Vecchie battaglie, presidenti ed uomini veri. Meglio il calcio di ieri.
(striscione apparso durante la partita Ascoli - Roma, stagione 2005-2006)
PREVIEW
“Il nr.1 è il portiere alto che guida la difesa; il nr.2 è il terzino destro marcatore che
marca l’ala sinistra avversaria; il nr.3 è il terzino sinistro fluidificante; il nr.4 è il
mediano che recupera palloni; il nr.5 è lo stopper, forte di testa e forte fisicamente che
marca il centravanti avversario; il nr.6 è il libero intelligente ed elegante; il nr.7 è l’ala
destra dribblomane; il nr.8 è la mezzala dai piedi buoni; il nr.9 è il centravanti cinico
che la mette dentro; il nr.10 è il regista che ti dà la palla filtrante, che batte punizioni e
rigori, che porta il più delle volte la fascia di capitano perché è il più forte tecnicamente
ed è quello con maggiore personalità; il nr.11 è l’ala sinistra che si incrocia con il
centravanti o che arriva sul fondo per il cross”.
Questo ripetevo a cinque anni, col caschetto biondo e con i lupini in mano, dentro lo
stadio Cino e Lillo Del Duca, “tempio” della mia squadra preferita, l’Ascoli Calcio
1898. Lo dicevo in modo quasi meccanico, come una filastrocca, al dott. Spina, amico
di famiglia, che rimaneva esterrefatto della mia conoscenza della "materia”, nonostante
la tenera età. L’organizzazione dei ruoli me l’aveva insegnata mio padre Mimì,
appassionato di calcio, che mi portava ogni domenica a vedere la partita. Mio fratello
Checco ancora non era nato: stava dentro la pancia di mamma Alba.
Erano altri tempi ed era un altro calcio. Le partite si giocavano tutte la domenica alle
15.00 ed in famiglia c’era un programma da seguire: messa ore 11.30, pranzo a casa di
nonna Florinda (piatto tipico: coniglio) o Liliana (piatto tipico: pollo con le patate) e poi
tutti insieme allo stadio con la sciarpetta bianconera di lana addosso, quasi si volesse
evitare che la propria passione prendesse un brutto raffreddore. Il provinciale giorno di
festa era questo. La celebrazione tribale locale è l’essenza della piccola comunità, quel
fare e rifare sempre le stesse cose a date ed ore certe. E’ come un rito e bisogna
ripeterlo, anche stancamente, perché come diceva Oscar Wilde, “esserci spesso è una
noia mortale, ma non esserci può rivelarsi un dramma”.
Non c’erano tornelli, biglietti nominativi, divieti su striscioni, bandiere e fumogeni;
niente pay-tv, pay-per-view, marketing, merchandising e quotazioni in borsa; i numeri
andavano rigorosamente dall’1 all’11
1
, si marcava a uomo, col libero staccato dietro e
dopo la partita si tornava di corsa a casa per vedere le immagini di 90° minuto,
commentate da Tonino Carino. “C’era un tempo quando Berta filava, in cui le
formazioni si recitavano a memoria, le partite di campionato si giocavano solo la
domenica ed il mercoledì era l’unico giorno per le coppe. Le squadre scendevano in
campo con maglie dai colori tradizionali, “macchiate” da un unico sponsor, gli introiti
maggiori per le società erano forniti dagli incassi delle partite e solo i grandissimi
campioni riuscivano a strappare ingaggi vicini al miliardo
2
”. In campo economico le
società erano organizzate come enti senza scopo di lucro: se spendevano più di quanto
incassavano, come accadeva di norma, il proprietario unico si occupava di ripianare le
perdite.
3
All’inizio degli anni ’90 è però cominciata una nuova era: l’era del calcio-business.
Milioni di euro provenienti dallo sfruttamento dei diritti televisivi, dagli sponsor e
dal merchandising hanno sommerso le società professionistiche. Se in precedenza
l’unica cosa importante per i club erano i risultati sul campo, ora diventano importanti
anche quelli economici, patrimoniali e finanziari.
