Tale recensione, che prende l’avvio da alcune proposte-provocazioni presenti anche a livello
istituzionale (Protocollo d’Intesa tra Ministero dell’ Istruzione e Comitato Nazionale di Bioetica),
vuole ritrovare le radici e le matrici culturali e filosofiche che soggiacciono alle diverse proposte. I
modelli teorici di riferimento delle bioetiche, benché in alcuni casi si pongano come puramente
descrittivi, non possono rinunciare a tratteggiare un immagine di uomo che determina
l’impostazione di ciascuna di esse. In altri termini, la scelta di un quadro culturale di riferimento,
piuttosto che un altro, non è neutra. Introdurre la bioetica a scuola, significa introdurre le bioetiche,
con le loro matrici filosofiche, nel percorso di formazione, determinando in qualche modo gli esiti
finali dell’impresa educativa. In sostanza questa sezione vuole mostrare che un contesto
frammentato genera teorie frammentate che rischiano di perdere di vista il compito della scuola che
più che essere la mera informazione o la semplice descrizione o dimostrazione di teorie o schemi,
dovrebbe avere una valenza e una tensione più ampiamente etica. La terza sezione si occupa proprio
di tratteggiare tre nodi centrali di questa scuola che definiamo etica nel metodo e nella sostanza.
Soprattutto l’incontro con la proposta di Bruner, della Arendt e di Morin permette di indicare la
scuola come luogo etico in quanto luogo di apprendimento-comprensione critica dei saperi
mediante narrazioni di senso che addestrano alla “vita vera” e che sviluppino la capacità del
pensiero.
La questione della bioetica a scuola diventa il problema dell’etica della scuola; questione che
alla luce della globalizzazione, non può che essere riletta in termini sistemici favorendo un recupero
della storia come luogo di narrazioni di senso significative che abilitano all’esercizio del pensiero
come attività dialogico-critica, mostrando e offrendo immagini di una vita “degna di essere vissuta”
e in quanto tale accessibile ad ogni uomo.
In conclusione, quello che appare un problema di immediata attualità, sotto la spinta
soprattutto di un’ urgenza mediatica, nasconde un problema molto più radicale e complesso, quello
della capacità educativa dell’istituzione scolastica. La bioetica che sempre più oggi appare come
l’unico discorso, peraltro solo sociale o contrattuale, sulla vita e sull’uomo, rischia, quindi, se
introdotta in modo superficiale, di assorbire la questione più complessa che inerisce la cura che la
società ha delle nuove generazioni alimentando le già pingui illusioni di educare secondo una
prospettiva della quantità. Il vero problema è quello secondo il quale è lecito chiedersi in quali modi
la scuola è in grado di realizzare quell’ “apprendistato alla vita” che “fa sbocciare la qualità poetica
dell’esistenza”.
PRIMA SEZIONE: LA RICERCA
1.1 Il disegno della ricerca
1.1.1 Definizione della domanda-ipotesi della ricerca e premessa
metodologica
La ricerca parte dalla domanda stimolata da una certa letteratura che valuteremo soprattutto
nella seconda sezione. Tale questione è inerente all’introduzione di una disciplina autonoma
all’interno del percorso curricolare atta a rendere più sistematica l’analisi di “questioni bioetiche”
all’interno del contesto scolastico. In sostanza tale suggestione dà l’avvio alla ricerca e potrebbe
essere formulata da una domanda come la seguente: all’interno dei percorsi scolastici [contesto
strutturato], in che modo, quando e attraverso quali percorsi la fascia di età 14-18 si costruisce una
riflessione di tipo bioetico?” Tale questione viene indagata attraverso tre percorsi specifici di tipo
quali-quantitativa che vogliono far emergere cinque obiettivi di fondo:
1. l’effettiva presenza o meno di una trattazione strutturata, semi-strutturata e informale di
questioni di bioetica;
2. la presenza o meno di una definizione più o meno elaborata della questione e di un’idea
anche parzialmente complessa della vita (analisi dell’immaginario...);
3. la valutazione del contesto in cui tali percorsi vengono effettivamente sviluppati (se
effettivamente la scuola come contesto strutturato sia un luogo appropriato alla trattazione di
argomentazioni di questo tipo);
4. la potenziale valorizzazione del micro-gruppo classe rispetto al macro-gruppo scuola nella
elaborazione di una modalità pedagogico didattica adeguata all’approccio della disciplina;
5. l’effettiva rilevanza esistenziale di tematiche di questo tipo nella fascia sopra indicata.
