6
Molti hanno scritto di lui, quasi tutti dopo essere rimasti
affascinati dalla sua personalità. Questo perché non si può
separare il Munari-uomo dal Munari-artista (anche se a lui non
avrebbe certo fatto piacere essere definito così), perché il suo è
infondo un progetto di vita. In vario modo tutti i suoi collaboratori
hanno affermato di essere stati trasformati da lui, dal suo modo di
lavorare, dal suo modo di rapportarsi alle cose, agli altri. A volte
è proprio la sua semplicità a scardinare tutti i nostri punti fermi; è
un ribaltamento del nostro punto di vista quello che Munari ci
propone con umiltà e giocosa ironia.
Partendo da una massima di Lao Tze a Munari molto cara:
“Produzione senza appropriazione, azione senza imposizione di
sé, sviluppo senza sopraffazione”, che può essere considerata il
cardine del suo pensiero, il nostro percorso alla scoperta di
questo grande personaggio si dividerà in tre momenti, che sono a
mio avviso i tre campi principali in cui la sua multiforme creatività
si è espressa. Il primo capitolo Spirito d’avanguardia analizza i
ricordi caratteristici della sua infanzia, le sue prime esperienze
nella Milano degli anni trenta come pittore futurista, le influenze
dei fermenti artistici che esplodevano in quegli anni in Europa e
non solo, poi la sua evoluzione passando per l’Astrattismo, il
MAC, l’Arte programmata. Attraverso un secolo movimentato
come il novecento, gli interessi di Munari spaziano in esperienze
sempre nuove perché hanno alla base il sentimento, comune alle
avanguardie, di innovazione, di ricerca di nuove tecniche, nuovi
materiali, di un confronto diverso con la città, il progresso, il
quotidiano, quasi un “impegno civile”.
Il secondo capitolo Il mondo dei bambini analizza l’esperienza
educativa di Munari, che inizia con il rapporto personale con suo
figlio, nato nel 1940, e per cui crea i primi giochi e libri, che poi
trasformerà nelle esperienze con la Mondadori, nei Prelibri, nei
7
giochi didattici, ma soprattutto nei laboratori Giocare con l’arte,
che fanno la loro prima apparizione nel 1977 a Brera e che da
allora si sono diffusi in tutto il mondo, dando vita ad esperienze
meravigliose, grazie all’opera di formazione che Munari ha
iniziato e che ora i suoi “amici” portano avanti.
Il terzo capitolo Tutti : arte = tutto : vita analizza, attraverso un
cammino parallelo a quello propriamente artistico, i capolavori di
grafica e design di Munari che hanno affiancato fin dai suoi
esordi le altre opere. La mente di Munari è quella del grafico che
scompone il mondo, lo analizza, lo taglia per poi rimontarlo, è
questa sua natura che ha influenzato tutte le sue creazioni (o
sarebbe meglio dire scoperte?) e che è infondo la chiave di volta
per accedere ai suoi più profondi insegnamenti.
Desidero ringraziare Giancarlo Baccoli, amico e collezionista di
Munari, direttore del Centro d’arte contemporanea di Cavalese e
sua moglie Elena, animatrice del laboratorio attivo presso lo
stesso museo; Coca Frigerio, amica e collaboratrice di Munari fin
dal primo laboratorio Giocare con l’arte a Brera; Pia Antonini,
amica e studiosa di Munari, curatrice insieme a lui della storia dei
laboratori; Dario Valli e Maria Grazia Gordini, responsabili per i
laboratori del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza;
che mi hanno dedicato con molta disponibilità parte del loro
tempo, e mi hanno aiutato tramite le loro esperienze a scoprire
aspetti di Munari che altrimenti non avrei mai conosciuto.
