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al centro del palcoscenico, rivendicando le attenzioni tutte per sé. Ha
trovato un pubblico pronto ad accoglierla, delle tecnologie pronte a
diffonderla ed una attitudine alla ritualità sopravvissuta alla
secolarizzazione di un occidente industriale, evoluto e positivista.
Poi è bastato infilare il jack nell’amplificatore e aspettare il quattro del
batterista…ok, It’s only rock’n’roll (but I like it).
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Il rock, dunque, oltre che essere una passione per milioni di persone,
rappresenta qualcosa di più complesso e deve essere affrontato da un punto
di vista economico, storico e sociologico. Bollarlo come semplice
fenomeno di costume sarebbe assai riduttivo.
Cercheremo di iniziare la nostra ricerca osservando il legame profondo tra
la musica e le attività dell’uomo, spingendoci fino all’antichità, per
incontrare un altro aspetto da sempre legato alle società umane: la ritualità.
Saranno questi i punti cardine per guardare alla nascita, o meglio,
all’esplosione del rock’n’roll.
Per capire il fenomeno sarà però essenziale contestualizzarlo: nel secolo
scorso si svilupparono sempre più rapidamente tecniche di registrazione e
riproduzione e dagli anni del boom economico postbellico si assistette allo
sviluppo, a livello di massa, dell’industria culturale.
L’emergere, in questo periodo, della categoria dei “giovani” sarà un altro
tassello fondamentale per ricomporre il puzzle del rock; musica che ha nel
proprio DNA l’impronta dell’essere giovane e incarna, da oltre cinquanta
anni, i miti e le pulsioni di migliaia di teen-ager. Il rock è infatti un
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It’s Only Rock’n’Roll (But I Like It), brano tratto dall’album It’s only Rock’n’Roll, Rolling
Stones, Virgin UK Records, 1974
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fenomeno da sempre sospeso tra istinti di ribellione ed esigenze
dell’industria dello spettacolo.
Il momento più “puro”, vedremo, è da sempre rappresentato dall’esibizione
dal vivo, apparentemente spontanea e priva di mediazioni tra l’artista e il
suo pubblico; lontana dalle falsificazioni dello studio di registrazione e
dalle pressioni del marketing musicale. I momenti fondanti della mitologia
rock sono legati a performance, come l’apparizione di Hendrix a
Woodstock, rimaste nella memori collettiva; analizzeremo la grande energia
sprigionata dai concerti, nuovi riti di massa.
Nella religione, come sostiene Durkheim, si ritrovano dei modelli
archetipici del rituale; cercheremo quegli elementi rituali anche in un
evento apparentemente “profano” come il concerto, una volta appurato che
riti e simboli non hanno che il senso attribuitogli dagli uomini.
Anche gli aspetti della messa in scena teatrale, studiati da Goffman,
potranno fornirci utili strumenti per capire la performance rock e inquadrare
le sue strutture.
In sintesi, questa ricerca si propone di andare al di la della “musica in sé”
per di analizzare il concerto rock come prodotto di differenti campi
d’influenza indissolubilmente legati tra loro: la crescita economica
postbellica, l’emergere dei “giovani” come categoria sociale (e
conseguentemente target di consumo) e la tensione alla ritualità che, come
nota Turner, emerge da sempre durante le fasi di cambiamento (o “drammi
sociali”) anche in contesti fortemente industrializzati e secolarizzati.
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CAPITOLO 1
MUSICA INTORNO ALL’UOMO
1. Funzioni della musica
“Amico, nulla si può fare se non ci sono i canti!”. Così rispose un nativo
americano a un ricercatore che indagava sul ruolo della musica nella sua
comunità (White 1962:115). Lo stesso potrebbe pensare una casalinga
mentre cucina ascoltando il suo album pop preferito. E se un dj spegnesse la
musica nel mezzo della serata e se ne andasse? E se nessuno suonasse la
marcia nuziale il giorno delle nozze? E se mancasse la fanfara alla parata
militare? E se di fronte alla regina d’Inghilterra la banda intonasse Anarchy
in the Uk dei Sex Pistols al posto dell’inno nazionale che succederebbe? E
un tarantolato senza la tarantella che farebbe? E se ci fossero gli Slayer di
sottofondo ad una cena romantica? E se mancassero i tamburi a uno
stregone africano, come guarirebbe gli indemoniati?
Sembra banale, ma l’esecuzione della musica esiste da quando esiste la
musica stessa. Invece la musica registrata su un supporto, riprodotta e
commercializzata, come vedremo in seguito, è un fenomeno molto recente.
La musica in qualsiasi cultura ha sempre avuto uno stretto rapporto con i
rituali, le tradizioni, la vita quotidiana, lo svago e le credenze religiose,
praticamente con tutte le attività umane. Per questo ha un grande significato
sociale e socializzante. Come ricorda Merriam (2000:191):
La musica è un fenomeno umano prodotto da uomini per altri uomini e
quindi si spiega come funzione di una determinata situazione sociale.
