C’era una volta… Venti ragazzi di strada
Marco Baliani e Pinocchio Nero
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“Ho realizzato insomma un ‹‹mio›› Pinocchio, certamente diverso da altri film già fatti
prima, così come se ne possono fare molti altri ancora, sempre nuovi, dando del libro
altre interpretazioni. E questo proprio perché è un libro molto bello, un libro ricco di
suggestioni, un libro che non invecchia mai" (Luigi Comencini, Introduzione a Le
avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, Torino, Edizioni Paoline, 1972, pagg. 8-9).
Ancora, secondo Calvino il testo collodiano dispone di un “forte potere genetico,
tale per cui il romanzo è diventato più o meno consapevolmente un modello per
qualsiasi narrazione” (Calvino 1981, 803). Non solo, Pinocchio è divenuto simbolo di
italianità nel mondo tanto che grazie a Mussino (1910) ha vestito i colori della
bandiera italiana: rosso, bianco e verde. Inoltre, dalla sua comparsa è entrato a far
parte dell’immaginario comune degli italiani incarnando il bugiardo patologico e in
questa valenza ha rivestito i panni dell’esponente dello schieramento politico rivale:
recentemente il Presidente del Consiglio è stato paragonato al burattino, e in una
seduta parlamentare un gruppo di deputati di centrodestra ha mostrato il burattino in
aula a Montecitorio. Ciononostante non mancano casi in cui la figura di Pinocchio è
stata assunta a modello positivo. Ad esempio, alcune confederazioni artigianali lo
hanno proposto come simbolo dell’artigianato made in Italy. Dai cinque zecchini di
Pinocchio è nato il più famoso festival della canzone per bambini, lo Zecchino d’oro.
Perciò, bisogna riconoscere che Pinocchio ha pervaso l’Italia delle sue fughe e
avventure.
Il presente lavoro vuole offrire una panoramica delle riscritture del Pinocchio
collodiano prodotte negli ultimi decenni e soffermarsi su una riscrittura ad opera di un
gruppo di ragazzi di strada di Nairobi coadiuvati da Marco Baliani, Pinocchio Nero. Il
campo di ricerca è stato ridotto a causa del considerevole numero di traduzioni
effettuate e della varie volte in cui l’opera collodiana è stata rimaneggiata. Basti
pensare che, come osserva Malengo (2006), è il libro più letto e tradotto dopo la Bibbia
e, addirittura, ne sono state pubblicate due edizioni in latino.
Il mio lavoro si divide in quattro capitoli a cui segue un’appendice* che contiene
le maggiori illustrazioni di Pinocchio e alcuni momenti dello spettacolo Pinocchio
Nero.
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Nel primo capitolo tratterò la parte di analisi critica dell’opera collodiana
focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche salienti del testo stesso. Inoltre, dedicherò
i primi paragrafi all’analisi del contesto storico in cui si colloca l’opera e la figura di
Carlo Lorenzini, alias Carlo Collodi.
Nel capitolo successivo, mi concentrerò sugli aspetti teorici della traduzione delle
opere letterarie; in particolare, focalizzerò la mia attenzione sui problemi che possono
scaturire dall’operazione del tradurre non solo a livello linguistico, ma anche a livello
socio-culturale.
Nel terzo capitolo, procederò con una panoramica delle maggiori riscritture
dell’opera collodiana apparse nella seconda metà del XX secolo e i primi anni del XXI.
In particolare il testo di Giorgio Manganelli, il musical scritto da Saverio Marconi e
musicato da I Pooh, l’adattamento per il piccolo schermo di Luigi Comencini, la lettura
teatrale di Carmelo Bene e la pellicola di Roberto Benigni.
Infine, nel quarto capitolo mi concentrerò sull’analisi di Pinocchio Nero, lo
spettacolo teatrale scritto per riscattare un gruppo di venti ragazzi di strada di Nairobi.
L’analisi sarà preceduta da alcuni paragrafi in cui si analizza la situazione sociale
della metropoli africana e i progetti che AMREF ha all’attivo. In seguito, individuerò le
sequenze narrative dello spettacolo utilizzate e di queste presenterò un’analisi
strutturale comparativa fra il testo di Collodi e l’adattamento di Baliani.
