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Prima di dedicarmi all’interpretazione e allo studio del film, decisi
innanzitutto di esaminare il contesto storico, culturale e artistico in cui era
inserito. Siamo nell’era El’cin e la ricostruzione della nuova Russia è ancora in
atto. Un rinnovamento che avrebbe investito soprattutto le arti, tra cui la più
importante (come affermava Lenin), il cinema. L’arte del cinema è stata sempre
predominante in Europa e Nord America sin dai primi anni del ventesimo secolo.
Pian piano anche in Russia il cinema cominciò ad occupare una posizione
centrale, iniziando ad essere il fulcro di molte battaglie ideologiche, culturali
contro e a favore dello Stato.
Quindi l’obiettivo principale di questo lavoro è di analizzare quale fosse la
posizione dell’arte cinematografica in uno scenario profondamente rinnovato;
inserire, quindi, il cinema nel giusto contesto storico ed estetico, proprio poiché
si era tramutato, dopo la caduta dell’impero sovietico e il fallimento della
perestroika, in una forza culturale molto potente ed era diventato il vero punto di
partenza per lanciare la nuova Russia in un contesto europeo, dal quale era
rimasta lontana da anni.
***
Il seguente lavoro è suddiviso in tre capitoli, nei quali ho cercato di ripercorrere
la storia di Balabanov regista, e di esaminare più a fondo una delle sue pellicole,
traducendo la sceneggiatura originale.
3
Nel primo capitolo ho tracciato un breve quadro del cinema nella Russia
negli anni Novanta del Novecento, soffermandomi sul dibattito tra molti registi
che vedevano nel nuovo cinema russo la possibilità di un cinema nazionale.
Nel secondo capitolo mi sono soffermato in modo più dettagliato
sull’attività del regista Aleksej Balabanov, e sulle sue opere più importanti
(Fratello, Fratello grande, Cargo 200 e Morfina).
L’ultimo capitolo propone un’analisi del film Fratello, del 1997, che, in
qualche modo è la pellicola più importante del regista. Inoltre nell’ultima parte
del capitolo ho inserito il mio lavoro di traduzione della sceneggiatura originale
del film.
Questa mia tesi non vuole essere un lavoro di carattere specifico relativo
al regista russo, e alle tecniche da lui utilizzate in campo cinematografico, ma
l’analisi approfondita di un’arte, quella del cinema, in un contesto nuovo, e in
fase di rinnovamento, attraverso l’opera di un grande regista, Aleksej Balabanov,
e del suo film Fratello che descrive, meglio di altre pellicole, questa nuova e
laboriosa realtà.
***
Ho avuto modo di approfondire le mie ricerche durante un soggiorno della
durata di tre mesi a San Pietroburgo (ero impegnato a portare a termine il mio
tirocinio presso il Consolato Generale d’Italia di San Pietroburgo), durante il
4
quale ho avuto la possibilità sia di reperire materiale utile per il presente lavoro,
che di incontrare di persona il regista russo, annotando notizie preziose per la mia
tesi.
Inoltre ho ampliato e approfondito l’oggetto del mio studio attraverso
Internet e altri supporti elettronici (come, ad esempio, la banca dati del catalogo
MLA), anche se ho avuto non pochi problemi a causa dello scarsissimo materiale
bibliografico reperibile sul regista e sul film.
In primis ringrazio l’Istituto Italiano di Cultura di San Pietroburgo, per i
consigli dati, le bibliografe della Sala Spettacolo della Biblioteca Nazionale di
Roma e il direttore della Biblioteca “Luigi Chiarini” del Centro Sperimentale di
Cinematografia di Roma per il loro utilissimo aiuto. Ringrazio inoltre la Dott.ssa
Ljudmila Negarville e la Dott.ssa Silvia Toscano per la loro continua e gentile
disponibilità.
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Capitolo I
Il cinema post-sovietico
1.1 Il cinema russo degli Anni Novanta
La fine degli anni Ottanta si preannunciava come un periodo di
rinnovamento per il cinema sovietico, così come per tutta la società sovietica.
