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Introduzione
Il maestro esiste ancora?
“Che cos’è un maestro? Ebbene voglio
dirtelo io: non è un tipo che insegna qualcosa,
bensì colui che ispira l’allievo a dare il meglio di sé
per scoprire ciò che egli stesso ha appreso da tempo”.
P. Coelho
Potrebbe sembrare strano intitolare un paragrafo con il termine al maschile
“maestro” poiché nel linguaggio comune, quando ci si riferisce alla professione
di insegnante di scuola dell’infanzia (già materna) o di scuola primaria (ex
elementare), si tende molto spesso ad usare il vocabolo al femminile: “La
maestra di mio figlio” oppure, “Le maestre mi hanno detto” o ancora,
“Ringraziamo le maestre per il loro lavoro” e così via. Nel tempo presente
quando ci si riferisce al lavoro dell’insegnante (maestro/a) risulta più consono
declinare i termini al femminile e non potrebbe essere altrimenti, poiché sia
nella scuola dell’infanzia che nella scuola primaria italiana (ed europea), la gran
parte dei docenti è di sesso femminile. La femminilizzazione del corpo docente,
iniziata qualche anno orsono ed in continua crescita, è un dato di fatto, un
evento di cui prendere atto. Risulta essere così lampante da arrivare ad essere
“invisibile” come egregiamente esprime Mapelli (2012): “Questa assenza
maschile nella formazione universitaria che prelude a professioni educative e di
cura l’ho spesso definita un’evidenza invisibile
1
, per sottolineare come la sua
permanenza abbia sempre rischiato di opacizzarla, renderla invisibile appunto
come un fenomeno così naturale, così sotto gli occhi di tutti da non riuscire più
a essere visto.” (p.11)
1
Il grassetto è mio.
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Il maestro o la maestra?
La definizione di maestro espressa dallo Zingaretti 2014
2
è: “dal latino
magistrum, da magisteros, comp. di magis più e il suff. –tero che indicava
opposizione fra due; il magister era dunque “il più forte, il maggiore, in
contrapposizione a un'altra persona o a un gruppo di persone”. Si trova poi,
come seconda definizione quella che più interessa: “persona che, con
l’insegnamento, gli scritti e sim. eccelle in una determinata disciplina, tanto da
essere in grado di insegnarla agli altri. Insegnante di scuola primaria” (terza
definizione) (p.1302). Il maestro di scuola dell’infanzia non viene neanche
citato. Ci sono i maestri spirituali, di ballo, di musica i maestri artigiani e così via
ma nessuna delle molteplici definizioni di maestro contemplano la figura
dell’insegnante maschio di scuola dell’infanzia. Non è così invece, se si legge la
definizione di maestra dallo stesso vocabolario: “donna che impartisce le prime
fondamentali nozioni di qlco.: m. di scuola dell’infanzia (o m. d’asilo, m. di
scuola materna), insegnante della scuola di grado preparatorio alla scuola
primaria, per bambini dai tre ai sei anni” (p.1302). Forse gli autori dello
Zingaretti non sanno che la scuola materna statale istituita con legge 444/68
3
prevedeva al suo esordio solamente docenti di sesso femminile ma che, già
nove anni più tardi con la legge 903/77
4
apriva agli insegnanti maschi.
Probabilmente quella degli autori del dizionario non è ignoranza ma
semplicemente un adeguamento al tempo che stiamo vivendo e dunque ad
un’accettazione passiva di un fenomeno, del quale l’opinione pubblica ha poca
consapevolezza.
Si discute spesso di quote rose (che si vorrebbero regolamentate per legge)
che avrebbero l’obiettivo di una maggiore presenza di soggetti di sesso
femminile in politica, nelle istituzioni e in quelle posizioni di potere, storicamente
in mano al genere maschile. Senza entrare nel merito della giustezza di una
2
Zingaretti 2014 (versione base).
3
Legge 18 marzo 1968 n.444. Ordinamento della scuola materna statale. Gazzetta ufficiale, serie
generale n.103 del 22-4-1968.
4
Legge 17 dicembre 1977 n.903. Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Gazzetta
ufficiale, serie generale n.343 del 17-12-1977.