Date queste premesse emerge la necessità di elaborare un disegno di ricerca che tenga in
conto di una metodologia mista di indagine. A questo riguardo, si sottolinea come nella rilevazione
di quanto detto al punto 1,2 e 5 la metodologia più adeguata sia quella quantitativa con successiva
elaborazione dei dati raccolti mediante la somministrazione di test preorganizzato (vedi allegato)
che mediante la scelta di un campione sufficientemente rappresentativo
1
possa soddisfare i necessari
criteri di generalizzazione rispetto al contesto di definizione della ricerca (Scuola secondaria di
Secondo Grado: Liceo Classico Statale “P.Sarpi”).
1
L’individuazione del campione nel contesto individuato è stata effettuata attraverso una funzione del tipo (c=ts
nf
/nt
c
,
dove c sta per campione, ts
nf
sta pe il numero totale della scuola approntato al numero di fascie [cinque] di età e nt
c
sta
al numero totale di classi) in modo da garantire una sufficiente generalizzazione dei risultati che potessero essere
considerati hard (sufficientemente oggettivabili e standardizzati) e variable-based. Cfr. P.CORBETTA, Metodologie e
tecniche della ricerca sociale, Ed. Il mulino, Bologna 1999, pp. 63-65.
Per quanto concerne invece i punti 3 e 4 vanno elaborate metodologie adeguate
2
alla richiesta
che utilizzando strumenti di tipo qualitativo permettano la definizione e l’elaborazione di un
disegno a posteriori dal quale evincere considerazioni inerenti all’interazione di gruppo, alle
modalità di apprendimento di concetti complessi
3
e dell’interazione tra contesto e modalità di
costruzione del consenso in situazione dialogica conflittuale. A questo va poi aggiunto un ambito di
appropriazione individuale della scelta etica che nella coscienza si costruisce nella forma di un
dialogo tra immaginario (di vita e di morte), informazioni raccolte dalla cultura-ambiente e
dall’ethos contemporaneo e scelta individuale e personale. In questo senso per quanto concerne
questi due ambiti risultano utili due strumenti di ricerca che da un lato mettano in rilievo il processo
di costruzione del consenso in un contesto dialogico conflittuale (mediante focus-group) e dall’altro
l’utilizzo di interviste semi-strutturate volte al rilevamento dell’immaginario individuale, delle
matrici culturali e del livello di sintesi operato dalla coscienza individuale.
1.1.2 Prima fase: l’individuazione del campione, l’elaborazione del
questionario quantitativo, la somministrazione del questionario
Si procede, dopo l’analisi ambientale del contesto di studio individuato nel sistema di
riferimento Liceo Classico Statale “P. Sarpi”, in seguito ai dati e raccolti dalla ricognizione
effettuata in sede di tirocinio mediante interazione verbale con ragazzi e docenti, alla stesura di una
bozza del questionario quantitativo che nasce dalla convergenza dei dati raccolti in fase di
osservazione e dalla domanda d’origine della ricerca. Quindi si individua un campione di
riferimento. Tale campione viene così individuato secondo un criterio di scelta ragionata per quote
individuato a classi per fascia di età, ripartita come da figura.
2
Per questa sezione la metodologia migliore è case-based: si è scelto di individuare quali metodologie di tipo
qualitativo quelle del focus-group (di tipo semi strutturato basato su una proposta iniziale atta all’attivazione
dell’interazione nel gruppo-classe) unitamente ad alcune interviste di tipo semistrutturato, compensata da due interviste
di tipo strutturato con personalità specifiche nell’ambito di ricerca (un medico e un docente). Tale sezione ha l’obiettivo
di incrociare la portata della ricerca con il dato esistenziale con finalità di approfondimento e, non ultimo di verifica
della sezione quantitativa. Cfr P. CORBETTA, Op cit., pp. 70-76.
3
Le questioni Bioetiche per la loro complessità sistemica si pongono come concetti complessi poiché vanno al di là di
una logica sillogistico-deduttiva e coinvolgono direttamente lo sforzo di una decisione che chiede di essere
progressivamente interiorizzata e appropriata. Come tale – sapere dell’intersezione – la Bioetica gioca tra una
prospettiva consensuale e una prospettiva aprioristica. In questo senso va indagato il processo di costruzione di un
consenso all’interno di un gruppo strutturato. Vedi. Gruppo di studio.
distribuzione dell'età del campione e confronto percentuale
con il totale
34,6%
10,2%
17,3%
26,0%
11,8%
4,4%
1,3%
2,2%
3,3%
1,5%
0,0%
5,0%
10,0%
15,0%
20,0%
25,0%
30,0%
35,0%
40,0%
14-15 15-16 16-17 17-18 Più di 18
distribuzione età del
campione
rispetto al totale della
scuola
Totale di 127 alunni su un totale complessivo di 997 pari a un campione del 12,7% sul totale.
