2
“concretizziamo” come pubblico dello show immaginario di
Stéphane e ce ne stiamo veramente lì a guardare e ad imparare
la sua Ricetta del Sogno...
L'intreccio metalinguistico che si verifica in questo primo
minuto di proiezione, ha stuzzicato non poco la mia
curiosità, mettendomi una pulce nell'orecchio.
Una “pulce” che ho voluto ascoltare.
I Film di questo regista, Michel Gondry (formatosi
nell'ambito del video musicale) sono al momento due soltanto:
The Science of Sleep 2004 e The Eternal Sunshine of the
Spotless Mind 2001 (verso del poeta inglese Alexander Pope e
in Italiano storpiato in Se mi lasci ti cancello, con il
risultato di lasciare deluso il pubblico che si aspettava la
commediola d'amore americana sullo stile di Se scappi ti
sposo e di fuorviare la parte di pubblico al quale sarebbe
potuto piacere).
Devo dire che entrambi esulano completante dal campo
d’interesse su cui andrò a focalizzare; li ho menzionati però
per una ragione fondamentale, ossia perché, al di là del tema
centrale che li inserisce a pieno titolo in una certa
categoria della produzione Hollywoodiana,
c'è un secondo punto che li accomuna tra loro e ai miei
interessi:
il modo con cui il regista tratta il materiale dei suoi film:
il sogno e quello che accade nella Waking Life¹sono le
articolazioni essenziali e costituenti di un unico e
complesso concetto di Realtà.
Quello che Gondry ci mostra, quindi, è che non esiste una
differenza sostanziale tra la realtà “oggettiva” a cui tutti
possiamo ragionevolmente dare il nostro assenso e la realtà,
per così dire, “pensata”, che matura “solo” nella psiche
dell’uomo. Infatti, per i protagonisti dei suoi film, gli
avvenimenti che accadono nel sogno e quelli che ne sono al di
fuori, hanno il medesimo impatto sulla loro vita, per cui
potrebbe essere altrettanto ragionevole pensare che essi
possiedano un’eguale concretezza.
3
La linea di confine tra Realtà e non-Realtà e una breve
introduzione.
Dove inizia la finzione e dove inizia la realtà del nostro
essere? Dove finisce la fantasia e cos'è “vero” e cosa no? Il
mio campo d'indagine é la dimensione intima, individuale,
onirica dell'essere umano. Che personalmente considero non
solo assolutamente “reale”, ma anche di pari dignità rispetto
alla realtà tangibile.
Il concetto di “realtà tangibile” é riassumibile, sia pure
molto superficialmente, in ciò che si può vedere, toccare,
udire ecc.
In pratica è la realtà colta dai cinque sensi.
Tanto per citare uno dei più conosciuti personaggi della
storia del fumetto Italiano (Dylan Dog di Tiziano Sclavi),
credo che tutti noi, e non Dylan soltanto, siamo dotati di un
mezzo senso in più di quelli che normalmente pensiamo di
possedere. Credo che il suo famoso “Quinto senso e mezzo”
appartenga “per natura” all'essere umano e che anzi sia quasi
una specie di ponte che gli permette di esplorare NON altre
realtà inesistenti, ma di conoscere al meglio e interamente
la “propria realtà”. Naturalmente, non tutti sono in grado di
usarlo, ed é proprio da questa constatazione che parte la mia
ricerca.
Infatti, Il tema che tratterò, in relazione ad alcuni artisti
servitisi del mezzo-cinema e delle sue possibilità, si situa
in un punto dove si snoda il rapporto d'interdipendenza
assolutamente necessario tra l'essere umano creativo, e la
sua dimensione onirica.
A questo proposito la mia tesi si dividerà in due parti: la
prima parte sarà dedicata all'approfondimento di studi sul
cinema, in particolare dal punto di vista psicoanalitico.
Il lavoro di Sigmund Freud, gli approfondimenti di studiosi
come Lacan e le loro teorie relazionate al cinema a partire
da Christian Metz, fino a professori di Cinema di Università
Italiane come Lucilla Albano e Paolo Bertetto, accompagnano i
miei approfondimenti iniziali al fine di dare credibilità e
spessore scientifico verificabile al lavoro di analisi
successivo.
La seconda parte, per l'appunto, verte su un lavoro analitico
di singoli artisti che ho scelto perché ho ritenuto che il
loro lavoro fosse importante sia dal punto di vista
cinematografico, sia in relazione alle arti visuali e in
particolare la pittura.
I nomi che ho scelto si collocano temporalmente su tutto
l'arco della storia del cinema come arte, partendo dagli
albori di quest'ultimo, fino al cinema contemporaneo.
Seguirò un percorso di ricerca in cui cercherò di non
tralasciare gli approfondimenti e i cenni storici, ma
4
puntando soprattutto sull'analisi di uno o due lavori
cinematografici per artista, al fine di restituire un quadro
completo delle scelte fatte, scenderò nella particolare
analisi dei rispettivi lavori artistici in cui l'aspetto del
sogno e dell'onirico viene trattato ogni volta in modo
assolutamente inedito e personale.