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tale legiferazione, si evidenzia che non vi è altrettanta consapevolezza politica e
sociale sul tema, di quelle che si potrebbero definire le “quote blu” nella scuola
italiana. Si dibatte poco della questione, ogni tanto qualche giornale nazionale
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accenna timide argomentazione a favore di una presenza più massiccia di
docenti maschi ma senza che questo diventi poi argomento di dibattito politico o
sociale. I problemi della scuola Italiana (che sono di certo molti), sembrano
essere altri e così, si discute di concorsi, PAS, TFA, diplomi abilitanti e più
recentemente di organico potenziato, albi territoriali, presidi sceriffi e via
dicendo, ma dell’inesorabile femminilizzazione della scuola italiana e delle sue
conseguenze, a parte pochi studi (di cui si darà nota), alcune ricerche e qualche
convegno sull’argomento (dunque sempre a livello scientifico/accademico), vi è
scarsa consapevolezza. È su tale questione che questa tesi vuole mettere
l’accento, cercando di evidenziarne gli aspetti storici, sociologici, politici e
psicologici fondamentali e di mettere in risalto quell’”evidenza invisibile
6
” di cui
parlava più sopra Mapelli.
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Si veda a tal proposito: “La scomparsa del signor maestro”. La Repubblica 18 febbraio 2003. “Se la
maestra perfetta è un uomo”. Ventisettesima ora, Corriere della sera 13 dicembre 2011. “Salvate gli
ultimi prof maschi”. La Stampa 16 marzo 2012.
6
Ibidem
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Capitolo 1
Gli studi di genere: aspetti generali.
1. Breve storia sugli studi di genere
Molte cose sono cambiate da quel lontano 1973 che vedeva pubblicato, per la
prima volta in Italia, un testo che avrebbe presto aperto la strada a intense
riflessioni sull’educazione di genere. Ci si riferisce a “Dalla parte delle bambine”
di Elena Gianini Belotti. L’argomento trattato, che destò scalpore all’epoca,
come accade solitamente con i testi che affrontano in profondità determinate
dinamiche sociali, era “l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione
del ruolo femminile nei primi anni di vita.”
7
Analizzando i comportamenti degli
adulti e successivamente dei bambini già dal momento dell’attesa di un figlio e
poi nelle fasi successive alla sua nascita, l’autrice tracciava una
rappresentazione emblematica e veritiera della società dell’epoca ancora
fortemente ancorata a pregiudizi nei confronti delle donne, alla loro
sottomissione e all’educazione dei figli, differenziata in base al genere di
appartenenza. Dalla lettura di queste pagine risultano evidenti e chiare le
contraddizioni della società dell’epoca (e in parte ancora di quella di oggi) e
l’esclusione dei padri (e degli insegnanti maschi) dall’educazione dei figli
nell’età più precoce. Riferisce l’autrice: “il pregiudizio sostiene che l’uomo non è
portato “naturalmente” alla paternità, ma conquista faticosamente (e neanche
sempre) questa sensibilità trovandosi quasi suo malgrado i figli già fatti; i quali
gli rimangono estranei e incomprensibili finché non giungano a esprimersi in
modo più simile al suo, dandogli la possibilità di entrare in comunicazione con
loro. Così sarebbero i figli già cresciuti a fare di ogni uomo un padre” (p.132).
Non sono esenti da questa visione anacronistica della figura paterna neanche i
7
Sottotitolo del testo.
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legislatori che con l’istituzione della scuola materna nel 1968 parlano “soltanto
di ispettrici, direttrici, insegnanti assistenti di genere femminile” (p.132).
