Si tende invece a analizzare come sia cambiata la domanda del consumatore e quindi
come un prodotto abbia risposto in maniera più o meno idonea ai nuovi trend di
mercato.
Sicuramente questo cambiamento ha favorito più il gruppo spagnolo Inditex, che ha
proposto fin dalla sua nascita un prodotto con caratteristiche che in questo momento
rispondono meglio alle richieste del mercato. Tutt’altro si può dire di Benetton che,
dopo aver vissuto per anni con un marchio molto forte, ha visto, non solo diminuire le
quote di mercato, ma soprattutto ha dovuto riconsiderare il prodotto e il modo di
offrirlo; riposizionarsi per seguire stili e tendenze è molto difficile e questa tesi citerà
alcuni passaggi critici.
Risulta sicuramente molto più facile inventare qualcosa di nuovo seguendo la richiesta
del consumatore rispetto che adattare un processo vincente per anni a nuovi stili e
tendenze.
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Il modello di business Benetton
CAPITOLO PRIMO
1.1 Origini del gruppo
Il Gruppo Benetton nasce nel 1965 a Ponzano Veneto in provincia di Treviso, ma la sua
storia ha radici più profonde.
Negli anni quaranta la situazione economica di molte famiglie italiane era influenzata
dalla guerra come prima causa di molte restrizioni economiche e la famiglia Benetton
rispecchiava un modello comune di rigore nella gestione delle finanze.
All’epoca i fratelli Luciano e Giuliana Benetton, adolescenti e già orfani di padre,
contribuivano alla sussistenza della loro famiglia con dei lavori part-time nelle ore del
dopo scuola. Entrambi, già all’epoca, si stavano avvicinando ad un mondo che li
sarebbe stato presto familiare: il primo svolgeva attività di supporto alla vendita per
privati, la seconda aiutava come apprendista in laboratorio artigianale di maglieria.
Un passaggio importante fu, quando nel 1955 Luciano venne assunto in un rinomato
negozio d’abbigliamento a Treviso, noto come Dellasiega, dove ebbe l’opportunità di
verificare di persona le tecniche di vendita e le esigenze del cliente. Fu il primo a
realizzare come la gestione tradizionale non venisse incontro al consumatore: la merce
non era esposta, ma raccolta all’interno di scatole che rendevano possibile l’accesso
solo al commesso che doveva rendersi interprete dei gusti e delle esigenze di chi aveva
di fronte.
Luciano ebbe qui una geniale intuizione sul mercato dell’abbigliamento: l’idea di
avvicinare il cliente alla merce e ascoltare le sue richieste per migliorare il prodotto.
[Falcinelli, 1999]
La società intanto stava cambiando e l’economia italiana ed europea si stava
avvicinando a quello che poi sarà definito il miracolo economico. La migrazione dalle
campagne alle città era un chiaro segnale del cambiamento della vita e delle esigenze
dei consumatori; lo stile di vita ora lasciava tempo per coltivare hobby ed attività extra
lavorative che richiedevano un abbigliamento diverso da quello per il lavoro quotidiano.
In definitiva Luciano intuì che si stava creando spazio per un nuovo mercato, quello
della pulloveria: “Adatto sia agli uomini che alle donne, poteva aggiungere una nota
informale a giacca e pantaloni o poteva addirittura eliminare la necessità del completo
per entrambi i sessi. Il maglione -sostiene Luciano Benetton- era un capo
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Capitolo primo
d’abbigliamento democratico, che non rappresentava nessuna categoria sociale e attività
definita: perfetto quindi, per il moderno mondo degli anni cinquanta.”. [Benetton e Lee,
1990, p. 34]
L’industria nel frattempo sembrava non risentire particolarmente dei nuovi influssi, a
parte qualche raro caso, offriva solo alcune tipologie di prodotto come i maglioni
importati dall’Inghilterra in tessuti costosi come in cachemire, quelli confezionati in
casa di maglieria artigianale e quelli lavorati a macchina dalle lavoratrici artigiane come
Giuliana Benetton all’epoca. Tutti e tre i tipi si accomunavano per colori sobri e classici
che non oltrepassavano il blu marine, cammello e qualche volta il rosso. In conformità a
queste considerazioni i fratelli Benetton diedero vita ad una propria produzione di
maglioni con etichetta Très Jolie che venne inizialmente venduta presso il negozio
Dellasiega.
