INTRODUZIONE
“Avrei tanta voglia di vedere mio padre, ma mi sento come una prigioniera, avrei
l‟impressione di tradire mia madre e forse lei mi respingerebbe definitivamente”
26 anni, vittima di una PAS, soffre di attacchi di panico cronici
“Rifiuto definitivamente di vedere mio padre perché ogni volta che ci parlo al telefono
si lamenta di non vedermi abbastanza…”
28 anni, vittima di una PAS, dopo aver chiamato suo padre per la prima volta in 6 anni
“Mi ricordo, quando eri incinta di me di 5 mesi hai voluto uccidermi…”
13 anni, vittima di una PAS, rivolgendosi per l‟ultima volta a sua madre
Negli ultimi anni il numero di separazioni e di divorzi sta crescendo in maniera
esponenziale. E‟ normale che questo porti a delle alterazioni a livello relazionale
all‟interno della famiglia e a delle modificazioni psicologiche e comportamentali da
parte di tutti i membri. Può succedere, però, che alcune risposte genitoriali siano
dannose e non siano affatto da considerarsi normali, in quanto hanno lo scopo di
separare il figlio dall‟altro genitore e legarlo a sé.
La concettualizzazione di Parental Alienation Syndrome come patologia
relazionale venne delineata negli anni ‟80 del secolo scorso dallo psichiatra Richard
Gardner, che la descrisse come una condizione che si può presentare nelle situazioni di
separazione e divorzio conflittuali per cui il figlio, in seguito alla programmazione ed al
lavaggio del cervello agito su di lui da parte del genitore affidatario, dà vita ad una
campagna di denigrazione non giustificata nei confronti dell‟altro genitore.
Nonostante non sia ad oggi una condizione contemplata dal DSM-IV, anche se
c‟è la probabilità che venga inserita nel futuro DSM-V, tale concetto sta circolando
negli ultimi anni in ambienti scientifici e forensi in modo via via sempre più frequente,
a volte quasi in maniera eccessiva. Già nel 1991 Clawar e Rivlin sottolinearono come
molte categorie professionali (giudici, avvocati, professionisti della salute mentale)
denunciassero da tempo l‟esistenza di tale fenomeno pur trovandosi in seria difficoltà
per quanto concerneva il portarlo alla luce, diagnosticarlo correttamente secondo
indicatori specifici e, soprattutto, programmare un intervento efficace.
1
Nel panorama italiano tale “Sindrome” è stata descritta per la prima volta da
Isabella Buzzi nel 1997 e, l‟anno dopo, è stato ripreso e ampliato il concetto,
dettagliandone a livello descrittivo le principali caratteristiche, da Guglielmo Gulotta.
Ancora oggi sono tuttavia assenti, e non solo dal panorama italiano, ricerche
sistematiche e statistiche ad hoc che consentano una valutazione scientifica della
“Sindrome”. Il punto debole della teorizzazione di Gardner sta proprio nell‟assenza di
studi empirici: si tratta cioè di un modello clinico non supportato da indicazioni
epidemiologiche che non può, quindi, vantare uno statuto scientifico forte.
Mentre alcuni autori non riconoscono, a causa di questa mancante scientificità,
la validità di tale “Sindrome”, altri ne supportano l‟esistenza individuando tre criteri
fondamentali affinché si possa parlare di PAS:
1) Il rifiuto e la denigrazione di un genitore che ha raggiunto il livello di una
campagna vera e propria;
2) Il rifiuto e la denigrazione sono ingiustificati e non trovano le basi nel
comportamento passato del genitore nei confronti del figlio:
3) Il processo di alienazione è il risultato parziale dell‟influenza esercita dal
genitore alienante.
Alcuni dei lavori di Gardner, tra l‟altro, sono stati citati nella bibliografia delle linee
guida per l‟affidamento dei minori nei casi di separazione e di divorzio pubblicate
dall‟American Psychological Association, il che suggerisce che tali autori riconoscono
la PAS come un importante concetto con cui i valutatori devono avere familiarità.
L‟esigenza di promuovere la conoscenza della PAS diviene sempre più urgente
adesso che l‟autorità giudiziale, seguendo le indicazioni provenienti dalla ratifica della
Convenzione europea di Strasburgo del 1996 sull‟esercizio dei diritti dei fanciulli,
riconosce la necessità di ascoltare l‟opinione del bambino, prima di adottare qualsiasi
decisione in merito all‟affidamento del minore nel corso di una separazione o divorzio.
E‟ evidente l‟importanza di disporre di strumenti che consentano di discernere tra
una preferenza “naturale” o “genuina” e una “artificiosa” perché indotta da un vero e
proprio lavaggio del cervello operato sul minore.
Il lavoro consta di nove capitoli ed è suddiviso in due parti: nei primi tre capitoli,
che costituiscono la prima parte, viene presentata, attraverso una panoramica generale,
quella che è la situazione attuale riguardo la separazione, il divorzio e l‟affidamento dei
2
figli; nella seconda, che comprende gli altri sei capitoli, viene descritta la PAS,
approfondendone i vari aspetti.
In particolare nel primo capitolo vengono descritti la separazione ed il divorzio dal
punto di vista giuridico.
Nel secondo vengono approfondite le conseguenze psicologiche, nei genitori e nei
figli, che la separazione e/o il divorzio comportano.
Nel terzo il tema trattato è quello dell‟affidamento dei minori, descrivendone le
varie tipologie esistenti e approfondendo in particolare l‟affidamento condiviso, oggi
considerato il più corrispondente alle necessità di genitori e figli e in grado di rispettare
il principio di bigenitorialità, fondamentale per i minori.
