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mento a un periodo di tempo, a un piano sufficientemen-
te sicuro e, in qualche modo, articolato e logico.
Ciò ha evidenziato l’esigenza di rivedere modelli di ge-
stione e sviluppo dei sistemi organizzativi, avvicinando
significativamente sistemi anche tra loro molto diversi per
obiettivi, finalità, logiche e procedure, contribuendo così a
determinare un nuovo scenario organizzativo più interre-
lato e integrato.
Il vettore principale di questo cambiamento si innesta
proprio sull’esigenza della stessa organizzazione di ritro-
vare una nuova identità, ridefinendo le proprie coordinate
spazio-temporali.
È avvenuto, infatti, che lo spazio si sia progressivamen-
te dilatato all’insegna della globalizzazione, internaziona-
lizzazione, mondializzazione, conducendo le organizzazio-
ni a operare su una scena senza più confini, o dai confini
sempre più permeabili, sempre meno facilmente definibili
o continuamente ridefinibili, ma comunque essenzial-
mente aperti. Ciò mentre il tempo (di decisione, di proget-
to, operativo) tende a concentrarsi sempre più.
La mancanza di punti di riferimento in rapporto allo
spazio e, contemporaneamente, l’aver concentrato il tem-
po significa muoversi in una situazione di incertezza
permanente: «il governo per questo decennio è, essen-
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zialmente, il governo dell’incertezza» (Quaglino 1991, p.
188).
L’emergere dell’incertezza come condizione non soltanto
operativa ma fondante della vitalità dei sistemi organizza-
tivi è stata, in ogni caso, accompagnata proprio da una
sempre maggiore chiarezza dell’importanza predominante
da riconoscere alla risorsa umana.
Se a questo punto si condivide l’idea che il vantaggio
competitivo di ogni organizzazione degli anni novanta è
rappresentato dalla qualità della risorsa umana, si arriva
inevitabilmente a riconoscere che il ruolo decisivo per la
costruzione di questa qualità è rappresentato proprio dal-
le competenze possedute.
Le parole-chiave degli anni novanta sono dunque com-
petenza e competitività: conoscere ed essere in grado di
applicare le conoscenze per poter competere meglio, svi-
luppare le competenze individuali per conseguire lo svi-
luppo organizzativo.
Siamo in presenza, insomma, di un «processo di incor-
porazione organizzativa della funzione di formazione» (Co-
lasanto 1996, p. 13), ben individuabile all’interno delle
grandi imprese, meno nelle piccole e medie imprese; il
punto di vista privilegiato è la persona, non solo le com-
petenze professionali specifiche, con il suo sistema di mo-
tivazioni individuali che senza dubbio, oggi, costituiscono
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parte rilevante della professionalità di un lavoratore, ma
verso cui non tutte le risorse umane hanno un’uguale
capacità di reazione e che l’impresa stessa considera –
purtroppo spesso – come non significative.
In questo scenario, oggi, la formazione è chiamata a
rinnovarsi profondamente: crediamo sia molto chiaro che
occorre, al tempo stesso, una nuova cultura della forma-
zione e una nuova tecnologia della formazione.
Con cultura della formazione facciamo riferimento non
soltanto ai valori espressi e condividi dagli operatori, ma
anche a quelli espressi e condivisi dagli utenti: ‹‹la cultu-
ra della formazione va, quindi, ripensata in base al siste-
ma di attese degli utenti›› (Quaglino 1991, p. 191).
La tecnologia della formazione, invece, si riferisce non
soltanto alle nuove metodologie per insegnare (la “didatti-
ca attiva”) ma soprattutto agli strumenti per gestire in
senso ampio e completo le attività di formazione puntan-
do alla rilevanza strategica degli obiettivi e alla coerenza
di progetto e di percorso tra le diverse e singole attività.
Non ci sarà più attività che non richieda conoscenze
tecniche, capacità di dialogo e di rapporti interpersonali,
e propensione all’adeguamento continuo in una realtà in
vorticosa evoluzione, che cambia di continuo ogni cosa;
‹‹non c’è più problema che non richieda, oltre a strumenti
tecnici, soprattutto anche capacità di gestire persone e di
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rispondere ai bisogni e ai modi di sentire di donne e uo-
mini›› (Lanzavecchia 1996, p. 155): per questo è necessa-
rio fornirsi di una serie di strumenti che, senza avere la
pretesa di essere completamente esaustiva, la formazione
può fornire direttamente o facilitare ad apprendere.
Dunque, l’ipotesi di fondo di questo lavoro si basa sulla
convinzione che la formazione sia un bisogno e, di conse-
guenza – secondo una prospettiva di consumo – un “bene
qualsiasi” a disposizione sul mercato. Insomma ‹‹la for-
mazione può essere vista come il nuovo tipo di consumo››
(Bovone 1996, p. 19) e precisamente in una duplice otti-
ca:
ξ strumentale, ossia concependo la formazione come
strumento finalizzato ad acquisire conoscenze, saperi e
abilità;
ξ espressiva, ovvero considerando le modalità di acquisi-
zione di sapere e cultura – attraverso le opportunità of-
ferte dalla formazione – come il più personale dei con-
sumi, come modalità espressiva della propria persona-
lità.
