VIII
Cosa rappresenta questa immagine (fig.1)? A chi si riferisce? Perché dovrebbe stare in una tesi di
laurea sulla comunicazione d’impresa?
Risposta numero uno: questo è un Glider, che tradotto significa aliante, veleggiatore; è stato scelto
come simbolo degli hacker (risposta numero due), o white hat, da non confondere con cracker, o
black hat. Anche nell’informatica le forze del bene si scontrano contro quelle del male, e quindi,
come i colori dei nomi suggeriscono, white hat sono i buoni, mentre i black hat sono i cattivi. Per
spiegarmi meglio potrei ricollegarmi a quanto detto precedentemente riguardo al film Matrix: il Sig.
Smith è un black hat, invece Neo, alias Sig. Anderson, è un hacker. Cosa distingue i buoni dai
cattivi? In termini semplicistici e riduttivi, i cattivi rubano mentre i buoni esplorano. Esatto,
esplorano. Ciò che spinge un hacker a muoversi tra i sotterranei della rete è la sua curiosità, la sua
smania di trovare nuove e più evolute soluzioni. Quando le trova, le fa sapere al mondo intero,
passando le informazioni e mettendole a disposizione di tutti. Forse ci stiamo avvicinando alla
risposta numero tre? Questo flusso d’informazioni si muove nei sotterranei, sottovoce, non è
gridato, non è pedante, non è invasivo: è un flusso a disposizione di chi lo cerca! È un continuo
scambio di informazioni che si completano e prendono strade pressoché imprevedibili…ed ecco che
il Glider entra un po’ più in sintonia con il nostro mondo.
Era il 1970 quando sulla rivista “Scientific American” appariva il Gioco della Vita (più o meno in
contemporanea con la prima apparizione di internet); questo gioco matematico mostra come date
delle semplici regole di cooperazione con l’ambiente circostante sia possibile ottenere delle
situazioni inaspettate e sorprendentemente complesse, del tutto imprevedibili dalle semplici regole
dettate inizialmente. Il Glider, in questo gioco, è la più semplice “forma di vita” semovente e al
tempo stesso la più riconoscibile; una volta partito, esso si evolve continuamente senza mai perdere
di vista la sua coerenza interna e contribuisce alla creazione di situazioni ben più complesse di
quelle di partenza.
Se ogni punto del quadrato fosse una persona? Se ogni azienda fosse un Glider? Il Gioco della Vita
compirebbe il suo corso? Come fluirebbero le informazioni?
Oggigiorno viviamo in una società che ha abbandonato “l'Anciène Regìme” piramidale dei rapporti
interpersonali per tuffarsi nella più democratica struttura delle Polis greche: la rete. Ma, tuffarsi
nella rete, penserete, può apparire alquanto ambiguo, perché un pesce che si tuffa nella rete non
credo ne tragga giovamento, né tantomeno chi nella rete ne rimane incastrato, o ingarbugliato! Sono
possibili pericoli, ma non sta a me giudicare se sia più pericoloso tuffarsi nella rete o starne fuori;
anche fosse, ciò esulerebbe dal nostro racconto...tesi...saggio...Guardatevi “Matrix” dei fratelli
Wachowski, se volete qualche spunto da cui far partire le vostre riflessioni in merito.
IX
La rete, dicevamo, una rete in cui non v'è, teoricamente, un punto di partenza, e in cui, al contrario,
tutti sono punti di partenza. Viviamo in un epoca dove il flusso caotico decantato dal Nietzsche
maturo ha preso il sopravvento sulla presunta razionalità socratica della Matrix:
“…il volgo separa il fulmine dal suo bagliore e ritiene quest’ultimo un fare, una produzione di
soggetto,[…]. Ma un tale sostrato non esiste: non esiste alcun “essere” al di sotto del fare,
dell’agire, del divenire; “colui che fa” non è che fittiziamente aggiunto al fare – il fare è tutto. Il
volgo, in fondo, duplica il fare; allorché vede il fulmine mandare un lampo, questo è un far-fare:
pone lo stesso evento prima come causa, e poi ancora una volta come effetto di essa”.1
Parliamo di fulmine che lampeggia, ma fulmine e lampo sono realmente due entità distinte? Questa
distinzione tra colui che fa e ciò che viene fatto, pietrificata nel nostro linguaggio, è alle origini
della scissione tra apparenza e realtà. Non riusciamo, grammaticalmente parlando, a fissare
univocamente i due concetti: c’è inesorabilmente bisogno di un facente e di un fatto. Una persona è
ciò che è e ciò che fa, perché il fare è insito nell’essere, noi invece tendiamo a far-fare agli esseri,
ma, “il mondo è un flusso caotico e insensato di divenire: essere reali, essere parte del mondo,
essere parte del flusso, è apparire. L’apparenza non maschera la realtà, l’apparenza è la realtà. O
meglio, ora potremmo anche liberarci di questa dicotomia e parlare di flusso.2
Se è vero che il Pc è un tentativo di riproduzione del cervello umano, e se è vero anche che per fare
un Pc ci vogliono tanti cervelli umani, e se internet non è altro che il modo in cui i suddetti tentativi
di riproduzione si mettono in contatto tra loro, allora, forse, è vero anche che internet è un tentativo
di riprodurre le strutture e le dinamiche sociali contemporanee.
