Introduzione
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discussione che negli anni più recenti, si è molto sviluppata, anche a
livello Europeo, sul traffico di cabotaggio e sulle possibilità di spostare
significativi volumi di traffico "dalla strada al mare". Questo è, in pratica,
il risultato di un'analisi basata sull'apparente debolezza dell'attuale
sistema logistico europeo e di quello italiano in particolare, che ad oggi si
fonda principalmente sul trasporto su gomma. Nell'affrontare l'attuale
sovraccarico della rete viaria, il previsto incremento dei volumi di traffico
e le conseguenze negative sull'ambiente, è apparso ovvio che aumentare
le quote del trasporto marittimo e fluviale consentirebbe di risolvere o,
almeno, di attenuare il problema in modo più economico e più
compatibile con l'ambiente. Se si vuole, pertanto, ottenere dal trasporto
per via d'acqua un contributo significativo alla soluzione dei problemi di
trasporto attuali e futuri, la posizione competitiva del cabotaggio rispetto
al trasporto stradale deve essere rafforzata e per ottenere questo obiettivo
gli attuali svantaggi competitivi devono essere ben individuati ed
analizzati allo scopo di minimizzare il loro impatto su questa modalità di
trasporto considerato anche il suo notevole potenziale.
Questo studio è mirato ad un cabotaggio e a un trasporto multimodale
italiano ed europeo, ma, vista la tradizione storica che ha sempre legato
Genova al mare e considerata l’impossibilità, dovuta a precisi limiti
orografici, di ulteriore espansione verso monte del sistema trasporti, ci è
sembrato logico allargare le potenzialità del trasporto via mare anche ad
un trasporto cittadino.
L’analisi storica che segue questa breve introduzione ci conferma da un
lato l’interconnessione che la città ha sempre avuto con il suo porto e da
cui sono dipese fortune e sfortune nei secoli, dall’altro ci porta a
considerare il grande cambiamento a cui siamo di fronte e con il quale
Introduzione
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sarà indispensabile rapportarsi. Stiamo parlando della nuova fisionomia
che piano piano si sta affermando: infatti è sotto gli occhi di tutti come il
mondo economico stia vivendo una profonda trasformazione per la quale
le grosse industrie statali stanno lasciando il posto ad un nuovo tipo di
impresa più leggera e flessibile e non necessariamente legata al territorio.
Questa dismissione dell’interesse pubblico permette a Genova di passare
da una concezione di città portuale-industriale a una nuova idea che
valorizzi anche l’aspetto turistico.
Il cambio di tendenza iniziato nei primi anni 90 si è basato sul recupero
del porto da parte della città. La ristrutturazione della zona dell’Expo e la
realizzazione dell’acquario,elemento trainante del turismo genovese ,
hanno permesso la creazione di un polo in grado di attrarre grandi flussi
turistici di dimensioni tali da giustificare ,sotto il profilo economico , la
creazione di nuovi spazi , infrastrutture e sistemi di trasporto.
Nello stesso tempo è sotto gli occhi di tutti la situazione già gravemente
congestionata del traffico urbano che non permette assolutamente lo
smaltimento dei suddetti flussi. Questa problematica insieme alla bellezza
dello scorcio visivo che la città offre vista dal mare, ci hanno fatto
propendere verso la soluzione tema di questa tesi.
Il progetto prevede la realizzazione di un trasporto passeggeri via mare,
tramite battelli, dal parcheggio dell’aeroporto C. Colombo al centro
cittadino. Sfruttando la rinnovata uscita autostradale di Genova-
Aeroporto pensiamo di convogliare il traffico automobilistico di turisti
verso il parcheggio dell’aerostazione che, grazie all’intesa con Aeroporto
s.p.a., viene triplicato nella sua capienza. La realizzazione di un canale
navigabile, ci permette di collegare la suddetta area con la zona di mare
Introduzione
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protetto del porto e, per facilitare la connessione tra sosta e imbarco
utilizziamo un tapis-roulant.