* Si avverte il lettore che l’Appendice, contenente illustrazioni e immagini dello
spettacolo “Pinocchio Nero” non è stata inserita in quanto non sono state concesse
all’autore le necessarie autorizzazioni alla divulgazione del materiale.
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1. COLLODI E PINOCCHIO
Obiettivo di questo capitolo è l’analisi de Le avventure di Pinocchio. Storia di un
burattino, a cui, solo in un secondo momento, è riconosciuto lo status di classico della
letteratura italiana.
Infatti, è solo grazie all’Elogio di Pinocchio (1921) di Pietro Pancrazi che la critica
comincia a concentrare la propria attenzione sul testo collodiano.
Parlando di Pinocchio, si tende a dimenticarne l’autore. In effetti, Carlo Collodi è
stato offuscato dal successo del libro come se Le avventure di Pinocchio fossero sempre
esistite.
Pinocchio è entrato nella vita di ogni persona, almeno della società occidentale,
senza portare con sé tracce del suo autore. Come afferma Calvino, il burattino è passato
attraverso il suo autore come se quest’ultimo “fosse un mero canale o strumento per
imporre la propria autonoma presenza” (Calvino 1995, 806). Manganelli nel suo libro
Pinocchio: un libro parallelo afferma, addirittura, che l’esistenza dell’autore è
superflua.
La letteratura critica invece sul libro è molto ricca e nel corso degli anni sono
apparse molte tesi sul significato del racconto. Infatti, si spazia dalla semplice fiaba per
bambini alla parodia della vita di Cristo.
Queste interpretazioni differenti sono possibili a causa della redazione in modo
discontinuo del testo che ha costituto “un’eccellente occasione per un infittirsi e
intrecciarsi dei suoi sensi” dovuto a “un parziale abbandono dei freni, di preoccupazioni
di pulizia narrativa e di coerenza” (Garroni 1975, 50).
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1.1. Quadro di riferimento
La storia di Pinocchio appare come racconto a puntate in Il Giornale per i bambini
1
nel
corso del triennio che va dal 7 luglio 1881 al 25 gennaio 1883. Dunque l’opera è
pubblicata negli anni successivi al processo di unificazione della penisola.
Il clima dell’epoca post-risorgimentale è caratterizzato essenzialmente da una
grande inquietudine e da un pessimismo che investe tutti gli ambiti di vita, sia pubblica
che privata, del cittadino del nuovo stato italiano. La dimensione politica è
caratterizzata da una grande delusione a causa del malfunzionamento del regime
parlamentare; a livello economico-sociale, l’Italia si trova in una grave situazione di
arretratezza sia per infrastrutture che per strutture produttive, con un’economia,
soprattutto al sud e sulle isole, basata ancora su una forte dipendenza dal settore
primario. Dal punto di vista culturale, la maggior parte della popolazione è analfabeta e
di mentalità molto tradizionalista. Per quel che concerne l’istituto familiare, si avverte la
necessità di “reimpostare i rapporti fra i sessi e le generazioni in un’ottica più evoluta
rispetto all’assolutismo patriarcale” (Spinazzola 1997, 12).
Con l’Unità, uno degli obiettivi principali è, quindi, quello di riunire tutte le genti
sotto una stessa bandiera, una stessa lingua, una stessa unità politica. Grazie alle leggi
Casati (1859) e Coppino (1879) si cerca di attuare un enorme progetto di
scolarizzazione di massa che però fallisce a causa del comportamento assunto dalle
classi sociali più basse. L’istruzione della prole significa, per molte famiglie italiane,
rinunciare a manodopera gratuita nei lavori agricoli o nella cura dei figli minori. Un
secondo obiettivo del legislatore post-unitario è quello di incentivare la scuola pubblica,
sottraendo così scolari all’insegnamento confessionale largamente diffuso in Italia
grazie alla capillare diffusione di oratori
2
. Il passaggio da una mentalità prettamente
cattolica verso una mentalità laica è uno dei passi fondamentali che compiono gli
scrittori del periodo post risorgimentale. Ciononostante, la morale presente nei testi di
autori laici rispecchia fortemente la morale cattolica; in effetti, il codice etico di
1
È uno dei supplementi letterari de Il Fanfulla, una rivista di origine fiorentina pubblicata a partire dal
1870.