8
SPIRITO D’AVANGUARDIA
1.1 Le origini
“Munari è un artista calato nel proprio tempo con la leggerezza e
il distacco di chi guarda e viene da lontano. La sua opera è la
dimostrazione di come il grande artista possa, anche, non essere
maledetto. Un lavoro felice svolto con sorriso curioso, frutto di un
nomadismo culturale disincantato, con risultati che con ampiezza
e modi sfuggono al catalogo. Un autore sorretto da un metodo
prezioso che trasforma in gioiello ogni territorio toccato, un Re
Mida della comunicazione e del progetto a cui non interessa nulla
del lusso, non sfiorato dalle mode e dal divismo, discreto nei
comportamenti e costantemente interessato alla durata”. Così
Beppe Finessi
1
descrive Munari in occasione della festa alla
Triennale di Milano, il 24 ottobre 1997, per i suoi novant’anni; ed è
un ritratto ben delineato.
Viene da chiedersi quali siano le origini di Munari, quale questo
posto lontano che ha tanto influenzato il suo carattere, ed è lui
stesso a indirizzarci su questa strada perché tra i suoi ricordi
spiccano quelli della sua infanzia a Badia Polesine. Bruno
Munari, infatti, nasce a Milano nel 1907, e si trasferisce presto a
Badia Polesine dove i suoi genitori, Pia ed Enrico, gestiscono un
albergo.
Sono le immagini ancora vive delle macchine della sua infanzia
2
quelle che Munari ci descrive per raccontare come è cresciuto, i
luoghi che gli hanno ispirato il grande amore per la natura e
l’osservazione. Gli argini dell’Adige, le coltivazioni di erba
9
spagna, l’immensità del cielo e dell’acqua, che dava il senso
dell’ignoto trascinando con se ogni sorta di strani oggetti, e poi il
mulino con i suoi cigolii, borbottii, gorgoglii, sussurri e soprattutto
il ritmo del girare della Grande Ruota, uno spettacolo non solo di
suoni, ma di luci, colori, odori.
E poi i suoi giochi di bambino, tanti, tantissimi anche più di quelli
di cui i bambini di oggi sono pieni, ma senz’altro più naturali e
stimolanti. Non sono certo anni facili per i bambini quelli a cavallo
degli anni ’10 in Italia, pochi avevano dei giocattoli (i giocattoli che
intendiamo oggi). Munari invece ricorda di averne avuti
tantissimi, giocattoli piccoli da tenere in tasca o grandi tanto da
entrarci dentro, da usare col sole o con la pioggia, d’estate o
d’inverno. Questo perché il suo spirito da esploratore gli ha
sempre fatto godere di ogni piccola cosa.
Aveva un bastoncino di bambù, bellissimo e flessibile con cui
poteva fare una frusta per imitare i carrettieri, o un arco per
lanciare delle frecce, o una canna per andare a pesca, o una
fionda, una catapulta, una molla, suonava persino. Aveva un
rametto di sambuco che si trasformava in cerbottana, e i semi di
acero che cadendo giravano come delle eliche, fu in seguito a
quest’esperienza che con i suoi amici si decise a sperimentare
per gioco con pezzi di carta di forme differenti, osservando in
quanti modi potevano cadere. Poi aveva in cortile una fontana
che gocciolava, non aveva mai lo stesso ritmo, e si poteva fargli
fare tanti suoni diversi per cantare canzoni inventate al ritmo della
gocce: pic pac pac pic patapic patapac pitopec pataluc.
Aveva una lunga cordicella fatta con tanti pezzi di corde annodati
tra loro, uno specchietto con cui giocava con la luce, i gusci di
noce, un gattino vero, vivo, miagolante.
“E poi avevo un giocattolo enorme, grandissimo, così grande che
cominciai a camminargli sopra per vedere dove finiva, ma dovetti
10
tornare a casa perché veniva sera. In questo enorme giocattolo
vidi tantissime cose: insetti e animaletti che andavano
affaccendati per i loro affari e nemmeno mi vedevano. Trovai
tanti fili verdi di erbe, rametti secchi spezzati, foglie dappertutto,
fiorellini sparsi. Su questo enorme giocattolo potevo correre e
saltare, sdraiarmi o camminare in punta di piedi. Potevo scavare
buche o piantare degli stecchi. Finiti i giochi non dovevo metterlo
a posto, lui era sempre la che mi aspettava e poi, anche se
qualche volta non andavo a trovarlo, lui non si offendeva”.