Il primo nome che ho scelto, per il cinema delle origini, è
quello di George Méliès.
Il suo lavoro non si autoproclama come un cinema
eminentemente dell'onirico, ma come cinema dell'innovazione,
della sperimentazione e della fantasia sì.
Essendo strettamente connessi questi aspetti sia con il sogno
che con il mio campo d'interesse che è quello dove si può
riscontrare un valore artistico, credo che dopo il 1895, per
il decennio a seguire, nessuno più di George Méliès avrebbe
meritato tale attenzione.
Per il cinema della generazione immediatamente successiva non
posso evitare di considerare il lavoro dei surrealisti e
naturalmente riferendomi al lavoro di Luis Buñuel con il suo
meraviglioso Chien Andalou.
Il cinema degli anni Quaranta, anche per motivi economici
legati alle conseguenze del dopoguerra, diventa molto
interessante oltreoceano a livello di sperimentazione
artistica.
Maya Deren (nata a Kiev, ma immigrata presto negli Usa con la
famiglia), grande artista della neoavanguardia
cinematografica americana, ha destato molto il mio interesse
per la sua personalità eclettica, le sue molteplici capacità
e l'intensità del suo lavoro che, unitamente ad un gusto
estetico che io condivido pienamente, ha trattato il tema del
sogno e dell'intimo dell'animo umano in modo delicato e
rivelatore al contempo.
Infine, per il cinema della contemporaneità, ma anche per il
gusto pittorico ed estetico che viene messo in questo cinema,
ho scelto un'altra personalità proveniente dagli Stati Uniti
d'America: David Lynch.
Il suo è il cinema dell'onirico, della complessità
strutturale ed interpretativa.
Una perla del cinema contemporaneo che attraverso le sue
immagini di sogno e di incubo continua a lanciare agli
spettatori del cinema hollywoodiano e non, avvincenti sfide
intellettuali.
5
Capitolo 1
La percezione dell-e Realtà
1.1. La questione ontologica
Quando si fa riferimento alla messa in discussione del
concetto di realtà, tante cose vengono in mente per libera
associazione, o, meglio, per libera contrapposizione. In
effetti, quando si pongono domande dirette come «cos'è la
realtà?», una volta che si è detto che quello che si vede e
si tocca è realtà, che la sveglia la mattina è realtà; il
lavoro, gli impegni ad una determinata ora, le bollette da
pagare, la macchina, insomma gli oggetti solidi sono “realtà
vera”... Allora... Che dire?
Non andando oltre questa definizione si rischia di commettere
un errore metodologico oltre che filosofico. Salta subito
agli occhi infatti che la risposta è, oltre che superficiale,
estremamente lacunosa.
Forse è più facile dire che cosa “non” è reale,
contrapponendoci in tal modo al concetto sopra citato, tanto
diffuso quanto semplicistico.
Ogni singolo aspetto della vita fa parte di quel sistema di
fenomeni ed eventi che costituiscono il cosiddetto reale, ma
ad un'analisi un po' più approfondita tutto può essere messo
in discussione.
D’altra parte dire che cosa sia il reale non è cosa semplice.
Le più grandi menti della filosofia si sono affaticate a
lungo per trovare risposte per lo meno non suscettibili di
facili controdeduzioni. L'intero filone esistenzialista, da
Sartre a Heidegger (anche se quest'ultimo respinge l'idea di
rientrare in questa classificazione), occupandosi della
questione ontologica, ha toccato dei punti che con
quest'argomento s'intrecciano diverse volte¹.
Ma sopra tutti porrei Nietzsche, il quale affronta la
questione secondo un’ottica che ho trovato molto
interessante. La ricerca di Nietzsche scopre il nervo dolente
di una contemporaneità la cui identità, fondata su vecchie
certezze, vacilla sempre di più, in una direzione il cui
profilo é stato ben delineato nella versione interpretativa
di Gianni Vattimo del concetto di postmoderno².
Il Novecento é un secolo di grande sviluppo della scienza,
della tecnologia, ma soprattutto dei grandi mezzi di
comunicazione. Queste tre componenti della modernità, che
insieme hanno costituito ancora una volta l'idea di ulteriore
affermazione della centralità dell'Occidente, si sono
rivelate però, per quest'ultimo, armi a doppio taglio. I
punti fermi della società occidentale, che lungo tutto il
corso della storia aveva posto se stessa al centro dello
6
sviluppo e della civiltà, a causa di tutti questi nuovi
“input” che arrivano a velocità incontrollabile, cominciano a
venire meno.
Dapprima il cedimento è inconscio, per diventare a poco a
poco sempre più consapevole, con una conseguente perdita di
quei valori che erano stati alla base del dominio assoluto
del mondo occidentale sul resto dell’umanità, e che erano
stati la colonna portante di quel concetto positivistico per
cui la realtà è “una” e inattaccabile.