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Nel 1958 Luciano lascia il suo impiego, l’idea imprenditoriale comincia a prendere
forma. Nel corso di una visita a Roma in occasione dei Giochi Olimpici del 1960, il
maggiore dei Benetton viene a conoscenza di una nuova formula distributiva: il piccolo
negozio specializzato. A differenza degli altri già noti, in questa nuova tipologia, si
vendevano prodotti unici (maglieria, cravatte…) pluri-marca che si differenziavano
chiaramente dalla situazione da lui già conosciuta di negozio pluri-settore.
Giuliana si occupava della produzione nelle ore post-lavoro, ma con l’aumentare delle
richieste non solo iniziò lei ad occuparsene a tempo pieno, ma la produzione si estese
presto coinvolgendo famigliari e amici che furono coscientemente diretti dal Luciano
Benetton.
Nel 1960 la produzione era arrivata ad ottocento pezzi distribuiti nella zona di Treviso e
Venezia.
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Il marchio era rappresentato da un gomitolo di cotone stilizzato. [Brunetti & Bortoluzzi, 2004]
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Il modello di business Benetton
1.2 L’avviamento della struttura produttiva: il tinto in capo
Ormai la produzione aveva iniziato una crescita rapida e continua. Il mercato romano
rappresentò una chiave importante: la clientela romana apparteneva a diversi ambienti
del mondo socio-culturale, hostess, uomini d’affari, imprenditori e non solo, tutte
persone che aiutarono in maniera non indifferente a portare al marchio un’immagine
internazionale e multi culturale. Le Olimpiadi del 1960 richiamarono atleti e spettatori
da tutto il mondo e Luciano Benetton non perse l’occasione di reinventare stili e colori
ispirandosi ad una società multirazziale. Come racconta lo stesso Benetton, questo fu un
periodo di forte crescita dove la richiesta poteva variare in maniera molto veloce;
bastava che un personaggio noto si presentasse in pubblico con un maglione di un
colore particolare che la domanda ne risentisse sensibilmente. Questo portò, insieme a
tutti i fattori sopraccitati, all’introduzione di una rivoluzione avvenuta nel biennio 1960-
1962, l’invenzione del macchinario per il tinto in capo: questo macchinario prevedeva
che i capi non fossero realizzati con filati pretinti, ma colorati dopo essere stati prodotti.
Nel 1962, la produzione raggiunse i 10.000 capi l’anno, nel 1964, si realizzarono
100.000 capi-mese. È chiaro come il cambiamento dal tradizionale metodo portò una
riduzione dei tempi di lavorazione e permise la riduzione dei tempi di risposta al
mercato ed una più efficiente attività di programmazione.
Una successiva innovazione fu apportata nell’ottenere una lana più soffice, simile al
cachemire, tramite una macchina utilizzata allora in Scozia, che permetteva una
stribbiatura eccellente rispetto ai tempi e ai macchinari presenti sul mercato italiano.
L’imprenditore ne acquistò 260 usate e le adattò per l’impiego nella sua produzione
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.
Il risultato fu l’incremento di circa il 150% dei guadagni, nel periodo dal 1962-1963 per
giungere, nel 1965, alla costituzione della Benetton S.p.A. e all’inaugurazione della
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Con il termine stribbiatura si intende l'eliminazione di difetti ed irregolarità dal filato. Normalmente la
stribbiatura avviene selezionando i difetti con sistemi meccanici (ormai ampiamente superate), con
sistemi capacitivi e con sistemi ottici. Il metodo più evoluto è sicuramente quello ottico
[http://www.filaturaditrivero.it]
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Ogni macchina, a fronte di un investimento di cinque milioni, ne rendeva 50 con il vantaggio di ridurre i
tempi morti e d’ottenere un prodotto innovativo e di qualità. [Sabbadin, 1997, p. 259]
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Capitolo primo
prima fabbrica a Ponzano Veneto, progettata da Tobia Scarpa . Questa richiese un
investimento di circa 40.000 euro in prospettiva di un ritorno futuro di 300.000 .
