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INTRODUZIONE
Il fenomeno ultras si presenta come un tema complesso e di grande attualità affrontato in
modo superficiale dai media che ricorrono spesso a stereotipi piuttosto che ad analisi
approfondite evidenziandone soltanto gli aspetti negativi. In questo lavoro mi propongo
di considerare il mondo degli ultrà da una prospettiva diversa con l’obiettivo di porre in
risalto i valori espressi da questo movimento, senza negare gli episodi di violenza negli
stadi.
Al fine di approfondire questa tematica, esamino mediante una ricerca qualitativa le
ragioni che spingono un gruppo di individui ad aggregarsi quasi tutte le domeniche nelle
curve degli stadi italiani di calcio e analizzo i comportamenti, le opinioni, i valori e le
relazioni con altri membri della società per cercare di comprendere le peculiarità di
questo fenomeno sociale così discusso negli ultimi anni dai media.
Il presente lavoro si articola in tre capitoli. Dopo un breve accenno alla ricerca qualitativa
e ai suoi principali strumenti d’indagine quali la ricerca etnografica, le interviste
qualitative e i focus group, nel primo capitolo esamino gli aspetti principali che
caratterizzano la sottocultura ultrà: la mentalità, i valori e gli ideali presenti nelle curve, il
ruolo delle trasferte, le relazioni tra ciò che avviene sugli spalti e la politica e la loro forte
opposizione all’attuale “sistema calcio”. Il secondo capitolo è dedicato alla violenza negli
stadi, una delle tematiche più discusse dai mezzi di comunicazione, ma anche più
complesse da analizzare. In questa parte del lavoro cerco di comprendere le motivazioni
che possono spingere un ultras a comportarsi in maniera aggressiva e se tale violenza sia
patologica oppure soltanto una ritualizzazione metaforica. In seguito tratteggio
quell’intricato reticolo di relazioni che intercorrono tra le varie tifoserie organizzate
italiane grazie al quale si possono comprendere sia le rivalità e gli scontri sia i gemellaggi
tra gruppi ultrà. Nell’ultimo paragrafo prendo in considerazione il rapporto tra gli ultras e
le forze dell’ordine. Nel terzo capitolo evidenzio la forte territorialità che permea la
sottocultura ultrà e la sacralità dello spazio che essi definiscono curva. Descrivo inoltre
alcuni rituali che vengono celebrati sugli spalti al fine di rafforzare l’appartenenza al
gruppo e la sua coesione. Infine mi occupo delle differenze tra l’ultras e il “tifoso
generico” e delle relazioni che sussistono tra queste due categorie all’interno dello stadio.
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Una parte della ricerca si avvale di una serie di interviste rivolte a giovani appartenenti a
curve di due città diverse al fine di evidenziare le eventuali differenze e soprattutto i tratti
comuni, che possono essere considerati peculiari della cosiddetta “mentalità ultras”. Il
gruppo campione da me esaminato risulta costituito da cinque ultras di età compresa tra i
venti e i quaranta anni, di cui tre abitanti a Milano (un tifoso interista, uno milanista e uno
juventino) e due a Piacenza (un tifoso piacentino e uno milanista). Sulla base della traccia
delle interviste ho cercato di approfondire le tematiche più interessanti, anche in base alle
risposte degli intervistati. Le interviste sono riportate integralmente come appendice in
coda al lavoro.
LA RICERCA QUALITATIVA
Storicamente due sono stati i paradigmi fondamentali che hanno indirizzato la ricerca
sociale: il positivismo e l’interpretativismo. L’interpretativismo, che vede in Weber il suo
esponente principale, si propone di comprendere la realtà e i fenomeni sociali piuttosto
che spiegarli. Il ricercatore che vuole studiare i comportamenti sociali utilizza perciò una
metodologia di tipo qualitativo tenendo sempre conto della soggettività di ciascun
individuo, della particolare visione di quella società da parte dei suoi componenti, delle
modalità e del significato da loro attribuito alle proprie azioni (Natale 2007: 6). L’attore
risulta pertanto attivo e dotato di ampi margini di libertà e il rapporto tra il ricercatore e il
soggetto studiato è fortemente interattivo, coinvolgendo attivamente lo studioso in un
costante processo di immersione e di distacco dall’oggetto della propria analisi. Inoltre la
non replicabilità delle ricerche qualitative non permette generalizzazioni e oggettività dei
risultati, ma proprio perché ha un basso grado di formalizzazione e un ampio grado di
libertà di manovra la ricerca qualitativa consente un’interpretazione e una comprensione
più profonda e più descrittiva dei fenomeni sociali, anche se più soggettiva. Infine
nell’indagine qualitativa elaborazione teorica e ricerca empirica procedono intrecciate, in
quanto il ricercatore vede nella formulazione iniziale di una teoria un possibile
condizionamento che potrebbe inibirgli la capacità di comprendere il soggetto studiato
(Corbetta 2003). Pertanto viene utilizzata la tecnica dell’induzione, partendo dal
particolare per arrivare al generale, e la letteratura risulta meno importante, ausiliaria.
