Biomonitoraggio di metalli in traccia nei corsi d’acqua tramite moss-bags. 2
1 INTRODUZIONE
1.1 I metalli in traccia nei corsi d’acqua
Molti elementi circolano nelle acque superficiali in bassissime quantità, cioè in
traccia. Questo termine indica che non sempre è possibile esprimere quantitativamente la loro
concentrazione, poiché essa ricade sotto il limite di rilevabilità degli strumenti (generalmente
qualche µg/L). La maggior parte degli elementi in traccia è costituita da metalli e metalloidi,
derivanti dalla naturale alterazione del substrato geologico o da attività antropiche.
Alcuni metalli in traccia sono indispensabili agli esseri viventi come micronutrienti,
ma possono inibire le loro funzioni vitali ad elevate concentrazioni (Wright & Welbourn,
2002), come ad esempio rame e selenio. Altri, come mercurio, piombo, cadmio e nichel,
esercitano un’azione tossica sugli organismi già a bassissime concentrazioni, se l’assunzione è
prolungata nel tempo, perché possono permanere nei tessuti e quindi accumularsi. I principali
danni arrecati alle cellule derivano dal legame irreversibile fra i cationi metallici e gli enzimi
o le altre molecole organiche funzionali, che vengono così denaturate e rese inutilizzabili
(Stryer, 1989).
La tossicologia di certi metalli assume una portata rilevante quando è associata a gravi
episodi di avvelenamento di intere comunità, umane od animali (Wright & Welbourn, 2002):
si parla quindi di Ecotossicologia.
¾ Il piombo ed i suoi composti sono responsabili del saturnismo, un insieme di disturbi
a carico di numerosi organi nei vertebrati, diffuso già presso gli antichi Romani (che
usavano il metallo per la realizzazione di tubazioni o recipienti per l’acqua potabile) e
che oggi colpisce le categorie professionali esposte a vernici, additivi, resine e leghe
contenenti piombo. L’incidenza di questa intossicazione è elevata presso alcune
comunità di uccelli di interesse venatorio, che ingeriscono pallini da caccia in piombo
o ne restano feriti conservando le schegge. Alte concentrazioni di piombo nel suolo
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possono inibire i processi microbici e ridurre la decomposizione (Streit & Stumm in:
A.A.V.V., 1993).
¾ Il mercurio, i cui composti sono impiegati in molti processi industriali, causa
avvelenamenti acuti o cronici come l’idrargirismo, sia per ingestione che per
inalazione. Il metallo si accumula negli organismi e si amplifica nella catena
alimentare: questo fenomeno, persistente e devastante, è definito biomagnificazione,
tristemente nota in località a vocazione mineraria o dove operano industrie della cloro-
soda (come la baia di Minamata in Giappone od alcuni laghi del Canada). Questo
metallo è trattenuto dai suoli in organo-complessi scarsamente mobili. La sua
riduzione nella forma elementare genera vapori tossici. Il suo assorbimento è favorito
dalla metilazione e dalla formazione di organo-composti (Streit & Stumm in:
A.A.V.V., 1993).
¾ Il cromo è largamente impiegato nelle galvaniche e la specie esavalente è altamente
cancerogena. Questo metallo contamina spesso anche le acque profonde: è stato
responsabile di casi di cancro in comunità che si approvvigionano di acqua potabile
inquinata. Nichel, cadmio, rame, zinco, argento, oro e rutenio sono altri metalli
utilizzati dall’industria galvanica.
¾ Il nichel nel suolo può co-precipitare insieme a ferro e manganese. È velocemente
assorbito dalla materia organica (Streit & Stumm in: A.A.V.V., 1993).
¾ Il cadmio nei suoli è presente allo stato divalente, formando ioni complessi e chelati
organici. È facilmente assorbito dalla materia organica ed il suo assorbimento è
favorito da pH inferiori a 6. Zinco, rame e selenio sembrano ridurre l’assorbimento di
cadmio e la sua tossicità (Streit & Stumm in: A.A.V.V., 1993).
¾ Il rame reagisce velocemente con i minerali e precipita facilmente con gli anioni del
suolo. Il suo assorbimento è favorito da bassi pH, sfavorito dalla presenza di materia
organica e fosfati (Streit & Stumm in: A.A.V.V., 1993).
¾ Lo zinco è facilmente chelato dalle molecole organiche e viene adsorbito dagli ossidi
di ferro e manganese (Streit & Stumm in: A.A.V.V., 1993).
¾ Alcuni elementi, come ferro o manganese, non si trovano in traccia ma in
abbondanza nei corsi d’acqua, poiché derivano dall’idrolisi delle rocce ed hanno largo
impiego industriale. Essi non costituiscono di solito una minaccia per gli esseri
viventi. Un altro metallo abbondante nelle acque, l’alluminio, diventa tossico ad alte
concentrazioni per le piante e per alcuni animali: nei Vertebrati rende fragili le ossa ed
il guscio dell’uovo sostituendosi a calcio e fosforo.
