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INTRODUZIONE
1. Concetto di “brutalità poliziesca”.
Gustave Baran, cameriere ed atleta, comunemente noto nel mondo dello sport agonistico come
“Ciclone dell’East Side“, la notte del 22 Giugno 1893 fu arrestato per le strade di New York per
aggressione a pubblico ufficiale. L’ufficiale in questione era John Hodge. Baran, il precedente 11
Giugno era stato violentemente colpito dal medesimo poliziotto attraverso l’uso di un manganello,
fino al cagionamento di frattura di un braccio e lesioni multiple; e, come venne posto a verbale da
parte del rappresentante delle forze dell’ordine statunitense, questa fu la motivazione che
presumibilmente spinse Baran a colpire Hodge una volta intimatogli di dileguarsi la notte del 22
Giugno.
Il caso finì in Tribunale, dove, una volta sentite le parti ed appurato il passato uso di violenza
eccessiva nei suoi confronti, il giudice scagionò l’imputato.
Quando il New York Times pubblicava un articolo riguardante il suddetto fatto di cronaca
1
, di certo
era a conoscenza della grande attualità ed importanza di quella “piaga sociale” rappresentata dalle
innumerevoli violenze di spropositato pleonasmo che affliggevano la società dell’epoca. Quel che
probabilmente la celeberrima testata giornalistica americana non si aspettava, era di divenire il
precursore di una nuova panoramica pubblica mondiale che punta i riflettori sui custodi della
legalità con toni sempre più severi e riboccanti di incredula vergogna, alternata a dolore e
inquietudine, in quanto per la prima volta nella storia adoperò un’espressione tristemente destinata a
riempire le pagine della cronaca nera dell’intero pianeta anno dopo anno fino ai giorni odierni.
Questa espressione è “brutalità poliziesca”.
Con “brutalità poliziesca” si indicano generalmente contesti di violenza sia fisica che psicologica,
repressione, abuso di potere, corruzione, violenze di matrice sessuale, uso eccessivo della forza,
discriminazioni razziali ed altri comportamenti intimidatori, posti in essere dalle forze dell’ordine.
L’utilizzo della forza fisica, per quanto “scomodo” è inscritto nella stessa costellazione
cromosomica di un’istituzione pubblica, come quella delle forze dell’ordine, che assume come
funzione biologica giustificante la sua medesima esistenza quella di assicurare e mantenere la
sicurezza e il rispetto delle leggi per determinare pacifica convivenza per la popolazione di una
società. Ciò sta ad indicare che l’ideale supremo di sicurezza, a determinate condizioni specifiche è
1
L’articolo in questione, pubblicato il 23 Giugno 1893 dal New York Times, è intitolato “Police officers in trouble. Charges against
Policeman McManus by his sergeant”. L’articolo descrive due episodi di violenza eccessiva posta in essere da rappresentati delle
forze di polizia: il caso dell’ufficiale Hodge e quello dell’ufficiale McManus, accusato di aver brutalmente aggredito Micheal Maher,
tipografo di New York.
6
destinato a sopraffare quello di integrità fisica e morale di determinati soggetti che mettono a
rischio quella pacifica convivenza di cui sopra.
Ma come spiegare se ad inficiare questo ameno ideale di pacifica coabitazione sono coloro che per
ufficio sono tenuti al suo rispetto?
Seppur l’uso della forza da parte delle forze di polizia venga strettamente e minuziosamente
stabilito e regolamentato dalle leggi, innumerevoli episodi hanno voluto questi stessi attori sociali
aggirare le norme che definiscono il loro pubblico ruolo ed abusare dei grandi poteri conferiti loro
dall’ordinamento giuridico: che si tratti di “semplici” pestaggi singoli, massive repressioni di grandi
eventi sportivi, veri e propri casi di omicidi o insabbiamenti di episodi che nella loro schiacciante
evidenza possiedano tutto il potenziale per infamare l’onore della maestosa casta delle uniformi,
non si può assolutamente affibbiare la responsabilità di questi vergognosi comportamenti alle
singolari “mele marce”
2
, in quanto spesso e volentieri le operazioni illegali compiute dalle forze
dell’ordine hanno goduto dell’appoggio esterno di alti funzionari dello Stato e della classe politica
dirigente.