Con l’indebolimento sia dei vincoli ideologici che economici, il numero di film
prodotti, che oscillava intorno ai 150 all’anno, improvvisamente subì un enorme
incremento, raggiungendo quota 300 nel 1990 e l’ambizione e l’audacia dei
soggetti di questi film lasciarono il pubblico sovietico attonito, poiché da sempre
abituato al rigoroso controllo del Partito sull’industria cinematografica. Ma non
appena la celebre perestroika risultò essere un fallimento, una fine piuttosto che
un inizio, allora i pericoli insiti in questa esaltante crescita di cui il cinema fu
protagonista diventarono più chiari ed evidenti agli occhi di chi cominciava a
studiare più da vicino questo fenomeno. I cambiamenti della vecchia legge,
secondo la quale il cinema doveva rimanere sotto il controllo statale, significava
che i nuovi produttori indipendenti da questo momento avevano la possibilità di
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lavorare al di fuori del sistema statale, ma molti di coloro che si erano lanciati
nella produzione cinematografica per ragioni esclusivamente finanziarie
avrebbero presto trovato modi per trarne profitto.
La stessa industria statale si trasformò in un sistema di autofinanziamento
economico, ma tale autonomia e libertà nel sistema di distribuzione e
presentazione portò ad una grande irruzione di film americani (spesso di
terz’ordine), che acquistarono in fretta popolarità tra il pubblico, privato fino ad
allora di questi film
1
.
Gli acquirenti delle catene di distribuzione regionali di fronte al nuovo
mercato di film “alternativi”, si rifiutarono sempre di più di acquistare la maggior
parte dei nuovi film sovietici
2
. Anzi, incominciarono ad essere venerate le nuove
star del cinema americano, come Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, e
per i palati più fini ed esigenti, registi come Derek Jarman, Peter Greenaway e
Pedro Aldomovar.
In tutta la nazione nacquero i cosiddetti “saloni video”, mostrando spesso
copie pirata dei film, privi della distribuzione ufficiale, segno dell’enorme
crescita della pirateria cinematografica.
1
Cfr. Taylor Richard, Nancy Wood, Julian Graffy, Dina Iordanova, The BFI Companion to
Easter Europe and Russian Cinema, London, British Film Institute, 2000.
2
Questa tendenza rimanda a ciò che si verificò negli anni venti del Novecento nell’Unione
Sovietica, quando la passione nei confronti dei film stranieri (in particolare quelli americani)
diede vita al fenomeno cosiddetto dell’Amerikanščina, termine coniato per descrivere l’amore
del pubblico sovietico per queste nuove pellicole, a tal punto che i registi iniziarono a produrre
film sovietici “copiando” quelli americani.
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Copie senza licenza dei nuovi film di Hollywood potevano essere
acquistate a Mosca prima della loro uscita ufficiale in Gran Bretagna. I canali
privati della televisione via cavo si affidavano a questi nuovi film per aumentare
e attirare in modo vertiginoso i loro spettatori.
Ma il punto decisivo era che l’inflazione galoppante e le altre crisi sociali
– le crisi avevano colpito puntualmente i nuovi documentari e i film dell’epoca –
avevano abbassato il numero di frequentatori abituali di cinema, avevano
spezzato la loro abitudine, un’abitudine sopravvissuta molto più a lungo
nell’Unione Sovietica che nel resto delle regioni d’Europa. Tra il 1986 e il 1991
il numero di spettatori di cinema era calato da 4 miliardi a 2,5 miliardi e si stimò
che circa 140 mila posti rimanessero invenduti ogni giorno. Questo ebbe come
conseguenza diretta la morte di molte sale cinematografiche, che vennero date in
affitto o vendute per poi essere adibite ad usi più vantaggiosi e a scopi lucrativi:
ad esempio gli atri di molti cinema si tramutarono in negozi di film e musica o in
autosaloni di lusso.
Di conseguenza, avendo il sesto Congresso dell’Unione dei registi
dell’Urss (giugno 1990) avuto il compito e la responsabilità della
riorganizzazione dell’Unione nella cosiddetta “Federazione delle organizzazioni
territoriali e sovranazionali dei registi”, ognuna delle quali divisa in corporazioni
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a seconda delle varie professioni cinematografiche, ciò poteva solo essere visto
come un simbolo di fratture e divisioni ancora più grandi
3
.
Un anno dopo, accadde un fatto ancora più significativo: nell’agosto 1991
un gruppo di integralisti politici attuarono un colpo contro Gorbacëv, e per 3
giorni Mosca fu in pieno tumulto. L’insuccesso di questo colpo significò la fine
del sistema che Gorbacëv aveva cercato di “ricostruire” attraverso la sua
celebrata (ma fallimentare) perestroika. Alla fine dell’anno, l’Unione Sovietica si
dileguò, svanendo gradatamente e Gorbacëv rimase fuori dal potere.