¾ L’arsenico, un metalloide altamente tossico che rientra nella composizione di alcuni
pesticidi, si trasferisce dalle colture alle acque per dilavamento ed infiltrazione durante
le precipitazioni o l’irrigazione. Esso abbonda in alcune aree geografiche (anche
italiane) caratterizzate da manifestazioni geotermiche durante le quali si ha la
mineralizzazione delle rocce (Mantelli, 2002). Forma sali solubili come As
3+
ed As
5+
ma la sua mobilità è ridotta dalla materia organica. Le reazioni microbiche rilasciano
alcune forme volatili di arsenico dal suolo (Streit & Stumm in: A.A.V.V., 1993).
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1.2 L’utilizzo di biomonitors
Quando la concentrazione di un elemento indesiderabile supera una certa soglia e
diventa potenzialmente nociva si parla di inquinamento. La concentrazione dei metalli in
tracce nei corsi d’acqua varia enormemente nel tempo e nello spazio, a seconda del tipo di
scarico, dei fenomeni atmosferici, delle caratteristiche chimiche, fisiche e dinamiche del
mezzo, etc. Per questo è impossibile stabilire se ci sia inquinamento da metalli affidandosi ai
semplici campionamenti d’acqua. Questi metodi forniscono dati istantanei e puntiformi,
inoltre non danno informazioni circa l’impatto dell’inquinante sui comparti viventi
dell’ecosistema.
Una soluzione al problema è offerta dall’uso di organismi viventi nei quali
l’alterazione ambientale si traduce in una serie di parametri misurabili: questi organismi si
definiscono biomonitors. Di essi si serve l’Ecotossicologia per prevedere o misurare gli effetti
indesiderabili di certi inquinanti in caso di contaminazione (Baudo, 2001). Si distinguono
(Nimis et al., 2002):
♠ Bioindicatori: sensibili all’inquinamento. La loro assenza e/o le loro alterazioni
anatomo-funzionali sono sintomo di deviazioni dalla condizione di naturalità di alcuni
parametri. Molti bioindicatori sono ormai di uso comune e standardizzato: ad esempio
i macroinvertebrati dell’Indice Biotico Esteso per l’acqua (Ghetti, 1997), i
macrolicheni epifiti dell’Indice di Biodiversità Lichenica per l’aria (Cislaghi & Nimis,
1997; Nimis, 1999), le piante di tabacco sensibili all’inquinamento da ozono
(Heggestad, 1991), etc.
♠ Bioaccumulatori: resistenti all’inquinamento. La concentrazione di certe sostanze
nell’organismo è proporzionale alla loro concentrazione nel mezzo e la supera di
migliaia o milioni di volte. Si possono misurare la deposizione atmosferica di metalli
su alcuni licheni (Nimis et al., 1989; Nimis et al., 1999; Nimis & Bargagli, 1999;
Nimis et al. 2000b), la deposizione atmosferica e l’assorbimento dal terreno di
radionuclidi nei talli rispettivamente di muschi e funghi (Nimis et al., 1990; Giovani et
al., 1994), l’assorbimento di metalli nei molluschi acquatici (Mersch & Johansson,
1993; Winterbourn et al., 2000), etc.
Le Briofite (divisione Bryophyta: muschi ed epatiche terrestri od acquatici) sono
biomonitors estremamente versatili sia in ambienti naturali che in contesti urbani od
industriali (Burton, 1990).
1.3 Le Briofite acquatiche come bioindicatori
Le Briofite che vivono nei fiumi o sulle loro rive sono strettamente legate al tipo di
substrato, che condiziona i parametri chimici dell’acqua. Il pH dipende dalla litologia del
corso d’acqua ed è un fattore chiave per lo sviluppo di una Briofita (Smith, 1990),
intervenendo sui processi di scambio ionico e sullo stato di ossidazione delle molecole in
soluzione. Esistono conseguentemente specie adattate a diversi pH.
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Ciò spiega le variazioni della composizione specifica nelle comunità briofitiche di
acque acidificate (Thiebaut et al., 1998) per la presenza di miniere, insediamenti industriali od
acque stagnanti. I processi di mineralizzazione delle rocce esposte ad escavazione e le
reazioni di decomposizione che avvengono in acque contaminate da rifiuti organici, in stagni
o torbiere provocano un abbassamento del pH. Ne derivano la scomparsa di Briofite poco
tolleranti l’acqua acida e l’affermarsi di altre specie più acidofile. Lo studio fitosociologico di
queste comunità briofitiche è finalizzato a monitorare l’acidificazione del corso d’acqua per
mezzo di specie indicatrici, nel tempo (con rilievi a distanza di mesi od anni) e nello spazio
(allontanandosi dalla sorgente). L’analisi multivariata della matrice specie x rilievi consente di
verificare l’esistenza di gradienti d’acidificazione che contrappongono acque con pH neutro
ad acque con pH acido, ospitanti comunità briofitiche differenti.