Abbiamo realizzato anche lo studio di un’ipotesi alternativa resa
necessaria dalle problematiche politiche esistenti nella zona delle
acciaierie. Infatti si tratta di una zona contesa da più figure, cominciando
dall’industriale Riva, proseguendo con l’aeroporto, l’Autorità Portuale,
vari terminalisti, ecc.
Per risolvere il problema spostiamo l’imbarco passeggeri presso il
porticciolo di Sestri Ponente. Ciò comporta un allungamento del tracciato
motivo che ci ha spinto a ricercare imbarcazioni con potenzialità
velocistiche maggiori.
Lo studio sui flussi ha fatto emergere come poli di attrazione l’area del
Porto Antico, con particolare riferimento all’Acquario, e l’area della
Fiera in occasione delle numerose manifestazione ivi organizzate.
Andiamo di seguito ad analizzare più in dettaglio sia il punto di vista
realizzativo che quello gestionale delle sopra citate infrastrutture.
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
5
STORIA DEL PORTO DI GENOVA
Gli inizi
Sul porto primitivo e sulle sue funzioni iniziali ci soccorrono soltanto,
come è evidente,alcune considerazioni che emergono dalla lettura
dell’ambito orografico e geologico che lo circonda; esso si costituì su un
breve arco litoraneo, sotteso da una corda di circa mezzo chilometro fra
la sottile penisola detta poi del Molo Vecchio ed il Capo d’Arena,
all’ultimo declinare della valletta di Luccoli estrema diramazione
dell’anfiteatro che fa capo al monte Peralto.
Attorno alla rada falciata, con una spiaggia povera di depositi alluvionali
posati sull’antico sedimento marnoso del pliocene, convennero i primi
abitatori liguri dei monti vicini che si insediarono, per la sicurezza dei
loro scambi con gli avventurosi navigatori delle coste tirreniche, sotto la
prossima collina di Castello, più tardi ridotta sotto la forma di oppidum
italico.
La città porto del medioevo
I provvedimenti più antichi che si conoscono sulla organizzazione del
porto sono del trentennio 1133-1162, poco prima che la città si
rinsaldasse in un cerchio di nuove mura contro la minaccia di Federico
Barbarossa (1155-1161); essi riguardano la costruzione del Molo sulla
penisoletta sottostante Castello e la creazione di scali per le navi a
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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levante del Capo d’Arena, presso la chiesetta del Santo Sepolcro.
Alcuni articoli dei brevi cittadini, lodi consolari specifici, tasse sul
traffico portuale e sul movimento mercantile, diritti sui litorali
concorrono a formare in breve tempo un’attrezzatura organica che viene
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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ovviamente a colmare le gravi lacune del porto naturale. Dal Capo di
Faro, citato nel 1128, alla punta estrema del Molo si apre il ventaglio dei
ponti lignei, ove attraccano le navi sino allora e da secoli riparatesi alla
foce dei cinque rivi che solcano l’anfiteatro naturale su cui si estenderà
Genova.
La costituzione del primo porto, che sembra così immediata e su aree
poco edificate, spinge i consoli a preoccuparsi della breve e ripida
spiaggia alla radice dei ponti, tanto che nel 1133 e nel 1149 stabiliscono
distanze, altezze e forma dei portici in pietra che correranno sotto le case
lungo il mare.
Attorno e dietro la Ripa Maris confluiscono i prodotti dell’industria
tessile provenienti dalle diverse regioni d’Europa e d’Italia, porpore
seterie e telerie, metalli come rame e ferro, cotone, per essere scambiati
con le ricchezze del Levante e dell’Africa berbera che si vanno
raccogliendo nelle autonome colonie costituite dalla Repubblica sin dai
primi anni delle Crociate. Dai liberi fondaci del Levante giungono
l’allume, il pepe e le altre spezie; dall’Africa lana, pelli, cuoio, indaco,
cera e corallo.