2. Riferimenti sociologico-filosofici.
Il manifestarsi di siffatti episodi va “splendidamente” a cozzare con la sociale vocazione che ha
determinato la nascita di una forza di polizia, ovvero la lotta contro il crimine finalizzata al
traguardo dell’ordine sociale per determinare un diffuso benessere sociale che possa permettere alla
popolazione una casa sicura entro i confini di una città altrettanto sicura ed, in ultima
macrosociologica analisi, il rispetto di quel contratto sociale che l’età dell’Illuminismo ho donato
all’umanità come il più bel, ed al tempo stesso, difficile da realizzare, obiettivo sociale. Talmente
difficile che a questo punto ci sembra ragionevole definirlo in termini chimerici.
Quel contratto sociale, che fonda l’istituzione dei moderni ordinamenti giuridici, che vogliono gli
uomini liberi ed uguali, e proprio per questo motivo un pericolo gli uni per gli altri se non avessero
ceduto una porzione della loro libertà ad un entità superiore, un’autorità comune, il cosiddetto
Leviatano
3
di Hobbes, ossia lo Stato, che in virtù di questo supremo scambio, si impegna a tutelare
la sicurezza di tutti coloro che compongono il tessuto sociale.
Questa è la giustificazione della genesi di quello che è stato definito “monopolio della violenza
2
Molto spesso l’informazione mediatica ha fatto riferimento a questa “teoria delle mele marce” intendendo la presenza di singolari
personalità all’interno del “cesto” dalle caratteristiche marce appunto, a differenza dell’integrità della stragrande maggioranza degli
ulteriori elementi che costituiscono il paniere. Con il susseguente ripetersi di episodi di spropositata violenza da parte delle forze di
polizia, questa teoria sembra però non calzare più così a pennello in questa allegorica metafora della vita umana come imprevedibile
frutteto dove il “marciume” sembra estendersi per ettari ed ettari, più che essere combattuto con pesticidi vari.
3
Hobbes T., “The Leviatan, or The Matter, Forme and Power of a Commonwealth Ecclesiasticall and Civil”, (trad. It. Il Leviatano,
Trattao della material, della forma e del potere della Repubblica ecclesiastica e civile), 1651, Thomas Hobbes.
7
legittima”
4
, instabile potere detenuto nelle mani dell’autorità pubblica che, servendosi della
manovalanza in uniforme, persegue l’ideale della sicurezza di ciascuno, necessario per garantirne il
suo stesso funzionamento e scavarsi una modalità di legittimo utilizzo della sua forza all’interno
della solo apparentemente sacra ed intoccabile sicurezza di tutti i sottoposti.
“Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea
sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza”, recitava Benjamin Franklin nella “Risposta al
Governatore, Assemblea della Pennsylvania” dell’ 11 Novembre 1755; ma nonostante queste
altisonanti parole riecheggiano ormai da più di due secoli inscritte in una placca su di uno dei
piedistalli della Statua della Libertà di New York, oramai sembrano esser diventate troppo fragili ed
inconsistenti come fumo, per essere “inscritte” su più piccoli pezzi di metallo, come distintivi di
polizia.
E proprio alla luce di queste parole e del loro rapporto con i fatti di cronaca che hanno rivelato la
natura oscura del ruolo di polizia, che possiamo definire questo stesso potere come ambiguo, dal
momento che, pur volendolo rigorosamente subordinato al principio di legalità e al controllo
giurisdizionale nell’espletamento della funzione di applicare e far rispettare la legge e l’ordine
pubblico, (in quanto questa collocazione è l’unica in grado di farci accettare i termini di quel
contratto sociale di cui prima), esso si trova sovente ad operare in funzione di strumento di
eccezionale violazione del rispetto di quelle stesse norme che dovrebbe custodire.
La constatazione dell’ambiguità del potere e del ruolo conferito all’istituzione di polizia, comporta
come conseguenza strutturale il fatto che “solo un cattivo gioco di ruolo può confinare in
schieramenti avversi la domanda di giustizia e la funzione pubblica di polizia a essa
costitutivamente strumentale”
5
.
Il richiamo al giusnaturalismo dei contrattualisti sociali è, in questa sede, solo il primo riferimento
sociologico-filofosico all’infrangimento delle aspettative e fedeltà che la società globale riponeva
nelle istituzioni di polizia quando queste ultime sono state costituite e questo lavoro di speleologia
filologica sarà seguito dalla concretizzazione di questo “tradimento” con reali episodi avvenuti in
Italia così come in altre parti del nostro pianeta.
Iniziamo questo ricorso ai grandi sociologi e filosofi del passato con la teoria del potere di Thomas
Hobbes.