3
A questo si pensa quando si dice che Munari non ha mai smesso
di essere bambino, ma molti è il tono spregiativo che cercano, per
mettere in luce la banalità di certe sue esperienze artistiche. Ma
quelle che possono sembrare scontate sono esperienze che
Munari riesce a trasformare non solo o non tanto in arte, quanto
in comunicazione. Lui vuole far vedere con occhi nuovi, forse
occhi da bambino, la realtà che ci circonda.
Questo perché per lui “conservare lo spirito dell’infanzia dentro di
sé per tutta la vita vuol dire conservare la capacità di conoscere, il
piacere di capire, la voglia di comunicare”.
4
1
da Munaria, inserto speciale di «Abitare», Ottobre 1997, n° 366, p. 1
2
da Bruno Munari, Arte come mestiere, Bari, Laterza, 1966, Le macchine della mia infanzia scritto nel 1924, pp.
251, 252
3
da «C’era due volte», Settembre 1997, n° 8, anno IV, p. 42
4
da Marco Meneguzzo (a cura di), Bruno Munari, Milano, Electa, 1986, p. 6
11
Cena futurista
Illustrazione per Marinetti
Composizione futurista
1.2 La Milano futurista
“Munari precursore di idee e situazioni, provocatore ma amante
dell’armonia, ironico, poetico, riflessivo, intuitivo, eclettico,
razionale, ingenuo, semplice, complesso, leggero, profondo.
Munari in primo luogo artista, certamente”.
1
La carriera “artistica” di Munari inizia a Milano; nel 1926,
appena diciottenne, egli comincia a lavorare nello studio di uno
zio ingegnere. Milano era allora tra le città più importanti per lo
sviluppo dei movimenti artistici, un crogiolo di attività, sempre
in espansione, ma soprattutto segnata dall’esperienza futurista.
Fu per caso che Munari conobbe, girando per le librerie, il
poeta Escodamè,
2
che gli fece conoscere Marinetti. La
partecipazione al secondo futurismo fu per lui un passaggio
molto importante; certo, la carica del movimento non era più
quella precedente la guerra, ma le avanguardie avevano ormai
praticato una cesura nell’ambito della storia dell’arte. Munari
non poteva che trovare molti spunti nelle tematiche che
avevano caratterizzato e ancora caratterizzavano il Futurismo,
che appariva come un ponte gettato tra l’arte nuova e la vita
che pulsava nelle città, modificando il vivere quotidiano.
Basta scorrere il manifesto della Ricostruzione futurista
dell’universo, pubblicato nel 1915 da Balla e Depero, per
trovare Munari in nuce; le proprietà auspicate dai due per il
loro “complesso plastico dinamico” si adattano quasi tutte alle
successive opere di Munari: astratto, dinamico, trasparente,
coloratissimo, luminosissimo, autonomo, trasformabile, volatile.
Egli integra questi temi con la sua particolare contemplazione
attiva della natura, da ricostruttore più che creatore: parte infatti
sempre dalla realtà, per manipolarla e sottolinearne aspetti
inediti.
3
Ma per avere un quadro completo del periodo di “formazione”
di Munari dobbiamo considerare i cambiamenti che in quegli
anni subivano la sensibilità, il gusto, i fini stessi affidati all’arte.
12
Ritratto di Tullio d’Albissola ’35
Macchina inutile ‘46-’47
Vediamo il diffondersi delle correnti astratte o non figurative,
che ripropongono il problema, non tanto del rinnovamento del
linguaggio figurativo quanto, dell’arte come attività dello spirito
che riformula una nuova estetica, implicita nei fatti artistici e
attuata attraverso l’arte stessa. Un’arte che è anche fatto
sociale.
