico, di cui poi approfondiremo l’argomento
ma anche la coesistenza di due “tradizioni” molto forti, quella
musulmana e quella cristiana.
Abbiamo detto che non è un caso che in Algeria la guerra sia
stata tanto cruenta, e se non è un caso, bisogna risalire alla storia di
questa terra che entrò a far parte dell’impero ottomano nel secolo XVI
e fu governata con una notevole autonomia da una successione di dey
(reggenti) fino all’occupazione francese, cominciata nel 1830. In
questa terra, «la potenza coloniale aveva fatto il massimo sforzo per
soffocare ogni rivendicazione nazionale», scrive Pier Giovanni
Donini, «prima con la lotta armata e l’espulsione dei coltivatori dalle
terre migliori, poi con il tentativo, in gran parte riuscito, di sostituire
l’arabo con il francese, per togliere alla popolazione colonizzata, oltre
alla libertà e alla terra, anche l’identità culturale. Nello stesso tempo i
coloni francesi (ma anche italiani e spagnoli) trapiantati in Algeria
11
venivano a considerare il paese come la loro vera patria»
2
. Coesisteva,
dunque, insieme agli indigeni un gruppo massiccio, stimato intorno a
un milione e cento mila Francesi europei (di origine francese e
spagnola soprattutto), fra i quali una grande maggioranza di gente
poco agiata, che si era installata in Algeria da parecchie generazioni e
che era assolutamente contraria alla creazione di una repubblica
algerina musulmana.
Negli ambienti politici francesi l’influenza di questi era
notevole e di conseguenza la vita politica francese e il problema
algerino restavano profondamente legati. Troppo spesso, però, i
coloni, magari di seconda e terza generazione, dimenticavano che la
terra su cui vivevano era stata sottratta con la forza, a partire dal 1830,
ai suoi legittimi proprietari.
Inevitabile il sorgere di movimenti nazionalisti che in Algeria
ebbero tre diverse “espressioni”, ciascuna identificatesi con un capo
preciso: il movimento religioso, rappresentato dall’Association des
Uléma dello sceicco Abdul-Hamid Ben Badis; quello rivoluzionario
dei seguaci di Messali Hadj; e infine quello liberale di Ferhat Abbas.
2
Pier Giovanni Donini, I Paesi Arabi, Roma, Editori Riuniti, 1983, p.97
12
«Il movimento di Ben Badis», sottolinea Alistair Horne, «aveva
al tempo stesso un programma culturale e religioso il cui credo, detto
con molta semplicità, era: “L’Islam è la mia religione, l’arabo è la mia
lingua, l’Algeria il mio paese…L’indipendenza è un diritto naturale di
ogni popolo della terra...”»
3
. Nonostante contribuissero e volessero più
di chiunque altro, probabilmente, ridestare negli algerini il senso della
coscienza religiosa e nazionale, gli uléma non riuscirono a trasformare
in atto pratico le loro dottrine.
Il secondo movimento nazionalista preso in esame, quello
rivoluzionario, cominciò già negli anni venti in Francia: fu proprio fra
gli operai di Parigi che uno studente algerino, Messali el-Haggi,
cominciò a diffondere nel 1926 il primo giornale nazionalista, l’Etoile
Nord-Africaine. Nel 1927 lo stesso Messali divenne presidente di un
gruppo politico (l’Etoile, appunto) che sotto la sua guida si trasformò
nella più radicale delle organizzazioni nazionaliste. Gli ideali social-
populisti di Messali furono poi ereditati dall’F.L.N. e dall’Algeria
odierna. Nel 1933, Messali parlava già di “rivoluzione” e il
programma dell’Etoile si dichiarava, come nota Alistair Horne, «in
3
Alistair Horne, op.cit., p.31
13
favore del suffragio universale in Algeria, della “lotta per
l’indipendenza totale” delle tre nazioni maghrebine e della confisca di
tutte le proprietà acquisite dal governo francese o dai coloni»
4
. Lo
spirito rivoluzionario di Messali lo portò varie volte in prigione o in
esilio e attorno a lui si creò una sorta di “mito”, facendone uno dei
capi del nazionalismo algerino, sicuramente uno fra i più conosciuti
fino allo scoppio della guerra. Sciolta, l’Etoile venne riformata da
Messali nel ’37 col nome di Parti du Peuple Algérien (P.P.A.): stessa
base sociale ma concentrata nella sua attività nella sola Algeria;
anticipando qualche informazione, diciamo che dopo il 1954, il PPA –
messo fuori legge - assunse il più drammatico titolo di Mouvement
pour le triomphe des libertés démocratiques (M.T.L.D.).