I tre principali strumenti d’analisi utilizzati dalla ricerca qualitativa sono: la ricerca
etnografica, il focus group e l’intervista qualitativa. La ricerca etnografica ha origine
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dagli studi antropologici della fine del 1800, quando i primi studiosi di antropologia (B.
Malinowski, A. R. Radcliffe-Brown, M. Mead) decisero di recarsi nelle società primitive
per comprendere da vicino i sistemi sociali ‘altri’ rispetto a quelli occidentali. Oggi
l’etnografia studia le subculture all’interno della società dominante ed esamina il sistema
di valori del gruppo sub culturale, il quale risulta completamente diverso rispetto a quello
della cultura dominante. Il metodo principale della ricerca etnografica è l’osservazione
partecipante: il ricercatore si reca nella comunità che vuole studiare e cerca di trovare un
equilibrio tra distacco e coinvolgimento per comprendere al meglio la sottocultura presa
in analisi. Il focus group è uno strumento di rilevazione qualitativa basato sulla
discussione in un gruppo di persone su un argomento specifico alla presenza di uno o più
moderatori. Fondamentale risulta l’interazione tra i membri del gruppo con il moderatore
che deve cercare di “lanciare” gli stimoli giusti e creare interesse nella discussione,
lasciando però ampio spazio alle opinioni dei partecipanti. L’esperienza del focus group
diventa così un’occasione di confronto e di scambio di punti di vista differenti; con i suoi
commenti ogni membro influenza le idee degli altri e nello stesso momento modifica le
proprie percezioni iniziali. L’intervista nella ricerca sociale ha lo scopo di conoscere il
pensiero dell’intervistato riguardo temi che il ricercatore ha identificato come oggetto
della sua ricerca attraverso un colloquio con un soggetto che risponderà a una serie di
domande prefissate. L’intervista qualitativa si basa sull’idea che per comprendere al
meglio il pensiero, l’atteggiamento e il comportamento del soggetto intervistato sia
necessaria una forma di interazione tra ricercatore e oggetto di studio. Pertanto si
utilizzerà uno schema flessibile di interrogazione, con un livello basso di
standardizzazione e formalizzazione del questionario. Infatti, la sequenza e il modo di
porre le domande possono variare sia in relazione al tipo di soggetto interrogato sia alle
sue risposte. Le domande non sono altro che una traccia, una scaletta di massima che
serve al ricercatore per aver sempre sotto controllo le tematiche da affrontare nel corso
dell’intervista, ma possono essere rapidamente modificate in qualsiasi momento.
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CAPITOLO 1: La cultura della curva
Come si diventa ultrà
Molto spesso il primo contatto con lo stadio avviene quando si è ancora bambini in un
settore diverso dalla curva. Il giovane tifoso viene solitamente accompagnato da un
parente e inizia a prendere familiarità con l’ambiente che lo circonda; successivamente,
attratto dal tifo passionale della curva, decide di spostarsi in quel settore. Questo processo
è descritto perfettamente dal secondo intervistato: “Io allo stadio ho iniziato ad andare
con i miei zii, che mi hanno portato e andavo in tribuna, che è l’attuale tribuna rossa
dove c’erano ancora le panchettine blu; praticamente in quella tribuna lì. Praticamente
ero piccolino avevo 10/11 anni e comunque l’attrazione, pur essendo nella zona centrale
del campo, l’attrazione era sempre diretta verso la curva, verso dove comunque
arrivavano i cori di incitamento alla squadra. Quindi avevo sempre avuto una passione,
una dedizione per quello che erano i colori, il folklore di quella che è la curva poi
dell’Inter. Quindi appena poi cresciuto all’età di 14/15 anni ho cominciato a frequentare
la curva nord, sempre mi sono messo e collocato nel settore degli Ultras, quindi alla
destra della scaletta, scendi la scaletta e vai sulla destra”.
