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Questa citazione sintetizza ciò che è diventato il
consumatore dell’epoca postmoderna: un soggetto
emotivo, poco razionale spinto dall’edonismo,
individualista ed anche un po’ egoista, capriccioso
Questa breve premessa, volutamente ironica e
sicuramente riduttiva, su ciò che noi consumatori
siamo diventati, mi consente di introdurre il presente
lavoro: la comunicazione aziendale che incontra le
emozioni e le fa proprie, concretizzandosi in uno
spazio. E non perché si sia deciso di “volere più
riguardo. Anche, forse. Ma lo scopo è sicuramente
diverso. Quando infatti, soddisfare il cliente con
prodotti di qualità ed un eccellente rapporto qualità/
prezzo non basta più, allora bisogna cercare nuove
terre di conquista, qualcosa che non abbia a che fare
con la razionalità, ma con le emozioni.
Ci si è resi conto, insomma, che per essere competitivi
non è più possibile ragionare impiegando soltanto
dei prodotti, perchè resi sempre più simili dall’elevato
tasso di concorrenzialità presente nei mercati. È
palese allora che la soluzione vada ricercata altrove,
non nei prodotti, ma nell’individuo. La componente
emotiva, la parte inconscia, irrazionale, legata ai
sensi dell’individuo/consumatore sembra essere un
buon terreno di azione.
Ed è qui che entrano in gioco le strategie di marketing
esperienziale (o emotivo) che mirano a stimolare i
nostri sensi e il nostro lato passionale.
renderlo protagonista di una memorabile esperienza
di acquisto, emozionandolo tramite la stimolazione
di tutti i suoi sensi.
Con questo lavoro mi sono quindi proposta di
dimostrare quanto oggi, in molti settori, sia
necessario trarre il massimo vantaggio possibile
punto vendita: esso è sempre più considerato dagli
studiosi del settore e dalle imprese stesse una vera
e propria risorsa strategica intangibile d’immagine.
La ragione di tutto ciò va ricercata nel fatto che il
punto vendita rappresenta il mezzo di comunicazione
più vicino al consumatore, il reale punto di contatto
tra cliente ed azienda, esercitato innanzitutto a
E’ proprio all’interno di questo quadro che ho
oggi sempre più come un point of permanence o
un point of meeting: per distinguersi dalla massa
ed avere successo è indispensabile fornire al
cliente l’opportunità di vivere esperienze nuove,
accogliendolo in luoghi familiari ed emotivamente
coinvolgenti, spazi relazionali e di svago in grado di
attirare l’attenzione per la forte personalità di cui
godono.
Nello sterminato territorio del retail, nuove forme
distributive sono chiamate a rispondere a questa
necessità: nascono quindi format distributivi capaci
di dare soddisfazione al consumatore.
I concept store e i negozi ibridi sono i luoghi deputati
a questo: veri contenitori, non solo di prodotti ma
di esperienze olistiche profondamente attraenti, in
cui vengono proposti veri e propri stili di vita a 360
gradi.
Il progetto in cui si sviluppa la tesi, è stato condotto
su un marchio per dimostrare appunto come i nuovi
format possano cambiarne le sorti, attualizzandolo
sul mercato, incrementando il target, la conoscenza
dei prodotti e di conseguenza le vendite (che resta no
Il marchio preso in questione è Borbonese.
La scelta deriva principalmente da motivazioni
legate ad un mio contatto personale che mi ha
consentito di entrare in relazione con Giovanna
la torinesità, che han fatto modo di farmi sentire il
lavoro più vicino e sentito.
per le sue caratteristiche intrinseche, e allo stesso
tempo come l’occasione perfetta per dimostrare
quanto design e moda siano strettamente collegati,
e quanto quest’ultima si serva anche degli strumenti
del design per stabilire un contatto con il proprio
consumatore.
“L’anima del nuovo consumatore è un labirinto
di emozioni, preferenze, comportamenti,
preoccupazioni e fedeltà.
Anche sull’anima di questo nuovo consumatore
agiscono molte forze, soltanto una qualità
resta invariata: il suo potere”.
