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Premessa
L’Italia è una nazione dalla ridotta estensione territoriale se si considerano le sue dimensioni terrestri,
ma guardando la misura delle coste italiane è considerato una penisola notevolmente significativa:
con una lunghezza del litorale di circa 8.300 chilometri
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, si tratta della quattordicesima nazione al
mondo per estensione costiera (includendo Sardegna e Sicilia) secondo il Central Intelligence Agency
(CIA). A loro volta, anche i mari che costeggiano il litorale italico risultano piuttosto contenuti se
considerati nell’assetto globale, in quanto la superficie del Mar Mediterraneo di 2.969.000 chilometri
quadrati rappresenta circa lo 0,82% dell’area complessiva dei mari e degli oceani
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, tuttavia, risulta
essere uno snodo cruciale per il commercio e per l’economia, poiché questa area intercetta oltre il 25%
del traffico globale marittimo, che a sua volta rappresenta, con un peso del 70%, la tipologia prevalente
del traffico commerciale totale.
In aggiunta, se si considerano i macrosettori della Blue Economy (il trasporto, il turismo, il settore
ittico, l’acquacoltura, il comparto portuale, la logistica, ecc.), in progressiva crescita anche in termini
di creazione di valore aggiunto, è evidente che l’area mediterranea si posiziona come uno degli asset
strategici per lo sviluppo economico del sistema-paese Italia, sia nel contesto europeo che in quello
internazionale. Eppure, l’opportunità offerta della Blue Economy appare non ancora sfruttata
completamente nel suo potenziale, per questo i prossimi anni saranno decisivi per l’Italia, che dovrà
necessariamente recuperare il terreno perso, mediante efficaci azioni politiche che investano nel
“settore blu”.
Negli anni appena trascorsi, tra le difficoltà geopolitiche come quella del conflitto russo-ucraino e
sanitarie come per la pandemia da SARS-CoV-2, i governi italiani non sono riusciti a fronteggiare il
calo del dinamismo economico e la perdita della centralità e competitività dell’area del Mediterraneo.
In particolare, lo Stato italiano ha subito una diminuzione della capacità competitiva soprattutto
nell’area del Sud, non cogliendo le occasioni di sviluppo connesse alla Blue Economy, che sono invece
risultate essere un’interessante traiettoria di crescita per altre economie contigue, come quella
spagnola. Tuttavia, le enormi potenzialità della Blue Economy, soprattutto per l’area del
1
ISPRA, Stato Ambiente. Mare e ambiente costiero, 2011
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World Wide Fund for Nature: https://www.wwf.it/dove-interveniamo/il-nostro-lavoro-in-italia/mar-mediterraneo
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Mezzogiorno, rimangono in parte inespresse a causa non solo di insufficienti investimenti, ma anche
dalla mancanza di proficue azioni politico-economiche rivolte alla stessa area.
Dall’ultimo Rapporto UE sulla Blue Economy, si apprende che i settori della Blue Economy oggi
includono circa 4,5 milioni di persone occupate, con un fatturato di oltre 665 miliardi di euro e un
Valore Aggiunto di 184 miliardi di euro nell’economia europea, un apporto notevole al sistema
economico, in particolare nelle regioni costiere. I settori-chiave di questo comparto risultano essere
quelli della pesca, dei trasporti marittimi, il turismo costiero, la biologia marina, l’acquacoltura, la
cantieristica navale e l’insieme dell’industria offshore (dall’estrazione di idrocarburi, ai settori delle
energie rinnovabili, alle imprese che realizzano il trasporto di energia e dati nei fondali sottomarini).
Per quanto attiene al comparto del Turismo, questo oggi figura come la principale attività economica
europea legata al mare, con circa 2,5 milioni di addetti occupati, pari a poco più dell’1% della quota
degli occupati in Europa, con ottime stime di crescita nei prossimi anni. Allo stesso modo, anche per
i comparti della nautica e della crocieristica è stimata una crescita del 2-3% all’anno in termini
occupazionali, considerando che oggi in Europa questi settori occupano già circa 150.000 addetti, con
un fatturato diretto di oltre 14 miliardi di euro.
Il Rapporto, presenta anche buone previsioni per quanto riguarda le attuali problematiche legate alla
crisi energetica causata dal contesto bellico russo-ucraino, dove l’industria delle energie rinnovabili
marine, essenziale per conseguimento del Green Deal europeo e delle strategie di indipendenza
energetica degli stati europei, registra una notevole crescita e un aumento degli occupati del 17%,
rispetto al 2018. A queste stime si uniscono quelle non positive rivolte ai danni ambientali, più nello
specifico al costo elevato dell'inerzia nella lotta ai cambiamenti climatici, dove l'innalzamento del
livello del mare potrebbe implicare per l’Europa una perdita diretta di oltre 200 miliardi di euro entro
il 2080
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.
In questa prospettiva, è chiaro che lo sviluppo economico italiano, soprattutto nelle aree svantaggiate,
può ricominciare solo da una più attenta consapevolezza delle opportunità strategiche offerte dalla
posizione geografica della penisola italiana. Questo spiega il cospicuo sostegno agli investimenti
rivolto dall’Unione Europea al macrosettore della Blue Economy, mediante il Recovery Fund, tra cui
il Piano strategico nazionale della portualità e della logistica.