Con l'affermarsi dei potenti mezzi di comunicazione di massa
come cinema, radio e televisione, l'Occidente si accorge di
non essere più l'unica cultura, l'unica società strutturata e
articolata in modo complesso e di non essere, soprattutto,
l'“unica civiltà” esistente su questa terra, o per lo meno
non l'unica giusta.
Fu difficile ammetterlo, ma a poco a poco ci si rese conto di
quanto sia grande la varietà tra gli esseri umani. Quindi,
lontano dai nostri occhi, ogni giorno, vi sono almeno un
milione di altre realtà che, solo perché non viste, non
significa non esistano, ma soprattutto che non siano
legittimate ad esistere!
La presa di coscienza di questo nuovo dato è stata la
ulteriore evoluzione di una profonda crisi d'identità
iniziata con l’esotismo ottocentesco grazie alle esplorazioni
geografiche e che con il colonialismo divennne prima moda
poi, con Picasso, stile e negli anni Sessanta rivoluzione
culturale.
Nietzsche è l'uomo che parla senza remora alcuna del concetto
di cui ho discusso fino ad ora, ossia della “crisi”
dell’Occidente. Usando una metafora ardita come “Dio è
morto”, Nietzsche fa riferimento proprio a questo.
Ne deriva che l'essere umano per esistere deve per forza di
cose evolversi, oppure, se si adatta ad un collettivismo
omologante, si condanna da solo alla scomparsa. È una società
dove vince chi riesce a portare se stesso ad un grado di
consapevolezza superiore.
L’Übermensch, sarà solo colui che saprà sopravvivere e
vincere nella giungla della nuova società che sta emergendo
dalla storia.
La società moderna che si sta profilando all’orizzonte è una
realtà frammentata, selvaggia, apparentemente ingestibile,
dalla quale il primo istinto (quello animale di
sopravvivenza) è proteggersi, e forse volerne capire il meno
possibile.
Per contro ritengo che la salvezza non stia tanto in una fuga
dal mondo contemporaneo, quanto in un’evoluzione individuale,
in una fuoriuscita dalle “favole della buonanotte” per
7
bambini troppo cresciuti e ignoranti, e perciò facilmente
plagiabili dai moderni miti veicolati dai mass-media, che
risultano alla fine estremamente pericolosi, proprio perché
celati dietro un’idea della libertà falsa del singolo³.
Conosciamo dunque la frammentazione della realtà e che questa
non sussiste come obiettività assoluta né verità unica, ma il
vero, il reale, sta celato nelle diverse consapevolezze
individuali e che molto difficilmente potrà essere portato
alla luce in modo che tutti ne godano.
L'Übermensch è però, per Nietzsche, colui che ha cercato la
verità, negli angoli scuri delle cose non dette, dietro i
sipari delle cose non mostrate, e alla fine credo che l'abbia
persino trovata.
Giunti a questo punto vorrei introdurre una considerazione
personale riguardo al ruolo dell'artista in tutto questo.
Nietzsche vede l'artista come il portatore della grande
menzogna.
Naturalmente il problema va posto diacronicamente, e, in
questo senso, è importante tenere conto che l'artista a cui
Nietzsche fa riferimento opera nell'Ottocento, in un clima in
cui l'arte inizia appena a svincolarsi dalle leggi e dai
dogmi legati al concetto di mimesìs, che per secoli hanno
condizionato l'arte in Occidente .
Le stesse considerazioni calate in un clima contemporaneo,
probabilmente non trovano lo stesso tipo di antagonista
nell'arte: l'artista oggi avrebbe tutte le carte in regola
per essere fondamentalmente libero (anche se ai dogmi di un
tempo si sono sostituite le regole del mercato dell'arte, ma
questa è ancora un'altra storia), e in questo senso potrebbe
essere veicolo di comunicazione di così tanti tipi di verità
o non-verità, che non so se sarebbe possibile classificarlo
definitivamente come menzognero.
Ad ogni modo l'artista di oggi, non per forza dev'essere
Übermensch nietzschiano, ma ha certamente l'opportunità di
usare le sue armi intellettuali per mettere in mostra qualche
frammento di realtà, fosse solo la propria realtà
individuale.
Spesso veicolando un'idea di realtà, anche sotto l'apparenza
di un'innocua finzione, accade che l'artista riesca a
spogliarla “fragorosamente” dall'errore del concetto
superfluo di se stessa.
La critica dell'idea di “mondo vero” e di “mondo in sé” di
Nietzsche è diventata patrimonio di varie linee di ricerca
del Novecento, che spesso hanno sottolineato la perdita dello
“essere come presenza” e della naturalità, e infine hanno
aperto la strada all'avvento dell'illusione, dell'artificiale
e della “nientificazione” delle cose ? .
Nel mondo tardo moderno l'apparenza e i fenomeni più