…LA SOCIETÀ DEL POSTMODERNO…
In questo lavoro spazierò tra le più recenti teorie sulle dinamiche sociali di consumo e relazionali,
passando in rassegna le diverse discipline in merito: sociologia dei consumi, psicologia sociale,
socioeconomia e consumer behaviour, con l'intento di far emergere alcuni elementi costitutivi del
sociale che vadano a supportare l'ipotesi di partenza: viviamo in un flusso caotico, una società
reticolare le cui maglie sono tessute dalle relazioni, connesse attraverso i mezzi di comunicazione e
caratterizzate dai gruppi sociali di riferimento. Tra le teorie sociologiche contemporanee, si parlerà
della Scuola di Birmingham e di Michel De Certeau, di Egeria Di Nallo, Lipovetski, Featherstone,
Lee e Bauman. Questi studiosi hanno messo in evidenza come il consumatore non possa più essere
considerato passivo, come esso sia attratto da situazioni emozionalmente coinvolgenti e come esso
metta in atto dei processi di significazione propri e come ne cerchi la condivisione nel gruppo di
1
Nietzsche F., Genealogia della morale, prima dissertazione, sez 13, Adelphi, , Milano, 1984, p. 84
2
Conrad M.T., I Simpson e la filosofia, “Così parlò Bart”, Isbn Edizioni, Milano, 2005, p. 79
X
riferimento. Si parla di estetizzazione della vita quotidiana, di creazione di un pubblico in grado di
fruire di esperienze estetico-intellettuali più vasto, si chiama in causa la forma-pubblicità,
erigendola come forma di linguaggio che sottende tutte le altre. Il consumo diviene linguaggio, il
bisogno diviene capriccio e il consumatore diviene spia: parte di un intelligence che si muove
tatticamente tra i meandri strategici consumistici.
…L’IMPRESA E LE PERSONE…
Dopo aver passato in rassegna le teorie sulle strutture e dinamiche sociali, passerò a discutere delle
nuove tendenze del marketing e della comunicazione d’impresa, enfatizzandone il lato
umano/relazionale. Parlerò di marketing emozionale, marketing sensoriale, marketing esperienziale
e marketing relazionale, per sfociare, nel capitolo seguente, alle forme più inconsuete di marketing,
il cosiddetto marketing non convenzionale.
Per quanto riguarda il marketing emozionale, cercherò prima di tutto di spiegare cosa siano le
emozioni e come si manifestino, per poi passare a trattare le scienze che se ne occupano: la
neuroscienza, la psicologia e gli studi sull’intelligenza artificiale. Tutte queste discipline
concordano sul fatto che le emozioni siano importanti in quanto contribuiscono a fissare
maggiormente i ricordi nella mente del consumatore, ovvero sono uno strumento efficace per fare
breccia nella memoria di ognuno. Nello sviluppo di questo percorso, si parlerà del continuum
emozionale, di inconscio adattivo, delle componenti che contribuiscono a creare un’esperienza
emozionale, di robot che provano emozione e di teorie futuristiche sulla possibilità di passare da
una condizione umana a una post-umana.
Successivamente cercherò di spiegare i principi dei processi di memorizzazione, parlando del
funzionamento della memoria a breve e a lungo termine e di tutti gli altri sistemi che contribuiscono
a rendere vivo un ricordo, tra i quali, di grande importanza, il sistema di supervisione
dell’attenzione.
A questo punto mi dedicherò agli incroci tra le suddette teorie e il marketing, parlando dei luoghi
della shopping experience, di design emozionale e di come costruire una marca emozionale. I punti
vendita si trasformano in luoghi dove il vendere/comprare diviene secondario rispetto alla cattura
dei sensi, i prodotti si fanno piacevoli, sensorialmente e integralmente coinvolgenti, mentre le
marche comunicano emozioni piuttosto che altro.
Considerata l’importanza della sensorialità nell’esperienza di consumo, alla fine del secondo
capitolo passerò in rassegna i diversi marketing volti a coinvolgere i sensi: marketing visivo,
marketing uditivo, marketing olfattivo, marketing gustativo e marketing tattile.
Il marketing visivo verte principalmente sull’estetica dell’esperienza, dal prodotto al punto vendita,
dai colori alle forme, fino alle luci.
XI
Il marketing uditivo si concentra sullo sfondo, sull’influenza che la musica e i rumori hanno nella
fruizione di un prodotto o servizio e nell’esperienza dell’atto d’acquisto.