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European Commission (2022). The EU Blue Economy Report. 2022
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Introduzione
La presente trattazione si prefigge l’obiettivo di studiare e approfondire il modello della
Blue Economy, elaborato dall’economista ed imprenditore belga Gunter Pauli, che figura
come un’evoluzione dalla più conosciuta Green Economy e si distingue da questa poiché
l’economia blu vuole analizzare l’economia degli oceani, dei mari e, più in generale, delle
attività economiche legate all’acqua, adottando un approccio sostenibile di lungo periodo,
in una prospettiva economica, ambientale e sociale. Infatti, occorre sottolineare come vi sia
una differenza tra l’economia degli oceani e la Blue Economy, poiché quest’ultima si
concentra soprattutto sui rischi ambientali e i danni ecologici derivanti dall'attività
economica. Tale modello economico, può offrire un notevole incentivo anche sul comparto
del turismo e dei trasporti, che necessita anch’esso di una nuova configurazione in chiave
sostenibile, ma che proprio da questa può trarre beneficio creando nuovi beni/servizi e
potenziando quelli esistenti, intercettando così la nuova domanda di consumatori
consapevoli e responsabili, sempre più attenti alla questione ambientale e all’accessibilità.
Più nello specifico, l’obiettivo del presente lavoro sarà quello di analizzare il contesto
economico, ambientale e giuridico in cui opera il “settore blu” in Europa, in Italia e nel
Lazio, in quali ambiti esso tocca il settore del loisir, dei viaggi, della ristorazione e dei
trasporti, analizzandone le dinamiche per indagarne le criticità che ne limitano
l’applicazione e l’evoluzione nonché le potenzialità che potrebbero realizzarsi nel breve e
lungo periodo.
Nel primo capitolo “Brown, Green e Blue Economy: l’economia circolare e le sue declinazioni”, si
delinea l’excursus evolutivo dei modelli economici. Si parte dal tradizionale paradigma
dell’economia lineare, affermatosi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ovvero
un’economia industriale fondata sull’estrazione massiva di materie prime al fine di
produrre bene innovativi per ricavarne un profitto, risultato dell’abbattimento dei costi di
produzione sul prezzo di mercato proposto al consumo di massa, generando uno scarto
delle materie prime inutilizzate, dei macchinari una volta raggiunta l’obsolescenza e dei
prodotti al termine del loro ciclo di vita, con risultati ambientali dannosi come la
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contaminazione della terra e dei mari, l’accumulazione dei rifiuti, la produzione di
emissioni di gas-serra e il conseguente cambiamento climatico. Si prosegue, quindi, con la
Green Economy, teorizzata nella seconda metà del Novecento come soluzione alle crisi
energetiche e alle tangibili conseguenze dell’inquinamento e della scarsità di risorse su scala
globale, che pone l’attenzione sulla questione ecologica come driver di sviluppo economico
e sociale, attraverso soluzioni che mirano ad un’equa ripartizione del capitale naturale, al
miglioramento del benessere e della resilienza degli ecosistemi, con la possibilità di
utilizzare risorse che nell’ottica lineare sarebbero scarse e limitate. Successivamente, si
approfondisce la Circular Economy che rappresenta un’estensione dell’economia verde e
propone pratiche che tentano di risolverne le criticità e i limiti ravvisati negli anni: ad
esempio gli alti costi tecnologici (sia in ricerca e sviluppo che nella produzione), i bassi
rendimenti lontani dalle “economie di scala” e, seppur limitati, l’uso di risorse e la creazione
di rifiuti; mirando invece ad azzerare il prelievo di risorse, reintegrandole nella biosfera,
incentivando il riutilizzo dei materiali attraverso un ciclo di vita di materie e prodotti di tipo
circolare, evitando che diventino scarti o rifiuti. Si approda, infine, alla Blue Economy che
rappresenta un completamento dell’economia circolare, ponendo l’attenzione sulle attività
economiche presenti sui mari, sugli oceani, sui bacini i corsi d’acqua, molto spesso
dimenticate a discapito degli ecosistemi acquatici e della biodiversità, mirando a trovare
soluzioni e innovazioni che imitando proprio questi ecosistemi riescano a condurre ad uno
forte sviluppo sostenibile. La trattazione del capitolo prosegue analizzando il blue thinking
di G. Pauli, secondo il quale è possibile ripensare la catena del valore delle attività costiere
ispirandosi alla natura e contrastando inquinamento e depauperamento delle aree blu. In
seguito, si accenna ai fondamenti concettuali della Blue Economy, che affondano le proprie
radici nella biomimesi, il cui principio base è quello di imitare i processi biologici e
biomeccanici della fauna e della flora terrestri, per trovare soluzioni ed innovazioni da
applicare alle attività umane, analizzandone le prospettive future. L’analisi si conclude,
infine, facendo riferimento ai dati statici del “X Rapporto sull’Economia del Mare 2022” per
valutare la crescita della Blue Economy in Italia con riferimento al comparto turistico costiero,
al macrosettore blu, all’effetto moltiplicatore, alla creazione di valore aggiunto e alla
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situazione occupazionale, terminando con una panoramica sulla struttura imprenditoriale
delle imprese blu.