La nazione stava per mettere piede in un nuovo mondo, dove ogni cosa,
persino il suo nome, era cambiato. In queste nuove condizioni, i registi sovietici
dovettero imparare velocemente nuove cose – in particolare il ruolo del
produttore, funzione precedentemente affidata ai funzionari di stato, e il
marketing (commercializzazione e distribuzione).
A causa della scarsa distribuzione e di un marketing quasi inesistente,
soltanto pochi dei numerosissimi film russi riuscirono e con fatica a realizzare un
introito e a portare profitto ai loro investitori. Il numero di film prodotti ogni
anno diminuì sempre più. Dai 300 nel 1990 si arrivò ai 213 nel 1991, 172 nel
1992, 152 nel 1993 e, poiché si ripresentarono crisi economiche difficilmente
prevedibili, arriviamo a 68 nel 1994, 45 nel 1995 e 26 nel 1996. Negli ultimi
3
Taylor Richard, Nancy Wood, Julian Graffy, Dina Iordanova, The BFI Companion to Eastern
Europe and Russian Cinema, cit., pp. 5-9.
9
anni del secolo scorso il numero di film prodotti rimase più o meno a questo
livello.
In realtà la “normalizzazione”, cui era stata sottoposta la società sovietica,
ebbe dei profondi effetti sul pubblico cinematografico. Ora che avevano avuto
accesso ad una illimitata gamma di prodotti cinematografici, senza menzionare la
crescita di una vasta scelta di attività per il tempo libero, il pubblico appassionato
di prima si parcellizzò in piccoli gruppi con gusti molto diversi gli uni dagli altri
e spesso in contraddizione e ci sarebbero voluti anni e anni per permettere ai
registi di identificare quei gusti e per produrre nuovamente quei film popolari di
successo che erano una caratteristica costante degli anni di Brežnev.
Furono fatti molti tentativi per internazionalizzare l’industria
cinematografica russa. Un gran numero di film furono prodotti in base a soggetti
russi, ma con denaro americano o inglese. Ma i compromessi artistici che questi
comportarono – produrre film in gran parte in inglese, usare le star occidentali e
semplificare le trame per renderle accessibili ad un pubblico occidentale per nulla
pratico delle storie sovietiche – significò che questi film non avrebbero
soddisfatto né l’Est né l’Ovest e perciò l’esperimento subito sprofondò. I registi
russi avevano grande successo quando collaboravano con quelli europei, in
particolare francesi, in cooproduzioni, dove c’era da sempre stata una maggiore
tradizione nel lasciare ai registi la licenza di seguire la propria idea, ma persino
qui un livello minimo di compromesso fu inevitabile, e i rapporti tra le
compagnie di produzione francese e i registi russi si dimostrarono raramente
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armoniosi. Un aspetto in cui l’internazionalizzazione dell’industria fu, in realtà,
degna di successo, fu proprio nell’aumento della tendenza e propensione degli
attori, dei registi russi e degli altri tecnici del cinema a lavorare all’estero. Così le
spese dell’industria cinematografica russa, quanto alle attrezzature e al cast degli
attori, furono sempre più in valuta forte (dollaro), mentre le entrate continuarono
ad essere in valuta debole (rublo perennemente instabile), preludio per un
ulteriore crollo finanziario. Per un certo tempo gli studi cinematografici russi
cercarono di dare in affitto i loro studi e dare così la possibilità ai tecnici di
lavorare su film occidentali prodotti in Russia, come Orlando (1992) di Sally
Potter, ma la crescente inflazione mise fine a questa strategia e in seguito alcuni
registi russi trovarono finanziariamente vantaggioso produrre film all’estero – la
maggior parte del film di Nikita Mihalkov Il barbiere di Siberia (Sibirskij
Cirjul’nik, 1998) per esempio, fu girato negli studi Barrandov vicino Praga
4
.
Con il passare del decennio, l’interesse per l’occidente, particolarmente
forte alla fine degli anni Ottanta, sia nella riscoperta di capolavori del cinema,
così a lungo messi da parte, sia nel nuovo cinema di impegno sociale, si avviò
oramai verso il declino. I film russi non vinsero più premi ai festival del cinema
in occidente e spesso non vennero nemmeno più invitati a parteciparvi. In Russia,
molti dei sostenitori dell’ultimo periodo sovietico trovarono che il cinema
difficilmente si fosse adattato alle nuove condizioni socio-culturali.
4
Beumers, Brigit, The Cinema of Russia and the Former Soviet Union, New York, Wallflower
Press, 2006, pp. 24 -26.