Il marketing olfattivo è di grande importanza in quanto, rispetto ai due precedenti, colpisce
l’emisfero destro del cervello, cioè quello emotivo, fissando in modo più profondo il ricordo e col
potere di suscitare emozioni disperse nei meandri della memoria.
Il marketing gustativo offre l’opportunità di vivere esperienze esotico-etniche pur rimanendo
ancorati tra i propri paesi natali, e anch’esso stimola principalmente l’emisfero meno razionale
dell’uomo.
Infine, il marketing tattile, che punta a soddisfare uno dei primi bisogni dell’essere umano: il
toccare. Appena nato, un bimbo, prima di sviluppare la vista, procede toccando, cercando sicurezza
e protezione. Il tatto rappresenta, quindi, un istinto primordiale dal quale non ci si può esimere se si
vuole offrire al consumatore un’esperienza che sia gratificante ed emotivamente coinvolgente al
tempo stesso.
Esaurito l’argomento emozionale, inizierò a trattare un altro elemento di cui l’uomo ha bisogno: la
relazione. Parlerò, dunque, di marketing relazionale, e, nello specifico, di marketing one-to-one, di
Customer Relationship Management (CRM), e di Web Marketing Management.
Il marketing relazionale, come vedremo, nasce con i rapporti business-to-business (B2B), per poi
estendersi al business-to-consumer (B2C). Esso, come facilmente intuibile, pone al centro del
proprio approccio la relazione, la collaborazione tra le parti. Costruire rapporti duraturi, basati sulla
fiducia, porta a una miglior gestione delle attività che coinvolgono il prodotto/servizio in tutta la
filiera, fino al punto di contatto col cliente.
Pertanto, lo scopo del marketing relazionale è quello di costruire relazioni durature ed efficaci
secondo una logica win-win. Per fare ciò, si rende necessaria un’approfondita conoscenza tra le
parti, che si valuteranno l’un l’altra per ottenere il massimo da ogni singola attività.
Ecco allora che nasce il marketing one-to-one, che mira alla conoscenza di ogni cliente e alla
stesura di un marketing mix specifico per ciascuno di essi, con l’obiettivo finale di farlo sentire
importante, o meglio, gradito. Si tende, così, a una personalizzazione totale che comprende sia
l’aspetto della relazione, che quello del prodotto/servizio. Ciò è reso possibile dagli sviluppi
tecnologici dell’era postmoderna, che permettono di elaborare dati ingenti e sempre più complessi e
profondi. Inutile dire che una delle armi a favore del marketing one-to-one risiede nel Web, che
permette di declinare strategie altamente personalizzate a costi minimi, irrisori se si pensa alla
possibilità di colpire chiunque e dovunque. Andrò a tracciare i punti fondamentali che dovrebbero
essere presenti quando si sceglie un approccio one-to-one, sottolineando come siano importanti gli
aspetti di valutazione dei bisogni del cliente e di valutazione del cliente stesso.
XII
Dopo aver parlato del marketing one-to-one, proseguirò col trattare una sua “evoluzione”, il
Customer Relationship Management. La differenza sostanziale tra i due approcci consiste in una
valutazione del cliente a livello di valore e di loyalty, concetto che, come vedremo, riunisce in sé
quelli di fedeltà e fidelizzazione. Il CRM punta a costruire relazioni durature e di fiducia col cliente,
ma non solo, mira anche alla sua fidelizzazione, che consiste in una sorta di fedeltà assoluta.
Attraverso la valutazione di questi due aspetti si andranno a definire delle categorie di consumatori,
ognuna delle quali meriterà un diverso trattamento da parte dell’azienda, che, come vedremo, tenta
di massimizzare il suo rapporto con in consumatori, a differenza del precedente approccio che tende
a una personalizzazione totale della strategia.
Verificata l’importanza di Internet anche nel CRM, indirizzerò la mia discussione su un approccio
che si propone di massimizzare l’apporto del Web nel mix di attività in cui le imprese sono
coinvolte: il Web Marketing Management. Questa prospettiva affianca, alle famose “P” del
marketing ,”4M” nella gestione delle attività in Rete: massa, maneggevolezza, monitoraggio e
matrimonio.
La prima va intesa come mass customization, ossia personalizzazione dell’offerta; la seconda
introduce i concetti di chiarezza e facilità nella resa dello strumento; la terza spiega l’importanza dei
feedback, perché, come noto, “sbagliando s’impara”; la quarta mette in evidenza lo scopo di
un’azione di Web Marketing Management, ovvero la relazione, che deve essere sincera, sicura e
trasparente.
Alla fine del capitolo tratterò un fenomeno molto diffuso nella comunicazione d’impresa
postmoderna: la comunicazione etica. Vedremo come i valori postmoderni di coerenza e
trasparenza debbano essere presi in considerazione nel progetto di senso della marca (nel senso che
devono essere fatti propri). Esporrò il concetto di cittadinanza di marca e di marca cittadina, con
tutti i risvolti organizzativi e strategici che quest’ottica impone.