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E sempre Merriam (2000:217) è convinto che la musica in alcune culture,
se non in tutte, non sia separabile dal suo contesto culturale. Come dargli
torto?
Basti pensare ai canti di guerra, alle musiche che accompagnano le
cerimonie funebri od a quelle usate durante i riti di passaggio. Ovviamente
non è possibile fare un elenco di tutti gli usi della musica, ne avrebbe senso
in questa sede. Possiamo però cercare di collegare l’attività musicale, nel
senso più ampio possibile, agli eventi e alle attività culturali dell’uomo.
Herskovits (1948:238-40) prende in considerazione cinque categorie per
classificare i “materiali culturali” che riguardano le società umane e cerca di
legarle alle attività musicali. Le categorie sono: “Cultura materiale”,
“Istituzione sociale”, “L’uomo e l’universo”, “Estetica” e “Linguaggio”.
La prima, Cultura materiale, riguarda tecnologia ed economia e include
numerose attività: basti pensare ai canti di lavoro (che troviamo in quasi
tutte le culture fino ad ora conosciute) o a quelli che accompagnano la
pratica medica, senza dimenticare che i compositori e i costruttori di
strumenti musicali ricavano un profitto dalla loro attività contribuendo così
allo sviluppo dell’economia della loro società. Tra i Tutsi del Ruanda, ad
esempio, sono molto importanti i canti legati alla pastorizia, come ricorda
Merriam (1959:49-53):
[…] riguardano la lode alle proprie mandrie o l’importanza di possedere
bestiame; altri canti si intonano alla sera quando il mandriano riporta a casa
il bestiame, al mattino quando si prepara ad uscire […] Ci sono canti,
accompagnati dal flauto, che sono vere e proprie minacce per i ladri di
bestiame.
La seconda categoria, Istituzione sociale, si riferisce alle attività che
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organizzano la società. Anche in questo ambito la musica gioca un ruolo
importante. Possiamo ricordare i canti del ciclo della vita che
accompagnano riti di passaggio come la nascita, il matrimonio o la morte o
i canti a fini d’istruzione o quelli che riguardano le istituzioni, talvolta con
precise finalità politiche. Tracey (1948) in una ricerca sui Chopi dell’Africa
Orientale ci ricorda che l’argomento dei loro canti
[…] puo essere allegro triste o puramente documentario. In ogni caso è un
argomento di attualità per cui solo coloro che sono in contatto con gli
abitanti del villaggio e del distretto hanno la possibilità di cogliere le
allusioni fatte. In questi canti si criticano le autorità, sia bianche che nere,
riflettendo in buona parte l’atteggiamento della gente comune nei confronti
della società. La caratteristica dominante è l’umoriso; ma possiamo trovare
anche condanne e rimproveri nei confronti delle autorità che non compiono
il proprio dovere, proteste contro la crudeltà, critiche alle ingiustizie sociali.
La funzione di tali canti gioca un ruolo fondamentale in una società
(ibidem)
[…] in cui non esiste alcun tipo di informazione e dove non esistono luoghi,
ad eccezione delle piazze del villaggio in cui esprimere i propri sentimenti e
le proprie proteste contro gli errori commessi.
La musica è un veicolo essenziale anche per manifestare i valori culturali
di una comunità e tramandarli. Nei testi dei canti dei Bashi (Congo) non si
manifesta alcuna commiserazione per le debolezze umane, sempre Merriam
(2000:207):
L’irresponsabiltà è considerata un male che può provocare sconvolgimenti
sociali. Il testo Bashi esprime un rifiuto di ciò che può forse essere definito
l’aspetto meno gradevole del comportamento sociale.
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Il 15 Novembre del 1969 oltre 500mila dimostranti marciarono a
Washington per protestare contro la guerra del Vietnam, all’unisono
intonavano All we are saying is give peace a chance di John Lennon.
L’anno prima a Chicago il concerto degli MC5, organizzato per contestare
la convention del partito democratico, fu colonna sonora, in diretta, di gravi
scontri tra manifestanti e polizia (Campo 2004).
Bastano alcuni aneddoti, sebbene ambientati in situazioni radicalmente
differenti a confermare la funzione sociale della musica, e non solo quella
di protesta.