Nel quarto viene introdotta la PAS, analizzando, attraverso un escursus storico, gli
autori che, oltre a Gardner, il primo ad approfondire in maniera sistematica tale
sindrome, si sono occupati di tale problematica.
Il quinto evidenzia la teoria di riferimento su cui si basa la PAS, ovvero la sua
definizione e le sue caratteristiche fondamentali, come anche il perché non ne venga
riconosciuta da tutti l‟esistenza.
Nel sesto vengono analizzati i protagonisti della PAS, sia coloro che rappresentano
la triangolazione di base (madre, padre, figlio/i), sia gli “esterni” e l‟ambiente, che
hanno un ruolo importante nel determinare lo sviluppo ed il mantenimento della PAS.
Nel settimo capitolo la PAS viene messa a confronto con realtà con le quali spesso
viene confusa, ma dalle quali si differenzia sotto diversi aspetti, come l‟Alienazione
Parentale, l‟abuso sessuale e la FMS (False Memory Syndrome).
Nell‟ottavo vengono descritti i tre livelli di intensità della sindrome e le modalità
attraverso cui diagnosticarla e mettere in atto un adeguato trattamento, sia giuridico che
terapeutico, in base alle necessità del caso.
Nel nono capitolo, infine, viene presentato un caso clinico, che ho avuto la
possibilità di seguire, in cui sono riscontrabili le caratteristiche della sindrome.
3
Capitolo 1
SEPARAZIONE E DIVORZIO: ASPETTI GIUDIZIARI
1.1 Introduzione
La disciplina della crisi del matrimonio contenuta nel codice civile del 1942 era
dominata dal principio di indissolubilità. L‟interesse generale alla salvaguardia
dell‟istituto matrimoniale, inteso come valore sovraordinato all‟interesse delle persone,
non consentiva che il vincolo coniugale, una volta costituito, potesse essere sciolto,
neppure quando fosse venuta meno la comunanza di sentimenti, affetti, interessi che lo
alimentavano.
La separazione costituiva l‟unico rimedio al fallimento dell‟unione, un rimedio
che, tuttavia, non restituisce ai coniugi la propria libertà: il vincolo non viene sciolto ma
soltanto “allentato”, in quanto permangono i doveri e i diritti che nascono dal
matrimonio, sia pure in parte attenuati, in parte modificati.
L‟annullamento del matrimonio, d‟altra parte, presuppone un vizio originario
(anteriore o coevo alla celebrazione) e viene ammesso dal codice civile del 1942, che in
questo si distingue nettamente dal codice di diritto canonico, che ammette
l‟annullamento solo in caso di eccezione.
La stessa separazione, poi, era consentita solo in presenza di ipotesi tassative di
colpa di uno dei coniugi (adulterio, volontario abbandono, eccessi, minacce, ingiurie
gravi). Quando i coniugi non raggiungono l‟accordo necessario per la separazione
consensuale, la pronuncia del giudice presuppone l‟accertamento delle “colpe”
determinanti la rottura. In tal modo viene privilegiata una concezione “sanzionatoria”
della separazione: solo in presenza di gravi violazioni dei doveri coniugali può essere
infranta l‟unità della famiglia, riguardata come valore da proteggere ad ogni costo,
anche quando, svuotata del suo significato, si riduce ad essere una mera forma, una
facciata.
In questo contesto, la separazione veniva descritta come uno stato “temporaneo”,
orientata a favorire la riconciliazione dei coniugi. Il fatto che questa, nell‟esperienza
concreta, raramente si verifichi, non mutava la considerazione dell‟istituto come
situazione non definitiva, in cui la condizione dei coniugi subiva solo quelle modifiche
rese indispensabili dal venir meno della convivenza.
4
1
La caduta del principio di indissolubilità del matrimonio testimonia una mutata
concezione della famiglia, intesa non più come “istituzione”, ma come “formazione
2
sociale”, tutelata non in vista dell‟interesse generale, ma in ragione della protezione dei
valori delle persone che la compongono. Il venir meno della “comunione materiale e
3
spirituale” giustifica la scioglimento del vincolo coniugale, ormai svuotato del suo
autentico significato.
La stessa funzione della separazione viene ad essere mutata: non più uno stato
temporaneo in vista della riconciliazione, ma il momento iniziale di un processo
destinato a sfociare nel divorzio. La sequenza che normalmente si stabilisce tra
separazione-decorso del tempo prescritto-divorzio ne sottolinea il ruolo di necessaria
“anticamera”del divorzio. Non si esclude, d‟altra parte, che, accanto a questa, che è
l‟immagine più diffusa della separazione, possa coesistere una sua diversa
considerazione in termini di stato anche durevole, alternativo rispetto al divorzio, a
disposizione di chi non intende porre fine definitivamente al vincolo.
Il divorzio, d‟altra parte, nella legge del 1970, si qualifica in termini non di
sanzione, per le colpe commesse, ma di rimedio per una situazione di crisi definitiva del
rapporto. Coerentemente anche la separazione subisce con la riforma del 1975 una
profonda trasformazione. L‟abolizione della separazione per colpa e l‟introduzione della
separazione per “intollerabilità della convivenza” segna il passaggio ad una
considerazione della separazione come “rimedio” al fallimento del matrimonio.
L‟ordinamento non viene più a sindacare le ragioni della crisi, accontentandosi di
accertare la sua effettiva sussistenza. Esso si limita a disciplinare le conseguenze in
modo da ridurre al minimo gli effetti per i coniugi e i figli, e tutelare al meglio gli
interessi più meritevoli di protezione.
In definitiva, nel passaggio dal codice civile del 1942 alla disciplina attuale, la
separazione ha subito una profonda trasformazione nel suo fondamento, nelle sue
4
finalità, nelle sue cause e nei suoi effetti .