…BUZZAPAROLA…
Trattata la parte introduttiva, giungeremo quindi al nocciolo del lavoro.
Il capitolo terzo descriverà le nuove tipologie di marketing che si sono sviluppate per far fronte al
cambiamento della società. Questi tipi di comunicazione d’impresa, perché di tale si tratta, tendono
a coinvolgere tutte le attività aziendali al fine di generare passaparola positivo.
Andremo ad indagare sulle forme che maggiormente si sono imposte di recente: il marketing virale,
il marketing tribale e guerriglia marketing, seguendo un percorso proposto dal blog
NinjaMarketing.it, vero e proprio guru del marketing non-convenzionale. Il percorso si sviluppa in
dieci tappe, principi, che i teorici hanno steso al fine di essere il più completi possibile
nell’implementazione strategica d’impresa e affinché si formi una sorgente di passaparola.
XIII
Vedremo quali caratteristiche sono necessarie perché il messaggio risulti virale e appureremo che
questo avviene quando esso è straordinario, nel senso di fuori dall’ordinario; altro punto importante
per declinare un piano di viral marketing è il tenere presente la passione di una nicchia, cosicché,
come vedremo, essa si farà ambasciatrice del prodotto/servizio commercializzato.
Riprenderemo i concetti di fidelizzazione, di loyalty e legame relazionale tra marca e consumatore
per indicare i metodi su cui far leva per ottenere una tribù di utenti attraverso cui co-evolvere e
creare equity per l’impresa e soddisfazione per il partner.
Dopo aver parlato della tendenza all’entertainment nell’esperienza di consumo e nella pubblicità
(advertainment) citerò le tecniche più diffuse di guerriglia marketing tra adesivi, eventi e cavalli di
Troia. Anche qui, spiegherò gli aspetti salienti di ognuna di esse, perché abbiate un quadro
abbastanza completo sull’argomento e perché vi incuriosiate per andare oltre.
Nel decalogo (i dieci punti) troverete riferimenti al cambiamento del Web, approfonditi rispetto ai
capitoli precedenti, e al cambiamento dell’ottica con cui si guarda al consumatore, con appunti sul
societing e sulla comunicazione etica e trasparente.
Finiti di trattare i suddetti punti entreremo nel vivo dell’argomento. Esporrò le motivazioni che mi
hanno spinto a dare questo titolo alla mia tesi e attraverso esempi pratici andrò a definire le tre leggi
del word-of-mouth: la legge dei pochi, il fattore presa e il potere del contesto.3
Con la legge dei pochi impareremo che ci sono delle persone “speciali” più portate di altre a passare
parola. Queste sono i “Connettori”, gli “Esperti di Mercato” e i “Venditori”.4
Con la legge del fattore presa impareremo che sono i dettagli a fare la differenza e che essi sono in
grado di far nascere una passione presso un gruppo che successivamente si nutrirà di essa nel
condividere le proprie esperienze.
Con la legge del potere del contesto approfondiremo sia il concetto di gruppo (e vedremo come
questo influenzi i comportamenti delle persone) sia quello che dalle piccole cose possano derivare
grandi cambiamenti, prendendo in prestito la “teoria delle finestre rotte” elaborata nell’ambito della
criminologia.
Viste le leggi che regolano il processo di passaparola andremo ad elencare degli accorgimenti da
considerare nella comunicazione integrata d’impresa che condurranno a un passaparola positivo. Si
tratta di consigli riguardanti l’importanza della qualità del prodotto, unita alla qualità dei servizi
offerti, uniti all’importanza di incanalare le voci interne, di placare l’ira dei clienti scontenti, di dare
il buon esempio (soprattutto se si è il boss), di coltivare e premiare quelli che Wilson chiama
Campioni5 (e che il CRM definisce Diamanti), di superare continuamente le aspettative delle
persone con le quali ci si rapporta, di ricordare che le cose semplici solitamente funzionano meglio
3
Gladwell M., Il punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti, Bur, Milano, 2006, pp. 21-37
4
Ibidem. pp. 39-105
5
Wikson J.R., Marketing Passaparola, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 51-73
XIV
di quelle complesse e, non per ultimo, di considerare il fatto che ogni 3 persone che parlano bene di
voi, ce ne sono 33 che sono pronte a raccontare una storia dell’orrore sul vostro conto. Seguendo
questi appunti riuscirete probabilmente a ridurre il divario ma resta comunque il fatto che dovreste
mirare a disinnescare le 33 bombe che costituiscono un pericolo per la vostra reputazione.
