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Introduzione
“In questioni di scienza, l’autorità di mille non vale l’umile ragionare di un singolo”,
affermava Galileo Galilei sulla soglia di quella che la storiografia, e in generale il pensiero
contemporaneo, identifica come Età Moderna. Lungi dal rappresentare una semplice
affermazione, tali parole costituiscono le fondamenta di un’epistemologia – ossia di una
visione della conoscenza – su cui il nostro mondo occidentale ha posto le proprie basi.
Fondamenta scavate talmente in profondità che ad oggi qualsiasi possibilità di analizzarne le
origini e lo statuto viene associata ad una loro messa in discussione. E così, anche adesso che
siamo arrivati al punto in cui tali fondamenta sembrano rivelare sempre con maggior
pressione la propria fragilità, non facciamo che ricercare le origini di una tale debolezza nelle
fondamenta stesse: ciò, ancora una volta, a dimostrazione della sapienza con cui esse sono
state costruite. Ciò significa che ogni qual volta ci si accinga – nel pensiero filosofico come in
quello sociologico – a parlare di scienza, lo si faccia restando ben ancorati a tali fondamenta,
ossia ancora dentro e tra le parole di Galileo. Di conseguenza, l’unica possibilità che sembra
rimanere è quella di oscillare tra due poli radicati nell’affermazione stessa e dunque
continuare a opporre, come lo stesso Galileo, la scienza all’autorità, la natura alla società. Ed
è quanto hanno fatto la sociologia e la filosofia della scienza le quali, continuando a
contrapporre tali poli - quello dell’oggetto e del soggetto per la filosofia, quello della natura e
della società per la sociologia – hanno condotto a far sì che qualsiasi tentativo di analisi e di
descrizione del mondo dell’attività scientifica venisse associato ad una critica al suo statuto di
oggettività o, quanto meno, ad una posizione relativista consistente nel voler sostituire una
“verità di natura” con un’altra, più profonda di quest’ultima, ma più sottile: quella della
società.
Ciò è quanto è accaduto alla prospettiva di Bruno Latour la quale, nel momento in cui si è
addentrata nell’intraprendere un’analisi dei processi di costruzione alla base dell’attività
scientifica, ha finito con l’essere classificata sotto le etichette di “costruttivismo sociale”,
“relativismo” e “post-modernismo”. Fortunatamente, se c’è un’opportunità che
l’epistemologia moderna ci ha fornito, nel momento in cui ha contrapposto al polo della
scienza e delle “verità indiscutibili” quello della società, della soggettività e del discorso, è
stata quella di poter trarre insegnamenti e – soprattutto – nuove possibilità di prospettiva. Ed è
quanto costituisce l’obiettivo principale di questa tesi, la quale prospetta di servirsi delle
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tematiche fondamentali su cui si è concentrata la critica nel merito della sociologia della
scienza latouriana, non solo per mostrarne la natura fuorviante e talvolta contraddittoria,
quanto la propria inclusione all’interno di una certa epistemologia. In questo quadro, fare
esperienza delle osservazioni della critica non contribuirà soltanto a fornire una descrizione
più realistica delle fondamenta della nostra epistemologia, quanto, parallelamente, a portare
alla luce la coerenza soggiacente al progetto intellettuale latouriano. Ciò con un obiettivo
duplice: in primo luogo, si tratta del tentativo di liberare Latour dalla stretta veste di sociologo
della scienza cui non solo il volume di pubblicazioni e studi effettuati in questo ambito ma –
in particolare – il peso e l’importanza che gli studi sulla scienza hanno assunto negli ultimi
decenni lo hanno associato; in secondo luogo – ma in parallelo al proposito precedente - si
tratta di andare a cogliere e rintracciare un filo conduttore soggiacente alla prospettiva
latouriana, in luogo delle discontinuità e delle contraddizioni che parte della critica vi ha
colto.
Per rispondere a tale proposito, nel corso della tesi andrò in primo luogo ad analizzare i
contributi della prospettiva latouriana alla sociologia della scienza, ma tentando di tener
sempre presente cos’è che li tenga inestricabilmente collegati allo sviluppo del pensiero
intellettuale latouriano nel suo complesso. Lungi dal voler minare lo statuto di oggettività
dell’attività scientifica, gli science studies – ossia gli studi svolti da Latour nel contesto della
scienza – mostreranno come tale tipo di oggettività sia solo un tipo di verità la quale, tuttavia,
non deve essere letta in un’ottica monocromatica, contrapponendovi – in maniera simmetrica
– un solo altro tipo di verità: quella proveniente dal versante della società. Di conseguenza, il
proposito di questo lavoro è precisamente quello di andare a leggere la sociologia della
scienza latouriana come prima analisi di una modalità di produzione della conoscenza, la
quale in alcun modo esaurisce la complessità della prospettiva latouriana nel suo complesso.