Negli anni recenti, in considerazione dell‟accentuata instabilità matrimoniale,
che ha comportato un consistente incremento di procedure giudiziarie di separazione e
divorzio (i dati ISTAT mostrano come dal 1994 al 2005 si sia passati da 51.445 a
1
legge 1° dicembre 1970, n. 898
2
art.2 Cost
3
art. 3, l. 898/1970
4
Ferrando G., Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, Ed. Giuffrè, Milano,
2003
5
82.291 separazioni all‟anno), si è manifestata l‟esigenza di affiancare nuove figure
professionali a quelle tradizionali (giudici e avvocati): si è così sviluppato un forte
interesse per le procedure di mediazione familiare, che hanno lo scopo di consentire una
gestione non litigiosa dei problemi conseguenti al venir meno della comunione tra i
coniugi, con particolare riferimento all‟affidamento dei figli. Si tratta in pratica di
convincere i contendenti a rinunciare ad affrontarsi l‟un l‟altro in cerca di una vittoria
giudiziale in termini patrimoniali (assegno di mantenimento) o personali (affidamento
dei figli).
La mediazione familiare è segno di una tendenza attenta a valorizzare gli
interessi coinvolti nel conflitto, in particolare quelli dei figli minori, che lo strumento
giudiziale, per il carattere di competitività che gli è proprio, non è in grado di proteggere
5
in maniera adeguata
1.2 La separazione
Il sistema giuridico italiano prevede due modalità di separazione tra i coniugi: la
separazione consensuale, che si applica quando i coniugi raggiungono autonomamente
un accordo sui vari aspetti della separazione (economici, relativi alla casa,
all‟affidamento dei figli ecc) e in cui il ruolo del giudice è quello di omologare tale
6
accordo, a condizione che essi non siano in contrasto con l‟interesse dei figli e la
separazione giudiziale, in cui, in assenza di un accordo tra le parti, spetta al giudice
7
prendere le decisioni del caso, comprese quelle relative alla prole.
Al di là dei tipi di separazione legale, costituisce un fenomeno sociale molto
diffuso il ricorso alla cosiddetta “separazione di fatto”. In tal caso il venir meno della
convivenza non risulta formalizzato né in un provvedimento giudiziale definitivo, né in
un provvedimento temporaneo o provvisorio.
La separazione dei coniugi, che è spesso il primo passo di una fase che precede
il divorzio, è stata concepita dal legislatore come un periodo di riflessione e di
riconsiderazione del rapporto con l‟altro coniuge, in cui si spera che le conflittualità in
atto possano essere superate, per poi giungere a una riconciliazione.
Talvolta la separazione può essere necessaria: la legge prevede che la
separazione possa essere richiesta quando si verifichino eventi tali per cui la
5
Sesta M., Manuale di diritto di famiglia, Ed. CEDAM, Bologna, 2005
6
Art. 158 c.c.
7
Dell‟Antonio A., L‟affidamento dei figli nella separazione dei coniugi:situazione della ricerca
psicologica, In Età Evolutiva ,22, 1985
6
prosecuzione del matrimonio diventa conflittuale e si vengono a determinare condizioni
pregiudizievoli per l‟educazione dei figli.
1.2.1 La separazione consensuale
La separazione consensuale costituisce la forma più diffusa di separazione. Essa
appare preferibile rispetto a quella contenziosa non solo perché abbatte i tempi e i costi
del procedimento, ma soprattutto per il fatto che costituisce una forma più “morbida” di
composizione del conflitto. I coniugi riescono da soli, o con l‟aiuto dell‟avvocato, e
talvolta di psicologi e mediatori familiari, a trovare un punto d‟intesa. Il conflitto viene
arginato e non cresce, come sovente accade, invece, in sede di separazione contenziosa,
dove ciascuno tende a far valere le proprie ragioni con ogni mezzo a disposizione,
talvolta usando i figli come strumento per ottenere un vantaggio. Non stupisce, perciò,
che i giudici considerino un successo del tentativo di conciliazione non la
riconciliazione, che si verifica in casi rarissimi, ma il fatto di convincere i coniugi a
trasformare in consensuale la separazione originariamente proposta in sede contenziosa.
Ed in questa prospettiva si capisce perché spesso suggeriscano il ricorso ad interventi di
mediazione familiare per attenuare le punte più alte del conflitto e per aiutare i coniugi a
8
raggiungere un accordo sulle questioni relative ai figli o all‟assegno.
Questa forma di separazione presuppone l‟accordo dei coniugi di vivere separati
e l‟accordo sulla regolamentazione dei rapporti reciproci e di quelli con i figli. Il codice
civile, nel menzionare la separazione consensuale come forma alternativa alla
9
separazione giudiziale, stabilisce che il diritto di chiederne l‟omologazione spetta
esclusivamente ai coniugi: si tratta, in sostanza, di un diritto personalissimo,
irrinunciabile ed indisponibile.
L‟art. 158, comma 1, c.c. stabilisce che “la separazione per il solo consenso dei
coniugi non ha effetto senza l‟omologazione del tribunale”: il giudice, infatti, esercita
un controllo di legalità sugli accordi dei coniugi, ed ha il potere di rifiutare
l‟omologazione quando le decisioni in ordine all‟affidamento ed al mantenimento dei
figli siano in contrasto con l‟interesse di costoro.
Il giudice ha solo la facoltà di indicare ai coniugi le modificazioni da apportare
agli accordi concernenti l‟affidamento e il mantenimento dei figli, a tutela dei loro
8
Ferrando G., op. cit., 2003
9
Art. 150, comma 2, c.c.