2
In questo periodo hanno larghissima diffusione gli oratori di Don Bosco che, con la fondazione
dell’ordine dei Salesiani (1860), cominciano una capillare attività di evangelizzazione e sottrazione di
cittadini alla partecipazione alla vita politica dello stato. Famoso è il non expedit del 1874 ad opera di
papa Pio IX che non permette ai cattolici di prender parte alle elezioni.
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comportamento si basa su principi di buon senso, senso civico e, estremamente
importante, sulla convinzione che l’interesse personale non deve mai andare contro
l’interesse della collettività e di terzi.
1.1.1. La letteratura per l’infanzia
Pinocchio è il primo racconto della letteratura italiana ad affrontare il tema
dell’infanzia, ad esso farà seguito Cuore (1886) di De Amicis. Come afferma
Spinazzola (1997, 23), Collodi e De Amicis possono essere considerati i padri fondatori
della letteratura per ragazzi della modernità; sono, infatti, i pionieri di una letteratura
che è indirizzata a essi e allo stesso tempo li coinvolge rendendoli protagonisti in prima
persona delle vicende narrate.
Per quel che concerne la letteratura scritta per soli ragazzi, bisogna tenere in
considerazione che nell’Ottocento il bambino/ragazzo non è ancora un lettore
emancipato. Infatti, egli non ha nessuna indipendenza a livello elettivo e a livello
economico per permettersi di comprare i libri che più gli aggradano; in effetti,
l’acquisto di letteratura per ragazzi è mediato dal genitore il quale cerca nel libro
acquistato non solo tematiche di interesse del ragazzo, ma anche insegnamenti morali e
sociali che possano contribuire a formare la sua personalità secondo i propri valori. Da
ciò deriva la necessità di una produzione di romanzi di formazione con un elevato
contenuto morale.
Nel periodo storico di riferimento, la letteratura per l’infanzia in Italia non gode di
particolare attenzione da parte della critica, in quanto la si ritiene priva di qualsiasi
valore o prestigio. Non bisogna dimenticare che l’infanzia è considerata uno stadio della
vita di ogni essere umano che permette il passaggio al mondo adulto; da ciò deriva
quindi la totale indifferenza nei confronti di un periodo transitorio della vita che, per
forza di cose, deve essere abbandonato. Col Romanticismo, in Europa i contemporanei
tendono a concentrarsi sul mondo infantile e sul bambino in quanto essere da
ammaestrare. La letteratura a riguardo è però destinata agli adulti, coloro i quali si
trovano a rivestire il ruolo di educatori e pedagoghi. Le grandi produzioni letterarie
sono quindi incentrate sull’infanzia, parlano dell’infanzia. Perciò, i ragazzi sono
soggetti passivi degli scritti. Un esempio per tutti, l’Emile di Rousseau. In Italia, al
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contrario di ciò che avviene in Europa, il romanticismo attecchisce solamente tardi e la
figura del bambino in quanto essere sociale con capacità di agire non riveste nessun
ruolo importante. Oltre alla scoperta della figura dell’infante, in Europa gioca un ruolo
molto importante il fatto che, nell’Ottocento, la scolarizzazione è un fenomeno più
diffuso rispetto all’Italia e quindi la fetta di pubblico che può accedere ai libri è
maggiore.
In Europa compaiono quindi riscritture del Don Chisciotte, de I viaggi di Gulliver,
delle fiabe di Perrault, dei fratelli Grimm e di libri nati appositamente per un pubblico di
bambini, quali i testi di Carroll, Andersen e Alcott. Per quel che concerne i pochi testi
apparsi in Italia nel corso dell’Ottocento, oltre a Pinocchio e Cuore, possiamo ricordare:
Giannetto (1837) di Parravicini, I Racconti per i giovanetti (1852) di Pietro Thouar e Le
memorie di un pulcino (1875) di Ida Baccino. Tutte opere che tendono a farsi portatrici
di valori morali extraletterari – conformismo, sacrificio, obbedienza, rispetto – piuttosto
che costituire un testo da leggere per puro piacere
3
.