Infine, considerato che in economia contano i fatti e non le parole, prima di affrontare il caso
aziendale vi parlerò di uno strumento che oggi è l’unico considerato in grado di valutare il valore
del passaparola: il Net Promoter Score.6 Questo è importante perché è riuscito a introdurre, dopo
molte ricerche svolte in Usa e Gran Bretagna, un’unità di misura del word-of-mouth (il WOM) e
quindi rende comparabile i diversi fiumi di parole che coinvolgono imprese e settori diversi.
Un grado più o meno alto di WOM determinerà una crescita più o meno elevata nelle vendite, nelle
performance azionarie e/o nella produttività, a seconda delle persone cui si rivolge la domanda
fulcro su cui si basa il calcolo del WOM: “Su una scala da 1 a 10, quanto raccomanderesti questo
brand ad amici e colleghi?”.
Per riassumere quanto detto esporrò un nuovo format di comunicazione d’impresa denominato
Total Business Communication.7 Questo paradigma innovativo presuppone l’assunto del “non si
può non comunicare” e vede “un media in ogni attività d’impresa”, dai prodotti ai flussi
comunicativi nell’organigramma, dai servizi post-vendita alla responsabilità sociale. Grazie a una
coordinazione e un’integrazione delle funzioni aziendali è possibile ridurre i “rumori” che
intercorrono tra emittente e ricevente nel percorso del messaggio ed è verosimile che ne possa
scaturire una reputazione positiva.
… IL CASO GRUEMP…
La case history vuole essere a supporto di quanto detto finora in quanto credo riassuma nelle
proprie attività aziendali gran parte dei principi esposti nei capitoli che verranno.
Innanzitutto, è un’impresa che si occupa di formazione, sia a livello personale che aziendale.
Oggi la formazione personale in Italia ha è un settore in continua evoluzione al quale spesso sono
erroneamente affiancati concetti di setta o di circolo chiuso.
Proprio poco tempo fa Gruemp è finita in mezzo a tale polemica, uscendone però a testa alta, come
sottolineato dal programma “Terra” di Canale 5.8 Prendendo dunque le distanze da ogni accezione
negativa, Gruemp mixa le teorie del Total Quality Management e del Kaizen con le più avanzate
metodologie di comunicazione integrata d’impresa e Total Business Communication, ponendosi
come anello di congiunzione tra le filosofie orientali e occidentali.
6
Coda B.-Giordano A.-Pallera M., Marketing non convenzionale. Viral, Guerrilla, Tribal e i 10 principi fondamentali
del marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, p. 116-122
7
Ferrari L.-Ruotolo M.-Vigliani R., Da target a partner. Un nuovo paradigma di comunicazione per il successo
dell’impresa, Isedi, Novara, 2006, pp. 181-183
8
Furono presentati dei casi di psico-sette e Gruemp è emersa, distaccandosene totalmente, essere quella dolce realtà
trasparente di cui la formazione si nutre.
XV
L’attenzione della qualità a ogni livello unita all’attività di miglioramento continuo (che in
Giappone è nota come Kaizen) ha portato l’azienda al conferimento di numerosi attestati di
certificazione quali Rina e ISO 9001.
Gruemp, come dicevamo, padroneggia molti dei principi che prossimamente incontreremo:
tratta i clienti prima di tutto come persone, tanto che li chiama Clienti-Amico (con la A
maiuscola!);
gestisce la relazione con i clienti-Amico secondo i principi del marketing relazionale e one-
to-one, cercando di fidelizzarli e di co-evolvere con loro tramite il continuo monitoraggio
dei feedback;
stimola i propri Clienti-Amico coinvolgendone i sensi, sia mentre partecipano ai seminar
formativi sia successivamente.
presenta un sito Internet all’avanguardia, nel quale si possono trovare tutte le informazioni
utili e dove si può dire che regni la totale trasparenza;
utilizza come principale motore comunicazionale il passaparola, avvicinandosi all’idea di
permission marketing9 di Seth Godin;
segue la recente tendenza dell’etica della comunicazione proprio per il fatto che il
passaparola, per Gruemp, è spassionatamente gratuito, non retribuito. Tra i Clienti-Amico il
word-of-mouth è chiamato “passare il favore”.
…L’INDAGINE…
A supporto di quanto detto, è stato somministrato un questionario ad un gruppo di riferimento di
406 clienti Gruemp che hanno partecipato agli incontri T1 nei mesi di giugno e luglio. Attraverso
tale questionario, composto di 24 domande chiuse e 1 domanda aperta, si sono volute ricercare le
eventuali correlazioni tra i seguenti aspetti:
Customer satisfaction
Percezione del bisogno di relazione
Referenza attiva
Il gruppo preso in esame, come si può notare dai grafici, è decisamente eterogeneo e considerando
la media dei clienti attivi (circa 1000) rispetto ai clienti totali di Gruemp (circa 3000) possiamo
affermare che rappresenti quasi il 50% dei clienti utili ai nostri scopi.
