IV
In questo caso sono tre i possibili percorsi della notizia:
1. la scoperta viene diffusa dai media previa concessione dell’autorità
scientifica competente;
2. la scoperta non viene diffusa dai media per mancata concessione
dell’autorità scientifica competente;
3. la scoperta viene diffusa dai media secondo limiti e censure imposti
dall’autorità scientifica competente.
La scienza è il motore dello sviluppo di una nazione. Per questo alcuni governi,
sulla scia dell’osmosi tra informazione e potere propria del modello mediatico
statunitense (Marletti, 1983), manovrano gli scienziati in direzione anti-media in
modo da non rendere noto un progresso tecnologico che potrebbe portare grandi
vantaggi sul piano politico e su quello economico.
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CAPITOLO 1
Manipolazione della notizia, cover-up e black out mediatico
La verità, nel sistema dei mass media, ha sempre meno importanza.
I mezzi di comunicazione trattano le stesse notizie producendo un “cortocircuito”
nel newsmaking in cui non importa se queste sono vere o false (Adler, 2001).
L’informazione è un prodotto di consumo che viene impacchettato in diversi modi
per attrarre il pubblico e la manipolazione (bias) diventa l’unico mezzo di
adattamento della notizia alle “leggi di mercato”.
Tale commercializzazione produce informazioni alterate che, in alcuni casi
estremi, si trasformano in informazioni inesistenti, creando danni molto gravi al
sistema comunicativo (Colombo, 2001).
La sistematica “deformazione” della notizia giornalistica è la causa dei fenomeni
di cattiva trattazione dei fatti che costituiscono le forme degenerative della
manipolazione, di cui si parla nei prossimi paragrafi.
Il rischio che i mass media corrono è quello di provocare un vero e proprio
occultamento della verità.
1.1 La manipolazione delle notizie
Già molto prima dell’avvento di Internet, l’uso dei mezzi di informazione per
divulgare “false verità” è uno dei caratteri dominanti del giornalismo scientifico e
dell’informazione mediatica in generale.
CAPITOLO 1
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Di questo si possono trovare tracce evidenti nell’alterazione delle notizie
riguardanti la vita extraterrestre (Bignami, 2001).
Nel 1867 si registra un primo esempio di manipolazione dell’informazione
scientifica. Schiaparelli definisce “canali” le strutture osservate sul pianeta Marte
e la scoperta raggiunge ben presto un altro astronomo, Lowell, che traduce il
termine “canali” con l’inglese “canals”.
Questo si rivela un terribile errore di traduzione che alimenta una delle credenze
popolari più affermate: l’esistenza dei marziani.
La parola “canals”, infatti, si riferisce ad una costruzione artificiale; la traduzione
corretta sarebbe dovuta essere “channels”, in rispetto della possibilità che si
trattasse semplicemente di complessi geografici, come del resto ipotizzato dallo
stesso Schiaparelli.
L’alterata traduzione provoca nei mass media, decine di anni dopo, la diffusione
di una verità che palesemente non esiste (ibidem).
Questo esempio fa capire come, per chi diffonde una notizia, e in particolare per il
giornalista, sia fondamentale la verifica delle fonti da cui provengono le
informazioni per evitare la produzione di un “falso”.
Un atteggiamento di totale noncuranza nella valutazione delle fonti potrebbe
causare un approccio ai fatti completamente distorto, motore della cosiddetta
“disinformazione”.
Cosa significa realmente disinformare?
Intuitivamente la parola indica un comportamento atto alla destabilizzazione delle
informazioni preesistenti attraverso la diffusione di messaggi manipolati o del
CAPITOLO 1
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tutto fittizi. Informare male, dunque, allo scopo di mascherare la verità
contingente o per fini prettamente commerciali (Giesbert, 2001).
Indipendentemente dalle aspettative di chi attua l’adulterazione dei fatti, produrre
una simile contro-informazione rende labile il confine tra realtà e finzione e
genera un mondo di notizie difettose in cui il diritto d’informazione si fa bagliore
ectoplasmico nel buio della contraffazione.
La libertà del giornalismo è un sipario che nasconde una radicata abitudine alla
falsificazione.
Internet è, similmente alla televisione e alla stampa, una possibile piattaforma di
disinformazione. Ciascun individuo può diffondervi notizie di qualunque tipo e la
verità non è certamente l’ambizione primaria (Adler, 2001).
Il giornalista viene relegato ai margini del controllo sul flusso dell’informazione e
la rete globale è per lui una sorta di “trappola di cristallo”, uno schermo virtuale in
cui vede le notizie senza poterle “toccare”, verificare.
Oggi non si cerca la notizia vera ma quella interessante. E se la verità è noiosa, il
giornalista (o chi per lui) può renderla accattivante tramite piccole alterazioni
degli avvenimenti.
Per essere venduta bene, la notizia ha bisogno di un “trucco pesante” (Kaplinski,
2001).
Secondo il giornalista Roger de Weck il problema è che ci sono più media che
materiale da trattare. Questo è sfavorevole all’emergere della verità.