Collodi si rende quindi ambasciatore di una nuova letteratura per l’infanzia che ha
lo scopo di ammaestrare il lettore divertendolo; di conseguenza, la narrativa per
l’infanzia si arricchisce di una libera invenzione creativa di cui molto spesso i narratori
abusano, ma “ben saldi rimangono i legami con determinate verità ritenute indiscutibili
e largamente condivise a livello sociale” (Spinazzola 1997, 23). Per poter divertire il
pubblico di bambini l’autore ha bisogno di compiere un processo di regressione alla
propria infanzia. Questo è necessario per poter riprodurre l’ingenuità, la furbizia e la
freschezza caratteristiche dei bambini. Questo viaggio verso un mondo particolare e
dotato di propri princìpi avviene però senza abbandonare il tesoro di esperienza che lo
scrittore ha accumulato nel corso degli anni e che si rivela essere il pozzo a cui attingere
ogniqualvolta dispenserà giudizi morali o avvertimenti.
A differenza dei contemporanei europei che scrivono romanzi ambientati in
contesti sociali chiusi come le classi dell’alta nobiltà – basti pensare a Incompreso
3
A proposito di testi scritti per il divertimento di un pubblico di bambini, bisogna ammettere che già nel
Seicento erano stati fatti i primi tentativi. Infatti, la prima pubblicazione ipoteticamente rivolta ai bambini
è il Pentamerone. Lo cunto de li cunti, overo lo trattenimento de peccerille (1634) del napoletano
Cavalier Giovan Battista Basile che, per la sua struttura a cornice dove raccoglie cinquanta fiabe
raccontate in cinque giorni da dieci anziane donne, si rifà al Decameron di Boccaccio. Quest’opera è stata
fonte d’ispirazione di molti scrittori successivi tra cui i fratelli Grimm e Perrault. Quest’ultimo, con la sua
Cenerentola, riscrive il quinto racconto di Basile – la gatta Cenerentola – che verrà successivamente
tradotto da Collodi in lingua italiana.
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(1869) di Florence Montgomery o a Il piccolo Lord (1886) di Frances Burnett – gli
scrittori italiani rendono personaggi dei propri testi ragazzi appartenenti alle più diverse
classi sociali, ovvero tendono a costruire le loro storie attorno a ragazzi di estrazione
sociale bassa, contadina o artigiana, o di estrazione borghese. Quindi, il contesto sociale
in cui si svolge la narrazione è un contesto aperto all’incontro tra usi e condizioni
economiche diverse. Ciò è dovuto alla volontà di sensibilizzare i lettori sulla vita dei
loro coetanei più svantaggiati. Il messaggio che, infatti, trapela dai testi per l’infanzia
sembra essere il seguente:
L’Italia che i vostri genitori hanno costituito non è ancora il migliore dei mondi possibili, ma
migliorerà se voi ragazzi condividerete volentieri gli impegni fattivi che ogni buon cittadino non
può non accettare (Spinazzola 1997, 23).
Le opere italiane possono essere, quindi, considerate come testimonianze dei
valori borghesi che caratterizzano la società dell’Italia post-risorgimentale; l’adesione a
valori positivi che porta al cambiamento non solo interiore, ma anche delle istituzioni
sociali. Nel romanzo Pinocchio ciò è sottolineato – come evidenzia Gérard Genot
(1975) – dalla presenza di una giustizia immanente che ricompensa il bene e punisce il
male: la giustizia che permetterà la trasformazione finale e il lieto fine. In Cuore,
invece, tale compito è svolto dai racconti mensili che il maestro detta agli scolari e che
hanno come protagonisti ragazzi di diversa provenienza regionale che compiono gesti di
immenso eroismo o, in alternativa, sono incentrati su temi tipicamente borghesi quali lo
studio, il lavoro, il merito, il patriottismo, il rispetto della gerarchia, dell’onore e della
dignità.