1.1.3 Seconda fase: l’attività di Gruppo di studio
Il Gruppo di studio (Focus group) vuole indagare il processo di costruzione del consenso in
una situazione che per l’oggetto si presenta conflittuale e l’elaborazione individuale, rispetto al
contesto sociale (in questo caso coincidente con il gruppo classe) di una visione e di un
immaginario a riguardo di questioni di bioetica. In questo senso la presenza del tirocinante si pone
come quella del facilitatore conduttore della situazione relazione e dell’ osservatore interno. In
questo senso si realizza un setting di interazione verbale in un gruppo classe. Dato il numero elevato
degli attori dell’interazioni, per facilitare l’operazione di rielaborazione dello studio, la classe verrà
opportunamente divisa in gruppi. Verrà proposto un brano di riflessione che mira all’attivazione di
una discussione dopo un congruo tempo di presentazione del gruppo. Tale proposta verrà realizzata
strutturando in modo circolare e il più possibile informale l’ambiente in modo da favorire una
simmetricità tra i partecipanti e la possibilità di una discussione. Ogni gruppo avrà il compito di
raggiungere una posizione convergente che un portavoce riporterà in gruppo allargato in una
seconda fase. Il dibattito si svilupperà con libertà di intervento da parte di tutti gli attori.
L’attenzione sarà posta al processo di costruzione di un eventuale (o no) consenso sulla questione e
sul reperimento di informazioni di controllo rispetto ai dati raccolti nella fase quantitativa. Verrà poi
studiata mediante analisi della trascrizione dell’interazione con opportuni strumenti sociolinguistici
(prossemici, metacomunicativi e verbali in senso stretto).
[….]
1.2 Alcune considerazioni conclusive
L’impressione generale di questo lavoro di ricerca è quello di una corrispondenza tra le
riflessione e i dati del campione, e quello che è un dato culturale indubitabile della società
contemporanea. L’abbondante uso di espressioni appartenenti al senso comune e la costante
dicotomia denunciano una sostanziale frammentazione del tessuto culturale a cui il campione
appartiene. C’è in sostanza un difetto di riflessione come capacità di rielaborazione interiore
dell’esistenza e dei grandi temi della vita, che non sembrano mai pienamente appropriati e
approfonditi. La presenza di diverse impostazioni culturali, di matrice religiosa o ideologica
pongono in luce come le questioni, soprattutto dell’inizio e della fine, non vengano mai rielaborate
in modo pieno a livello interiore. É come se si rinunciasse a trovare una loro effettiva rilevanza a
livello personale e si ragionasse sempre in modo, per dirla alla Heidegger, inautentico nel regime
del “Si”. Il compito che è attribuito all’istituzione scolastica è impegnativo: si chiede alla scuola di
colmare o per lo meno orientare la frammentazione del senso e la sua liquefazione nei rigagnoli di
una separazione tra privato e pubblico, tra individuale e sociale-civile-politico. Per certi versi anche
l’invocazione di un presunto consenso rischia di essere un precario contenitore che adatta le
questioni del senso alla logica dei più.
A questo va aggiunto una sorta di difetto di pensiero che non riesce a costruirsi in modo
complesso trovando vie per l’integrazione delle coppie/endiadi classiche (laico/religioso, decisione
personale/ricorso alla legge…). Questo di certo registra la complessità della questione e della
cultura nella quale la questione è posta ma rischia di cadere spesso nella semplificazione offerta
dalle risposte ideologiche che pretendono di essere vere a prescindere da ogni indagine
fenomenologica e storica. La questione della bioetica si inserisce quindi all’interno di una questione
più complessa che è quella dell’uomo e delle immagini proposte dalle diverse
teorie/impostazioni/proposte che hanno nella scuola un luogo di concentrazione. Per questo vale la
pena di andare a scoprire, attraverso una veloce recensione, quali siano i modelli che soggiacciono
alle diverse proposte scoprendo che per certi versi la bioetica non è altro che la riduzione sociale di
problemi e impostazioni assai più complesse e articolate di cui essa non è che la versione
attualizzata e “suppostamene scientifica”, che in più di un caso, cade in postulazioni e
generalizzazioni discutibili.
Nonostante questo è singolare come molti dei temi e delle questioni che andremo ad
affrontare affiorano sia dalla sezione quantitativa che da quella qualitativa. Benché manchi una
proposta organica e di spessore è pur vero che le richieste di formazione espresse in più modi,
diretti e indiretti, non solo è meritoria, ma diviene un appello che chiede di individuare strade
concrete che permettano di ricollocare quelle esigenze, legittime, di ritrovare senso alla vita.