Si tratta di una sorta di iniziazione al rito calcistico, che viene tramandata da padre in
figlio come fosse una tradizione familiare e permette al giovane tifoso di prendere
gradualmente confidenza con l’ambiente dello stadio, contribuendo ad alimentare il
desiderio e la voglia di quest’ultimo a socializzarsi come tifoso e/o ultras. Spesso un
padre si augura che il figlio possa decidere un giorno di prendere il proprio posto sugli
spalti: esso cerca pertanto di fare in modo che il primo approccio con lo stadio e con la
vita da tifoso sia il migliore possibile. Tutto ciò viene perfettamente descritto, anche con
toni romantici, dallo scrittore e tifoso laziale Carlo D’Amicis (1999, 1-3): “La prima volta
che porti tuo figlio allo stadio, studi minuziosamente il calendario. Eviti il derby, la Juve.
Le giornate di pioggia. La prima volta che lo porti allo stadio, vuoi farlo vincere senza
correre rischi. Senza bagnarti tutto. (…) Quando un padre porta per la prima volta il figlio
allo stadio, corre avanti e lo aspetta in cima alle scale. Perché vuole gustarsi la faccia che
farà quando vedrà il verde del campo. Il suo tuffo al cuore. Perché vuole vedere brillare
nei suoi occhi il verde brillante della felicità”.
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Successivamente il neotifoso inizia a “vivere” e “respirare” calcio non più solamente
nell’ambito familiare, ma anche all’interno del gruppo dei pari e, giunto all’età
adolescenziale, può prendere la decisione di spostarsi in curva per sostenere la propria
squadra.
Le motivazioni che possono portare un giovane a scegliere di seguire la partita in curva
sono molteplici: il fascino di provare una nuova esperienza, il desiderio di condividere la
propria passione con altri individui, il bisogno di sentirsi parte di un gruppo oppure la
voglia di trovare un nuovo modo di divertirsi. Sicuramente alla base della scelta di entrare
nel mondo degli ultrà c’è nella maggior parte dei casi un rapporto d’amicizia precedente
che spinge il giovane tifoso a sperimentare la vita di curva: “Io andavo in curva sud, ci
sono andato perché fin da piccolo tifavo per il Milan, poi un mio amico qui di Piacenza
ha incominciato a frequentare la curva; è entrato nel direttivo di Alternativa Rossa e
Nera (…) si beh sono andato perché lui diciamo mi aveva tirato dentro, al fatto che ci si
divertiva, infatti è vero ci si diverte molto, anche perché si fanno cose che magari che
non fai abitualmente nella quotidianità”. (intervista numero uno)
“Ma è sicuramente un discorso di aggregazione di gruppi di ragazzi della mia età, che la
pensano come me e che erano attratti da tutto quello che era l’incitamento a quello che
era poi il valore più forte, cioè la maglia, i colori, l’Inter”. (intervista numero due)
“Per amicizie varie ho iniziato ad andare in curva, mi sono trovato bene, mi divertivo
tantissimo, la passione del Milan mi portava tutte le domeniche a vedere le partite sia in
casa che in trasferta”. (intervista numero tre)
Come si può chiaramente rilevare dalle affermazioni di tutti gli intervistati il valore
dell’amicizia assume un ruolo fondamentale nell’avvicinare il giovane al mondo degli
ultras.
“Mentalità ultras”
"Noi siamo ultrà. Non siamo gente come gli altri. Non amiamo mescolarci con le masse,
non vogliamo uniformarci. Siamo pronti a subire torti, oppressioni e sguardi malevoli.
Non tradiremo mai ciò in cui crediamo, e continueremo a seguire la nostra linea per
sempre. Senza l'appoggio di nessuno, senza che nessuno ci dica bravi. Sempre così, con
la sciarpa al collo, in giro per l'Italia, inseguendo un sogno. Non siamo eroi, ma amiamo
quello che siamo e vogliamo difenderlo. E anche voi, anche se dell'essere ultrà non ve ne
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frega niente, dateci retta. Se vi mettono i piedi in testa, se vi sentite pronti a fare la vostra
parte per rendere più puro questo mondo, allora venite con noi. Fate come facciamo noi,
create un movimento, aggregatevi a qualcuno che la pensa come voi, poco importa se
nero, rosso o fucsia, e andate alla conquista del mondo. Non possiamo garantirvi che la
vostra vita sarà migliore, questo no. Ma vi assicuriamo che almeno sarà vera".
Credo che questa affermazione tratta dal sito internet “vivere ultras” riassuma
perfettamente come gli ultrà si autodefiniscono e sintetizzi in poche righe il loro spirito.