Le società si sono dovute adeguare col tempo alle esigenze del “Dio-Denaro”: nomi dei
calciatori dietro le maglie, che hanno assunto forme e colori sempre più “fashion” e
sempre meno “tradizionali”, spezzatino del campionato con partite disputate in giorni
diversi, orari dei match sempre più impossibili
4
, casi di calciatori acquistati in un’ottica
più di merchandising che tecnico-tattica
5
ecc… I club calcistici si sono preoccupati di
1
1) Albertosi, 2) Martiradonna, 3) Zignoli; 4) Cera, 5) Niccolai, 6) Tomasini; 7) Domenghini, 8) Nenè, 9)
Gori, 10) Greatti, 11) Riva. Questa è la prima formazione che ho imparato e che ancora oggi ricordo a
memoria. E’quella del Cagliari nell’anno del suo unico scudetto (‘69/’70) e della sua bandiera Gigi Riva,
che rinunciò ai milioni delle grandi squadre per portare in alto l’entusiasmo della sua gente. La
formazione del Cagliari 2008/2009 è invece : 22) Marchetti, 14) Pisano, 6) Lopez, 21) Canini, 31)
Agostini, 23) Fini, 5) Conti, 18) Parola, 7) Cossu, 9) Acquafresca, 27) Jeda. Il portiere Marchetti ha il nr.
22, il fantasista Jeda il nr. 27. Se dovessi andare oggi allo stadio per la prima volta, al dott. Spina non
saprei proprio cosa dirgli e non saprei spiegargli niente sulla disposizione tattica delle squadre. La magia
del merchandising ha portato in passato a far indossare a Gatti, ex-giocatore del Perugia, il nr.44 e al
portiere Lupatelli addirittura il “sacro” nr.10.
2
fr. O. Beha, A. Di Caro, Indagine sul calcio, Bur, Milano 2006, pag. 358. C
3
Cfr. G. Turano, Tutto il calcio miliardo per miliardo. Il pallone da Rocco ad Abramovich, Il Saggiatore,
Milano 2007, pag. 11 e seguenti.
4
Ricordiamo alcune partite del mondiale Usa ’94 che si sono giocate a quaranta gradi alle 12.00 solo per
permettere che le stesse partite venissero trasmesse all’ora di cena in Europa, continente in cui erano più
seguite e da cui arrivavano più soldi dalle televisioni. Recentemente la finale olimpica a Pechino tra
Argentina e Nigeria è stata giocata anch’essa a mezzogiorno. Ciò ha costretto l’arbitro a concedere, per la
prima volta nella storia del calcio, due time-out (al trentesimo e al sessantottesimo) per consentire ai
giocatori di rinfrescarsi.
5
E’ il caso di Okan Buruk, Hakan Sukur ed Emre Belozoglu, acquistati dall’Inter anche per veicolare il
marchio Pirelli nel mercato turco o il caso dell’arrivo imminente di Beckham al Milan.
rispondere alle esigenze dei propri stakeholders, ma a volte, soprattutto quelli italiani,
hanno trascurato lo stakeholder principale, senza il quale il calcio non esisterebbe: il
tifoso. Quest’ultimo, privato dei suoi riti e tradizioni, delle sue bandiere e striscioni, dei
suoi calciatori simbolo, è sempre più disorientato e “intollerante al Calcio Moderno
6
”.
A ciò si aggiunge un’ulteriore “grana”. Se la squadra del cuore è italiana, quest’ultima si
trova spesso in perdita perché i costi degli stipendi e le spese varie superano i ricavi
derivanti da Tv, attività commerciali e incassi al botteghino. Può capitare che il tifoso
sia doppiamente arrabbiato perché:
1) La sua squadra ha perso l’ultima partita.
2) Nonostante abbia pagato 15-20 € per andare a vedere la partita in curva, in uno stadio
obsoleto, la sua squadra è in rosso e rischia il fallimento.
Come dire: “cornuto e mazziato”.
Come si è arrivati a questa situazione? Come il calcio è diventato un business? Di quali
aspetti fondamentali bisogna tener conto nella gestione di una società di calcio? Quali
sono le voci principali nel bilancio delle imprese calcistiche? Quali sono le loro
strategie di crescita? Come allargano il proprio orizzonte competitivo e come si
internazionalizzano? In che modo possono diversificare le loro entrate? Quali sono i
risultati della loro quotazione in borsa?