I testi, quindi, riflettono la cultura di cui sono parte e rispecchiano eventuali
tensioni sociali. Per alcuni possono rappresentare una valvola di sfogo, uno
strumento catartico e non un semplice sfondo degli avvenimenti. Se da un
lato convogliano i sogni di una generazione nella società occidentale,
dall’altro servono agli haitiani per aggiornarsi sugli scandali locali, come ha
scritto Herskovits (1937:74)
Nella musica haitiana i canti hanno una caratteristica melodica specifica
[…] ascoltandoli, non solo si apprendono le ultime novità e gli ultimi
pettegolezzi, ma ci si puo divertire a impararli a memoria e ripeterli; questi
canti commentano la vita della gente […] i riferimenti sono chiari ed
espliciti, anche se fatti con molta cautela, cosicché non ci si presta alla
recriminazione da parte di quanti vengono attaccati.
La terza categoria L’Uomo e l’universo secondo Herskovits, si divide in
credenze e controllo. Le credenze religiose riguardano canti divinatori o
canti legati a culti e funzioni religiose particolari che traducono in musica
preghiere, miti e leggende. Suppliche, canti magici per la cura delle malattie
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o per tutte le attività che richiedono l’aiuto di forze ultraterrene sono
raggruppati nella sottocategoria del controllo.
La quarta categoria che incontriamo è l’Estetica. Si suddivide in arti
grafiche e plastiche, folklore e musica, dramma e danza. E’ evidente quanto
sia stretto il rapporto della musica con gli elementi sopra citati: essendo
espressione di una cultura, non potrebbe rimanere isolata dal folklore
popolare. Basti pensare ai canti che ricordano fiabe popolari o proverbi, o
altre espressioni artistiche come la danza. Ricordiamo a proposito il baile
flamenco: “Il grande pubblico considera il toque e il cante semplici
strumenti di accompagnamento all’esecuzione del bailaor” (Candelori-Dìaz
1998:75) , ma la danza in realtà ha un rapporto strettissimo con la scelta (tra
i differenti tipi, detti palos) e l’interpretazione della musica flamenca.
Il buon bailaor deve saper cogliere lo spirito di ciascun palo per interpretare lo stato
d’animo corrispondente secondo la sua particolare sensibilità, che deve però sempre
rispondere al modo di sentire andaluso e flamenco”. (Candelori-Diaz 1998:75)
Quindi nella cultura del flamenco c’è un grande intrecciarsi di musica,
danza e soprattutto sentimento popolare: “La parola flamenco non indica
semplicemente una particolare forma di canto o di danza, ma anche una
posizione psicologia di fronte alla vita, una cultura” (ibidem 1998:1).
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L’ultima categoria che prende in esame Herskovits per collegare musica ed
eventi culturali è il Linguaggio, nel senso che la musica può influenzare il
linguaggio stesso. Il linguaggio si riflette nella musica e le esigenze
musicali possono richiedere l’alterazione dei modelli linguistici. Ad
esempio Best (1924:139) in una ricerca sui Maori ha rilevato alterazioni
delle forme verbali nei canti:
Si possono inserire vocali, eliminarle o alterarle. Ancora una volta i
compositori non solo impiegano parole arcaiche e resuscitano parole
obsolete, ma talvolta coniano parole nuove.
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2. Poteri della musica: il jazz dell’antica Grecia
In alcune culture si arriva a dare dei poteri specifici alla musica, ritenuta
vera e propria causa scatenante di alcuni riti. Nell’antica Grecia Aristotele
3
attribuiva delle virtù etiche ad alcune armonie, mentre considerava altre
lascive e immorali. Riteneva infatti solo il modo dorico morale e degno di
figurare nel programma educativo dei giovani di buona famiglia. Mentre il
modo frigio veniva etichettato come “passionale” e “patetico”. Aristotele
scrive inoltre nella Politica (1341a):
Il frigio non serve a esprimere le qualità morali dell’uomo ma è piuttosto
orgiastico
e precisa in seguito(1342b):
[…]tra i modi (harmonion) musicali quello frigio ha lo stesso effetto
(dynamin) che ha l’aulo tra gli strumenti: entrambi suscitano entusiasmo e
passione (orgiastica kai pathetika) […] tutto il delirio dionisiaco (bacchia) e
tutta l’agitazione di tal sorta trova espressione tra gli strumenti soprattutto
negli auli, e tra i modi musicali prende quel che gli conviene nei canti frigi.
Attribuire proprietà tali a un’armonia sembra per lo meno ardito. Come
potrebbe il modo frigio, per una virtù “sui generis” aiutare a scatenare la
trance? Il fenomeno, anche qui, va compreso in termini culturali. Anche se
questa scala offriva, per la sua struttura, maggiori possibilità espressive e
veniva suonata dall’aulos, strumento considerato anch’esso più espressivo
della lira usata per il modo dorico, non potremmo stabilire una connessione
diretta tra modo frigio e stato di trance. Rouget (1986:308), nel suo Musica
3
ARISTOTELE, Politica. Trattato sull’economia, Laterza, Bari, 1973
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e trance ricorda:
La musica frigia doveva essere facilmente riconoscibile, ma se tali melodie
avevano il potere di scatenare lo stato di possessione, non era tanto per la
loro appartenenza al modo frigio, quanto per la loro origine frigia. In altri
temini il loro effetto dipendeva di più dal fatto di essere dei segni che dalle
loro caratteristiche musicali, i segni di quella Frigia di cui era originario
Dionisio stesso, in sostanza la culla del dionisismo.