Ciò, in primo luogo, perché sarà proprio la scelta di Latour di entrare nel mondo della scienza
a condurre a una nuova definizione di quella che viene identificata come “Età Moderna”. Se
la modernità si è eretta su questa contrapposizione tra il polo della società e quello della
natura, tra quello del soggetto e quello dell’oggetto, ciò che gli science studies faranno, ad
uno stadio iniziale dell’evoluzione della prospettiva latouriana, sarà mostrare il carattere
inestricabile di questi due poli. Se la modernità ha costruito le proprie fondamenta
contrapponendo il versante della natura, cui la scienza moderna aveva garantito un accesso
indiscutibile, a quello della società e del soggetto, l’avvento delle crisi ecologiche e la
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moltiplicazione degli ibridi (ossia di elementi quali il buco nell’ozono o gli embrioni surgelati
che mettono in luce il carattere inestricabile di questi due poli), piuttosto che a un’idea di
“crisi” come nella visione post-moderna, conduce alla messa in luce del modo in cui questi
due poli non siano mai stati in realtà contrapposti. Ciò, dunque, non equivale a una critica o a
un abbandono della verità garantita dalla scienza: lungi dall’auspicare un ritorno a un’epoca
passata in cui l’umanità non avrebbe ancora “travalicato” il versante della natura, come nella
prospettiva anti-moderna, la prospettiva latouriana ambisce a ridefinire le coordinate del
sistema della modernità.
Le difficoltà di anticipare in maniera analitica l’andamento del testo derivano precisamente
dal tentativo di rispondere all’obiettivo prefissato: ossia quello di mostrare la coerenza
soggiacente al progetto intellettuale latouriano. L’obiettivo di Latour di ridefinire il sistema di
coordinate della modernità, sebbene si avvicinerà a giungere a compimento soltanto nel 2012
con la pubblicazione di Enquête sur les modes d'existence (Latour 2012) e, di conseguenza,
sia presentato nella parte finale di questa tesi – la quale segue un filo sostanzialmente
cronologico – è stato presente sin dagli inizi del percorso teorico latouriano. In questo quadro,
all’interno della prospettiva latouriana, il mondo della scienza costituirà esclusivamente il
primo modo di esistenza che Latour analizzerà per ridefinire le coordinate della modernità.
Ciò equivale alla necessità di non dover vedere margini di contraddizione nella prospettiva
latouriana, contrapponendo fasi di attività più empirica – come gli science studies – ad una
prospettiva più filosofica sfociata in Non siamo mai stati moderni (Latour 2009). Al contrario,
se Latour ha posto quello della scienza come primo modo di esistenza oggetto di analisi, è
esclusivamente in virtù del fatto che tale regime di verità rappresenta il principale valore
attorno al quale la modernità occidentale ha costruito le proprie fondamenta. L’importanza
della centralità della scienza nell’ottica moderna – e della contrapposizione tra soggetto e
oggetto che ne fa da corollario – risiede nel modo in cui essa ha conferito a “Noi moderni” un
accesso privilegiato alla natura, fondato su distacco e oggettività. Ciò è alla base di un’altra
separazione, quella tra “Noi” e gli “Altri” i quali, non avendo tale visione disincantata sul
mondo naturale, avrebbero accesso solo a credenze e interpretazioni distorte sulla natura. Ma
se la natura – al pari della società - cessa di essere il solido dominio ontologico a fondamento
della modernità, è anche perché essa, parallelamente, cessa di essere un fattore in grado di
fornire spiegazioni per diventare, al contrario, ciò che occorre spiegare. Nella prospettiva di
Latour, infatti, la natura, piuttosto che essere responsabile – nella forma di prova - della
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chiusura di una controversia scientifica ne è sia causa che conseguenza. La critica ha spesso
collocato il lavoro di Latour nel contesto del relativismo e del costruttivismo sociale, non
comprendendo che è proprio l’abbandono di queste posizioni che la prospettiva latouriana
consente, nel momento in cui supera la contrapposizione tra mononaturalismo e
multiculturalismo.