7
interessi; qualora poi i coniugi non accolgano tali suggerimenti, il giudice potrà
esclusivamente rifiutare l‟omologazione.
La separazione consensuale, dunque, concilia l‟autonomia dei coniugi con
l‟esigenza di controllo pubblico a tutela dell‟interesse preminente dei figli o al fine di
evitare approfittamenti in danno del coniuge debole.
Pur trattandosi di atto avente natura negoziale, l‟accordo di separazione, una
volta omologato, non può essere impugnato per simulazione; per altro verso, la
giurisprudenza ritiene invece ammissibile l‟azione di annullamento dell‟accordo di
10
separazione, ancorché sia intervenuta l‟omologazione.
1.2.2 La separazione giudiziale
La separazione giudiziale ha subito, con la riforma del ‟75, profonde
modificazioni. Nel precedente sistema la pronuncia era fondata sulla colpa e il diritto di
chiederla era attribuito ai coniugi “nei soli casi determinati dalla legge”: il legislatore
l‟ammetteva solo quando fosse ascrivibile al comportamento colpevole di uno dei
coniugi che si concretasse nella violazione dei doveri matrimoniali. Naturalmente, solo
il coniuge incolpevole poteva domandare la separazione facendo valere la colpa
dell‟altro; nessuna pronunzia era possibile in assenza di colpa.
La previsione di una serie di cause tassative impediva l‟accesso al rimedio della
separazione in tutte quelle ipotesi in cui la situazione conflittuale traeva origine,
piuttosto che da una condotta colpevole di uno dei coniugi, da situazioni di obiettiva
intollerabilità della convivenza.
In sede di riforma, il legislatore eliminò le ipotesi tassative e lo stesso elemento
di colpa, cosicché oggi la separazione giudiziale può essere richiesta quando si
verifichino, anche indipendentemente dalla volontà di uno dei coniugi, fatti tale da
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio
all‟educazione della prole. Da una visione sanzionatoria, si è passati ad una concezione
fondata sul venir meno del principio dell‟accordo. Venuto meno il consenso, anche per
volontà di un solo coniuge, e quindi l‟affectio coniugalis, può ottenersi una pronuncia di
separazione.
10
Sesta M., op. cit., 2005
8
Nella sua nuova formulazione l‟art. 151 c.c. individua genericamente nei “fatti
che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza” uno dei presupposti che
legittimano il giudice a pronunciare la separazione dei coniugi.
La genericità di tale formula ha reso necessario individuare criteri di valutazione
alla cui stregua determinare le circostanze dalla quali deve risultare “l‟intollerabilità
della convivenza”. Essa ha riguardo essenzialmente a situazioni di oggettiva difficoltà
di attuazione della convivenza coniugale, qualunque possa esserne la causa, ma tali da
rendere intollerabile, sotto il profilo soggettivo, la sua prosecuzione per uno o entrambi i
coniugi.
L‟altro presupposto indicato dal legislatore quale fondamento della domanda di
separazione giudiziale, ”fatti tali da arrecare pregiudizio all‟educazione della prole”, è
piuttosto controverso in dottrina e sostanzialmente ignorato dalla giurisprudenza.
Come si è visto, la separazione può essere chiesta in base all‟obiettiva
intollerabilità della convivenza, e quindi a prescindere da un giudizio di colpa; il
comportamento colpevole del coniuge acquista peraltro rilevanza ai fini della
dichiarazione di addebitabilità. L‟art. 151, comma 2, c.c. stabilisce infatti che, nel
pronunciare la separazione, il giudice dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia
richiesto, a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del
suo comportamento contrario ai doveri che nascono dal matrimonio.
La pronuncia di addebito conserva, nella disciplina vigente, quella funzione
sanzionatoria che in passato era assegnata alla colpa, ma con delle differenze: risulta
necessario l‟accertamento della colpevolezza del coniuge ed il nesso causale tra la sua
condotta e l‟evento d‟intollerabilità della convivenza, cosicché non ogni violazione dei
doveri matrimoniali sarà rilevante, ma soltanto quella che abbia determinato
11
l‟intollerabilità della convivenza.
1.2.3 La separazione di fatto
La separazione di fatto può derivare dal consenso dei coniugi, consenso inteso a
legittimare la condizione di vita separata ed a prefigurare le condizioni relative ai
coniugi ed ai figli. La piena liceità di questi accordi è stata riconosciuta dalla Corte
12
Costituzionale, quando ha affermato che l‟accordo relativo all‟assegnazione della casa
coniugale determina la successione del coniuge separato di fatto nel contratto di
11
Sesta M., op. cit., 2005
12
Sentenza n. 404/1988
9
locazione dell‟appartamento destinato a residenza familiare e nella sentenza del 1992
emessa dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto validi gli accordi destinati a
regolamentare i rapporti economici successivi alla separazione di fatto.
In mancanza di un consenso espresso, la separazione di fatto può risultare da
circostanze inequivoche nel dimostrare che tra i coniugi si è verificata una definitiva
frattura della vita comune. La separazione di fatto può derivare non solo da una comune
decisione, ma anche dal “comportamento di uno solo dei coniugi, inequivocabilmente
13
idoneo a dimostrare all‟altro coniuge l‟intento di dissolvere il vincolo coniugale”.