1.3 Modelli teorici di riferimento delle bioetiche
1.3.1 Le origini della riflessione bioetica
La riflessione bioetica, come è noto, nasce dalle questioni della vita, o meglio dal limite della
vita e dai suoi limiti
4
, che inevitabilmente pongono questioni. In seguito tale riflessione, connessa ai
limiti, pone l’attenzione agli usi – e in certi casi abusi - della pratica medica che, grazie alle nuove
tecniche e tecnologie, la spinge nei meandri dei confini della deontologia ippocratica. Dunque la
domanda sulla liceità o meno di alcune pratiche equivale a una domanda epistemologica ed etica
circa i limiti della vita.
É evidente che tale movimento di pensiero
5
si inserisce all’interno di una più grande e incisiva
rivoluzione dell’ ethos contemporaneo che coinvolge la coscienza individuale e le modalità
concrete del suo vivere sociale. In sostanza la bioetica appare come un pensiero complesso nato
dalla complessità post-moderna, caratterizzata dal venir meno delle evidenze metafisiche ed etiche.
La coscienza debole, così come la ragione e l’io minimo sono i luoghi di incubazione del ritratto
dell’uomo contemporaneo e la bioetica assume la forma del discorso sociale dell’ etica. In sostanza
la bioetica sarebbe il depositato sociale, l’epifenomeno ad extra di una crisi, nel senso etimologico
del termine, ad intra. Ne è ulteriore prova la sua origine in ambito medico-scientifico: tale crisi
delle evidenze interne, che colpisce anche le scienze positive, avrebbe in realtà stimolato,
nell’orizzonte della pratica medica, un discorso etico che tende alla autolegittimazione stessa della
pratica medica. Il tentativo di ritrovare un modello antropologico di riferimento, interno alla pratica
medica, per certi versi, metterebbe in luce la fatica di intendere la dimensione professionale nel
puro orizzonte della tecnica. Infatti, accanto a questo discorso, è possibile porre una riflessione
inerente alla non neutralità dell’ introduzione della techne, che smette di esercitare il suo supposto
ruolo liberatorio e catartico rispetto all’alienazione del quotidiano, e mostra la sua radicale
problematicità. L’epoca postmoderna vede realizzato il mito prometeico a causa del progressivo
smarrimento del senso connesso al facere che porta alla corrosiva e sofferta pena del potersi dire
padrone della tecnica
6
, titolo, per altro, mai completamente com-prensibile
7
. Il divorzio tra tecnica
4
Lungi dal voler ridurre la Bioetica a mero “discorso sui limiti” si vuole semplicemente sottolineare che all’origine
alcuni problemi etici posti in corrispondenza di alcune situazioni limite e della vita e della medicina ha spinto verso una
riflessione che avesse una sua autonomia. La Bioetica ha un respiro molto più ampio che può essere individuato come si
vedrà in modo analitico in seguito nel rapporto con l’alterità (sia esso il corpo proprio, il mondo, la passività del “si
nasce”).
5
Preferiamo utilizzare tale espressione poiché prima di una disciplina autonoma e epistemologicamente articolata, la
Bioetica si manista come res interna alla riflessione etica, come già più volte segnalato.
6
Cfr. tutta l’opera di H. JONAS, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Ed. Einaudi, Torino
1997 (tit. orig. Technik, Medizin und Ethik, Ed Suhrkamp, Frankfurt, 1985 ) e in particolare: «[…] dobbiamo continuare
con lo sfruttamento tecnico della natura. Solo la modalità e la misura di ciò che è in discussione, e l’interrogativo più
serio rivolto alla libertà umana diventa quello relativo al fatto se noi ne siamo padroni o possiamo diventarlo[…]
dall’euforia del sogno faustiano ci siamo svegliati nella fredda luce della paura. Non deve essere quella del fatalismo. Il
panico apocalittico non deve mai farci dimenticare che la tecnica è un’opera della libertà propria di noi uomini. Sono
ed etica cerca nella bioetica il suo ricongiungimento consensuale e lo fa con gli strumenti culturali
di cui dispone.
A questo va aggiunto che la riflessione stessa intorno al concetto di vita non prescinde dalla
sfiducia globale del pensiero post-illuminista e post-metafisico: il venir meno della “forza
concettuale del cogito” ha coinvolto con un legame a doppio filo pure l’autocomprensione del
soggetto. In sostanza l’uomo post-moderno non è sfiduciato solo nei confronti della propria certezza
razionale ma pure della propria dimensione esistenziale. Il potere corrosivo del pensiero nichilista
ha intaccato anche l’autocoscienza dell’uomo che si ritrova, o per lo meno si percepisce e si vede
costretto ad abbandonare i sentieri segnati dell’interiorità, per procedere a tentoni o zigzagante
nell’impresa della costruzione del sè
8
. Per usare un’immagine cara alla letteratura sociologica
contemporanea, la bioetica gode delle caratteristiche liquide – o liquefatte - del soggetto
contemporaneo
9
.
state azioni di questa libertà a condurci al punto attuale. Azioni della medesima libertà – la quale resta nonostante i
vincoli che ci si è imposti per continuare il cammino intrapreso – decideranno del futuro globale, il quale per la prima
volta è nelle sue mani» Cfr. Ibid,, p. 240-242 (passim).