Proprio per questi motivi, l’oggetto di questo lavoro, ov-
vero l’analisi, dal punto di vista sociologico, del bisogno e
del consumo di formazione in Italia nell’ultimo decennio,
colloca il problema della formazione individuale a livello
di un qualsiasi prodotto nella scala di valutazione e di
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scelta personale, proprio a partire dal concetto di biso-
gno.
Nel primo capitolo, infatti, sono approfondite le temati-
che relative ai bisogni come “motore” fondamentale dei
consumi e del comportamento di consumo: attraverso i
contributi di diverse discipline – psicologia, micro e ma-
cro economia – , insieme alla sociologia, si cercherà di
fondare metodologicamente il concetto di bisogno forma-
tivo, definendone limiti e potenzialità.
Nel secondo capitolo sono articolati, in particolare, i
periodi che scandiscono la vita dell’individuo, declinando
i bisogni formativi in relazione diverse esigenze di ogni età
della vita. Formazione continua ed educazione permanen-
te sono gli elementi-chiave del capitolo che si conclude
con il contributo dell’andragogia alla formazione perma-
nente.
Nel terzo e ultimo capitolo si approfondiscono i dati
quantitativi relativi all’istruzione in Italia nell’ultimo de-
cennio, attraversando di seguito i vari aspetti caratteristi-
ci dell’attuale sistema scolastico, della formazione profes-
sionale, del sistema di formazione universitario e della
formazione aziendale: l’esigenza di una formazione che
continui per tutta la vita e le risorse a sua disposizione
concludono il percorso tracciato durante il lavoro.
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1. BISOGNI E CONSUMI NELL’ANALISI SOCIOLOGICA
1.1 Il concetto di bisogno
Nella sua accezione generica, il termine bisogno è uti-
lizzato per indicare la mancanza di qualcosa, ovvero
l’esistenza di qualcosa (un oggetto, un segno, un compor-
tamento) in grado di soddisfarla.
Una prima definizione strutturata, che tenga conto dei
due aspetti (la mancanza e la risposta data per eliminar-
la) è quella che classifica il bisogno come «la tensione – di
una persona, di un gruppo, di un organismo – orientata a
individuare una concreta soluzione in grado di ricostitui-
re un equilibrio compromesso da una situazione di man-
canza avvertita come tale dal soggetto» (De Marchi 1987,
p.33).
Altra definizione completa e, allo stesso tempo, interes-
sante è quella che definisce i bisogni come «quel sistema
di condizioni, nell’organismo umano, nell’ambiente cultu-
rale e nella relazione di entrambi con l’ambiente naturale,
che sono sufficienti e necessarie per la sopravvivenza del
gruppo e dell’organismo» (Malinowski 1962, pp. 95-96).
La situazione di bisogno può manifestarsi nell’individuo
o nel gruppo, secondo livelli diversi di consapevolezza.
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Possiamo affermare che, in termini generali, la mancanza
è avvertita come necessità di tipo materiale (oggetto); in
secondo luogo, come necessità legata alla sfera personale
(segno, comportamento).
I singoli individui e le comunità umane, nel corso dei
secoli, si sono via via organizzate, cercando di dare una
risposta, sia individuale che collettiva, alla situazione di
necessità; hanno creato organizzazioni, istituzioni, grup-
pi, per dare una risposta ai bisogni che man mano si so-
no presentati.
Questi due aspetti, la mancanza e la soddisfazione,
sono tra loro in costante rapporto di causa-effetto: origi-
nariamente, il bisogno precede l’oggetto, il comportamen-
to, la situazione in grado di soddisfarlo.
Nelle situazioni di vita quotidiana si verificano condi-
zioni e situazioni per cui, al pari di tutti gli altri fattori
che costituiscono la realtà sociale stessa, i bisogni sono il
risultato di una costruzione sociale. Nelle dinamiche di
costruzione sociale del bisogno si verificano situazioni tali
che la posizione originaria viene addirittura ribaltata: è
l’oggetto stesso che precede la nascita del bisogno, il bi-
sogno è cioè tipicamente indotto.
«Mentre nelle fasi primitive dello sviluppo umano sono i
bisogni che fanno nascere le attività, dopo, ogni nuovo
passo deve considerarsi come lo sviluppo di nuove attività
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che fanno nascere nuovi bisogni» (Marshall 1890, pp. 88-
89).
I bisogni dipendono da variabili differenti nel tempo e
nello spazio, riferite:
a) ai caratteri della cultura della società e, in particolare,
al sistema di valori, di ideali, degli stimoli del singolo
individuo e del gruppo, al cui interno si manifestano i
bisogni da soddisfare;
b) allo sviluppo sociale ed economico complessivo;
c) alla tensione dell’individuo e del gruppo a individuare
e ad appropriarsi dei beni che reputano in grado di
soddisfare i bisogni.
Lo stato di bisogno può avere origine all’interno
dell’individuo – come deficienza organica o, a livello psico-
logico, come privazione reale o percepita tale dal soggetto
– oppure essere sollecitato da stimolazioni dell’ambiente.