Con riferimento all’Italia, come sono gestite le società di serie A? Hanno compiuto con
successo la metamorfosi da club sportivi ad imprese dell’entertainment? Quali possono
essere le evoluzioni future? Quali soluzioni proporre?
La nostra analisi consta di tre parti, per un totale di sei capitoli. La prima parte sarà
dedicata all’analisi delle dinamiche competitive del settore, al modello di business
adottato dalle società di calcio ed ad aspetti di contabilità.
Nel primo capitolo, si evidenzierà in particolare il percorso evolutivo che ha condotto i
club sportivi a diventare delle Spa business oriented. Si illustreranno le origini del
gioco, il suo sviluppo in Italia, i suoi organi di governo, l’importanza che col tempo ha
assunto l’aspetto economico, i principali provvedimenti legislativi che hanno interessato
il settore.
Nel secondo capitolo, evidenzieremo le dinamiche tipiche del settore calcio e come le
società devono muoversi all’interno del proprio ambito competitivo per raggiungere
vantaggi competitivi e creare valore.
6
“No al calcio moderno”: è la frase che si leggeva spesso, prima dei già citati divieti, nelle scorse stagioni
sugli spalti degli stadi italiani.
La seconda parte della tesi sarà dedicata alle strategie di corporate adottate dai club e
all’aspetto finanziario legato alla quotazione in Borsa.
Nel terzo capitolo, infatti, sulla base della catena del valore di Porter si illustreranno i
meccanismi di internazionalizzazione delle squadre di calcio, fenomeno in fase di
sviluppo in Italia, e si studierà quali attività della catena hanno una maggiore attitudine
ad essere internazionalizzate.
Nel quarto capitolo, si sottolineerà come le imprese calcistiche possano operare strategie
di diversificazione, conseguendo nuove fonti di ricavo diverse dagli sponsor, dai
botteghini e dai diritti tv e derivanti invece da attività di merchandising e gestione
diretta dello stadio. Se si guarda alla situazione estera, la strada da percorrere per le
società italiane in questa direzione è ancora molto lunga. Come benchmark, sarà presa
la gestione del Machester United.
Il quinto capitolo affronterà le criticità derivanti dalla quotazione in Borsa dei
titoli azionari emessi. Anche in questo caso si proporrà un confronto tra la realtà italiana
e quella estera, ponendo particolare attenzione al contesto inglese. Si cercherà di capire
se quotare i propri titoli sulle piazze finanziarie sia stata o meno un’azione positiva. In
particolare, oltre ad analizzare gli andamenti del valore del titolo societario si tenterà di
scoprire se la quotazione abbia influito positivamente sulle modalità di gestione dei
club.
La terza ed ultima parte vuole essere quella più empirica.
Il sesto capitolo, il più corposo del lavoro dal punto di vista quantitativo, svilupperà
infatti un’analisi economico-finanziaria delle società di calcio in Italia, mediante
l’indagine dei dati di bilancio dei club calcistici. Si inizierà con l’analisi delle classi di
valore del Conto Economico, focalizzandosi prima sui ricavi e poi sui costi e
conducendo il confronto spazio-temporale sia a livello italiano sia a livello
internazionale. L’analisi dello Stato Patrimoniale verterà sulla composizione del capitale
investito e della struttura finanziaria.
Per concludere la trattazione, alla luce di tutti i dati raccolti, del trend degli ultimi anni e
della situazione all’estero, l’ultimo capitolo conterrà nei paragrafi finali una “ricetta”
personale, una serie di possibili soluzioni adottabili dal calcio italiano per venire fuori
dalla sua cronica crisi economico-finanziaria sia dal lato “ricavi” che da quello “costi”.
In particolare, ci sarà un’attenta disamina della gestione del vivaio che rappresenta una
delle ancore di salvezza per la gestione futura delle società di calcio. Puntare sui giovani
significa investirci risorse e dargli fiducia, facendoli giocare ad alti livelli fin da subito.
Come dice Eraldo Pecci, ex-calciatore ed oggi opinionista Tv: “devi debuttare da
giovane, perché esordire in serie A è come avere per la prima volta sul letto una donna
nuda”.