7
Ci si riferisce all’etimologia della parola comprendere: benché l’uomo sia padrone della tecnica almeno dal punto di
vista cognitivo, non riesce ad appropriarsi di essa dal punto di vista esistenziale, portando dentro di sé tale potere
esercitandone un effettivo governo.
8
Miguel Benasayag, generale dell’esercito argentino negli anni sessanta, è oggi, nella sua opera accademica parigina,
una delle più interessanti personalità della contaminazione tra sapere filosofico e sapere psicoanalitico. Con il collega
Gerard Schmit ha recentemente analizzato il mondo dell’età giovanile a partire dall’endemica situazione di disagio che
si riscontra ormai in tutte le società. Le sue considerazioni, che si polarizzano sull’adolescenza, hanno tuttavia il potere
di descrivere in modo efficace quella che è la condizione generale di ogni uomo della post-modernità. La sua è una
genetica della complessità elaborata da un punto di partenza diagnostico e sviluppata con strumenti sociologici e
educativo-pedagogici. «La nostra epoca sarebbe passata dal mito dell’onnipotenza dell’uomo costruttore della storia a
un altro mito simmetrico e speculare, quello della sua totale impotenza di fronte alla complessità del mondo» Cfr. M.
BENASAYAG, G. SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi, Ed. Feltrinelli, Milano 2004, p. 22. In sostanza l’uomo
contemporaneo, quello che egli fa, i suoi valori sarebbero passati da un orizzonte di universalità e unitarietà a una
progressiva differenziazione che avrebbe prodotto uno smarrimento della coscienza. Il tramonto del principio di autorità
e la frammentazione dei saperi, unità all’aumento esponenziale della possibilità di scelta che apparivano come la
condizione della redenzione laica dell’uomo si sono progressivamente trasformati nel motivo della sua condanna. Oggi
l’uomo è nutrito dal mito dell’impotenza che lo fa sentire inabile di fronte al mondo, incapace geneticamente a
sopportare e rispondere ai grandi e ai piccoli problemi della vita. Di certo non ci spostiamo dalla descrizione più volte
avvicinata dell’io minimo o della coscienza debole. L’elemento di novità nella proposta dei due autori sta nel
considerare tutto questo non solo una variabile strutturale e congiunturale, quanto piuttosto, come il frutto di una visione
che l’uomo ha di sé e del mondo. In sostanza non è solo il mondo e la società che sono così, ma è pure l’uomo che crede
che siano così e in questo modo le rappresentano, le vivono e le creano. Una coscienza che si crede debole, non può che
creare attorno a sé un mondo incerto e debole. Così come una coscienza che si crede stressata crea attorno a sé una
rappresentazione di un mondo oppressivo e inospitale. Lungi dal riproporre una sorta di ricostruzione laica del peccato
originale, in questa proposta si può leggere un’evidenza delle scienze positive ma pure il superamento di un certo
sociologismo che vedrebbe il mondo come un destino inesorabile e non come – affermazione biblicamente più fondata e
corretta – un qualcosa affidato all’uomo per realizzarsi. Non solo dunque c’è una frammentazione che riguarda il
mondo ma c’è pure una fatica nel vedere il mondo, nell’azione di rappresentazione. In altri termini siamo figli del
mondo ma pure della rappresentazione che di esso ci facciamo. Nulla di nuovo in questo, in altri termini siamo
all’interno di uno schema circolare ma va pure sottolineato che in questa proposta viene valorizzata la coscienza e la sua
visione del mondo.
9
Tra le molte suggestioni della letteratura sociologica contemporanea che descrive l’attuale situazione sicuramente
quella tracciata da Bauman è efficace per tracciare un quadro del tema che vogliamo trattare in questa sede. Egli
descrive l’uomo contemporaneo come essere liquido e in talune situazioni liquefatto poiché “figlio” di una società che
ha perso tutti i crismi della solidità dell’epoca moderna (Quello che altri descrivono come tramonto della civiltà, altri
come fine della società del controllo… ). In questo senso l’uomo di oggi – cosi come le istituzioni, aggregazioni,
[…]
Alla conclusione di questo percorso è possibile dire che appare evidente che nella riflessione
contemporanea, come per altro appare anche in quella morale in genere, aggiustata con l’aggiunta di
altri elementi desunti dalla filosofia morale e dalla tradizione fenomenologica in particolare, ci
permetta di costruire una sorta di piano cartesiano che ha agli opposti verticali da un lato
deontologia (richiamo al principio) e dall’altro teleologia (tensione verso una vita buona); mentre
agli opposti orizzontali ha autonomia (il soggetto decide per sé) e eteronomia (è la comunità che
decide per il soggetto).