L’ambiente fisico che circonda l’individuo è costante-
mente fonte di stimolazioni, così come l’ambiente sociale:
un bisogno è anche socialmente e culturalmente deter-
minato e non può essere compreso se non collocato in
una precisa prospettiva storica. La manifestazione dei bi-
sogni e il modo in cui vengono soddisfatti, quindi, hanno
la caratteristica della storicità.
In sintesi, possiamo affermare che l’individuo agisce e
interagisce in un ambiente sociale da cui è profondamen-
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te influenzato e su cui, a sua volta, esercita un’influenza,
per cui le relazioni tra ambiente e individuo si integrano a
vicenda. È in questa prospettiva che nascono, vengono
soddisfatti e si creano nuovi bisogni.
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1.2 Classificazione dei bisogni
I bisogni che si manifestano nell’individuo, nei gruppi e
nell’ambiente sociale non sono tutti uguali, per intensità,
modalità di presentazione, caratteristiche particolari,
ecc.: è possibile effettuare una serie di distinzioni a parti-
re dai soggetti in cui si presentano e dalla valenza dei bi-
sogni stessi.
La prima distinzione che vogliamo introdurre è quella
tra bisogni individuali e bisogni collettivi.
Esiste una sfera di bisogni che riguarda esclusivamen-
te il singolo individuo (per esempio, il bisogno di nutrirsi,
il bisogno di sicurezza, il bisogno di realizzarsi) ed esiste
una sfera di bisogni che riguarda l’individuo e il rapporto
con i suoi simili, con la collettività: questi ultimi non a-
vrebbero motivo di esistere se non all’interno di gruppi
umani.
Nella realtà quotidiana, il confine tra bisogno indivi-
duale e bisogno collettivo è alquanto labile, tale che, in
alcune situazioni, essi vanno a coincidere quasi comple-
tamente; in altre situazioni, invece, può accadere che essi
siano addirittura in antitesi tra loro, fino a causare veri e
propri momenti conflittuali.
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Non tutti i bisogni, quindi, hanno la medesima impor-
tanza, non tutti si presentano nello stesso modo e tempo,
non tutti necessitano di una soddisfazione costante o
immediata, non tutti, una volta soddisfatti, scompaiono
in modo definitivo: possiamo, quindi, distinguere diverse
tipologie di bisogni, a partire dai cosiddetti bisogni primari
e bisogni secondari.
Per “bisogni primari” si intendono quelli direttamente
collegati ai processi bio-psicologici dell’uomo in quanto
organismo vivente (dormire, nutrirsi, riprodursi, socializ-
zare…), mentre per “bisogni secondari” si intendono quel-
li più propriamente legati alla persona, considerata nella
sua sfera personale e sociale, come individuo inserito in
una collettività o in un gruppo. La comunicazione, la par-
tecipazione alla vita sociale, l’amore, la stima, la gratifica-
zione personale e così via rappresentano i bisogni più ti-
pici che ben rappresentano questa categoria.
Esiste, quindi, come risulta evidente da queste prime
osservazioni, una gerarchia di bisogni da soddisfare nel
corso della vita quotidiana e dell’esperienza umana
dell’individuo: può essere utile utilizzare questa classifi-
cazione che, pur appartenendo a una tradizione scientifi-
ca ormai superata, può agevolare il non facile compito di
comprendere lo sviluppo delle categorie di bisogni.
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Così come per i bisogni individuali e collettivi, anche
per i bisogni primari e secondari la distinzione è difficil-
mente percepibile nella realtà, in quanto tutta la sfera dei
bisogni si presenta e viene soddisfatta nella medesima
dimensione ambientale e temporale, finendo così per so-
vrapporsi. Tuttavia, i bisogni considerati secondari (detti
anche superiori) risultano essere meno imperativi e ur-
genti di quelli primari (detti anche inferiori): essi, comun-
que, sono resi possibili da condizioni sia interne che e-
sterne all’individuo (familiari, economiche, politiche, cul-
turali, ecc.), in continua relazione dinamica tra loro.
La ricerca esasperata di una linea di demarcazione tra i
bisogni primari o necessari e quelli secondari o superflui
ha creato, spesso, rigide cesure, che non hanno consenti-
to lo sviluppo organico di una teoria dei bisogni: in gene-
re, questi sono assunti come tali, disposti gerarchicamen-
te secondo scale di priorità a volte arbitrarie e non verifi-
cate empiricamente.
L’individuo è inteso atomisticamente e il suo compor-
tamento in funzione di poche variabili, prevalentemente
economiche (es. il reddito), il più delle volte tralasciando
gli elementi che caratterizzano la sua soggettività: lo stes-
so tipo di bisogno, a esempio, può essere rappresentato e
valutato diversamente da soggetti diversi, indipendente-
mente dalla situazione di reddito personale.
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«In realtà il concetto di bisogno è quanto più equivoco e
indeterminabile e non può essere compreso se isolato dal
contesto socioculturale in cui si esprime, se non inserito
in una precisa collocazione storica, e nell’ambito del si-
stema di valori e di norme di cui l’attore è partecipe» (Fa-
bris 1971, p. 70).