1.1.2. Una grande tradizione orale
Per i bambini e i ragazzi, totalmente analfabeti, e i membri delle classi meno abbienti è
presente una grande tradizione orale di teatrini e spettacoli di saltimbanchi che,
quotidianamente, animano la vita dei paesini sparsi sulla penisola. Su tutto il territorio
nazionale è molto diffusa l’usanza di allestire spettacoli con la funzione di criticare
situazioni croniche di ingiustizia e di parodiare le classi dirigenti o benestanti. Si tratta
di spettacoli di basso livello culturale incentrati sulla burla, sulla sfida alla morale, con
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una trama molto semplice e prevedibile e un linguaggio fresco e quotidiano, depurato da
ogni espressione aulica o formale, e organizzato in una sintassi elementare ricca di
coordinate e giustapposizioni; in generale, è possibile trovarvi tutti gli elementi
caratteristici dell’oralità. Oltre agli spettacoli in piazza è consuetudine, per le famiglie
benestanti, allestire teatrini in casa. Data la grande influenza che esercitano gli spettacoli
in piazza sulla popolazione, Napoleone, al suo arrivo, decide di vietare qualsiasi
rappresentazione. Oltre alla parodia del contesto socio-politico, è ancora in uso la
rappresentazione di scene a carattere religioso, come l’Annunciazione e la Passione,
all’interno dei luoghi di culto. Esse sono realizzate in piccoli drammi o tramite
marionette per permettere anche alla popolazione contadina analfabeta di conoscere le
Sacre Scritture.
La grande tradizione orale ha le sue radici in un lontano passato e, di seguito, si
ripercorrono brevemente i punti salienti che hanno determinato tale successo. In
Toscana l’uso di modelli ispirati alla tradizione orale trova un terreno molto fertile; basti
pensare alla diffusione che ha avuto la novella: forma di narrazione portata al successo
dal Boccaccio nel suo Decameron (1353). La narrazione orale toscana si diffonde ben
presto nelle zone limitrofe del centro Italia – e in particolare nell’Alto Lazio e in
Abruzzo – dove ha origine il fenomeno del canto a braccio. Come evidenzia Andrea
Cosentino (1998) nella prima sezione del suo libro, questa arte di poetare nasce
dall’incontro della tradizione orale delle popolazioni locali e con il poema cavalleresco
cinquecentesco. Bisogna ricordare che la narrazione, intesa come atto del narrare, e la
teatralizzazione sono insiti e connaturati all’essere umano sin dai primordi della vita.
Già in epoche antichissime l’uomo soleva danzare, travestirsi, preparare sacrifici e
rituali codificati secondo un preciso copione a cui è necessario attenersi. Da ciò si sono
sviluppate le prime rappresentazioni e i rituali collegati alle feste pagane del dio Sole e
del Carnevale che per millenni hanno caratterizzato la vita dell’uomo. Con l’avvento
della cristianità e data l’impossibilità per la curia romana di bandire ogni forma di
rappresentazione pagana, si opta per mutare il significato originale. E così, per esempio,
dalla festa del dio Sole, la più importante, deriva il giorno della nascita di Cristo. Ne
consegue che accanto alle cerimonie e alle solennità circondate da un aurea di sacralità
si diffondono gli spettacoli a tema religioso.
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In epoca medievale, a partire dal XIV secolo con l’affermarsi di queste pratiche, si
cominciano a scrivere i testi degli spettacoli: testi scritti per essere detti e recitati, per
cui la versione scritta contiene tutti gli elementi caratteristici dell’oralità: ripetizioni
frequenti, giustapposizioni, cambi repentini di argomento, riprese e anticipazioni,
riassunti e digressioni oltre a una grammatica flessibile. Col passare degli anni gli
spettacoli non religiosi – che non cessano di essere prodotti nonostante una forte
censura – tornano a guadagnare pubblico e successo. I temi maggiormente usati sono: i
conflitti tra marito e suocera, la donna grassa e la donna magra, campanilismi tra mare e
montagna o diverse contrade, conflitti tra padrone e contadino e comunque qualsiasi
situazione di conflittualità.