Ultimamente si parla molto di “mentalità ultrà”, ma in realtà di cosa si tratta? Quali sono i
tratti peculiari che accomunano i tifosi delle curve, indipendentemente dalla squadra per
cui tifano? Quali sono le caratteristiche di questa sottocultura che coinvolge così tanti
individui in Italia? Sicuramente da ciò che emerge nelle interviste, la cosiddetta
“mentalità ultras” può essere definita come uno stile di vivere, un modo di essere, una
maniera di pensare che unisce questi tifosi ed è ben rappresentata da uno dei loro più
ricorrenti slogan: i colori ci dividono, la mentalità ci unisce. Diventano quindi
fondamentali alcuni valori quali: “porsi a guardia” di una fede e sentirsi importanti per
ciò che si fa in curva, partecipare alle trasferte e alla vita di curva, lottare per i propri
ideali, sostenere e incitare la squadra anche e soprattutto nei momenti di difficoltà,
insomma dedicarsi completamente alla causa della propria squadra, dei propri colori, non
per ottenere ricompense economiche ma solo per l’amore verso la maglia. Per i membri
della curva risultano inoltre molto importanti la coerenza nelle proprie convinzioni e il
concetto del non tradire mai ciò in cui si crede, anche a costo di dover difendere i propri
valori con lo scontro fisico. In questo modo ciascun membro della curva si identifica con
i comportamenti e le opinioni degli altri membri, condividendo i valori e creando una
sottocultura con codici e regole interne ben definite. Ciò vuol dire anche assumersi,
all’interno del gruppo, determinati oneri e responsabilità, anteporre l’interesse degli altri
al proprio, sacrificarsi per una causa comune. All’interno di questa cultura risulta, infatti,
fondamentale il sentirsi parte di un gruppo e, soprattutto per i giovani, di sentirsi parte di
qualcosa più grande di sé, una forma di aggregazione giovanile, un modo per costruire la
propria identità e personalità al di fuori delle regole prestabilite e rigide della cultura
dominante nella società contemporanea occidentale. In altre parole il team per cui si tifa è
percepito come una parte del tifoso stesso; per alcuni di essi non basta assistere alla
partita o distinguersi attraverso la semplice aggregazione in un club della propria squadra,
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ma subentra il desiderio di raggiungere una più alta simbiosi con il team del cuore, il
bisogno di gridare il proprio incitamento e di trovare persone con le quali condividere
queste esigenze. Come sottolinea Dal Lago gli ultras italiani sono individui appartenenti
ad ogni ceto sociale che, indipendentemente dai differenti ruoli che assumono durante la
settimana, in virtù del legame affettivo che nutrono per la propria squadra del cuore sono
disposti a seguirla ovunque al fine di far sentire il loro supporto. In questo modo si può
comprendere l’importanza fondamentale che quasi tutti gli ultrà attribuiscono alle
trasferte, uno dei momenti in cui il cosiddetto “sentimento del noi” raggiunge il suo
apice. Pertanto si può affermare che, nonostante le rivalità, il tifo e la passione per
squadre diverse, gli ultrà abbiano un pensiero comune riguardo ad alcune tematiche, tra le
quali l’opposizione al calcio moderno, il concetto di fede incondizionata verso i propri
colori, la curva come territorio da difendere, i valori e i codici vigenti all’interno delle
curve, il rapporto conflittuale con le forze dell’ordine. Quest’ultimo concetto può essere
ben rappresentato da un esempio: dopo la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, in
quasi tutti gli stadi italiani sono comparsi striscioni in suo onore e persino gli storici rivali
della Roma gli hanno dedicato dei cori e un lungo applauso sincero.
In conclusione credo che soltanto analizzando questo insieme complesso di aspetti si
possa cercare di spiegare cosa significa essere ultras in questo momento.
Penso infine che la conoscenza della mentalità, dei codici e delle regole interne di questi
gruppi organizzati sia indispensabile per spiegare il fenomeno della violenza negli stadi,
senza cadere in analisi stereotipate che i media contribuiscono troppo spesso a diffondere
all’interno dell’opinione pubblica.
I valori della curva
Gli ultras si riconoscono in determinati valori che caratterizzano la sottocultura della
curva e permettono alle diverse tifoserie organizzate di identificarsi in un movimento
sostanzialmente unitario. Ogni membro deve condividere e rispettare tali ideali per poter
essere accettato e far parte di questo mondo; ossia, come direbbe un ultrà, deve possedere
la giusta mentalità, una sorta di condotta etica che produce una peculiare visione del
mondo.