Nel secondo capitolo “I profili giuridici ed economici dello sviluppo sostenibile”, si fornisce in
primis un inquadramento giuridico della tutela ambientale a livello costituzionale,
osservando poi la posizione dell’Unione Europea sulla materia ambientale, attraverso i
trattati (Trattato di Maastricht del 1992 e Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea),
i fondi, le politiche e i programmi di azione ambientale esistenti. Si prosegue la trattazione
analizzando il concetto di sostenibilità nel turismo, descrivendo in particolare gli impatti
ambientali e socioculturali causati dalle esternalità che il sistema turistico produce,
esaminando le iniziative ed i progetti sostenibili che le attività turistiche del settore blu
possono attuare per risolverli. In seguito, si analizza il ruolo dei servizi ecosistemici e in che
misura questi condizionano e contribuiscono allo stato di benessere umano, in termini di
salute, sussistenza, accesso alle risorse primarie, ecc., così come il concetto di Capitale
Naturale, inteso come l’intero stock di organismi viventi che popolano il Pianeta, ma anche
gli elementi non viventi come aria, acqua, suolo e risorse geologiche, utile per effettuare una
stima di tale biodiversità. Giungendo, infine, ad indagare sulle modalità attraverso le quali
la stima del patrimonio naturale può tradursi in una valutazione economica, utile per
effettuare delle politiche ambientali efficaci, prendendo quale esempio più significativo
nella ricerca economica, il contributo elaborato da Robert Costanza su Nature nel 1997 (“The
value of the world's ecosystem services and natural capital”) che fornisce un modello che
attribuisce ad una raccolta di dati ambientali un valore economico, seguendo le principali
tipologie ecosistemiche su scala globale. Si analizzano, quindi, alcuni modelli contabili utili
per valutare i danni ambientali e suggerire delle politiche volte alla loro risoluzione, in
particolare, alcuni dei sistemi di conti satellite adottati a livello europeo. Il capitolo si
conclude con un focus sulla situazione nazionale, riportando alcuni esempi di adozione da
parte degli enti locali di strumenti come il bilancio ambientale, utile sia per misurare
l’evoluzione territoriale e ambientale dell’area di competenza, che per attuare una
governance integrata.
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Nel terzo capitolo “La Blue Economy nello scenario europeo ed italiano”, si analizzano le
strategie europee per la transizione ecologica e digitale, con particolare riferimento
all’impegno europeo teso all’adozione di un nuovo approccio economico, culturale e sociale
coerente con i criteri di sostenibilità ambientale e rispetto del Pianeta. Si approfondisce,
quindi, il Green Deal europeo presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2019 e
che consiste in un insieme di iniziative strategiche orientate a trasformare l’Unione Europea
in una comunità equa e prospera, dotata di un’economia evoluta, efficiente nell’utilizzo
delle risorse, e più competitiva. Fra gli obiettivi del Green Deal vi è quello di raggiungere,
per l’anno 2050, un abbattimento delle emissioni nette di gas ad effetto serra e svincolare la
crescita economica dall’uso massivo delle risorse ambientali. In seguito, vengono esaminate
le connessioni dello stesso con la Blue Economy; il Green Deal, infatti, si prefigge l’obiettivo
di ripensare le catene del valore del macrosettore blu, coerentemente agli obiettivi della
neutralità climatica e dell'azzeramento delle emissioni di gas-serra. L’analisi prosegue
quindi esaminando le modalità attraverso le quali la Blue Economy si relaziona a questi
obiettivi, ad esempio attraverso lo sviluppo di energie rinnovabili offshore che la
Commissione europea è impegnata a moltiplicare di almeno cinque volte la loro spendibilità
entro il 2030 e di trenta volte entro il 2050, o convertendo il trasporto marittimo e i porti
introducendo le prime navi ad emissioni zero sul mercato entro il 2030 e
contemporaneamente a decarbonizzare il trasporto marittimo mediante molteplici misure
articolate. La transizione ecologica sta già ampliando la domanda di lavoro di oltre il 30%
nelle imprese di energie rinnovabili offshore e l’offerta di lavoro potrebbe triplicare già entro
il 2030, per questo motivo l’Unione Europea sta istituendo molti fondi (es. Fondo sociale
europeo+) rivolti alla qualificazione degli addetti del comparto marino, nelle competenze e
nel miglioramento delle posizioni lavorative. Infine, con l’obiettivo di superare gli impatti
negativi connessi alla pandemia da Covid-19, a maggio 2020 la Commissione europea ha
proposto un piano denominato NextGenerationEU, uno strumento temporaneo per la ripresa
da oltre 806,9 miliardi di euro che contribuisce a riparare i danni economici e sociali
immediati causati da quest’ultima e che contribuisce a creare un’Europa più verde, digitale,
resiliente e adeguata alle sfide presenti e future. Per mezzo di questo piano si sosterranno