Ai media manca, in sostanza, la “materia prima” e questo provoca una forte
concorrenza per trovare materiale che nel contempo sia interessante e originale
(de Weck, 2001).
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Ecco il motivo per cui si usano a oltranza le notizie, producendone differenti
interpretazioni, in un processo che si potrebbe definire “usura dell’informazione”.
Ne consegue che le notizie sono spesso diverse fra loro, pur riferendo di uno
stesso fatto.
La causa di questa frattura tra il piano empirico e quello prettamente mediatico è
dovuta, il più delle volte, alla natura proteiforme della notizia che fa sì che questa
sfugga a rigidi canoni di trattazione.
Lo sviluppo della comunicazione mass mediologica ha portato ad una chiara
definizione del carattere di relatività intrinseca che permea il mondo
dell’informazione.
A tutt’oggi è comunemente riconosciuto il “relativismo delle news”, ascrivibile
all’inalienabile soggettività di chi le produce (Papuzzi, 2003: 240).
A chiarimento di quanto detto, occorre ricordare che esistono due teorie della
comunicazione di massa che hanno come discriminante la dolosità della
manipolazione.
La prima è la teoria della “distorsione involontaria” (unwitting bias), secondo cui
il giornalista è portato alla manipolazione della notizia poiché ogni fatto viene
filtrato attraverso i “criteri di notiziabilità” che selezionano la rilevanza degli
eventi (Wolf, 1995: 186).
In tal modo si svela un tipo di deformazione dei contenuti informativi non
imputabile a violazioni della deontologia professionale, bensì indotta e vincolata
dalla struttura stessa del mestiere di giornalista.
La distorsione involontaria può essere determinata anche da fattori soggettivi di
interpretazione, in quanto la notizia non esiste come entità a sè stante,
CAPITOLO 1
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trascendente le percezioni del giornalista: la notizia è ciò che ne fanno i
newsmakers.
Bisogna comunque affrancarsi dall’equivoco che la notizia corrisponde alla verità
(Papuzzi, 2003).
Per quanto fedele alla realtà contingente, la notizia non potrà mai esserne un
riflesso perfetto ma ne costituisce, piuttosto, un resoconto selezionato e
interpretato alla luce del suo valore-notizia.
Se si scende in profondità sul piano logico, è facile dedurre che se la notizia
riferisce su un fatto non può identificarsi con esso.
La seconda teoria comunicativa è quella della “distorsione consapevole” (witting
bias). Essa si basa sull’assunto che la manipolazione sia da intendersi come
distorsione deliberata delle notizie per scopi personali o politici (Wolf, 1985:
183).
Il pericolo di un volontario interscambio tra la verità dei fatti e la falsificazione di
essi è una costante dell’attuale mondo dell’informazione (Marletti, 1983).
Questo inquinamento del reale è dovuto alla spettacolarizzazione degli eventi
indotta dai mass media e, nello specifico, dalla comunicazione televisiva che
sfrutta il “potere iconico” delle immagini (Papuzzi, 2003: 146).
Per sopravvivere professionalmente alcuni cedono alla tentazione di sorprendere il
pubblico distorcendo fatti che, “notiziati” senza artificio, perderebbero la capacità
di essere commercialmente competitivi.
La teoria del linguaggio giornalistico contiene un tema etico di fondo che
costituisce una sorta di spada di Damocle per il giornalista: la tensione tra “dire la
verità” e “dire una verità”. Questa controversia deontologica si traduce nella
CAPITOLO 1
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necessità di essere obiettivi a scapito della soggettività oppure riportare un fatto in
modo del tutto soggettivo a detrimento del principio di obiettività.
Per il professionista delle notizie è ontologicamente impossibile raggiungere lo
stato di pura imparzialità rispetto al fatto, sebbene la sua condotta debba
comunque tendere ad una cronaca “super partes”.
A prescindere da come si sviluppi la sua professionalità egli è il primo “distorsore
degli eventi”, sospeso sul filo della verità col rischio incombente di precipitare nel
baratro del falso giornalistico.
1.2 Dalla manipolazione al cover-up
Quando la contaminazione dei fatti con elementi che ne distorcono il contenuto è
del tutto intenzionale si può parlare di vera e propria “tecnica” di disinformazione,
il cui connotato principale è il dolo.
Il consolidato connubio tra informazione e potere politico ha avuto come
conseguenza la strumentalizzazione della figura del giornalista e di coloro che
hanno un ruolo attivo nel campo del newsmaking.
Come osserva il giornalista Furio Colombo (1995)
sono brutti momenti per il giornalismo, quelli in cui il sistema dell’informazione
appare legato in modo diretto e inequivocabile agli interessi di una classe dirigente o
di un sistema politico.
In una logica machiavellica di assoggettamento al controllo politico dei mass
media, i produttori di notizie sono, talvolta, i portavoce di un collasso
professionale che li rende complici del sistema istituzionale. Quando ciò accade,
si assiste ad un invalidamento del principio della libertà di informazione e il