La frammentazione del pensiero morale, che via via sceglie una di queste direttrici senza
avventurarsi nel tentativo di una loro integrazione risulta il problema effettivo dei modelli teorici
delle bioetiche. In sostanza la bioetica, in quando “sottoprodotto” sociale, necessita di un costante e
continuo sforzo di riflessione etica. In sostanza la questione non può essere ridotta alla mera
introduzione di una bioetica nella scuola, poiché si tratta di capire di quale bioetica si sta parlando.
Inoltre il vero problema dell’educazione è quello della carenza di una seria riflessione etica, che in
quanto progetto di uomo, non può essere affidata a nessuna disciplina particolare ma deve costituire
piuttosto un’impostazione di fondo comune a tutte le discipline.
[…]
associazioni – da una capacità di posizione di sé nello spazio-tempo, tende ad assumere forme di mimetismo: prende in
sostanza la forma di altro, come liquido che aderisce al contenitore e che dal contenitore dipende in modo essenziale. Il
viaggio della vita, come impresa etica (molti fanno una ricostruzione etimologica della parola Etica legandola al termine
greco oikos. Etica sarebbe dunque da intendere come viaggio verso casa, come itinerario verso la stabilitas loci che
lungi dall’essere una fuga mundi, sarebbe piuttosto lo spazio e il tempo in cui la libertà decide di darsi una forma),
sarebbe più che un itinerario con un inizio, una meta e un fine, una sorta di girovagare di campeggio in campeggio al
quale si chiede di erogare servizi. La casa non è più un luogo sociale, come spazio tra le case d’altri e tempo
dell’adultità, sarebbe piuttosto un luogo sempre uguale che uno porta con sé, cambiando panorami ma non lasciandosi
intersecare/edificare da essi. Scrive Bauman: «Non vengono fornite case per l’accasamento e tutte quelle eventualmente
postulate e ricercate si dimostrano fragili e spesso crollano prima che l’opera di insediamento sia completata. Ci sono
solo “prefabbricati” di vario stile e dimensione nonché di sempre diverso numero e dislocazione, che inducono uomini e
donne a continui traslochi e non danno alcun “appagamento”, nessun tipo di relax, nessuna sensazione di “essere
arrivati”, di aver raggiunto la meta finale, il luogo in cui si possa alfine deporre le armi, rilassarsi e abbandonare ogni
preoccupazione. Non esiste alcuna prospettiva di accasamento al termine della strada imboccata dagli individui (ormai
cronicamente) sfrattati.[…]In estrema sintesi: si sta creando un divario sempre maggiore tra individualità in quanto
capacità pratica e realistica di autoaffermazione (diversa cioè dalla «individualità per ascrizione» e definibile come
«individualizzazione») e cittadinanza». Cfr. Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Bari 2004, pp. 25-26. In altri
termini la dimensione sociale oggi cede il passo a un individualismo spinto in cui il soggetto vive una sorta di
concentrazione sulla forma, che non permette mai - dato anche il fenomeno della contrazione del tempo di
appropriazione della libertà sul quale torneremo – di raggiungere il contenuto. Dall’altro l’impoverimento del contenuto
affida alla bagarre della forma costringendo ogni organizzazione a estenuanti operazioni estetiche di maquillage. Per
dirla in termini filosofici l’evidenza tomasiana della coincidenza dei trascendentali (buono, bello, vero) si appiattisce sul
bello, eliminando il vero ritenuto irrilevante e confondendo il bene con il benessere.
Conclusioni aperte
É utile tracciare alcune conclusioni che diano una visione d’insieme della ricerca effettuata,
aprendo la possibilità di ulteriori approfondimenti. In questo senso si parla di un’ “apertura”
scaturita dalle “conclusioni” provvisorie alle quali siamo fin qui giunti grazie ai dati della ricerca,
all’ analisi del contesto e alle suggestioni di alcuni exempla del pensiero contemporaneo
pedagogico, filosofico e culturale.