Anticipare questo passaggio consente di mettere in risalto sin da subito il ruolo della
metafisica all’interno della prospettiva latouriana. Se la metafisica latouriana oltrepassa l’idea
di una contrapposizione tra una natura e più culture incommensurabili (alla base della
prospettiva del relativismo culturale), è perché al suo posto pone un cosmos di umani e non-
umani. È evidente su questo punto in legame con una corrente che, pur avendo esercitato
un'influenza notevole sul panorama sociologico, è di origine prettamente filosofica, quella
monista: da Leibniz a Stengers (1993; 1997; 2002), passando per autori come Tarde (di cui
Latour tenta costantemente una rivalutazione del pensiero definendolo come “padre”
dell'Actor-Network Theory), Serres e Whitehead. Tra questi, la lettura delle opere del filosofo
e scrittore francese Michel Serres (1991; 2001) ha consentito a Latour di concentrarsi
sull'importanza delle connessioni, del movimento e delle mediazioni. Inoltre, parlando
dell'importanza dei “terzi esclusi”, Serres fornisce centralità a quello che nel linguaggio
latouriano verrà definito “l'Impero di mezzo”, costituito da ibridi e quasi-oggetti. Il filosofo e
matematico britannico Alfred North Whitehead (1920; 1965), invece, rappresenta un punto di
riferimento essenziale per Latour, in particolare per quanto riguarda l'idea di natura come
processo e il concetto di evento. Seguendo il modo in cui Whitehead abbandona la distinzione
tra qualità primarie e secondarie, la prospettiva filosofica latouriana si presenta come un
relazionalismo tra entità che – in linea con la tradizione semiotica – vengono definite come
attanti: ciò con l’obiettivo di abbandonare la distinzione ontologica tra soggetti e oggetti,
umani e non-umani.
Questa prospettiva inaugurerà una nuova ottica con cui guardare al nostro rapporto con gli
oggetti naturali, l’ambiente e il mondo animale, rispetto a quanto tradizionalmente fatto
dall’ecologia politica. In linea con la proposta di Peter Sloterdijk (2009) di una “Costituzione
ontologica” che ambisca a incorporare al suo interno tutti gli esseri – umani, animali e
macchine – l’ecologia politica latouriana intraprende il progetto di istituire una democrazia
estesa ai non-umani. Oltre a far emergere l’importanza di temi e contenuti di questo asse,
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andare ad analizzare le modalità con cui Latour propone di ridefinire i nostri rapporti con il
mondo naturale e materiale ci consentirà di articolare una definizione della prospettiva
filosofica latouriana che non finisca con il ridurre il peso della metafisica a pura teoria. In
questo quadro, l’obiettivo sarà andare a indagare le modalità con cui Latour propone di
rifondare sia la politica che l’ecologia, per chiarire la chiave empirica e sperimentale
soggiacente alla metafisica latouriana, attraverso la quale giungere – seguendo Isabelle
Stengers - alla definizione di una cosmopolitica, ossia a una “politica del cosmos”.
In questa prospettiva di ridefinizione, i domini ontologici intorno a cui si era strutturata la
modernità – ossia natura e società – passano dall’essere considerati entità trascendenti ed
indipendenti dall’attività dell’uomo per diventare, al contrario, i prodotti temporalmente
stabilizzati di pratiche che non fanno che combinare elementi di questi due poli: quello
dell’oggetto e quello del soggetto. Partendo dalla critica che il filosofo francese Gilles
Deleuze (Deleuze & Guattari 2010) muove a ogni idea di trascendenza, la prospettiva
latouriana, pur non implicando l’inesistenza di ogni tipo di entità trascendente, fa della
trascendenza un prodotto temporalmente stabilizzato attraverso relazioni dinamiche. Da
questo punto di vista, l’esistenza cessa di dover essere rintracciata in virtù di un processo
deduttivo che tragga riferimento dai domini trascendenti di natura e società. Al contrario, essa
viene a coincidere con la traiettoria di un processo di traduzione, inteso come costante
assemblaggio di elementi naturali e sociali. In tal modo, l'idea di una natura e di una società
trascendente viene sostituita da quella di entità depurate all'interno di questi due rispettivi
poli.