4
“Perciò si può dire che l’arte astratta vuol essere arte
che si fa, atto artistico che si compie od accade così nell’artista
come in chiunque guardi o utilizzi l’oggetto artistico (…), mira a
definire la condizione di coscienza dell’uomo sociale, il suo
modo di essere nella realtà, il limite del suo orizzonte”.
5
Vediamo nel giro di pochi anni nuove avanguardie nascere e
scomparire, lasciando però tracce evidenti del loro passaggio.
Insieme alle esperienze espressioniste, simboliste e cubiste di
inizio secolo si sviluppano, oltre al Futurismo, il Suprematismo,
il Raggismo, il Costruttivismo, l’astrattismo di Der Blaue Reiter
e di De Stijl, tutti intrecciati con i particolari avvenimenti storici
di quegli anni. Vediamo il riemergere nel primo dopoguerra di
movimenti conservatori, come Novecento in Italia, a cui il
secondo futurismo si oppose. Vediamo in particolare, per
tornare al nostro argomento, attenta alle posizioni dell’area
surrealista e attratta dalle tendenze razionalistiche in
architettura, la seconda ondata futurista che tentò una sintesi
fra le nuove tensioni ideologiche e l’ultima eco dell’originaria
fiducia nella macchina e nel nascente mito dell’aeroplano.
6
L’aeropittura rappresentava, del resto, una tappa pressoché
obbligata per i futuristi, sia perché le stesse premesse iniziali
del movimento vi portavano per direttissima, sia perché
l’esigenza, propria dei futuristi, di offrire una testimonianza
fedele del proprio tempo e quindi dei fatti salienti della tecnica
e della scienza non poteva non portare anche alla registrazione
dei primi strepitosi successi dell’Aeronautica, che proprio in
quegli anni avevano commosso l’opinione pubblica del mondo
intero.
7
Munari firmerà nel 1929 il Manifesto dell’aeropittura futurista,
13
Macchina inutile ‘46
pubblicato in settembre da Balla, Benedetta, Depero, Dottori,
Fillia, Marinetti, Prampolini, Rosso, Somenzi, Tato; ed insieme
al gruppo milanese, formato da Andreoni, Duse, Manzon,
Gambini e Bot, parteciperà alle collettive futuriste: a Milano alla
galleria Pesaro nel ’27, nel ’29 e nel ’31; a Parigi alla Galérie
23 nel ’29 e alla Galérie de la Renaissance nel ’31; a Venezia
alle Biennali del ’30, ’32, ’34; a Roma alla Quadriennale del ’31.
Sono di quegli anni opere come Costruire, Sosta aerea, Infinito
verticale, Avventura su cielo rosa. Nel ’33 Munari partecipa
inoltre alla realizzazione di Stazione per aeroporto civile con
Prampolini, Depero, Dottori, Fillia, Oriani, Andreoni, Thayat,
Rosso, Duse e Ricas.
Per Menna, Munari appare molto vicino alla declinazione tutta
immanente della poetica aeropittorica propria di Prampolini,
con la differenza, tuttavia, che quest’ultimo tende a creare
grandi spettacoli visivi aventi per tema le conquiste della
scienza e della tecnica e la prefigurazione dei futuri voli
cosmici; mentre Munari è portato piuttosto a creare una sottile
fiaba pittorica sottoponendo, per così dire, a un processo di
miniaturizzazione il gigantismo e l’enfasi prampoliniana.
8
In
altri termini, Munari non vuole destare stupori collettivi, come fa
invece Prampolini con la sua fantapittura, quanto piuttosto
creare piccoli mondi favolosi per un uso più quotidiano e
domestico, luoghi cioè di contemplazione da abitare
psichicamente. Un Munari quindi “illusionista degli spazi”, in cui
però, sottolinea Tanchis, la pittura sembra volersi spingere
oltre l’alveo futurista.