Tra la popolazione si diffonde quindi l’usanza del cantare a braccio secondo un
preciso schema; Monica Meini distingue tra cantar di scrittura e cantar di bernesco,
“ossia fra il cimentarsi nel canto su storie scritte da altri autori e la vera e propria
improvvisazione dei temi”. Caratteristiche fondamentali del cantar di bernesco sono,
oltre a quelle classiche dell’oralità, la struttura in versi formata da ottave di
endecasillabi a rima alternata e con i due versi di chiusura a rima baciata secondo lo
schema ABABABCC. Il cantar a braccio si diffonde a partire dall’usanza del Cantar
maggio, una celebrazione della rinascita della natura durante la quale si soleva salutare
la nuova stagione e la rinascita del mondo agreste con l’auspicio di un anno ricco di
fertilità. Il maggio, festeggiato nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio è caratterizzato
dalle maggiolate; i ragazzi con rami di alberi carichi di gemme si recano dalla propria
amata a cantar canzoni. Col passar del tempo la tradizione del cantar a braccio
attecchisce anche nelle feste paesane dove il ramoscello carico di gemme viene
sostituito dall’albero della cuccagna, un palo a cui sono appesi i frutti della terra e del
lavoro dell’uomo. I maggi si diffondono nelle piazze del centro Italia dove, con semplici
allestimenti, vengono cantate le azioni. Basta solo un palcoscenico e un cartello che
indica la localizzazione spaziale e temporale dell’azione che, ogni volta che cambia il
luogo in cui si svolge la scena, è automaticamente sostituito.
I maggiaioli sono caratterizzati da una grande allegria. Vestono in modo colorato,
con cappelli e fiori di carta. Carichi dei loro strumenti musicali si muovono per le vie
del paese. Nel corso del 1800 la Chiesa cattolica cerca di oscurare nuovamente questi
movimenti popolari e pagani, maturando la decisione di dedicare il mese di maggio alla
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Vergine e sostituendo i maggi con la recita del rosario. Oltre alla chiesa, la tradizione
del maggio deve confrontarsi con i movimenti politici, essi stessi bersagli delle
maggiolate. In effetti, per sradicare questa tradizione, i sindacati istituiscono la festa dei
lavoratori.
Regola fondamentale del maggiaiolo, è quella di non mettere in difficoltà gli altri
cantori, bensì permettere un facile sviluppo del testo. Il maggiaiolo, infatti, comincia il
primo verso della propria ottava con la rima precedentemente usata negli ultimi due
versi dal precedente. Nasce quindi un testo che si sviluppa secondo lo schema
ABABABCC CDCDCDEE EFEFEFGG. L’opera di creazione potrebbe proseguire
all’infinito in un continuo intessere di rime e temi.
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1.2. Collodi
Il personaggio di Carlo Lorenzini, detto il Collodi, è abbastanza enigmatico. Egli nasce
il 22 novembre 1826 a Firenze da una famiglia di garzoni presso la famiglia
aristocratica Ginori Venturi. I genitori, Domenico Lorenzini e Angiolina Orzali, si
inurbano poco dopo le nozze per sfuggire dalla loro misera condizione contadina e dalla
quale Collodi è riuscito a riscattarsi in parte “a forza di lavoro e di impegno
intellettuale” (Asor Rosa 1995, 880).
Collodi rimane ben presto orfano di padre; ciononostante, come evidenzia Garroni
(1975, 65-66), questo vuoto è colmato dalla figura del marchese Ginori che si prende
cura dei Lorenzini come se fossero suoi figli. Questa doppia paternità – la stessa che
ritroviamo in Pinocchio – influenza moltissimo la personalità di Collodi.
Egli ha una formazione cattolica che incide fortemente nel processo di formazione
della sua morale che, ben presto, egli stesso definisce laica ma con valori che si rifanno
alle radici cristiane del continente. Inoltre, è un mazziniano convinto ed è importante
ricordare il forte impegno che ha profuso per raggiungere l’Unità; egli si arruola come
volontario per le battaglia di indipendenza del ‘48-‘49, ma questa sua scelta non è
condivisa dall’aristocrazia toscana e da tutti coloro che preferiscono rimanere ben
ancorati alle proprie tradizioni, usanze e soprattutto alla propria lingua. Infatti, Collodi,
tornato a Firenze, si trova senza un lavoro stabile a causa della censura che investe il
suo giornale per opera della restaurazione di Leopoldo II. Successivamente, si arruola
nel Reggimento Cavalleggeri di Novara dell’Esercito Piemontese partecipando così alla
seconda Guerra di Indipendenza con il grado di soldato semplice. Unitarista convinto al
momento del plebiscito (1860) si schiera pubblicamente contro legittimisti, bonapartisti
e autonomisti; scelta coraggiosa in quanto, come afferma Asor Rosa (1995, 881), le
appena citate correnti politiche non costituiscono una piccola minoranza. Terminate le
Guerre di Indipendenza e i moti per unire lo stivale sotto una stessa bandiera, Collodi,
assieme ad un’altra cerchia di scrittori laici, avverte il problema di formare una nuova
generazione che possa prendere le guide dello stato italiano.