Alle persone cui è stato sottoposto il questionario sono stati richieste anche informazioni personali
quali: età, professione, titolo di studio, livello di seminar Gruemp , partecipazione ai servizi di
contorno offerti e anno di iscrizione al primo corso; il tutto con finalità di rilevare eventuali
interessanti incroci favorevoli alla nostra causa.
9
Godin S., Permission Marketing, Alchera Words, Milano, 2001
XVI
Nella fase di omogeneizzazione dei dati ho ritenuto opportuno determinare le seguenti classi di
professione (fig.2): imprenditore, artigiano, consulente, agente di commercio, libero professionista,
commerciante, impiegato, operaio, manager, insegnante, studente, pensionato e casalinga (a dire la
verità la classe “casalinga” è stata inaspettatamente considerata solo dopo un primo e rapido
spoglio, inaspettatamente poiché non considerata a priori); tali classi sono state suddivise in 3
macro-categorie: lavoratori indipendenti, lavoratori dipendenti, non lavoratori.
Per la categoria dei lavoratori dipendenti s’è fatto riferimento alle classi contenute nel diritto del
lavoro, conglobando “quadri” e “manager” in un’unica categoria “manager” per motivi di
semplicità di inserimento dati e per rilevanza maggiore di questa categoria nel risultato
dell’indagine. La categoria dei lavoratori indipendenti, invece, è stata studiata ad hoc dopo un
veloce spoglio delle professioni indicate nei diversi questionari e si è cercato di ottenere
un’eterogeneità che potesse aggiungere valore al lavoro finale. Infine, la categoria dei non
lavoratori, comprensiva di studenti, pensionati e casalinghe, ha completato il quadro dei clienti
rendendo così l’indagine ancor più ricca di punti di vista. In realtà, “non lavoratori” è lievemente
fuorviante, poiché tutti sappiamo come il “fare la casalinga” sia un mestiere piuttosto impegnativo
(di recente entrato nelle considerazioni del diritto) e come molti studenti svolgano dei lavoretti
saltuari, ma abbiamo ritenuto opportuno dividerli dagli altri per maggior completezza e chiarezza.
Per quanto riguarda l’omogeneizzazione dei dati riguardanti i titoli di studio, sono stati considerati i
seguenti: scuola primaria, licenza media, qualifica professionale, diploma, laurea, altro. La
suddivisione è abbastanza intuitiva, in quanto segue il percorso di studi proposto dal sistema
scolastico nazionale; scuola primaria e licenza media sono stati inseriti perché è di recente
introduzione la legge che allunga la scuola dell’obbligo a 16 anni, mentre una volta
l’alfabetizzazione poteva fermarsi alle scuole elementari e l’arrivo al conseguimento di una laurea
era assai faticoso, dispendioso e secondo me molto più lusinghiero rispetto ai giorni nostri. Credo
LAVORATORI DIPENDENTI
IMPRENDITORE
ARTIGIANO
CONSULENTE
AGENTE DI
COMMERCIO
LIBERO
PROFESSIONISTA
COMMERCIANTE
LAVORATORI INDIPENDENTI
IMPIEGATO
OPERAIO
MANAGER
INSEGNANTE
STUDENTE
PENSIONATO
CASALINGA
NON LAVORATORI
Fig. 2
XVII
infatti che ci sia una sorta di “inflazione di laureati”, dovuta alla infinita quanto infinitesima
specializzazione progressiva richiesta dalla nostra società.
Ma torniamo a noi, alla fine della fase di omogeneizzazione dei dati, è seguita la lunga fase di
“inputtazione” e successivamente mi sono cimentato in esecuzioni di fantasiosi grafici e possibili
incroci, procedendo cercando correlazioni tra le variabili, al fine di ricavare dati rilevanti e
piacevolmente curiosi, di cui vi renderò partecipi a tempo debito.
Nell’analisi dei dati ho seguito questo percorso di tre tappe, con un livello di profondità che
aumenta tra la prima e l’ultima:
Analisi delle frequenze
Analisi delle correlazioni
Analisi fattoriale
Per quanto riguarda le frequenze, ho preso in considerazione tutti gli item per ciascuna delle tre
macro-aree d’indagine e ho proceduto con il commento dei risultati ottenuti.
Per quanto riguarda le correlazioni tra variabili sono state riportate quelle che secondo il metodo di
Pearson10 hanno ottenuto i più elevati punteggi.
Infine, per quanto concerne l’analisi fattoriale, sono stati definiti e spiegati i gli assi (o fattori)
emersi e successivamente questi sono stati incrociati con le variabili indipendenti (utilizzate per la
descrizione del campione in esame). Saranno riportati solo quegli incroci significativi che hanno
superato il test ANOVA (Analisys of Variance)11 al fine di essere il più meticolosi possibile e di
ottenere risultati veritieri.