E’ questa un’attività significativa che spiega l’interdipendenza di porto e
città a Genova dove sin dai primi tempi i Salvatores controllano
puntualmente lo stato dei rivi perché non interrino il fondo portuale e
richiamano gli agricoltori delle pendici sovrastanti perché provvedano ad
alzare i muretti dei terrazzamenti (le fasce), prima di colmarli di terra
coltivabile.
E appunto per ovviare alla poca profondità della rada più interna, il
Mandracchio (due palmi prima del 1512; cioè cm 50); per aumentare il
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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ridosso rispetto ai venti regnanti da scirocco e per accrescere la difesa
contro le frequenti fondazioni dei venti dominanti di libeccio, dopo il
1245 il Molo fu dichiarato opera pia affinché ricevesse un lascito in ogni
testamento e si decise di prolungarlo di 115 cubiti (m 85,56) sotto la
direzione del Boccanegra. I lavori si conclusero nell’ultimo quarto del
XIII secolo ma la vigilanza non ebbe mai sosta; nei secoli successivi, con
i maggiori interventi attorno al 1490, 1559-93, 1738-78, 1825-31,
raggiunse la lunghezza di 608 metri dalla Porta del Molo alla punta a
mare.
Nello stesso periodo attorno agli anni 1283-85, si fonda una piccola
Darsena con torre che viene ad aumentare, presso gli antichi scali di
Boccadebò (1162-63), la magra disponibilità di acque calme che sino ad
allora era possibile avere solo nel breve specchio del Mandracchio. Dal
1306 verrà divisa in due per il vino e per le galere; così il raddobbo e lo
sverno delle navi militari avverrà d’ora in poi a ponente della “darsena
delle galere” sotto le navate dell’Arsenale che ci mostrano tutte le vedute
della città.
Attorno e dentro questo recinto, rafforzato e munito di torri a più riprese
nel secolo XV, si esercitano in molte escavazioni del fondo ingegneri
forestieri e maestri anelami con impiego di palificate per prosciugare i
bacini, ruote draganti e cicogne, a prova dell’alto livello tecnologico
raggiunto per quei tempi.
Agli inizi del secolo XIV la forma e la funzionalità del porto di Genova
appaiono ormai definite nettamente, all’altezza dei traffici e della
potenza economica della Repubblica.
Taride da carico dallo scafo tozzo, navi imponenti, galee veloci quando
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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giungevano in vista della città erano avvistate dalla Loggetta dei Greci,
alla radice del Molo, e dalla torre di Capo di Faro sul lato opposto
dell’arco portuale, ove dal 1326 brucerà fissa una lampada ad olio per
segnale ai naviganti. Superate le formalità di riconoscimento e la catena
ferrea, che dal 1319 bloccava l’accesso portuale dalla torre dei Greci a
quella della Darsena, gli scafi potevano avviarsi all’accosto scegliendo
fra i vari ponti predisposti ciascuno per ogni diversa mercanzia.
I servizi più propriamente tecnici forniti dal porto di Genova alle navi
che vi approdavano erano completati da alcuni scali che servivano al
raddobbo delle carene ed alla impostazione di nuove imbarcazioni come
quelli già citati di Boccadebò (1162), del macello del Molo (1201), di S.
Marco (1213), della Marina di Sarzano (1278) e, più tardi, della spiaggia
di S. Pier d’Arena ove sovente avveniva la rassegna della flotta militare.
Infine, posto piede a terra, marinai e mercanti incontravano disposte con
ordine tutte le Arti interessate alle attività della navigazione e del
commercio: le loro botteghe si confondevano con le austere case turrite
della nobiltà mercantile, schierate sulla Ripa scoperta e su quella
porticata per quasi un chilometro, dalla piazza del Molo alla porta
cittadina di S. Fede (o dei Vacca).