Le Briofite sono inoltre ottimi monitor del livello trofico dell’acqua poiché la loro
biodiversità è legata anche alla concentrazione di fosfati, nitrati, nitriti ed ammonii nel mezzo
(Vanderpoorten & Palm, 1998, 2001; Vanderpoorten, 1999; Vanderpoorten & Klein, 2000;
Thiebaut et al., 2002). Il rapporto N/P nel muschio e l’attività di alcuni enzimi coinvolti nel
metabolismo dei fosfati sono strettamente correlabili al livello trofico dell’acqua (Christmas
& Whitton, 1998a-b).
1.4 Le Briofite acquatiche come bioaccumulatori
Le Briofite sono vegetali privi di sistemi vascolari di conduzione (Strasburger, 1995):
esse prelevano i nutrienti dall’acqua circostante, per assorbimento, attraverso l’intera
superficie del tallo. Le loro pareti cellulari, ricche di cellulosa, pectine, emicellulose, proteine
e fenoli (Wright & Welbourn, 2002), espongono numerosi residui carbossilici in grado di
complessare e trattenere i micronutrienti cationici in tracce (Proctor, 1981). Anche l’ossigeno,
l’azoto e lo zolfo delle proteine contribuiscono alla complessazione dei cationi (Clymo, 1963;
Breuer & Melzer, 1990; Brown & Bates, 1990; Tyler, 1990). I siti di legame della parete non
sono selettivi né quantitativamente né qualitativamente, perciò non distinguono elementi
essenziali da elementi tossici (Haseloff & Winkler, 1980; Mouvet, 1984; Brown & Wells,
1990), verso i quali le Briofite si rivelano estremamente resistenti (Empain, 1977; Wehr &
Whitton, 1983). Queste caratteristiche fanno delle Briofite (acquatiche in particolare) dei
potenti accumulatori di elementi in tracce:
radionuclidi, quali Na
22
(Foulquier & Hébrard, 1976), Ru
106
(Vray et al., 1992), ed
altri (Kirchmann & Lambinon, 1973);
composti organici, quali pesticidi (Mouvet et al., 1985), idrocarburi policiclici
aromatici (Wegener et al., 1992; Roy et al., 1996) ed antibiotici (Delépée &
Pouliquen, 2002);
metalli pesanti: per i quali esistono numerosissimi studi di bioaccumulo ormai da
decenni (Tyler, 1990).
I metalli sono assorbiti dal tallo con tre processi distinti (Martins & Boaventura,
2002), durante i quali gli ioni vengono accumulati in modo sempre meno reversibile:
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1) rapido legame superficiale nello spazio libero di Donnan della parete cellulare
(ADSORBIMENTO, passivo);
2) lenta diffusione intracellulare;
3) accumulo intracellulare e stoccaggio (ABSORBIMENTO, attivo).
Alcuni autori (Mouvet & Claveri, 1999) hanno misurato, tramite estrazione chimica
sequenziale, la concentrazione di rame in tre diversi comparti del tallo di Rhynchostegium
riparioides (fig. 1.1):
¾ prima della contaminazione la percentuale di metallo intracellulare e nei siti di
scambio era nettamente superiore a quella intercellulare.
¾ Dopo 21 giorni di esposizione in acqua contaminata la maggior parte del metallo era
presente nel comparto intercellulare (47%) o nei siti di scambio della parete (39%),
mentre solo una piccola quota (14%) si trovava all’interno della cellula. Questo perché
durante un episodio di contaminazione dell’acqua una grossa massa di metallo è
presente fra le cellule e si deposita rapidamente sulla parete (adsorbimento); il
trasferimento all’interno è invece molto lento (absorbimento).
¾ Durante i 14 giorni di depurazione, il metallo è stato rilasciato più lentamente dal
comparto intracellulare che dagli altri due. Ne deriva un effetto memoria che segnala
contaminazione recente (Mouvet et al., 1993).
Il processo di bioaccumulo può essere espresso con un modello cinetico di I ordine
(Martins & Boaventura, 2002; Samson et al., in web), studiato per muschi del gen. Fontinalis,
secondo cui le concentrazioni raggiungerebbero una soglia di saturazione.
dove Cw è la concentrazione del metallo in acqua (mg/L), ρ la densità del mezzo (1
Kg/L per l’acqua), Cm la concentrazione nel muschio (µg/g), Cmi la concentrazione iniziale
nel muschio (µg/g), k1 e k2 i tassi di accumulo e rilascio (h
-1
), t il tempo (h).
Figura 1.1 Concentrazione del
rame (ppm, in ordinata) nei tre comparti
cellulari di Rhynchostegium riparioides in
funzione dei giorni di trapianto (in ascissa);
int = conc. intercellulare,
exch = conc. nei siti di scambio,
res = conc. intracellulare (residuo).
0-21 periodo d’esposizione,
21-35 periodo di depurazione.
Da Mouvet & Claveri (1999).
⎯→⎯
1k
Cw Cm - Cmi
⎯⎯←
2k
Cm = Cmi +
ρ⋅
⋅
2
1
k
Cwk
(1 – e
-k2 t
)