L.Windham e K.Orton
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Gli anni che vanno
sono gli anni di una Torino improvvisamente femminile,
della merceologia di lusso e delle sartorie.
Tutto questo è anche la storia
di Borbonese.
E’ il 1910.
La modista Lucia Lorenzo Ginestrone rileva
la piccola bottega-laboratorio Borbonese, in Via
Bogino a Torino, avviando la produzione di accessori
per le sartorie della città, realizzando borse da sera,
guanti, cappelli, scialli e bijoux.
Date le doti e la creatività, in poco tempo riesce a
grazie al consenso di committenti locali di alto
livello. E’ così che la signora Ginestrone inizia a
viaggiare per studiare, presso i più grandi ateliers di
Londra e Parigi, le esigenze dei singoli clienti.
Al suo rientro si presenta con un numero inverosimile
di valigie straripanti di campioni di ogni genere: il
quel mondo di colori, tessuti, nastri e pietre. Madre
l’originalità e ponendola, in campo internazionale,
Solo negli anni ‘40 verrà poi rilevato il nome
Edoardo Calcagno.
tanto che, nei primi anni ‘80, con un decreto del
Presidente della Repubblica Sandro Pertini, viene
riconosciuto loro il diritto di porre accanto al
rispettivo cognome il nome Borbonese.
Di fatto si erano rivelati eredi, prosecutori e
innovatori di quella peculiare identità di marchio
iniziata da Lucia Lorenzo Ginestrone all’inizio del
secolo.
Insieme hanno una grande intuizione sulla
potenzialità dell’accessorio, che li porterà al
passaggio dall’artigianato all’imprendtoria.
“L’abito viene dopo.”
affermava Umberto.
Intuitivo, impaziente
e visionario Umberto,
forse più positivo,
più determinato Edoardo.
Il gioiello Borbonese diventa protagonista, non è
più complemento dell’abito.
La straordinaria capacità dell’azienda torinese di
impostare un dialogo armonioso fra abito e bijoux
diviene così alla base d’una richiesta collaborazione
da parte delle migliori case di alta moda come
Galitzine.
Già nel 1958 i Borbonese avevano chiesto il brevetto
per una resina sintetica, che rimarrà l’elemento
caratterizzante di tutta la produzione di accessori:
con Galitzine la ricerca di materiali nuovi diventa
quasi ossessiva, e la singolare fantasia ispiratrice
dell’uso di materiali non preziosi porta ad oggetti di
altissimo livello qualitativo.
Sono gli anni in cui non esce abito dalla sartoria
della maison se non è accompagnato da un bijou
La creatività li rendeva gli ideali accompagnatori
Non rimangono immuni a questo fascino nemmeno
Valentino e Ungaro, che ne apprezzano l’estro, la
sperimentazione e la bellezza.
Valentino rende il suo bijou parte integrante delle
sue collezioni, sia si tratti di haute couture che di
pret-à-porter, dandogli quell’importanza che merita
e portando il linguaggio italiano della moda oltre i
di evocare atmosfere lontane esercitando un fascino
irresistibile.
In quelli che furono gli anni dell’invenzione, i fatali
anni Settanta, Borbonese inventò i gioielli fantasia
più eleganti, più estrosi, rivisitando materiali e
tecniche artigianali.
Materiali semi preziosi e di uso comune come
osso, paste vitree, conchiglie e smalti, sono messi
insieme da sapiente e consumata perizia artigiana,
caratterizzando e distinguendo l’intera produzione.
Nel 1971 viene siglato un accordo con la Redwall di
Bologna, industria pellettiera, per la produzione di
una linea di borse destrutturate con un nuovo tipo
di pelle d’agnello trattata: l’occhio di pernice, meglio
conosciuta come OP.
E’ una tecnica spagnola di trattamento della pelle che
ne mette in risalto la trama, il tessuto, restituendo
della maison, una sorta di trade mark intrinseco.
Fu la fortuna di entrambi: la lavorazione di questo
tipo di materiale non ancora impiegato da nessuna
maison di moda, consentiva di apportare innovazioni
a quella che era la struttura ormai consolidata della
borsa classica.