Al di qua della Porta del Molo, presso il Palazzotto sede dei Salvatores
Portus et Moduli, abitavano i piloti ed i marinai più esperti accanto ai
maestri cartografi, bottari, velai e remolai. Attorno alla piazza del Molo
stavano i maestri stralleri e bancalari, che davano nome al primo tratto
della Ripa scoperta, cui seguiva quello nominato dei coltellieri o spadai,
e infine, dei peccai. Tutte le attività artigianali, assieme a quelle più
squisitamente commerciali, si svolgevano su aree o in locali di proprietà
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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comunale – gli emboli della Ripa già noti nel1211- che permettevano alla
Repubblica un prezioso e capillare controllo della vita economica ed un
notevole introito per il pubblico bilancio.
La descrizione dell’organismo portuale medioevale sin qui condotta per
quanto riguarda i servizi a mare ed a terra, deve essere integrata, da un
ulteriore ordine di strutture pubbliche che, per quanto non propriamente
marittime, ci mostrano come fosse organico già dal secolo XII il
rapporto fra porto e città. Si tratta dei tre mercati di S. Giorgio, di S.
Pietro della Porta o di Banchi, di Soziglia; i primi due erano sorti
immediatamente dietro la Ripa, in corrispondenza dei crocevia creati dai
maggiori assi viari perpendicolari al mare, il terzo più arretrato e al
centro di un grosso rione artigiano. I dati della loro misurazione, ordinata
dai Consoli nel 1186, e le notizie fornite dai cartolari notarili ce li
mostrano circondati di logge e di fondaci in cui avevano sede ufficiale le
numerose colonie di mercanti forestieri, come pisani, lucchesi, fiorentini,
piacentini, artigiani che del porto di Genova avevano fatto il crocevia più
prestigioso del commercio medioevale del Mediterraneo.
La singolare e precoce unità della forma portuale genovese, certamente
anteriore alla organizzazione della stessa Venezia, nasce non solo da una
felice ubicazione di Genova rispetto ai grandi sistemi di comunicazione
dell’Italia settentrionale, ma anche dalla necessità di una collettività che,
avendo alle spalle un territorio povero quando non ostile, dovette
rapidamente adeguarsi alla conquista delle vie marittime inventando tutti
quegli strumenti tecnici, amministrativi e sociali che potessero facilitarne
lo svolgimento.
Alla struttura del porto corrispondono, in piena ed organica coerenza, le
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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forme della città e della sua classe di potere.
Tutto il disegno urbano e suo il tessuto viario appaiono infatti proiettati
verso il ventaglio dei ponti che si staccavano a pettine dalla rada falciata
del porto naturale, secondo la falsariga delle otto compagne primitive
(Castello o Palazzolo, Piazzalunga, Maccagnana, San Lorenzo, Porta,
Soziglia, Portanuova e Borgo) che in forma di lunghi rettangoloidi
spartivano l’area racchiusa dalle mura del 1155.
Con i lati più corti sulla cinta e sul mare le otto ripartizioni, segno di una
collettività nata dalla federazione di libere associazioni mercantili,
disponevano le vie maggiori perpendicolari alla Ripa senza che una
piazza comune, com’era costume delle città italiane, si aprisse ad
accogliere nelle grandi occasioni popolo e classe di governo.
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
12
Nel secolo XV, al tramonto del Medioevo, l’unità fra porto e città
sembra permanere malgrado i gravi mutamenti dell’assetto politico,
l’alterna vicenda di una impossibile autonomia insidiata dalle voglie
pressanti di Francia e Milano, la nuova svolta imposta alle rotte
commerciali per la perdita del monopolio coloniale nel vicino Oriente.
In questo periodo non si ebbero sostanziali innovazioni nella forma e
nella organizzazione del porto bensì particolari cure al Molo, che venne
ancora prolungato e difeso, ed alla Darsena in cui si rafforzarono le mura
munendole di nuove torri e si procedette ad approfondire i fondali col
sistema delle passionate o palificate che permettevano di prosciugarne i
bacini interni.