9
Nei disegni cui Tanchis fa riferimento,
infatti, centrale è la figura umana, in quiete, in movimento,
spesso caricaturale, spessissimo incrociata con elementi del
mondo vegetale. Al di la del suo futurismo “esteriore”, Munari è
futurista “interiormente” e addirittura sarà più futurista quando
il futurismo non esisterà più.
Munari stesso si definiva ancora futurista negli ultimi anni della
sua vita; sottolineando che il futurismo gli aveva lasciato il
14
Bozzetto per acrobati musicali in
gabbia ’35
Disegno per il teatro totale delle
masse di Marinetti ‘33
Munari al telefono
senso del dinamismo e della ricerca e l’amore per la
sperimentazione, anche se per lui il dinamismo andava
studiato con forme in movimento e non fermato con tecniche
statiche. E’ questo che lo porterà infatti a cercare nuove vie,
passando dall’aeropittura all’aeroplastica, di cui firmerà il
manifesto nel ’34 con Manzon, Furlan, Ricas e Regina
10
, ma
soprattutto con la Macchina aerea del ’30, preludio delle
Macchine inutili.
Munari descrive la Macchina aerea, un oggetto di legno e
metallo composto di bacchette bianche e sfere rosse (tranne
una piccola che era nera), come una “costellazione, un gruppo
di atomi, una stazione spaziale”;
11
raccontando come nessuna
galleria d’arte la volesse esporre poiché non era né pittura, né
scultura.
Le iniziative futuriste spingono Munari ad occuparsi anche di
teatro. Nel ’35 ipotizza un balletto che ricorda le realizzazioni di
Schlemmer, uno dei maestri del Bauhaus; danzatori sui
trampoli eseguono dei movimenti “tipografici”, quasi a creare
sulla pagina-fondale delle composizioni di linee. Munari illustra
inoltre dei progetti che riportano al Manifesto del teatro totale
delle masse di Marinetti,
12
egli riprendendo ironicamente la
critica di quest’ultimo al palcoscenico fisso che evoca “la
gabbia dei merli”; pensa a un proscenio chiuso con delle sbarre
ed a degli attori-acrobati che saltano da un’altalena all’altra,
come pappagallini in gabbia. Acrobazia da un lato ed effetto
ritmico-coloristico dall’altro sono i caratteri più evidenti di questi
progetti. In questi allestimenti, rimasti su carta, è già presente
l’idea di ridurre all’essenziale le strutture scenografiche,
progettate per essere facilmente montabili e smontabili, e
riducibili in poco spazio. La ricerca dell’essenzialità è insomma
una caratteristica munariana che accomuna tutti i diversi campi
in cui Munari si cimenta. L’esperienza scenica di Munari
continuerà negli anni, è del ’63 ad esempio la scenografia per
quattro atti unici del teatro Nô, è del ’80 la partitura coloristica
15
Macchina aerea ‘30
del Prometheus di Scriabin, in collaborazione con Castiglioni e
Mosconi.
Munari comunque non aderisce mai completamente ad un solo
movimento, più influenze originano i suoi particolarissimi
lavori. Negli stessi anni si rivolge ad altri strumenti di
comunicazione visiva, proseguendo le ricerche sulle possibilità
espressive della fotografia condotte da Moholy–Nagy e da Man
Ray.
Contrariamente alle tecniche dadaiste e surrealiste, Munari non
cerca l’incongruo o il non senso e nemmeno un nuovo tipo di
fabulazione misterica, ma vuole creare ancora una volta mondi
favolosi, limpidi e chiari, pervasi da una vena di ilare ironia.
13
Così in Un pianeta tra gli alberi, Paesaggio sulla collina,
Costellazioni, Suoni, Natura, Umidità nell’aria, Il mormorio
della foresta e Radioscopia dell’uomo moderno. In quest’ultimo
vi era uno scheletro umano, formato di legno e metallo con un
globo sospeso tra le costole: l’uomo che porta il mondo dentro
di sé.