L’età dei lumi nasce in veste di consacrazione della ragione come maestra di vita, prima e
necessaria guida della vita umana nelle sue più molteplici sfaccettature : la ragione porta l’uomo a
considerare se stesso, e non più Dio, come fautore del suo destino; la ragione porta l’uomo ad
interrogarsi sulla vita comune, e non più a seguire in sordo silenzio gli ordini di qualsiasi forma di
4
Luigi Manconi, in Prefazione a “Il libro nero della polizia. Piccoli omicidi di Stato tra amici, 2001-2011” di Marco Marsili, pag.12.
5
Ibidem.
8
autorità; la ragione ha portato l’uomo, ad associarsi e rinunciare a porzioni della propria libertà in
favore di un’istanza superiore che nasce, quindi, con l’unico obiettivo di preservare l’essere umano
e garantirgli sopravvivenza, poiché elemento costituente il pactum unionis
6
è l’esigenza di
assicurare ai consociati l’autoconservazione, intesa come caratteristica descrivente questo patto
come vero e proprio big bang sociale, evento sconvolgente il precostituito ordine sociale e
generante il cosiddetto Stato civile.
Prima dello Stato civile, scrive Hobbes, regnava lo stato di natura in cui non esistono leggi né limiti
e tutti hanno diritto su tutto e tutti, anche sulla vita altrui; uno stato di bellum omnium contra
omnes
7
in quanto ognuno desidera la propria sopravvivenza ed è legittimato a porre in essere
qualsiasi tipo di comportamento per perseguire tale finalità suprema. Si tratta della paurosa ed
agghiacciante condizione dell’ homo homini lupus
8
. L’uomo, pertanto, vive in questa anomica ed
originaria condizione di guerra senza fine, fino al momento in cui affida la sua sopravvivenza e i
propri diritti al Leviatano, figura ripresa dal mostro biblico di Giobbe, il grande sovrano che nasce
dall’unione dei cittadini e vive unicamente per rendere la vita di questi ultimi sicura, funzione
questa, inscindible e infrangibile in quanto essenza del contratto sociale stesso. Lo Stato si trova, di
conseguenza, ad operare come detentore di un potere illimitato se non da una norma fondamentale :
garantire la sicurezza ai cittadini.
Il potere politico hobbesiano, pertanto, si presenta come suprema forma di organizzazione sociale
costituita dalla volontaria cessione di libertà e potere incondizionato da parte dei singoli mediante
un patto reciproco in vista dell'autoconservazione.
Il sociologo tedesco Max Weber, invece, in Economia e Società indaga le modalità di
legittimazione del potere politico a giunge a definire quest’ ultimo come “qualsiasi possibilità di far
valere, entro una relazione sociale, anche di fronte a un’opposizione, la propria volontà, quale che
sia la base di questa possibilità”
9
.
Il potere politico weberiano , di conseguenza, altro non è se non quel potere che detiene l’invadente
capacità di esercitare (talvolta attraverso l'uso della forza) un controllo sul comportamento degli
altri attori sociali, anche senza il consenso di questi ultimi, condizionando le loro decisioni.
Il potere del sociologo tedesco è, quindi, sinonimo di potenza, quella che definisce “Macht”, intesa
in termini di dominazione, in quanto fonda la sua sussistenza e funzionamento sulla particolare
6
“patto di unione”, composto dal pactum societatis (patto di società) che sancisce la nascita della civiltà e pactum subiectionis (patto
di assoggettamento) che, invece, stabilisce che ogni singolo individuo rinunci al proprio originario diritto su se stesso e su gli altri,
cedendolo ad un entità terza e superiore, ossia un sovrano, verso il quale porterà obbedienza
7
Trad.” la guerra di tutti contro tutti”, dove gli uomini seguono unicamente i propri istinti in quanto nessuna legislazione opera come
limitazione delle azioni umane.
8
Trad. “l’uomo è un lupo per l’uomo”; Hobbes riprende ne “Il Leviatano” le parole di Plauto che nella sua opera “ Asinaria”
scriveva “Lupus est homo homini”.
9
Weber M., “Wirtschaft und Gesellschaft”, Mohr(Siebeck),Turbingen, 1922/1976 (trad.it. Economia e società, Edizioni di
comunità,Milano,1982).
9
risorsa della coazione, ovvero “l’impiego, o la minaccia dell’impiego, della forza fisica, che incida
sull’esistenza, integrità corporea e libertà da costrizioni degli individui a cui direttamente si
riferisce, o di altri individui le cui sorti stiano a cuore a coloro su cui si esercita il potere”
10
che
riduce, in ultima analisi, il potere dello Stato ad un vero e proprio monopolio dell’uso legittimo
della forza.