1. La questione generale della bioetica a scuola non può essere affrontata introducendo alcuni
discorsi – o dilemmi – all’interno dei curricula scolastici. Infatti l’intrinseca vocazione etica della
scuola non può ridursi alla mera trattazione di singoli casi o dilemmi di giudizio, ma deve fornire un
orizzonte più vasto e complesso non cedendo alla tentazione di relegare a semplici frammenti,
peraltro significativi a volte solo a livello mediatico, la questione dell’etica.
2. Inoltre il problema della bioetica a scuola comporta una riflessione sulla natura stessa della
bioetica la quale non può fare a meno dell’orizzonte concettuale e dell’impostazione teorica di
riferimento della sua proposta. Ogni impostazione teorica poi, per quanto dichiari di non avere
pretese fondative, descrive pur sempre un modello di uomo e si colloca in un orizzonte
antropologico. Più significativo sarebbe chiarire palesemente tale modello e chiedere un serio
dibattito a questo livello. La questione nodale è quindi quella dell’ etica a scuola che è
l’intersezione tra Presente, Passato e Possibile dell’umanità di Bruner, il pensiero come due-in-uno
della Arendt o l’ apertura alla vita di Morin. Si tratta di lavorare alla ricerca di un modello di
interconnessione e integrazione tra quelle che abbiamo definito le direttrici dominanti delle
impostazioni bioetiche (Autonomia-Eteronomia/Teleologia-Deontologia) che faccia superare quella
precarietà e quella costante dicotomia percepita in sede di ricerca qualitativa e quantitativa.
3. La mera analisi di casi limite rischia di cadere nella tentazione di interpretare il processo di
apprendimento come semplice processo di soluzioni di problemi. L’obiettivo della scuola, perché
essa stessa non venga privata del proprio profilo civile e respinta essa stessa nell’angusto spazio del
privato, è la comprensione che non può essere dimostrata bensì può essere mostrata attraverso un
rigoroso e completo lavoro di ricostruzione storica. La comprensione da principio epistemologico si
trasforma in compito etico che coinvolge tutti gli attori presenti all’interno dell’istituzione scolastica
facendo della scuola un luogo di addestramento alla vita. (Etica della Comprensione)
4. In questo senso l’etica a scuola si configura come una scuola etica, in cui cioè la scuola
riconosce la sua missione di luogo di apprendimento critico dei saperi mediante narrazioni di senso
che addestrano alla “vita vera” e che sviluppino la capacità del pensiero. Questo richiede un
continuo sforzo di ricerca e di approfondimento che faccia della storia e dei suoi nodi un luogo
privilegiato di rinvenimento del senso. In altri termini non può essere una scuola solo della vita
(bios): essa non può non proporre una “vita degna di essere vissuta” e, per questo, possibile.
5. La scuola etica è scuola del pensiero che è favorito da un atteggiamento di silenzio e
solitudine che non è da intendere come isolamento. Ogni istituzione educativa e formativa dovrà
essere attenta alla persona nella sua globalità, ivi compresi i necessari tempi di attestazione
interiore degli apprendimenti, lo sviluppo dell’attitudine alla ricerca e all’indagine interiore,
l’apertura all’ineffabile: antidoti questi alla mera riduzione utilitaristica dell’esistenza.
6. La scuola etica è sistemica e narrativa nel senso che predilige una figura della
interconnessione che sia a livello metodologico sia a livello didattico sappia rendere ragione delle
scelte e delle interpretazioni operate nella certezza di proporre esempi percorribili e sensati.
7. La scuola etica è la scuola che si interroga sul profilo epistemologico delle discipline in
essa insegnate e comunicate. In ordine al tema scelto una parte significativa deve essere svolta da
una seria revisione dell’impostazione epistemologica delle discipline scientifiche che vanno
recuperate nell’orizzonte delle narrazioni di senso, superando ogni impostazione scientista e
puramente descrittiva.