In ogni caso non è sufficiente la semplice cessazione della coabitazione sotto lo
stesso tetto, ma occorre il venir meno di quella più ampia intesa in cui si riassume la
comunione materiale e spirituale. La mera coabitazione sotto lo stesso tetto, non
costituisce espressione di comunione di vita se non sia vivificata dall‟elemento
spirituale: quindi “può aversi convivenza senza coabitazione”, intesa come “permanenza
sotto lo stesso tetto”, “così come possono sussistere delle coabitazioni non rientranti nel
concetto di convivenza perché non vivificate da reciproca stima, interessamento e
comprensione ed in genere da sentimenti intesi a considerare l‟altro coniuge come parte
insostituibile del consorzio familiare “. Può infatti accadere che venga meno la
coabitazione pur permanendo tra i coniugi l‟affectio coniugalis. Per contro, anche in
presenza di coabitazione, si può avere separazione personale tra i coniugi laddove tra
questi venga a mancare “l‟affectio, la comune organizzazione di vita e la disponibilità
14
alla reciproca collaborazione”.
1.3 Il divorzio
Introdotto con la Legge n. 898/1970, il divorzio costituisce uno dei momenti
salienti dell‟evoluzione che la disciplina della famiglia subisce negli anni 70.
La legge sul divorzio costituisce il primo grande cambiamento in un diritto di
famiglia sostanzialmente immutato dall‟epoca delle grandi codificazioni; è con questa
legge, infatti, che si compie definitivamente il passaggio da una famiglia intesa come
istituzione ad una considerata come formazione sociale, dove la garanzia dei diritti
individuali, il rispetto della personalità dei suoi membri, divengono preminenti nella
considerazione del legislatore, che intende la famiglia sempre meno come il fondamento
dell‟ordine sociale e sempre più come il luogo dove le persone realizzano insieme una
13
Sentenza 1981, Cassazione
14
Ferrando G., op. cit., 2003
10
insostituibile esperienza di vita. In altri termini, è con la legge del 1970 che prende
decisamente l‟avvio quel processo di “privatizzazione” del diritto di famiglia che
troverà più ampio riconoscimento nella riforma del 1975.
La facoltà, che la legge n. 898/1970 riconosce, di liberarsi da un vincolo non più
alimentato dalla comunione materiale e spirituale sta a dimostrare una mutata
concezione della famiglia, tutelata non in ragione di interessi superiori, ma, in quanto
15
formazione sociale, se e fino a quando le personalità individuali trovano in essa
ragione di crescita e non di mortificazione. Il diritto “fa un passo indietro”: le sue regole
non sono più poste a presidio di interessi e valori di ordine superiore, esso si limita a
verificare l‟irrimediabilità della frattura e a disciplinarne le conseguenze nel segno della
16
responsabilità individuale e della solidarietà di gruppo .
1.3.1 Aspetti legislativi
L‟art. 149 c.c. stabilisce che lo scioglimento del matrimonio può avvenire per
morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge; la disposizione va
coordinata con la disciplina contenuta nella legge n.898/1970 che ha introdotto nel
nostro ordinamento altre cause di scioglimento del matrimonio, cioè, anche se il
17
legislatore non usa mai il termine, di divorzio .
Quando si parla di divorzio si parla sia di scioglimento del vincolo matrimoniale
sia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Premesso che
nell'ordinamento italiano esistono due forme di matrimonio, quello civile e quello
concordatario, si parla:
di scioglimento del vincolo matrimoniale, quando il divorzio interviene in
relazione al matrimonio civile, cioè quello che è stato celebrato soltanto davanti
all'ufficiale dello stato civile;
di cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando il divorzio interviene in
relazione al matrimonio concordatario (ovvero al matrimonio celebrato in chiesa
e trascritto nei registri dello stato civile, quindi, con effetti sia civili che
religiosi).
E‟ opportuno premettere che separazione e divorzio operano nel nostro
ordinamento come rimedi alla crisi del rapporto matrimoniale con funzioni che
15
art. 2 Cost
16
Ferrando G., op.cit., 2003
17
Sesta M., op. cit., 2005
11
rimangono tuttora diverse: la prima, che determina la sola attenuazione del vincolo
coniugale, identifica una situazione di crisi familiare che può alternativamente sfociare
nella ripresa della convivenza, il secondo, invece, consacrando l‟irreversibile frattura
del consorzio familiare, comporta lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio concordatario e la perdita dello status di coniuge.
Molte coppie, se non desiderano ricrearsi una nuova famiglia, non chiedono
comunque il divorzio: infatti differenza fondamentale tra separazione e divorzio è che
per la prima i due coniugi, pur non abitando insieme, sono ancora a tutti gli effetti
marito e moglie, quindi non possono per la costituzione italiana riformare una nuova
famiglia. Per quanto riguarda il divorzio il discorso cambia notevolmente: una volta
ottenuto, infatti, una coppia è divisa a tutti gli effetti e, se lo vuole, ognuno degli ex
coniugi può contrarre nuovo matrimonio civile.
Il divorzio può essere chiesto da uno dei due coniugi nei casi in cui:
sia stata pronunciata la separazione giudiziale;
sia stata omologata la separazione consensuale.
18
Le separazioni devono protrarsi ininterrottamente per almeno 3 anni; questo
termine viene elevato se uno dei due coniugi si oppone alla pronuncia di divorzio.
In concreto ciò significa che i coniugi che intendono sciogliere il loro
matrimonio sono tenuti ad intraprendere due separati giudizi: prima quello di
19
separazione (consensuale o giudiziale) e successivamente quello di divorzio.
1.3.2 Art. 3, l. 898/1970
Secondo il disposto degli artt. 1 e 2 della legge n. 898/1970, il giudice pronuncia
lo scioglimento del matrimonio civile, ovvero la cessazione degli effetti civili del
matrimonio concordatario, quando accerta che la comunione materiale e spirituale tra i
coniugi non può essere mantenuta o ricostruita per l‟esistenza di una delle cause
previste nel successivo art.3. La comunione materiale tra i coniugi è costituita dalla
stabile convivenza, da un'organizzazione domestica comune, dal reciproco aiuto
personale e dalla presenza di rapporti sessuali; la comunione spirituale consiste
nell'affetto reciproco, nell'ascolto, nell'aiuto e nel sostegno psicologico reciproci, nella
comprensione e nella condivisione dei problemi, su cui si fonda l'affectio coniugalis che
li lega in una vera comunanza di vita e di spirito.