Per tutte le elaborazioni dei dati, dalle frequenze all’analisi fattoriale, è stato utilizzato il programma
di elaborazione statistica dei dati SPSS 13.0.
…IPOTESI DI PARTENZA…
Un'elevata customer satisfaction, derivante da un'elevata percezione della qualità dei servizi offerti
e da un elevata soddisfazione dei risultati ottenuti, sostenuta dalle attività (di comunicazione e non)
aziendali, porta alla diffusione dei messaggi in modo coerente. Ciò crea reputazione positiva e
contribuisce alla crescita dell'equity dell'impresa, in un settore come quello della formazione in cui
prevalgono l'elemento umano e gli aspetti relazionali-emozionali!
10
Corbetta P., Metodologia e tecnica della ricerca sociale, IlMulino, Bologna, 1999, pp. 611-616
11
Ibidem., p. 598-599
1
Capitolo 1
LA SOCIETÀ DEL POSTMODERNO
Premessa
Le più attuali teorie sulla società dei consumi convergono quasi in toto sull’affascinante teoria del
flusso caotico di Nietzsche, rimescolata nelle diverse salse: un pizzico di sociologia di qua, una
spolveratina di economia di la, lasciar bollire per un paio d’ore nella psicologia e alla fine otterremo
un brodo semiotico di consumatore, i cui tratti costituenti sono inscindibilmente mixati.
Ciò su cui mi vorrei focalizzare è l’ampia complessità dell’analisi sottesa alla stesura di un ipotetico
quanto mai irreale “MANUALE DEL CONSUMATORE, come fare tombola, bingo, tredici e sei,
scritto ed edito da Lord Chiccongi, Verona, 2008”. Le ricerche di mercato e delle analisi
sociologiche approfondite potrebbero venirmi in aiuto, ma al momento della pubblicazione dei
risultati, l’imperturbabile processo di cambiamento costante cui l’uomo sociale è soggetto, e
oggetto, ha già compiuto quel lieve passo in avanti che potrebbe compromettere l’attendibilità dei
risultati ottenuti. Non sto parlando dell’inutilità delle analisi, bensì della sfuggevolezza del presente,
che mi porta ad istituire una sorta di “panta rei del consumatore”: un soggetto mobile, in un flusso
mobile. La rilevazione di un trend, di un gusto, emergente, paradossalmente si concretizza in un
movimento costante, e quindi, potrebbe essere che ci vengano vendute esperienze appartenenti ad
un gusto giù visto, vissuto; è l’apoteosi del retro e del vintage.
Ecco così infranto il concetto democratico di rete, dove, teoricamente, ogni nodo è un punto di
partenza per nuovi trend, ma, al contrario, la grossa difficoltà nel recepire e/o meglio prevedere tali
trend fa si che le marche decidano, da sole, cosa e come debba essere venduto, declinando nel
tempo le evoluzioni possibili, secondo strategie oculate e pazientemente studiate. Queste mie
dichiarazioni potrebbero essere lette in modo sovversivo, in realtà voglio essere solamente
provocatorio, al fine di esporre in modo non sicuramente fazioso le mie idee in merito agli
argomenti trattati. Probabilmente, appunto, è il consumatore stesso che vuole farsi guidare da entità
“superiori”, è egli stesso che accetta e che venera ciò che gli viene proposto, ed è egli stesso che
propone ciò che egli venera ad altri consumatori, fino al formarsi di subculture e culture, fino a
quando idee contrastanti non vanno a cozzare tra di loro, ed ecco che allora riparte il ciclo, ed ecco
che dai Mods nascono i Casual e i Punk, e nella musica nascono i generi “indie”, e nell’economia
nascono i no-global.
2
È un continuo flusso dalla punta alla base, e dalla base alla punta, un’influenza reciproca che non ha
né un definito né definitivo punto di partenza; più che democrazia, lo definirei caos…e siamo di
nuovo immersi nel flusso caotico.
Per una maggiore chiarezza, e completezza, ora andrò ad illustrare una serie di teorie
contemporanee sul consumatore, dal punto di vista di diverse discipline, quali: sociologia dei
consumi, la psicologia, l’economia e il consumer behaviour.
1.1 Le teorie sociologiche contemporanee
1.1.1 La scuola di Birmingham: subculture di stile
Una delle più grosse rivoluzioni riguardanti il concetto di consumatore è il suo cambiamento di
ruolo da passivo ad attivo e creativo. L’intuizione l’aveva già avuta Marx, ma un vero e proprio
filone di pensiero si è sviluppato nel Novecento soprattutto grazie all’apporto delle teorie della
scuola di Birmingham, dell’omonima università. Gli autori di questa scuola si sono focalizzati sulla
cultura di massa, cercando di metterne in luce gli aspetti salienti; ad esempio, Edward P. Thompson,
in “The Making of the English Working Class” (1963), ha sostenuto la necessità di dover parlare di
culture e non più di cultura al singolare e riteneva la storia un risultato di continui conflitti tra
culture e modi di vita, che si rifanno strettamente alle culture e ai raggruppamenti di classe. Grazie a
questa scuola, la cultura di massa ha cessato di essere un agglomerato di micro-culture per assumere
una forma più dignitosa, paragonabile a quella della cultura alta, dotata di interessi, aspirazioni e
valori estetici specifici.