E’ chiaro che i significati che ha la musica, in qualsiasi contesto, dipendono
dalla cultura della società che la produce; così il modo frigio che abbiamo
preso ad esempio era culturalmente legato a Bacco per una comune
provenienza geografica. Che fosse realmente così o meno non ha
importanza, ciò che importa è che fosse culturalmente codificato come tale.
Senza scomodare Aristotele possiamo fare un salto nell’America degli anni
venti per scoprire singolari teorie che legavano la musica jazz a quanto di
peggio vi fosse nella società. Giungevano critiche da ambienti scientifici,
ecclesiastici e conservatori. M.P. Schlapp
4
, professore di neuropatologia
presso il New York post-graduate Hospital sosteneva che il Jazz provocasse
instabilità emotiva, e che questa fosse causa di crimini, follia e meschinità.
Un genere di musica era quindi associato a una patologia che avrebbe,
secondo le teorie dell’autore, danneggiato l’intera società, soprattutto
perché i giovani, elementi più esposti al rischio, non erano ancora
“abbastanza sviluppati” per resistere alle “cattive tentazioni” del jazz.
Secondo Schlapp, inoltre, questo era un modo per spiegare l’alto tasso di
criminalità nell’America del periodo. Charles Newcomb
5
, un dietologo,
4
SCHLAPP M.P., Is the jazz the pilot of disaster? Etude 43 (N.1): 5-6, 1925
5
cfr. Jazz music and digestion, New York Times, May 13 1927, 22:5
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allertava i ristoratori sul fatto che il jazz fosse una “musica irritante” che
toglieva l’appetito. Ma possiamo ricordare anche l’Arcivescovo Beckman
6
che da New York ammoniva i fedeli:
Con la nostra indifferenza permettiamo, se non addirittura favoriamo lo
svolgimento di orge ritmiche cannibalesche; queste manifestazioni stanno
distruggendo la nostra gioventù, e la stanno conducendo sui sentieri del
peccato.
Tornano alla mente, sentendo parlare di “orge ritmiche”, i riti dionisiaci
accompagnati dagli auleti che guidavano con armonie frige (il jazz non
c’era ancora!) verso i sentieri del peccato.
Il fatto singolare è che ora il jazz, più che condurre gli uomini ad un livello
di barbarie, accompagni gli aperitivi del jet-set e sia imprescindibile
colonna sonora di qualsivoglia happening radical-chic.
Il testimone della depravazione è stato passato qualche anno più tardi al
rock’n roll e successivamente alla sua costola più dura, L’heavy metal,
anche se il demonio pare aggirarsi ultimamente nei Rave Party…
6
cfr. Warns of effects of “swing”on youth. The New York Times, Oct. 26 1938, 20:8
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CAPITOLO 2
LA MERCE MUSICA
1. La musica decontestualizzata
Obiettivo della nostra analisi è interpretare il concerto pop-rock nei termini
di un rito. Un rito non certamente religioso e organizzato il più delle volte a
scopo di puro e semplice intrattenimento, ma che conserva pur sempre i
propri modi, le proprie forme e la propria liturgia. Nella nostra società, e in
maniera particolare dalla seconda metà del ventesimo secolo, la musica pop
si è sviluppata come fenomeno prettamente commerciale, pura merce nel
mercato dell’ entertainment. Questo ha influenzato enormemente la maniera
di fruizione della musica, sia registrata che eseguita dal vivo. La musica ha
mantenuto in alcuni ambiti il suo “uso sociale” originario: si pensi alle
musiche della liturgia cristiana o alle fanfare dei bersaglieri, ma ha subito
allo stesso tempo una radicale trasformazione.
Abbiamo visto come in qualsiasi epoca e in qualsiasi cultura la musica
fosse strettamente legata al contesto culturale che la produceva. Era
considerata parte di un’entità più grande. Gli indiani Basongye (Merriam
2000:261) hanno un numero definito di canti che tutti i membri della
comunità conoscono e ogni canto appartiene a una diversa classe a seconda
del suo impiego. Questo è il loro modo di considerare la musica. Lo stesso
vale per la maggior parte delle tribù indiane. Nella cultura occidentale
invece possiamo tranquillamente estrapolare la musica dal suo contesto:
basta accendere la radio!
Ascoltiamo migliaia di brani dei quali non conosciamo il titolo, l’autore,
l’anno di composizione o la funzione, sempre che ne abbiano una, oltre