Ab illo tempore la vita sociale umana si è basata preponderantemente su relazioni di potere, fondate
sul rapporto tra autorità di comando e manifestazione di obbedienza. La nascita degli stati moderni
e quindi l'avvento del principio/ideale di democrazia, ha fatto credere che le relazioni comando-
obbedienza e le violenze coercitive, tipiche degli stati autoritari, starebbero scomparendo,
spodestate da tematiche di condivisione e pacifica convivenza. In realtà, come scrive Heinrich
Popitz, la violenza può essere certamente delimitata e manovrata ma, di sicuro non può scomparire,
perché , pur sembrando ciò un paradosso nel più viscerale senso del termine, purtroppo anche gli
Stati democratici debbono far uso della forza coercitiva per mantenere l'ordine sociale e difendere i
diritti e le libertà conquistate. Imbracciando il pensiero del sociologo di Friburgo, possiamo
affermare che le relazioni tra Stato e suoi cittadini, si manifestano entro una indelebile sfera di
esercizio del potere.
In “ Fenomenologia del potere” egli riflette sulla dimensione universale del potere nella socialità
umana, ed in particolar modo, utilizza parole che calzano perfettamente in questa dissertazione sulla
manifestazione di violenza ingiustificata da parte delle istituzioni preposte al mantenimento
dell’ordine sociale, e pertanto dello Stato, facendo riflettere attentamente sulla pericolosità del
potere che noi, in quanto popolo della società, abbiamo affidato ai nostri governanti: egli, infatti,
scrive che “ Chi si trovi in grado di minacciare plausibilmente altri, di eliminarli fisicamente
possiede un potenziale di sanzione incomparabilmente superiore a qualunque altra sanzione. E’ in
gioco non soltanto la qualità dell’esistenza, ma l’esistenza stessa. Chi, nell’ambito di una società,
possiede questo potere di annullare l’esistenza altrui, determina quel che alla fine succede. E’ per
questo che tale possesso costituisce il nocciolo più profondo dell’esperienza politica”
11
.
Queste sono solo alcune delle riflessioni di pochi tra i più influenti pensatori che hanno deciso di
riflettere ed interrogarsi sul significato del potere e, per continuità semantica, della violenza
perpetrata dallo Stato. Quello che , a questo punto, tocca a noi è il raccogliere queste riflessioni per
applicarle al terrificante scenario politico-sociale al quale siamo costretti ad assistere, una
panoramica del dolore costituita da episodi di estrema violenza posta in essere da membri delle
forze dell’ordine nel pieno espletamento delle loro pubbliche funzioni che, più che garantire ordine
e sicurezza ai cittadini, calpestano diritti umani applicando espedienti di tortura fisica e psicologica
10
Poggi G., “Lo Stato”, Il Mulino, Bologna,1982.
11
Popitz H., “Phaenomene der Macht”, Turbingen, Mohr(Siebeck), Turbingen,1986, pag.69
10
proprio in nome degli stessi ideali di ordine e sicurezza che dovrebbero rispettare e far rispettare.
Quel che si vuole riconoscere in questa sede è che le forze di polizia detengono il monopolio della
violenza legittima all’interno del territorio statale ed al tempo stesso descrivono la loro funzione
entro i confini di rispetto della legge che loro stessi infrangono nel tentativo di salvaguardare
l’ordine pubblico.
Il confine tra un ruolo di controllore della legalità ed un ruolo di suo primo violatore è, purtroppo
sempre più sottile e si assottiglia sempre più, paradossalmente in nome della “sicurezza” degli stessi
cittadini che patiscono sulla propria pelle, ossa e sulle loro menti, i tragici sintomi di una società che
esperisce oramai uno stadio avanzato e degenerativo della più triste delle malattie strutturali. Questa
è la più orribile e spaventosa diagnosi sociale che potremmo fare: uno Stato che calpesta i diritti dei
cittadini, talvolta fino a procurarne la morte.