8. Un interessante filone di riflessione a riguardo del rapporto tra bioetica e scuola può essere
offerta dalle suggestioni di H. Arendt. Nella sua opera Vita Activa
10
si interessa sia del concetto
complesso di azione, sia del rapporto tra pubblico e privato
11
. L’azione è, per l’autrice, la «sola
attività che costituisce [il mondo]»
12
che coincide con il recupero della sfera pubblica – di origine
greca -, intesa come luogo di condivisione di parole e azioni. L’uomo è tale nell’azione e
nell’azione pubblica, sociale e comunitaria. Il contesto contemporaneo, prosegue la Arendt,
proponendo la realizzazione dell’esistenza nella sfera del privato, ne fa un uomo sottoposto a un
processo di “privazione”. Tale meccanismo di “oscuramento” coinvolge lo stesso concetto di vita
che, perso il riferimento trascendente introdotto dal pensiero cristiano, si riduce al pure benessere
che altro non è che la perdita dell’uomo stesso
13
L’interesse di tale riflessione sta nell’ulteriore
10
H. ARENDT, Vita Activa, Ed. Bompiani, Milano 2004
XII
, (Tit. orig. The Human condition, Ed. University of Chicago,
Chicago 1958)
11
Molto interessante è a questo riguardo la prima parte del testo nella quale l’autrice, con metodo fenomenologico-
ermeneutico, ricostruisce una storia del rapporto tra pubblico e privato. Mentre nel mondo antico la sfera della
realizzazione dell’uomo era quella della vita pubblica e la vita privata da quella pubblica era quella da dedicare alla Bios
theoreticos dei filosofi e delle scuole, oggi la modernità, passando attraverso una sfiducia complessiva nel mondo tipica
della modernità, vede l’uomo realizzato solo nella misura in cui realizza una sorta di fuga mundi, assecondando una
dimensione anestetica dell’edonismo e del piacere tipico dell’uomo privato. Questo processo di privazione-
privatizzazione sarebbe propiziato dalla sostanziale fuga del dolore in quanto tale che l’uomo contemporaneo non
riuscirebbe più a collocare nell’orizzonte della sua vita.
12
H. ARENDT, Op. cit., p. 145.
13
«Se questa fondazione dell’edonismo nell’esperienza della sofferenza è vera sia per le sue varietà antiche sia per
quelle moderne, nell’epoca moderna acquista un accento del tutto diverso e molto più forte. Non è più infatti il mondo,
come nell’antichità, che spinge l’uomo in se stesso per rifuggire da ciò che esso può infliggergli, situazione questa in
approfondimento di quell’orizzonte antropologico che è la vocazione della scuola. Essa ha una
vocazione etica poiché cerca di ritrovare le trame che costruiscono la vita e generano l’azione.
L’educazione alla Cittadinanza e alla Convivenza civile e democratica, in questo senso, non può
prescindere da una seria riflessione sulla vita e sulle sue forme e non può rinunciare al suo profilo
pubblico.
9. Si capisce e si comprende perché è necessario un approfondimento del tema della storia e
del suo ruolo all’interno della scuola. Va superato un certo positivismo che rischia di perdere le
trame e il senso, sotto il peso della giustapposizione dei fatti. E’ una riflessione che riguarda non
solo il metodo di esposizione dei singoli saperi ma chiede una riflessione complessiva sull’assetto
stesso delle discipline nella consapevolezza della non esistenza di saperi eticamente neutri.
10. É lecito poi chiedersi la collocazione di argomenti e approfondimenti che secondo le
ultime disposizioni (Legge di Riforma 53/03, Decreti attuativi relativi, Indicazioni Nazionali e
Obiettivi Specifici di Apprendimento) vengono collocati all’interno del capitolo dell’Educazione
alla Convivenza Civile. Questa prospettiva chiede di entrare nella logica dell’ integrazione nella
dialettica tra diffusione e concentrazione di argomenti che, dalla sfera della conoscenza, si spostano
a quella dell’attivazione di riflessione. Questo comporta l’adozione di una metodologia didattica
che rinunciando alla tradizionale compattezza sappia farsi ipertestuale cogliendo la cultura come
una sorta di atmosfera-clima (la noosfera di Morin).
11. Un’ultima considerazione provocatoria può essere affidata all’impostazione di un serio
dialogo tra fede e scienza che nel dibattito civile contemporaneo ha una certa rilevanza. Una visione
privatistica della fede, tenderebbe a sacrificare la sua presenza nella scuola in nome di una laicità
intesa più come indifferenza e qualunquismo delle posizioni. Una scuola etica, intesa come luogo di
apprendimento-comprensione critica dei saperi mediante narrazioni di senso che addestrano alla
“vita vera” e che sviluppino la capacità del pensiero, non può prescindere dalla fede almeno come
narrazione di senso. Una scuola laica è una scuola plurale (Bruner) e come tale è una scuola capace
di connettere le diverse trame che costituiscono la cultura, ivi compresa la narrazione di senso della
fede. In un orizzonte globale è necessario evitare ogni impostazione teorica precostituita che
rischierebbe, qualunque sia il suo segno o la sua natura, di essere ideologica. Ogni ideologia, infatti,
con il suo potere semplificatorio rischierebbe di cogliere un frammento e di spezzare quella
connessione tra frammento e totalità che costituisce il cuore dello spirito ologrammatico (Morin)
che coglie la natura del pensiero e della cultura stessa.
cui sia il dolore che il piacere conservano ancora un bel po’ della loro attinenza al mondo.[…] I corrispettivi moderni al
contrario, furono ispirati da una profonda sfiducia dell’uomo in quanto tale.»H. ARENDT, Op. cit., p. 231