Occorre anche aggiungere che nel secolo XV l’economia genovese,
secondo gli ultimi studi, entra in un periodo critico; l’indice più basso
raggiunto dal corso dei luoghi del Banco di San Giorgio, come viene
individuato da Jacques Heers per gli anni 1460-63, segnala una grave
contrazione, un ripiegamento dei capitali dinnanzi ad una congiuntura
inquietante che investe anche tutti i maggiori centri del Mediterraneo, ma
impone alla classe di potere genovese la scelta di nuovi motivi di
profitto.
Porto e città fra cinquecento e settecento
Queste grandi svolte politiche ed economiche imposte dagli eventi
europei alla storia della Repubblica, e più precisi interventi nella
organizzazione del porto e della città, avviano la dissociazione della
Genova medioevale in due organi alternativamente prevalenti che,
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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almeno sul piano urbanistico, troveranno una prima relativa
composizione soltanto dopo la metà del secolo XIX.
Questo divorzio inizia con la ricostruzione delle mura di terra ordinata
dal Ser.mo Senato, dopo la fallita congiura di Cesare Fregoso a profitto
di Francia, e condotta a più riprese fra gli anni 1535-36 e 1549. In questa
occasione si munisce anche l’arco portuale che sino allora appariva
guarnito soltanto alla penisola del Molo ed alla Darsena. La città si trova
separata dal porto, almeno visualmente, proprio quando la connessione
organica del suo tramato medioevale viene sottoposta alle prime fratture
sensibili e si interrompe la naturale confluenza dei maggiori assi viari
verso l’arco della Ripa e dei ponti di attracco. Con Strada Nuova (via
Garibaldi), realizzata fra il 1550 e il 1575, si apre anzi una serie di
tracciati a carattere prevalentemente residenziale per la classe di potere,
rivelando non casualmente la propensione ad abbandonare le antiche sedi
di controllo strategico delle attività mercantili e la costituzione di un
sistema stradale parallelo alla costa e ad essa periferico.
Queste scelte rivelano una profonda trasformazione dei costumi e
soprattutto un diverso interesse nelle attività economiche.
La società genovese, ricostituita in repubblica aristocratica con la
riforma voluta da Andrea Doria nel 1528, giunge dopo la metà del secolo
al culmine di un potere finanziario di dimensione europea; la familiarità
con la corte spagnola, che le proviene da crediti favolosi scardina arcaici
modi di vita e spinge i maggiori protagonisti ad edificare palazzi e ville
come regge, sicchè nasce da qui il contributo più originale dato da
Genova alla storia dell’arte italiana. Va soprattutto sottolineato ai nostri
fini che in questi anni si fa più netta nell’economia genovese la
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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separazione fra l’attività capitalistica-commerciale e la diretta
implicazione nelle arti della navigazione.
Il fenomeno della emigrazione genovese di ricchezze e di uomini al
centro del secolo XVI evidenzia la nascita di un diverso atteggiamento
della Repubblica verso il porto e le sue più specifiche e molteplici
attività.
Già prima del 1563 gli alberghi nobiliari, sorta di volontarie associazioni
di famiglie aventi in comune interessi economici e di potere, tendono a
mantenere i loro capitali nell’armamento di scafi ad alto tonnellaggio o a
spostarli nei contratti di assento, ossia nel noleggio a forfait di galere
militari, aprendo la via alle barche (150/400 tonn.) e ad altri legni minori
(navigli, galeoni, brigantini, fregate, ecc.) che formeranno il nerbo di una
nuova flotta, dal ruolo ben più modesto, ben presto soppiantata
dall’egemone invadenza della flotta di Ragusa (di Dalmazia).
Il fatto che i capitali rifluiscono altrove, verso nuovi motivi di profitto,
avvalora perciò la tesi di una iniziale separazione della città dal porto,
anche sul piano urbanistico, come si è del resto osservato recentemente a
proposito delle attrezzature e della cronica insicurezza dello specchio
portuale.