BORBONESE
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si aggiungono foulard, sciarpe, cravatte, scialli ed
orologi.
Nel 1992 Borbonese viene acquistata da Redwall e
solo tre anni più tardi ci fu la scomparsa di Edoardo.
maglieria, di abbigliamento, sono frutto dell’operoso
successo del marchio si deve proprio all’accurata
produzione e distribuzione Redwall delle borse e
della piccola pelletteria.
I caratteri distintivi della donna Borbonese si
sono delineati in ambito decisamente elitario: chi
frequentava la maison non era certo una persona
qualunque, apparteneva ad una cerchia ristretta,
disposta ad accogliere il consiglio dei due creatori,
a condividere lo stile di vita suggerito dalle loro
ideazioni, non di rado stravaganti. L’evoluzione si è
in OP, hanno superato il suggerimento ad personam,
mercati.
L’OP diventa segno
di una donna che sa
quello che vuole, che non
si adorna per l’occasione,
ma ogni giorno.
Nel 2000, anno in cui inizia la corsa all’ acquisizione
dei marchi più famosi (magari un po’ decotti ma
con forte potenziale), da parte dei grandi gruppi,
la seconda generazione di gioiellieri Van Cleef
& Arpels decide di tentare la sorte e acquisisce
Redwall e Borbonese.
Alessandro Dell’
Acqua, giovane promessa della moda italiana che,
oltre ad occuparsi della sua linea personale, diventa
anche direttore creativo di Borbonese iniziando a
disegnare le collezioni di abbigliamento.
Il patto tra il brand e il designer napoletano, punta a
dare una nuova identità a tutta la struttura aziendale.
Viene curato il riposizionamento del prêt-à-porter
donna, che diventa un total look a 360 gradi, e si
occupa del lancio della nuova linea uomo, con pezzi
di valigeria e qualche piccolo complemento di stile.
Si occupa anche della ristrutturazione della rete
vendita per investire e valorizzare il marchio storico.
Viene quindi reinterpretato il classico di Borbonese
in chiave moderna.
Il compito principale dello stilista è dunque quello di
riportare Borbonese ai fasti degli anni ‘60, quando
fanno sempre più in rosso. Nel 2003 muore anche
parte nel 2006, e la società riesce a chiudere in utile
facendo risalire decisivamente il fatturato.
Attualmente Gabriele Colangelo è il direttore
creativo. Il nuovo stilista per rinforzare l’identità
del prodotto Borbonese, è partito dalle origini del
marchio che sono gli accessori.
L’azienda ha trovato molto importante cercare di
riposizionare il brand in chiave lusso e a fermare
wear. Grazie alle nuove collaborazioni che hanno
portato un’espansione vera e propria del marchio
in tutti i campi, Borbonese è ormai diventato uno
stile di vita, una realtà concreta conosciuta in tutto
il mondo che, nonostante tutto, mantiene stretto il
contatto con la città d’origine. Per scelta.
in Le cofessioni di uno stilista Torinese la sua scelta
di rimanere ancorato alla sua città: “Si lo so, stupisce
un po’ tutti che io sia lo stilista torinese di lavoro,
oltre che di nascita, e che la Borbonese conservi la
sua sede a quattro passi dalla Mole, non all’ombra
del Duomo, o lungo l’Arno oppure a contatto con la
mondanità romana. Semplicemente amo Torino in
modo totale, completo, e poi la Borbonese è legata
radici, l’atmosfera in cui creiamo. In fondo in questa
scelta è entrato un po’ di orgoglio, di cocciutaggine
tutta piemontese.
di aver fatto camminare molto l’azienda, portandola
pure su strade diversissime.
Di Borbonese oggi nascono borse, foulard, oggetti
in pelle, scialli, biancheria da casa, bijoux, occhiali,
profumi, addirittura piastrelle, nei quali si può
riconoscere il segno del nostro perfezionismo, la
cura e l’attenzione con cui seguiamo il prodotto
motivo comune che lega tutto ciò che porta il nostro
Fotografia storica
di Umberto ed Edoardo.
Tratta dal libro monografico
Borbonese, edizioni Electa.
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