18
art. 3 c. 2 b. l. 898/1970
19
Sesta M., op. cit., 2005
12
La dichiarazione di divorzio non può conseguire automaticamente alla
constatazione della presenza di una della cause tassativamente previste dall‟art. 3, ma
richiede l‟accertamento del venir meno della comunione materiale e spirituale fra i
coniugi.
Una serie di ipotesi che legittimano la domanda di divorzio da parte di uno dei
20
coniugi, concernono la condanna in sede penale dell‟altro coniuge. Qui la causa dello
scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio si giustifica o per
l‟eccessiva lunghezza della pena detentiva alla quale uno dei coniugi è stato
condannato, o per il particolare disvalore del reato commesso (situazioni entrambe che
rendono difficile il mantenimento o la ricostruzione del consorzio familiare).
Condizione comune alle diverse ipotesi è che la condanna sia avvenuta dopo la
celebrazione del matrimonio, non è richiesto, invece, che il reato si riferisca a fatti
commessi durante il matrimonio, potendo riguardare anche avvenimenti precedenti alla
sua celebrazione, purché, in quest‟ultimo caso, il coniuge non colpevole ne ignorasse
l‟esistenza al momento del matrimonio.
Sono dunque causa di scioglimento del matrimonio le condanne:
all‟ergastolo ovvero ad una pena superiore a 15 anni;
a qualsiasi pena detentiva per il delitto di “incesto”, “violenza carnale”, “atti di
libidine”, “ratto a fine di libidine”, “ratto di persona minore di anni quattordici o
inferma, a fine di libidine o di matrimonio”;
a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio
a danno del coniuge o di un figlio;
a qualsiasi pena detentiva con due o più condanne.
Nel rispetto del principio dell‟uguaglianza giuridica tra coniugi, di cui uno
straniero, la circostanza che quest‟ultimo ottenga all‟estero sentenza di annullamento o
scioglimento del matrimonio o ancora contragga un nuovo matrimonio, legittima il
21
coniuge italiano a proporre domanda di divorzio .
L‟art. 3, n.2, lett. f prevede quale ulteriore causa di scioglimento o cessazione
degli effetti civili del matrimonio la sua inconsumazione.
20
Art. 3, c.1, l. 898/1970
21
Art.3, c. 2 lett. e, l. 898/1970
13
La riforma del 1987 ha aggiunto, quale ulteriore causa di divorzio, il passaggio
in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge
22
14 aprile 1982, n. 164 .
1.4 Effetti comuni alla separazione e al divorzio
La separazione personale dei coniugi determina la sospensione della comunione
materiale e spirituale che caratterizza il matrimonio, comunione che in qualsiasi
momento può venire ricostituita a seguito della riconciliazione.
Con il divorzio, invece, la comunione materiale e spirituale viene a cessare
definitivamente e per ricostruirla è necessario un nuovo matrimonio.
Per tale motivo, gli effetti patrimoniali e non patrimoniali dei due istituti sono
profondamente diversi, ma è possibile anche riscontrare effetti comuni ad entrambi.
Separazione e divorzio, in primo luogo, non modificano i doveri nei confronti della
prole; nonostante la disgregazione del nucleo familiare entrambi i genitori mantengono
l‟obbligo di mantenere, educare e istruire i figli, sancito dall‟art. 30 della Costituzione.
Tale obbligo è indipendente dall‟affidamento dei figli. Anche il genitore non
affidatario è tenuto sia a contribuire al mantenimento dei figli, sia a vigilare sulla loro
educazione ed istruzione, nonché a partecipare unitamente all‟altro genitore a tutte le
decisioni di maggiore interesse per la prole.
Separazione e divorzio, inoltre, non fanno venir meno i doveri di assistenza
economica tra i coniugi: il coniuge separato senza addebito e privo di redditi adeguati
23
ha diritto ad un assegno di mantenimento, così come il coniuge divorziato
2425
economicamente più debole ha diritto ad un assegno di divorzio .
22
Art.3, n. 2, lett. G l. 898/1970
23
art. 156 c.c
24
art. 5, 6°-8° comma, Legge n. 898/1970
25
Benedetti Genolini M.U., Francioli L., Separazione e divorzio, Ed. Giappichelli, Torino, 2004
14
Capitolo 2
SEPARAZIONE E DIVORZIO: ASPETTI PSICOLOGICI
2.1 Introduzione
Nell‟ordinamento giuridico esistono norme precise e puntuali relative alla
soluzione o alla mediazione dei conflitti familiari. Sono previsti diversi tipi di intervento
del giudice nell‟ambito della famiglia, che si distinguono per avere carattere repressivo,
conciliativo o risolutivo, secondo che attengano, ad esempio, alla tutela della prole da
26
ogni forma di comportamento pregiudizievole dei genitori; alla mediazione dei
27
contrasti nell‟esercizio della potestà ; alla definizione del disaccordo in ordine agli
28
indirizzi della vita familiare o ad altri “affari essenziali” per i coniugi.
Un tale apparato normativo fa si che le persone con difficoltà coniugali
percepiscano il sistema giuridico come organismo altamente strutturato, che può fornire
un‟adeguata via d‟uscita ai loro problemi.