Non si vuole negare con ciò l’importanza dell’approdo genovese che
anzi, a detta del Grendi, mostrerebbe un ritmo ascensionale per tutto il
‘500 con punte massime nel 1555 e nel 1592 (dovute al trasporto di
grano); né si vuole ignorare l’apporto della marineria locale, genovese e
ligure, che tocca il suo periodo migliore tra il 1548 ed il 1558. Certo è
che le proteste rivolte al Senato dal domenicano Giacomo Vassoi nel
1568, appena dieci anni dopo il prolungamento del Molo scandagli
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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dimostrano una ulteriore diminuzione dei fondali, il parere degli esperti,
escludendo fra le cause l’apporto alluvionale dei torrenti del litorale
cittadino, ripropone il prolungamento del Molo Vecchio. Con questa
decisione si torna in balìa delle tempeste che non tardano a ripetere i loro
funesti effetti nonostante il prolungamento, giacchè la violenza delle
onde sospinge nuovi detriti e restringe ancora una volta il poco spazio a
ridosso del Mandraccio, ove le grosse navi e le galere riescono a stiparsi
senza poter usufruire di tutti i ponti del bacino portuale per la pochezza
dei fondali. Celebre rimane il fortunale del 1613 che, come testimonia
l’architetto tedesco Joseph Furttenbach, fa naufragare sedici grosse navi
e cinquantaquattro fra barche e fregate.
Soltanto dopo altre due tempeste (1630 e 1636) si rompe ogni indugio e
si invitano gli esperti ad avanzare proposte atte alla soluzione.
Ormai il porto di Genova è temuto da troppi comandanti italiani ed
europei e va riducendo gravemente la sua capacità per il pessimo difetto
dei suoi fondali. Per questo motivo, il 3 marzo 1638, si approvano i
capitolati per il progetto di Ansaldo De Mari che prevede, con una spesa
non eccedente i cinquecentomila scudi, la realizzazione del Molo Nuovo
lungo 464 metri, che libera la rada di Genova dalle furie del vento
dominante di libeccio.
De Mari convinse la classe di governo che la soluzione migliore,
nonostante una sprovveduta esperienza avvenuta per il porto di Palermo,
può solo venire dall’adozione di cassoni riempiti di calce e pietre ed
affondati a venti palmi di profondità (circa 5 metri) su una platea di
pietre ben livellata; tutto ciò è possibile perché, come avevano
dimostrato sensate esperienze, contrariamente a quanto pensano i
Capitolo 1 Storia del Porto di Genova
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contemporanei, è ormai certo che il moto ondoso perde ogni violenza
alla profondità di 15 palmi.
La riuscita dell’opera avrà grande risonanza soprattutto all’estero tanto
che vi si ispireranno anche gli architetti inglesi per la fabbrica del molo
di Tangeri che viene considerata tuttora l’opera maggiore dell’ingegneria
anglosassone del Seicento.
Un’analisi più attenta denuncia però con evidenza la frattura che si è
andata creando fra le due componenti dell’organismo urbano di Genova:
esse formano ormai due veri e propri sistemi che tendono con risultati
alterni alla sopraffazione. Dapprima le mura del 1536, costringendo
l’area urbana fra la prima displuviale ed il mare, avevano smagliato in
senso longitudinale l’antico tramato e addirittura, a detta di molti
contemporanei, avevano causato al porto buona parte dei guai perché le
cortine sulla Ripa producevano una brutta risacca di ritorno; adesso
nuovi magazzini si affacciano oltre le mura di mare riempiendo ogni
vuoto e serrando dappresso le sottili volumetrie medioevali della Ripa
con i loro blocchi secenteschi dalle spesse muraglie traforate di rare
aperture.
Al Molo Vecchio sorgono i magazzini del Magistrato dell’Abbondanza
(1556-68); fra i ponti dei Cattaneo e ponte Chiavari i Forni pubblici per
la cottura del pane e la sede del Magistrato dei Poveri (dal 1539-68 e in
seguito ampliati); viene grandemente accresciuto l’edificio della Casa di
S. Giorgio (1570), eretta a ponente di questo e prima del ponte Spinola e
la nuova Reba del grano (1607) e infine, accanto all’estrema chiesa di
S.Tommaso, i Magazzini dell’Annona (1625).