Se la modernità, nella sua pratica, ha potuto continuare a confondere elementi dei due poli di
natura e società, fino a giungere alla moltiplicazione di ibridi che caratterizza l’epoca
contemporanea, è perché in teoria – e dunque a livello epistemologico – ha posto una
contraddizione tra costruzione e realtà. Anticipare questo passaggio è essenziale, ancora una
volta, per rispondere al tentativo di tracciare il filo che lega ogni punto della prospettiva
latouriana. Se l’approccio di Latour non può essere definito né come realista né come
costruttivista è proprio in virtù del fatto che tali concetti – quello di reale e quello di costruito
– cessano di essere interpretati come punti di contraddizione. Ancora una volta, rispondere
alle interpretazioni della critica aiuterà a gettare luce sulla complessità dei punti fondamentali
della prospettiva latouriana. L’impossibilità di associare l’approccio di Latour al
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costruttivismo sociale deriva dalla centralità del concetto di traduzione, il quale conduce a
interpretare l’idea per cui un fatto – non solo scientifico come nel mondo della scienza, ma
come esito di un qualsiasi processo di costruzione di verità – possa essere reale pur essendo al
contempo costruito. Per comprendere questo punto senza vedervi una contraddizione, è
sufficiente dissociare l’idea di costruzione di un fenomeno dalla necessità che alla base di tale
costruzione debbano esservi esclusivamente fattori sociali. Se la società, così come la natura,
non costituisce un polo trascendente da utilizzare come punto di ancoraggio, allora essa cessa
di essere considerata la fonte da cui trarre spiegazioni. Al contrario, essa diventa ciò che
occorre spiegare in virtù di una pratica di traduzione, la quale confonde costantemente
elementi del polo del soggetto con quelli del versante dell’oggetto.
Fare luce sull’importanza della pratica di traduzione ci consentirà, ancora una volta, di
liberare Latour dalla stretta veste di sociologo della scienza per mettere in evidenza, al
contrario, il peso della metafisica e dell’ontologia. Come vedremo, infatti, l’origine stessa di
tale concetto, piuttosto che nell’ambito degli science studies, deve essere ricercata nella
teologia. È in virtù del lavoro fatto sulla prospettiva del teologo tedesco Rudolf Bultmann
(1971) che Latour nel 1975 nella sua tesi di dottorato
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svilupperà l'idea per cui la verità del
messaggio evangelico sia rinvenibile non depurandolo da tutte le distorsioni susseguitesi
storicamente per tornare a un messaggio originario, quanto tenendo conto precisamente di
tutte queste distorsioni, connessioni, modifiche e traduzioni. Queste ultime, lungi dall'aver
offuscato la verità del messaggio religioso, sono costitutive del messaggio stesso.
Alla base dell’idea di verità, religiosa come scientifica, la prospettiva latouriana pone l’attività
di traduzione. Questo passaggio è reso possibile dall’abbandono dell’idea di un soggetto
umano interpretato come fonte dell’azione e contrapposto a un mondo naturale (inumano)
inerte. L’azione, al contrario, diventa il prodotto dell’attività dei mediatori: ossia di qualsiasi
entità (umana come non-umana) che modifica, trasforma, traduce l’azione proveniente da un
altro mediatore.
Si tratta di una ridefinizione fondamentale del modo in cui la sociologia ha interpretato
l’azione. Questa ridefinizione, in maniera simmetrica a quanto fatto con i concetti di
immanenza/trascendenza, conduce ad abbandonare la contrapposizione tra micro e macro,
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Latour fece la sua tesi di dottorato sotto la guida di André Malet, il traduttore di Bultmann in francese.
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azione e struttura, per porre in primo piano un'idea di realtà nei termini di un panorama
piatto, costituito esclusivamente da catene di associazioni.
Ciò non deve indurre a collocare la prospettiva sociologica latouriana tra le teorie e correnti
sociologiche che hanno tentato di colmare il baratro che la sociologia ha posto tra l’azione e la
struttura, l’individuo e la società. Al contrario per Latour non vi è alcun baratro tra questi due
poli, in quanto non esiste né una società come dominio ontologico stabile, né un individuo
autonomo e indipendente dalle catene di mediatori di cui fa parte. È per questo che la
prospettiva sociologica latouriana viene a definirsi come una sociologia delle associazioni,
con l’obiettivo di indagare le connessioni tra umani e non-umani. L’esito di tali processi di
assemblaggio non è una società come entità tangibile, ma un sociale inteso come esito
provvisorio di tali connessioni. Ciò significa non solo abbandonare il modo in cui la
sociologia ha interpretato la stabilità come la norma e il mutamento come l’eccezione, ma
anche mettere da parte il modo in cui essa si è servita dell’utilizzo di fattori sociali (e dunque
della società) per spiegare tanto la società stessa quanto il versante della scienza e della
natura, così come ha fatto la sociologia della scienza.