Ma nonostante la complessa articolazione giuridico-legale messa a disposizione
di quanti intraprendono la via della disgregazione coniugale, la nostra società non
fornisce loro alcuna possibilità di assistenza e di aiuto per fronteggiarne le conseguenze,
e ciò proprio in stridente contraddizione con la tanto enfatizzata “politica di
prevenzione” del Welfare State, attorno alla quale ruota il servizio sanitario nazionale
per la tutela della salute.
29
Con il nuovo diritto di famiglia e già a partire dalle precedenti modifiche
settoriali del codice civile, l‟intervento del “legale nella famiglia” ha assunto una
maggiore portata ed ha introdotto ipotesi e prospettive nuove.
Un simile mutamento ha fatto emergere un intricato corpus di diatribe tanto di
natura teorico-giurisdizionale quanto di natura politica e relative, in massima parte, al
problema della definizione del ruolo e dello spazio dell‟operatore giuridico nell‟attuale
contesto sociale in evoluzione e all‟interno dell‟odierno sistema istituzionale. Due i
principali nodi da sciogliere:
1) Riforma organizzativa e costituzionale degli apparati giurisdizionali;
26
artt. 330,333, c.c.
27
art. 316, c.c.
28
art. 145, c.c.
29
L. 151/1975
15
2) Maggiore determinatezza e più rigorosa precisazione degli ambiti operativi
dell‟apparato stesso, in sintonia con l‟esistente mosaico di servizi socio-sanitari
territoriali.
E‟ all‟interno di tale cornice che viene sollevata da più parti la richiesta di un
nuovo tipo di operatore giuridico e, per la verità, già a cavallo tra gli anni ‟60 e ‟70 la
“corrente cattolica” prospettò l‟istituzione del “tribunale della famiglia” quale strumento
per meglio affrontare le controversie domestiche, superando nel contempo le gravi
carenze strutturali e funzionali del sistema giuridico esistente. Un simile organismo
doveva gravitare attorno ad una figura nuova di operatore giuridico, particolarmente
competente e sensibile ai problemi familiari, specializzato e dotato di mezzi conoscitivi
di indagine più idonei di quelli tradizionali, adeguatamente coadiuvato da esperti nelle
discipline socio-psico-pedagogiche e opportunamente preparato tramite specifiche
forme di training in materie psicologiche.
La proposta di istituire il “tribunale” venne etichettata come reazionaria perché,
separando questo organismo da qualsiasi altra branca dell‟ordinamento giuridico, lo
rivestiva di un potere istruttorio assai esteso e perciò facile a scivolare in violazioni dei
diritti dei singoli e a svolgere un‟azione pedagogico-sanzionatoria (come si disse, ad
“orientamento antidivorzista”). Le prospettive di concreta attuazione del progetto
svanirono nel 1976, ma la questione del “nuovo operatore giuridico” rimase.
Attualmente, la corrente di riforme più rappresentativa collima con l‟ipotesi di
istituire un “giudice di pace onorario ed elettivo” che, in virtù di queste caratteristiche,
garantisca quel collegamento con il tessuto sociale indispensabile per una valida
gestione del conflitto; è così di sua prioritaria pertinenza l‟intrecciare stretti rapporti di
collaborazione con gli enti locali ed i servizi socio-sanitari territoriali (soprattutto con i
consultori), nel costante sforzo di disancorarsi dai soli criteri tecnico-giuridici per
prestare maggiore attenzione a criteri valutativi di rilevante valenza sociale (egli è stato
infatti definito “operatore sociale di tipo nuovo”).
Si può allora affermare che esiste un essenziale raccordo tra le due proposte
innovative, malgrado la diversa matrice politica: l‟operatore giuridico, quale mediatore
del conflitto familiare, deve assumere un nuovo ruolo e deve soprattutto caratterizzarsi
per la sua spiccata sensibilità, attenzione e comprensione relativamente agli aspetti
16
psico-sociali delle problematiche familiari e all‟impatto emotivo sperimentato dalle
30
persone e sempre sotteso a simili esperienze.
2.2 Gli stadi del processo di disgregazione coniugale
Diversi studi riguardanti coppie e famiglie in fase di disgregazione hanno
delineato alcuni modelli descrittivi relativi agli stadi di quel processo di natura
psicologica che sempre sottende tali situazioni stressanti.
Tra i vari modelli, particolare importanza rivestono il “modello delle sei
3132
stazioni” di Bohannan ed il “modello diaclettico” della Kaslow, perché sono i più
33
validi per chiarezza e utilità operativa. Il modello della Kessler, inoltre, può essere
considerato un punto di unione tra lo schema di Bohannan e quello della Kaslow.
2.2.1 Il modello di Bohannan
Uno dei primi studiosi a concettualizzare il divorzio come complesso processo
psicosociale oltre che legale fu Bohannan; a suo avviso le persone devono
inevitabilmente toccare sei stadi, risolvere i problemi a sei livelli o “stazioni”
(emozionale, legale, economica, genitoriale, comunitaria e psichica/psicologica); il
mancato superamento delle difficoltà ad una delle stazioni (cioè il “blocco”) può
generare squilibri psicologici. Le coppie che divorziano possono incontrare problemi in
tutti questi campi contemporaneamente ed il conflitto può estendersi rapidamente da un
campo all‟altro. Analogamente, l‟accordo e la collaborazione in uno di questi campi può
incoraggiare la collaborazione anche negli altri.
a) Divorzio emozionale: con tale termine gli psicologi intendono designare quel
tipico deterioramento nella relazione di coppia che precede la decisione della
separazione (quasi sempre assunta da uno solo dei due partners), ma può pure
succedere che rimanga per lungo tempo incompiuto anche dopo l‟emanazione
della sentenza definitiva.