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Il vecchio marchio lascia quindi spazio al nuovo che punta allo sviluppo di un prodotto
innovativo e colorato con un ottimo rapporto qualità/prezzo diretto ad un pubblico
giovane e dinamico.
Parallelamente, rivoluzionando le tipiche modalità di gestire i canali nel settore, invece
del canale lungo, l’imprenditore si dedica alla distribuzione diretta aprendo nel 1965 il
primo negozio Benetton a Belluno. Finalmente tutte le teorie idealizzate
dall’imprenditore diventano realtà. Il nuovo negozio ha una struttura dinamica e
innovativa, gli scaffali e il classico bancone vengono sostituiti da un insieme di moduli
che permettono al cliente di muoversi liberamente tra la merce.
In seguito fu eseguita una segmentazione del mercato attraverso la creazione di nuovi
marchi finalizzati al raggiungimento di diversi target groups: la prima tipologia fu
distinta con il nome Merceria, rivolta a madri del target principale (i ragazzi): la
seconda, Tomato che si differenziava per uno stile più aggressivo e modaiolo ed infine
Fantomax che richiamava uno stile londinese anni Sessanta .
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Su quest'onda il negozio Benetton veniva contraddistinto con il nome My Market.
Alla fine degli anni sessanta l’azienda aveva ormai raggiunto dimensioni indicative: un
fatturato di circa dieci miliardi e una rete distributiva di cinquecento negozi, la cui
gestione si basava su un flusso quotidiano d’informazioni trasmesse dai rivenditori al
telefono, per consentire all’azienda di programmare la produzione in termini qualitativi,
quantitativi e per evitare giacenze di magazzino. Per la produzione infatti Benetton
ingaggiò differenti tecnici che lavorarono sulla programmazione delle macchine per
rendere più efficiente la produzione. Benetton ora usa macchinari numerici collegati ai
terminali CAD di Apricot, azienda inglese. I disegnatori che usano i 10 terminali
possono ora simulare modelli e colori a video. Una volta deciso il modello, il
disegnatore manda direttamente il dato alla macchina che provvede a produrre i pezzi in
forma e taglio facile da assemblare. A partire dagli anni ottanta hanno anche usato un
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Tobia Scarpa, giovane architetto appena laureato senza nessuna esperienza nel campo delle costruzioni
industriali. Formatosi in un clima di avanguardia e discepolo di Franck Llyod Wright, progettò un lavoro
di nuova concezione che coniugava funzionalità ed efficienza. Scarpa riuscì, già nei primi anni di vita
dell’azienda, a dare un’immagine che la contraddistingue tutt’oggi.
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Il valore dell’investimento e del fatturato espresso a lire costanti del 2002 (convertite in euro) sono,
rispettivamente, di 0,6 e 4,8 milioni di euro. [Brunetti & Bortoluzzi, 2004 p. 7]
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In questi anni il mercato subiva il fascino dello stile americano in ascesa. L’era del rock’n roll e della
rivoluzione studentesca lasciava largo spazio all’uso di vocaboli inglesi come freedom e love che
apparivano su molti capi, tra cui anche quelli di Benetton.
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Il modello di business Benetton
sistema CAD collegato ad una tagliatrice automatica fatta in Spagna trasformando il
sistema in una unità CAD-CAM. La tagliatrice automatica CAD-CAM segue modelli
già memorizzati nella memoria centrale e provvede alla produzione di 15.000 capi ogni
otto ore con uno spreco di stoffa inferiore al 15% .
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In questo periodo si stavano già ponendo le basi della più famosa strategia dei
Benetton, quella di industrializzare la moda. Nell’era pre-informatica l’organizzazione
di Benetton rappresentava uno stile di avanguardia.
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Fonte: “ Il caso Benetton” da www.uniroma.it
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