Tali propositi sfoceranno nella prospettiva dell’Actor-Network Theory, un approccio nato nel
contesto degli studi di scienza e tecnologia e del quale Latour è uno dei fondatori. Alla base di
tale approccio sta il proposito di “seguire le tracce” lasciate dagli attori, il che rivela una forte
continuità tra tale prospettiva e quella dell’etnometodologia (Garfinkel 1967). Anche se
l’obiettivo di questa tesi non è di ridurre il peso dei contributi che Latour ha fornito alla
prospettiva dell’Actor-Network Theory, il tentativo iniziale consisterà nel metterne in rilievo
il ruolo di metodo nell’analisi dei modi di esistenza. È per questo che, nonostante il peso della
sociologia delle associazioni latouriana e dei rapporti di Latour con l’Actor-Network Theory
non possano essere trascurati – e per questo motivo costituiscano l’oggetto di un capitolo –
sarebbe fuorviante considerare l’Actor-Network Theory nei termini di un paradigma teorico
distinto dalla prospettiva latouriana nel suo complesso. Al contrario, la scelta di dedicare
attenzione a questo paradigma dipende precisamente dal tentativo di metterne in luce il ruolo
di conseguenza della prospettiva metafisica latouriana e di strumento di analisi dei modi di
esistenza. Sarà soltanto dopo aver rintracciato le origini della separazione ontologica della
modernità tra natura e società che Latour, con l’obiettivo di analizzare quest’ultima, si
inoltrerà nel contesto dell’analisi sociologica. Ma i contributi della prospettiva sociologica
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latouriana, piuttosto che alla formulazione di una teoria sociologica nel senso tradizionale del
termine, condurranno a una ridefinizione dei rapporti tra sociologia e filosofia e alla
formulazione di un metodo – quello di ANT, appunto – con cui Latour proseguirà l’analisi dei
modi di esistenza.
La coerenza soggiacente al progetto intellettuale latouriano inizierà a emergere in maniera più
nitida con l’avvicinamento alla pubblicazione di Enquête sur les modes d'existence (Latour
2012). A questo livello, infatti, la prospettiva filosofica e quella antropologica verranno a
congiungersi, mostrando gli elementi che le hanno tenute inestricabilmente connesse lungo
tutto lo sviluppo del progetto intellettuale latouriano. Se da Non siamo mai stati moderni
(Latour [1991] 2009) era emersa una visione sostanzialmente pessimistica della modernità,
sarà per ridefinire positivamente le coordinate del sistema ontologico occidentale che Latour
intraprenderà un progetto di antropologia filosofica
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. Di conseguenza, l’obiettivo che
emergerà nella parte finale della tesi sarà di far emergere il modo in cui antropologia e
filosofia verranno a congiungersi per rispondere alla domanda: “Se non siamo mai stati
moderni, allora cosa siamo stati?” e “Cosa dobbiamo diventare?”
Come evidente dal sottotitolo“Une anthropologie des modernes”, Latour in Enquête sur les
modes d'existence (Latour 2012) porta avanti il proposito di effettuare un’antropologia dei
presupposti del mondo occidentale e moderno, ma uscendo dalla prospettiva dell’antropologia
nel senso tradizionale del termine. Non solo in quanto quest’ultima continua a fondarsi su una
contrapposizione tra natura e cultura, ma anche perché essa, quando applicata all’analisi del
nostro mondo, abbandona l’approccio olistico di cui si serve nel momento in cui studia gli
“Altri” per concentrarsi sugli aspetti culturali - e dunque marginali, folklorici – che
caratterizzano il mondo moderno. Al contrario, obiettivo del progetto AIME (acronimo del
titolo inglese An Inquiry Into Modes of Existence) sarà intraprendere un’inchiesta
antropologica che ambisca a ricostruire le specifiche condizioni di verità della totalità dei
nostri valori - o modi di esistenza – con l’intento di rintracciare un sistema di coordinate più
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Merita sottolineare fin da ora che il significato di questa espressione non è quello consueto, che indica una
specifica disciplina filosofica, ma deriva – come vedremo nel quarto capitolo - dal lavoro di connessione tra le
categorie dell’antropologia culturale e la peculiare metafisica empirica elaborata dal sociologo-filosofo francese.