30
Cigoli V., Gulotta G., Santi G., Separazione, divorzio e affidamento dei figli, I edizione, Giuffrè,
Milano, 1983
31
Bohannan P., The Six Station of Divorce, In Lasswell M. E., Lasswell T. E. (eds), Love, Marriage and
Family: A Developmental Approach, Illinois: Scott & C, 1973
32
Kaslow F.W., Divorce and divorce therapy, In A.S. Gurman e D.P. Kniskrern (eds), Handbook of
Family Therapy, New York, Brunner e Mazel, 1981
33
Kessler S., The American Way of Divorce: Prescription for Change, Chicago: Nelson Hall, 1976
17
3435
Pincus, Morley e altri hanno suggerito che la vicinanza e la distanza
emozionale nel matrimonio possono essere desiderate e temute al tempo stesso.
Alcune coppie non riescono a concedersi reciprocamente l‟intimità e lo spazio di
cui hanno bisogno in misura diversa in momenti diversi, e questi problemi
36
possono portare a un distanziamento irreversibile. Bohannan suggerisce che
l‟incapacità di tollerare la crescita e il cambiamento dell‟altro partner, può
causare un divorzio emozionale, a prescindere da quello legale.
Se il matrimonio non riesce a soddisfare le esigenze dei coniugi,
l‟insoddisfazione può essere repressa, ma molto spesso i due finiscono
comunque per accusarsi a vicenda; possono allontanarsi lentamente, magari
cercando compensazione in altri rapporti e attività: per alcuni il divorzio legale è
37
una mera formalità che conferma una separazione già esistente e accettata.
38
Federico introduce il concetto di “point of no-return” coniugale (N/R), per
descrivere quella delicata condizione psicologica che ha luogo prima della
determinazione della separazione e mentre i coniugi stanno ancora insieme; la
sua durata può variare da poche settimane a qualche anno e ciò dipende dalla
caratteristiche psichiche individuali, dal rifiuto più o meno inconscio ad
accettare il N/R, dalle “barriere” socioculturali, eccetera; esso deriva in sostanza
dalla certezza che l‟unione matrimoniale comporta più svantaggi che vantaggi
(emotivi, psicologici, economici, ecc.).
Il modello della disaffezione reciproca sembra tuttavia non essere comune:
molto spesso un partner cerca di porre fine alla relazione mentre l‟altro si sforza
di tenerla in piedi. Se un coniuge si sente rifiutato dall‟altro, può reagire in modi
diversi, molti dei quali sono controproducenti. Negare che il matrimonio sia
finito significa protrarre il conflitto, poiché anche un aspro scontro può essere
preferibile a lasciare andare il partner. Il coniuge che se ne va potrebbe anche
comportarsi in modo strano, cosi da suggerire dei dubbi sull‟opportunità di porre
definitivamente fine al rapporto. Questa ambivalenza può impigliare non solo la
34
Pincus L., Death and the Family, Faber, London, 1976
35
Morley A., Splitting up – Background and aims, In C. Guy (a cura di), Relating to marriage, Rugby;
National Marriage Guidanee Council, 1985
36
Bohannan P., Divorce and after, New York, Doubleday, 1970
37
Parkinson L., Separazione, divorzio e mediazione familiare, Ed Centro Studi Erikson, Trento, 1995
38
Federico J., The Marital Termination Period o f the Divorce Adjustement Process, in Journal of
Divorce, 3, 1979
18
coppia divorziata, ma anche i figli, i nuovi partner, gli amici e le persone che
39
vorrebbero aiutare .
Talvolta si può verificare la richiesta di aiuto psicologico manifestato
congiuntamente, da entrambi i coniugi (consulenza e terapia di coppia); se i
tentativi di riconciliazione messi in atto dalla coppia falliscono, subentrerà un
profondo senso di dolore e di angoscia, del tutto simile a quello che caratterizza
la perdita di un “oggetto di amore”.
b) Divorzio legale: La riforma del 1975 segna un totale rinnovamento rispetto alla
precedente legislazione. Tra le diverse novità, riveste particolare importanza
quella relativa alla modificazione del regime della separazione personale: dalla
separazione per colpa si passa alla separazione incolpevole. Infatti la Legge di
riforma non presenta più un‟indicazione tassativa della cause di separazione, ma
fonda ora la separazione stessa su “fatti tali da rendere intollerabile la
prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla prole” e
afferma che tale fatti possono prodursi anche indipendentemente dalla volontà
dei coniugi. Anche il giudizio viene ad essere quindi riformulato. Non si tratta
più di accertare la responsabilità morale e giuridica di un coniuge, il colpevole,
dal che derivava il precedente carattere sanzionatorio della separazione, ma si
tratta di accertare l‟esistenza di una impossibilità oggettiva della convivenza tra i
coniugi, di una crisi coniugale che può verificarsi anche indipendentemente dalla
volontà delle parti.
Se comunque la separazione incolpevole rappresenta un significativo
cambiamento nell‟area della normativa familiare, non si può certo affermare che
ciò, di fatto, abbia attenuato la tipica natura antagonista e conflittuale del sistema
giuridico: il concetto di “addebitabilità” della separazione e i criteri valutativi
adottati dai giudici per determinare sia l‟affido dei minori sia le questioni
patrimoniali in generale fanno si che le persone percepiscano ogni aspetto del
procedimento giuridico secondo una logica accusatoria e sanzionatoria,
determinando il loro ricorso all‟avvocato di parte. L‟escalation competitiva
viene così esacerbata e vengono alimentati profondi sentimenti di ostilità.
Gli avvocati, a causa della loro formazione professionale, non si preoccupano
delle ripercussioni psicologiche causate sugli altri membri della famiglia,
39
Parkinson L., op. cit., 1995
19