Al termine del lavoro, in appendice, sono state fatte delle interviste a chi vive giorno per
giorno il mondo del calcio dal lato delle televisioni e della comunicazione. Sono stati
intervistati:
• Dott. Andrea Zappia, Vice President Sky Sport
• Dott. Marco Pistoni, Responsabile Acquisti Diritti Tv Sky Sport
• Dott. Massimo Corcione, Direttore Testata Sport Time Sky
• Dott. Marco Canigiani, Direttore Marketing & Communication SS Lazio
Partiremo sempre con una citazione di un celebre sportivo/giornalista/
procuratore/allenatore/giocatore/ex-pallone d’oro, anche non strettamente legata
all’argomento trattato nel capitolo, e ci accorgeremo che spesso una semplice frase,
seppur ad effetto, rimane più impressa di una lunga e strutturata spiegazione.
La vita riserva anni di sofferenze ed attimi di gioia. L'importante è trasformare gli attimi in ore e
gli anni in minuti.
Costantino Rozzi (ultimo “poeta” di un calcio che fu).
APPENDICE
7
L’OPINIONE DEGLI ESPERTI: UNO STUDENTE LO CHIEDE A….
1) Dott. Andrea Zappia – Vice President Sky Sport
Dott. Zappia, abbiamo visto che i ricavi delle società italiane di calcio dipendono per
il 63%, in media, dai diritti Tv. Parola d’ordine nella loro strategia futura dovrebbe
essere diversificazione. Che impatto avrebbe la diversificazione sulle Tv come Sky?
“L’impatto non può che essere positivo. Oggi il calcio italiano è in un circolo vizioso:
stadi obsoleti ed insicuri portano poca gente allo stadio e fanno dipendere i bilanci delle
società soprattutto dai contratti stipulati con le Tv. Bisogna trasformare questo circolo
vizioso in virtuoso, con un management più capace di gestire gli aspetti di business e una
proprietà che ha il coraggio di investire. Non c’è crescita senza investimento”.
In che senso?
“Nel senso che se la società è ben gestita, avrà più risorse e più risorse significano più
investimenti, come uno stadio nuovo e all’avanguardia con massimo 40.000 posti; uno
stadio ed un servizio all’altezza del prezzo pagato significano più pubblico e più famiglie
negli spalti, più passione per il calcio, più possibilità di sfruttare il merchandising e più
possibilità, in generale, di sviluppo del settore calcistico nel suo complesso. Più le
squadre investono, più le Tv possono investire. In questo senso, una strategia di
diversificazione può aiutare ad innescare tale circolo virtuoso con effetti positivi anche
per le Tv”.
7
La parte finale di questa tesi nasce grazie alla gentilezza mostrata e al supporto fornito da Sky Sport. Un
ringraziamento di cuore va al dott. Andrea Zappia, alla sua assistente Sandra Masoni e a tutti gli intervistati Sky che mi
hanno permesso di raccogliere opinioni e sensazioni e di scrivere questa appendice, “ciliegina sulla torta” di un lavoro
durato mesi.
Un sentito ringraziamento va anche al dott. Marco Canigiani che si è dimostrato molto disponibile nel risolvere alcuni
miei dubbi e nell’approfondire aspetti legati al marketing di una società di calcio.
Si parla anche di diversificare giorni ed orari delle partite così da ottimizzare i
ricavi. In Italia la frammentazione non è ben vista da tutti gli “addetti ai lavori”. Lei
cosa ne pensa dello “spezzatino” del calcio in tv?
“Non lo chiamerei spezzatino perché la parola prefigura una visione negativa di questo
sport. Quello che si vuole fare è solo dare più visibilità al calcio italiano. Distribuire le
partite lungo il weekend permette al telespettatore di avere più scelta nella visione,
permette agli sponsor di avere più visibilità, di incrementare gli investimenti pubblicitari,
di avere più possibilità di “arruolare” nuovi tifosi. In Inghilterra si gioca sempre: di
sabato, domenica, lunedì, a Natale e a Capodanno, gli stadi sono sempre pieni e la
Premier è seguita in tutto il mondo.
Alcune partite si giocano all’ora di pranzo. Lo sa perché?