Precedentemente alla pubblicazione in Italia di questo testo poco si era riflettuto
sulla figura femminile, sul suo ruolo all’interno della famiglia e della società o
meglio, si accettavano condizioni sociali e percorsi di vita già segnati per le
figlie femmine rispetto ai figli maschi. La denuncia di tale discriminazione negli
anni settanta del novecento era venuta dal movimento neo-femminista e ciò
aveva portato ad una prima apertura e ad una maggiore presenza di donne
anche nelle scuole. Tuttavia scriveva Evelyn Sullerot (1977), “Molto spesso le
donne sono entrate soltanto là dove gli uomini hanno voluto ammetterle, perché
non hanno più intenzione di difendere questa posizione e si preparano, anzi ad
abbandonarla. Questo mestiere allora, da feudo maschile, accanitamente
difeso, diventerà un feudo femminile: non sempre, dunque, si tratta di una
conquista, ma più spesso addirittura di un abbandono. A condizione però di
lasciare inviolati alcuni altri feudi. L’insegnamento è stato chiuso alle donne per
secoli: oggi abbiamo visto che si femminilizza largamente, salvo che nei gradini
superiori, che conservano ancora il prestigio legato alle funzioni universitarie”
(p.319). Questo ad avvalorare il fatto che la sempre maggiore presenza di
insegnanti femmine nella scuola non sia forse dovuta ad un cambio di
mentalità, ad un passaggio da una società maschilista ad una più egualitaria
ma semplicemente ad una concessione maschile dovuta alla mancanza di
interesse per quello specifico ambito lavorativo.
Decisamente il percorso di emancipazione femminile è stato lento ed in salita e
ad oggi non ancora completato dal tutto. Scrive a tal proposito Simonetta
Ulivieri (2003), “L’educazione e l’istruzione della donna per secoli ha subito
condizionamenti e pregiudizi che ancora oggi in parte (seppure in forme più
velate) permangono. Se guardiamo alla storia vediamo che spesso gli uomini di
opposte tendenze politico/sociali davano delle donne la stessa valutazione
negativa e svalutativa di essere più debole e (quindi) inferiore. Nel nostro
ottocento ad esempio conservatori e democratici, pur militando su diversi
versanti, concordavano sul fatto che della donna, destinata per natura a essere
“angelo del focolare”, fosse più importante educare il cuore della mente, e se
10
proprio le si doveva insegnare l’alfabeto lo si doveva fare solo perché leggesse
libri di preghiere e di devozioni” (p.395). Su questa linea la Gianini Belotti
(1973):
“… mentre il maschio è stato costretto in una forma che non solo gli consente,
ma lo obbliga a manifestarsi e realizzarsi il più possibile, sia pure nella sola
direzione della competizione, del successo, della sopraffazione, la femmina è
stata obbligata a prendere la direzione opposta, cioè quella della non
realizzazione di sé. A causa di questo condizionamento restrittivo, la maggior
parte delle sue energie vitali vengono frenate e bloccate e poi deviate verso un
insano “masochismo femminile,” processo indispensabile, secondo Helen
Deutsch, per il realizzarsi di una “vera femminilità.” Le donne hanno così
distrutto la propria creatività, hanno nascosto e mutilato la propria intelligenza,
si sono immiserite nella ripetizione quotidiana di meschine faccende ,
autodistruggendosi per il “piacere” di porsi al servizio del maschio. La maggior
protezione, la maggior sicurezza è il falso compenso per quanto è stato loro
sottratto. In cambio della rinuncia e della sottomissione, hanno solo ricevuto il
sottosviluppo” (p.178).
Per le donne insegnanti non fu facile nemmeno il ventennio fascista che
ostacolò a più riprese la crescente presenza di docenti di sesso femminile nella
scuola italiana come si evince chiaramente da Ulivieri (1995),
“Una decisa presa di posizione contro il lavoro femminile verrà invece espressa
dal fascismo la cui linea politica era quella di combattere la disoccupazione
maschile dando agli uomini la priorità nell’assegnazione di posti lavoro e nella
stessa retribuzione, e cercando di impedire un doppio salario in famiglia con
una serie di misure tendenti ad allontanare le donne dal mondo del lavoro. […].
Ad esempio nel 1927 le donne vengono escluse dall’insegnamento delle lettere,
della filosofia e storia nei licei, l’anno seguente si stabilisce che le studentesse
debbano pagare doppie tasse nelle scuole e all’università, inoltre le insegnanti
vengono escluse dai concorsi per la dirigenza degli istituti d’istruzione