Secondo Collodi le nuove generazioni devono essere formate con lo scopo di
abbattere la meschinità e l’ipocrisia presenti nelle generazioni loro contemporanee: gli
atteggiamenti di compromesso, la leggerezza e il particolarismo sono mali che devono
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essere sradicati dalla società. Collodi, è molto critico, nei confronti della classe
dirigente, formata da persone che, giunte ad una condizione borghese, tendono ad
abbandonare i legami con le loro origini sociali disinteressandosi delle condizioni delle
classi meno abbienti. Collodi non fa altro che mettere l’infanzia borghese, e quindi la
futura classe dirigente, di fronte alla situazione reale del proprio paese, ovvero
all’indigenza di una classe povera di contadini e braccianti. Egli si fa portatore della
“più antica e ricca di significati cultura popolare, la cui carica vitale rimane integra,
nonostante ogni tipo di censura” (Marcheschi 1990, 119); egli ne fornisce un quadro
reale senza usare toni filantropici o idealizzazioni sentimentali. Ogni cittadino è
chiamato, quindi, a dotarsi di una grande forza di volontà – quella che salva Pinocchio
alla fine del racconto – per migliorare la situazione in cui si trova la società loro
contemporanea. Collodi ha a cuore la capacità di ogni singolo individuo di sapersi
adattare alle situazioni e di destreggiarsi con la propria capacità di ingegno per avere
successo in ogni sfida che la vita riserva.
Secondo Collodi, la malattia cronica che affligge il cittadino italiano è
“l’ignoranza, come pigrizia dell’intelligenza, che disavvezza a guardare più lontano e
più alto d’un orizzonte di utilitarietà immediata” (Spinazzola 1997, 43). Ciò che è
veramente necessario all’essere umano è la capacità logica di prevedere le situazioni,
capire quelle in cui ci si imbatte e riuscire a gestirle. Questo è possibile solo con un
processo di analisi, con l’introspezione, e la volontà di riuscire: processo che non è
stimolato dalla scolarizzazione. Ciò che conta è quindi un insegnamento a vivere e a
sapersela cavare.
La fiducia di Collodi nelle istituzioni pubbliche è nulla. A suo parere, come mette
in evidenza Spinazzola (1997, 39), l’unica istituzione che può formare le future
generazioni è la famiglia con i rapporti interpersonali che in essa si creano: obblighi
morali, debiti di gratitudine e i vincoli con i compagni di avventura o sventura. Come
vedremo successivamente, l’eroe di Collodi, Pinocchio, acquista una sua
autonomia/coscienza nel momento in cui può far affidamento su una famiglia;
Pinocchio comincia a maturare e ad essere consapevole delle sue possibilità nel
momento in cui la casa non è più il luogo da cui scappare per lanciarsi verso nuove
avventure, bensì diventa un rifugio accogliente a cui far ritorno.
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L’organismo familiare all’inizio del racconto è totalmente assente e ciò è
sottolineato, come sostiene Spinazzola (1997, 45), dal declino delle funzioni di
responsabilità della figura paterna di cui si farà carico la figura muliebre della Fata,
portatrice di positività e speranza. Oltre che verso la scuola, la sfiducia dell’autore per le
istituzioni pubbliche è ben visibile in alcuni passaggi dell’opera, per esempio, dal modo
caricaturale in cui sono descritti i Carabinieri e il giudice-gorilla del paese di
Acchiappacitrulli.
Collodi, oltre che dell’attività di giornalista, si occupa della cura di testi scolastici
per le scuole elementari e della redazione di racconti di evasione per i ragazzi. Egli
crede nell’infanzia come periodo di autonomia e libertà, come bisogno di indipendenza
e voglia di deviare dalla norma. Collodi guarda sia all’infanzia polare – condannata a
vivere una condizione di miseria e di esclusione sociale – che a quella borghese –
invischiata nel formalismo e precettismo – in un modo totalmente nuovo e non più
strettamente precettistico come avevano fatto sin a quel momento i suoi predecessori, da
Giovanni Bosco a Pietro Thouar.