Il filosofo torinese Norberto Bobbio, contribuisce nel donare a questa impalcatura sociologica della
metafisica della violenza, una struttura ancor più solida, quando scrive che la conseguenza delle
modalità in cui la nostra società gestisce il controllo del potere e sua diffusione capillare all’interno
del tessuto sociale , inevitabilmente va a coincidere con una vera e propria legittimazione della
violenza in quanto “l’ingiustificazione della violenza individuale riposa in ultima istanza sul fatto
che è accettata, perché giustificata, la violenza collettiva. In altre parole… la morale può permettersi
di essere così severa con la violenza individuale perché riposa sull’accettazione di una convivenza
che si legge sulla pratica continua della violenza collettiva”
12
. Con queste parole, il pensatore
italiano guardava il contrasto tra politica e morale con occhi critici che lo portano ad assimilare
questo rapporto tra Stato e cittadinanza ad un contrasto tra etica individuale ed etica di gruppo,
campo di battaglia,questo, della più aspra delle dispute dell’uomo moderno, ossia quella contro
la”ragion di Stato”, così definita dal torinese : “quell'insieme di princìpi e di massime in base alle
quali azioni che non sarebbero giustificate se compiute da un individuo singolo, sono non solo
giustificate ma addirittura in taluni casi esaltate e glorificate se compiute dal principe, o da chiunque
eserciti il potere in nome dello Stato”
13
.
Queste parole descrivono perfettamente il brivido di terrore e disgusto che stimolano la stesura di
questo trattato : porre un’istituzione di polizia in posizione di controllo della popolazione per
assicurare l’adesione incondizionata di quest’ultima alle norme dell’ordinamento giuridico e che,
nel tentativo di applicare questa legislazione che giustifica la sua stessa esistenza, pone in essere un
clamoroso strappo al tessuto legale andando ad infrangere le stesse leggi che vogliono applicate e
rispettate da tutti gli altri. E quello che spaventa e stranisce al tempo stesso è l’aurea di sostanziale
intoccabilità che questi attori sociali sono stati in grado di procurarsi all’interno dell’ordinamento e
12
Bobbio N., “Politica”, in “Dizionario di Politica”, a cura di Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G., Utet, Torino,1983
13
Ibidem.
11
della società globale, generato da fenomeni di connivenza tra istituzione anche poste al vertice
esecutivo, determinando atteggiamenti che vanno irrimediabilmente a ledere e minare alle sue
stesse fondamenta, il rapporto di fiducia con la cittadinanza. Una cittadinanza che non può e non
vuole rimanere inerme dinnanzi a queste torture perpetrate da uno Stato che pone le forze
dell’ordine, anche e soprattutto quando sporcano le loro mani con il sangue dei cittadini che
dovrebbero proteggere, sotto la sua più comprensiva ala protettiva, ma una cittadinanza che si arma
di indignazione e rispetto delle leggi ed imbraccia le armi dell’informazione e protesta pacifica sia
nella vita sociale sia in quella della rete informatica contro un Governo che, a dire di Marco Marsili,
“nell’attesa che tra le forze dell’ordine si faccia strada la cultura della trasparenza e della legalità,
legata alla responsabilità derivante dal monopolio della coercizione legittima, e coniugata con un
corretto rapporto con i cittadini attraverso i media” dovrebbe “…squarciare il velo di omertà sui
casi di violenze perpetrate da appartenenti a questi «corpi franchi»”
14
3. Nozioni giuridiche.
Per apprezzare la natura umanamente scorretta, o meglio disumanamente deviata, della tipologia di
comportamenti che si va analizzando in questa sede, quell’insieme di violenze ed insanguinati
soprusi, deliri di autorità ed incapacità di affrontare situazioni critiche e potenzialmente stressanti, è
necessario un ben documentato ricorso a riferimenti di matrice giuridica e giurisdizionale, in modo
tale da inquadrare siffatti comportamenti all’interno di una cornice di diritto fatta di leggi,
convenzioni, trattati e, ovviamente, cruda violazione di tutti queste pronunce riferenti sia a profili di
diritto interno, sia in particolar misura a profili di diritto internazionale.
“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” recita l’art.
3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali , o CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Articolo, questo, che costituirà il
fondamento ideologico di numerose pronunce della Corte di Strasburgo in tema di applicazione di
tortura,violenza e trattamenti disumani.
Particolare attenzione, pertanto, verrà riservata alla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo; altrettanta attenzione verrà riconosciuta alla “Convenzione contro la tortura ed altre
pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti” delle Nazioni Uniti approvata a New York il 10
dicembre 1984.
Il cammino che ha portato all’affermazione dell’assoluto divieto di tortura e pene degradanti e
disumane, ormai parte integrante di tutti i documenti internazionali posti a salvaguardia e tutela dei
14
Marsili M., “Il libro nero della polizia. Piccoli omicidi di Stato tra amici, 2001-2011”, Termidoro edizioni, 2012, pag. 26.