La terza componente del nazionalismo algerino, il movimento
liberale, non è come gli altri riducibile in termini partitici, ma è forse
più facile da studiare attraverso la sua figura centrale: quella di Ferhat
‘Abbas. Per provare a spiegare questo movimento, bisogna chiarire
come si comportò la Francia, la quale fin dall’inizio dell’occupazione
aveva cercato di “accaparrarsi” latifondisti e notabili disposti a
4
Ibidem
14
collaborare e a rappresentare la popolazione musulmana nelle
amministrazioni locali. Al riguardo, Pier Giovanni Donini afferma che
«la maggior parte di questi notabili, riuniti a partire dal 1930 nella
Federazione dei consiglieri musulmani, si limitava a chiedere la parità
di diritti con gli europei in un’Algeria integrata alla Francia»
5
.
Ferhat ‘Abbas era appunto il rappresentante più autorevole di
questa base sociale. Proprio lui, come riporta Alistair Horne, nel 1936
aveva dichiarato: «avessi scoperto la nazione algerina, sarei
nazionalista, senza arrossirne come se avessi scoperto un
crimine…Comunque, non intendo morire per la nazione algerina,
perché essa non esiste, né l’ho trovata da alcuna parte. Ho esaminato
la storia, ho domandato ai vivi e ai morti, ho visitato i cimiteri:
nessuno me ne ha parlato. Allora mi sono rivolto al Corano,
cercandovi almeno un versetto che vieti a un musulmano di integrarsi
a una nazione non musulmana: nemmeno questo ho trovato. Ebbene,
non si può costruire a partire dal vento»
6
.
Quando in occasione delle elezioni francesi del 1936 vinse il
Fronte popolare di socialisti e comunisti, si pensò che le richieste
5
Pier Giovanni Donini, op. cit., p.97
6
Alistair Horne, op.cit, p.31
15
moderate di Ferhat ‘Abbas sarebbero state accolte. Ma solo l’idea che
un numero crescente di musulmani potesse acquistare così potere
suscitò un’opposizione talmente feroce da parte dei coloni europei e
della burocrazia dell’Algeria, che il governo di Parigi pensò bene di
non appoggiare il progetto del leader liberale.
Negli anni della fine della seconda guerra mondiale, Ferhat
‘Abbas riprovò a presentare le sue richieste di autonomia, mosso dalla
mobilitazione contro il fascismo e il nazismo, che però furono
nuovamente respinte dai francesi. Immediata e prima reazione fu che,
come riporta Pier Giovanni Donini, «un numero sempre più grande di
algerini musulmani cominciò a convincersi che l’unica prospettiva era
quella di lottare per la completa indipendenza, come sostenevano gli
uléma e il Ppa di Messali el-Haggi »
7
. Nel maggio del 1945 i
festeggiamenti per la fine della guerra si trasformarono in qualche
caso in manifestazioni per l’indipendenza, che furono brutalmente
soffocate dai francesi. Come a Sétif, una cittadina dell’interno a ovest
di Costantina, dove vennero massacrate decine di migliaia di
musulmani (quindicimila secondo le stesse fonti francesi) che avevano
7
Pier Giovanni Donini, op. cit., p..97
16
cercato di ribellarsi al governo francese manifestando per
l’indipendenza. Erano le prime avvisaglie della guerra vera e propria.