14
Munari realizza un’analogia poetica tra il meccanico e
l’organico con una consapevole, premeditata confusione, non
più tra l’uomo e la macchina, ma tra il regno della tecnica ed il
regno della natura.
Purtroppo di questo primo periodo non ci restano che pochi
disegni e delle fotografie, parecchie opere sono state
danneggiate, perse, sottovalutate.
16
1
da Valeria Tassinari, Ma chi è Bruno Munari?, Mantova, Corraini
2
Poeta futurista di nome Lescovich, che durante il fascismo aveva cambiato il suo nome in Escodamè
3
da Aldo Tanchis, Bruno Munari, Milano, Idea Books, 1986, pp. 11,12
4
da G.C. Argan, L’arte astratta (1951) in Nuova visualità Internazionale. Costruttivismo, concretismo,
cinetismo. Edizione fuori commercio, Milano, Arte struktura, p. 10
5
ibidem, p. 13
6
da A. Pansera – M. Vitta, Guida all’arte contemporanea, Casale Monferrato, Marietti, 1986, p. 111
7
da F. Menna, Munari o la coincidenza degli opposti, in «La botte e il violino», n° 3, 1966
8
ibidem
9
da Aldo Tanchis, Bruno Munari , già citato, p.14
10
ibidem, p.20
11
da Bruno Munari, Codice ovvio, Torino, Einaudi, 1971, p.6
12
da Aldo Tanchis, Bruno Munari, già citato, p.30
13
da F. Menna, Munari o la coincidenza degli opposti , già citato
14
da Arturo Carlo Quintavalle (a cura di), Bruno Munari, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 56
Foto di gruppo dei futuristi
Mostra futurista del ‘29
17
Autoritratto 1930
Simbolo del Bauhaus
Disegno umoristico 1930
1.3 L’Astrattismo lombardo
Sempre negli anni ’30 a Milano, veniva rilevata dai fratelli
Ghiringhelli la galleria Bardi, in via Brera, ribattezzata dal suo
nuovo direttore Edoardo Persico “il Milione”, quasi a evocare
avventure e scoperte. La galleria divenne il luogo centrale di
“un nuovo modo di pensare l’arte”,
1
ospitando mostre di artisti
come Rosai, Garbati, Fontana, Soldati, Bogliardi, Licini, Melotti,
Reggiani, Veronesi, Radice, Rho, lo stesso Munari, gli stranieri
Albers, Léger, Kandinskij, Marcoussis; organizzando dibattiti e
conferenze.
Il gruppo eterogeneo di artisti che vi si riuniva era accomunato,
oltre che dal rifiuto di Novecento, da un atteggiamento di
apertura e attenzione per le ricerche d’oltralpe, per il
Costruttivismo russo, per il Bauhaus, per le proposte non
figurative, che giungevano filtrate dalle riviste come “Abstration–
Création” e “Cercle et Carré” o dai racconti di viaggio. Forte era
il bisogno di confrontare le proprie esperienze a causa
dell’isolamento culturale nel quale si viveva. Le costanti, per
quanto generiche, della loro poetica furono “il richiamo insieme
alla tradizione e alla contemporaneità; l’esigenza di ordine, di
geometria e quindi la difesa di una regola formale contro il
naturalismo, lo psicologismo, l’espressionismo”,
2
l’uso di
materiali non tradizionali. Il teorico del gruppo fu Carlo Belli, che
nel 1935 pubblicò «KN», dove si sosteneva che “non esiste
un’arte per il pubblico, ma bensì, un pubblico per l’arte”. «K»
stava per la quantità costante di materia indispensabile per
l’espressività artistica che ogni pittore aveva a disposizione; con
«N», invece, si sottolineavano gli innumerevoli aspetti che essa
riusciva ad assumere grazie alla personalità dell’artista. La
supremazia dell’individualità e il credo dell’arte sganciata da
ogni realtà visiva, furono le basi su cui il gruppo lombardo
costruì una grammatica e una sintassi, di cui però solo alcuni
rispettarono le regole.
3