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efficace di quello modernista nella comprensione dei problemi e nell’azione sulle potenzialità
della vita collettiva contemporanea.
Come vedremo, per rispondere a tale proposito Latour inaugurerà un metodo fondato
sull’inchiesta collettiva, affiancando alla pubblicazione dell’edizione cartacea di Enquête sur
les modes d'existence (Latour 2012) la proposta di una revisione dei contenuti di tale testo
sulla base dei contributi dei lettori, definiti come co-ricercatori. Si tratta di un progetto di
antropologia simmetrica, in quanto fondato sul tentativo di andare ad indagare il nostro
mondo occidentale e “moderno” con le categorie dell’“alterità”; ma anche di filosofia
empirica e sperimentale, in quanto fondato sulla ricerca e sulla necessità di sperimentazione e
revisione costante di tali contenuti. Dal momento che l’obiettivo del progetto sarà di estendere
l’analisi dei modi di esistenza iniziata nel contesto della scienza agli altri regimi di produzione
di verità del mondo occidentale - seguendo una tradizione di analisi dei modi di esistenza che
risale a William James e a Étienne Souriau - si tratterà di andare ad indagare in maniera
empirica le coordinate del nostro sistema ontologico. In maniera empirica, punto di partenza
dell’inchiesta collettiva saranno i resoconti etnografici condotti da Latour nei vari contesti di
produzione dell’oggettività del mondo occidentale. Ma alla ricerca dei processi di traduzione,
ossia di modifica e di distorsione alla base dei passaggi tramite cui giungiamo alla definizione
dei nostri sistemi di verità, si affiancherà quella delle continuità che permettono di giungere a
definire le condizioni di verità e falsità di ciascuno dei nostri modi di esistenza. È in questo
quadro che assisteremo a un superamento degli strumenti dell’Actor-Network Theory: se
l’analisi dei network di produzione della verità, e dunque di tutte le associazioni di umani e
non-umani attraverso cui è possibile giungere alla definizione di un fatto (scientifico, come
giuridico), è stata lo strumento fondamentale con cui Latour ha indagato non solo il contesto
della scienza ma, anche quello della legge, della religione e dei sistemi socio-tecnici, con
Enquête sur les modes d'existence (Latour 2012) il network diventerà un modo di esistenza.
Ciò in base a una revisione essenziale di alcuni dei principali concetti della metafisica
latouriana: piuttosto che fermarsi ad un principio che in ultima analisi porta ad effettuare le
stesse dichiarazioni in merito ad ogni modo di esistenza, ossia che ognuno di essi è composto
da network eterogenei che connettono umani e non-umani, occorre andare ad indagare le
specificità di ognuno di questi contesti. Ciò partendo dal presupposto per cui ogni modo di
esistenza possiede specifici processi di traduzione attraverso cui giungere alla produzione
della verità, ognuno dei quali è specifico ed incommensurabile rispetto a quelli alla base degli
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altri modi di esistenza. È in questo senso che l’antropologia dei moderni latouriana si sviluppa
come un’antropologia filosofica, fondata sul proposito di ricostruire un’ontologia che sia
regionale, in quanto specifica al nostro mondo occidentale, e pluralista, dal momento che si
fonda sull’idea per cui esistano differenti modalità di produzione della verità tra loro
incommensurabili. Un progetto di filosofia che, dal momento in cui si fonda sull’inchiesta
collettiva, viene a porsi come filosofia sperimentale esprimendo, ancora una volta, la coerenza
soggiacente al progetto intellettuale latouriano. Tale proposta di filosofia sperimentale, infatti,
si riallaccia alla necessità di porre in primo piano il dibattito e la sperimentazione collettiva e
diplomatica, già emersa nell’ecologia politica latouriana.
La necessità di andare a ricostruire in maniera etnografica i nostri regimi di produzione della
verità condurrà, a sua volta, a mettere da parte l’apparato di nozioni tratte dalla semiotica, di
cui Latour si era servito nel contesto della sociologia della scienza. Ciò ci consentirà, ancora
una volta, di fare chiarezza sulla specificità della prospettiva intellettuale latouriana,
evidenziando i fraintendimenti di quelle letture critiche che avevano associato la prospettiva
di Latour alla “svolta linguistica”.