Il contributo maggiore che questa scuola diede riguardò il ruolo dell’individuo all’interno della
cultura di massa: un soggetto attivo e costruttore di senso. Venne abbandonata l’antica concezione
di consumatore passivo e facilmente manipolabile per la nuova che vedeva nel consumatore un
soggetto critico, creativo, che, nella propria quotidianità, tende a rielaborare secondo i propri fini il
senso delle merci inizialmente dato dalle imprese e dai media. Nello sviluppo di questa teoria fu
fondamentale l’apporto, arrivato in Inghilterra nei primi anni Settanta, del concetto di “egemonia
culturale” proposto nelle teorie di Antonio Gramsci, il quale elevava la cultura popolare al livello
della cultura della classe dominante, cioè le attribuiva la capacità di lottare per il controllo
dell’egemonia culturale, appunto, sulla società. In altre parole, anche la cultura popolare, tramite
un’azione proveniente dal “basso”, sarebbe in grado di influenzare, se non proprio di
“sottomettere”, attraverso le proprie azioni quotidiane, le culture altre, tra cui ritroviamo anche
quella della classe dominante.
Negli anni Ottanta il lavoro della scuola di Birmingham rivoluziona anche la relazione tra individuo
e messaggio, dando origine a un filone di ricerca detto “cultural studies”, che indaga sulla cultura di
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massa e sui consumi. “Il processo di significazione è un processo interattivo”12 diceva Stuart Hall,
direttore dell’università. L’idea base dei cultural studies considerava il testo (qualsiasi testo, quindi
anche un bene di consumo) non come messaggio dal significato dato e precostituito, bensì
prevedeva che esso non fosse altro che una proposta per un destinatario che ne avrebbe dovuto
definire il senso finale. “Il significato del testo nasce, dunque, dal sovrapporsi di un significato del
parlante, di un significato intrinseco (che spesso è una gamma di significati attivabili) e di un
significato dell’ascoltatore”13, perciò possono esserci diverse letture dello stesso testo, a causa dei
diversi codici culturali accettati dai consumatori (da ciò si può notare come l’influenza egemone del
codice culturale dominante venga meno). Sempre Hall ha messo in evidenza come esista un ordine
culturale dominante che tende a imporre le proprie classificazioni, ma anche come vi siano tre
differenti possibili posizioni di lettura dalle quali discendono altrettanti modalità di decodifica:
dominante-egemonica: chi riceve il messaggio lo decodifica attraverso il codice con il
quale è stato codificato dall’emittente;
negoziata: è la più diffusa e non pone in discussione la legittimità del sistema di valori a cui
il codice dominante rimanda, ma contemporaneamente si oppone a tale codice perché
elabora proprie definizioni particolari a livello più ristretto delle situazioni concrete, dunque
è un insieme di elementi di opposizione e di adattamento;
di opposizione: comprende la lettura preferita costruita e proposta, ma ridefinisce il
messaggio all’interno di una cornice di riferimento alternativa.14
Secondo questa teoria, inoltre, il testo è visto come risorsa da utilizzare nei diversi campi della
quotidianità, può essere uno schema interpretativo, uno spunto da cui partire per rielaborazioni
future, un simbolo da utilizzare, anche in modo diverso, in più aspetti della vita di un consumatore.
Tra la vasta quantità di ricerche effettuate, quella che viene maggiormente in nostro aiuto per la
stesura di questo progetto è certamente la ricerca sulla subcultura punk di Dick Hebdige 15. Egli ha
dimostrato come le subculture giovanili siano dei complessi processi di produzione di senso, delle
pratiche significanti, e non dei meri testi isolati pietrificati. Secondo Hebdige ogni subcultura tende
a produrre un proprio personale stile, ed è proprio questo che unifica la svariata serie di subculture,
al di là delle loro evidenti diversità. Per stile s’intende quella coerente molteplicità di elementi
espressivi, siano essi capi d’abbigliamento, piuttosto che musica, piuttosto che rituali di
comportamento, attraverso cui gli appartenenti alla subcultura comunicano tra loro e contribuiscono
12
Grandi R., I mass media tra testo e contesto, Lupetti&Co., Milano, 1992, p. 104
13
Casetti F., Di Chio F, Analisi della televisione. Strumenti, metodi e pratiche di ricerca, Bompiani, Milano, 1998,
p.252
14
Codeluppi V., Manuale di sociologia dei consumi, Carocci, Roma, 2005, p. 85
15
Hebdige D., Sottocultura: il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, 1983