INTRODUZIONE
individui disabili fisici e psichici (a condizione che venga approcciata, nei limiti
del possibile, con motivazione intrinseca, o perlomeno curiosità ed interesse,
dal soggetto invalido). Si badi bene che la pallacanestro è solo uno dei tanti
sport proponibili, non è a priori migliore o peggiore di altri e non ha nessuna
valenza terapeutica di per se stesso, ma ha semplicemente delle peculiarità che
lo valorizzano. Esso, infatti, quale attività di squadra, influenza due dimensioni
della QdV particolarmente importanti per le persone disabili, poiché connesse
direttamente con gli obiettivi primi degli interventi riabilitativi: l’integrazione
sociale e l’autonomia/autodeterminazione.
La pallacanestro applicata all’handicap può complessivamente venire distinta in
due ambiti, a seconda del tipo di handicap (fisico o mentale) a cui si rivolge e
degli obiettivi che si pone:
• il basket in carrozzina come attività sportiva ricreativa fonte di piacere e
divertimento (al pari del basket in piedi per le persone “normodotate”), che
contribuisce al miglioramento della QdV dei disabili prevalentemente fisici
con menomazioni ineliminabili (paraplegici, poliomelitici, amputati, etc.);
• il basket come attività sportiva integrata con le altre componenti di un
progetto riabilitativo per individui con handicap soprattutto mentale (è il caso
che verrà presentato, unico in Italia, del Centro di Terapia Integrata per
l’Infanzia “La Lucciola” di Ravarino, in provincia di Modena).
La situazione complessiva di entrambi gli ambiti non è delle più rosee ed a
complicare le cose c’è il fatto che le ragioni più macroscopiche alla base di essa
(la mentalità della gente, che rende complicata una reale integrazione sociale
degli individui disabili, e la scarsa diffusione del basket in tutta la Penisola) sono
difficilmente modificabili in tempi brevi. Comunque, in questa sede verranno
proposte alcune possibili soluzioni per incrementare la diffusione del basket in
carrozzina e per far sì che l’esperienza positiva e stimolante del Centro “La
Lucciola” non rimanga un caso isolato nel già non esaltante (per qualità e
quantità) panorama del rapporto fra sport (basket) e riabilitazione.
INTRODUZIONE
N.B.: il raggruppamento delle realtà che compongono il mondo dell’handicap
sotto due singole categorie, fisico e mentale, è un’indebita generalizzazione
effettuata a soli fini funzionali, per non dover in continuazione specificare fra le
differenti patologie che esistono al loro interno. Ma anche una differenziazione
che avesse dato conto di queste ultime, si è ben consci che a sua volta non
avrebbe reso ragione della grande variabilità che sussiste fra le singole
condizioni soggettive che convivono sotto una determinata etichetta
diagnostica.
PRIMO CAPITOLO
LA QUALITA’ DELLA VITA (QDV)
LA QUALITA’ DELLA VITA
1. LA QUALITA’ DELLA VITA (QDV)
Il concetto di Qualità della Vita (QdV) è molto intuitivo e fa parte del linguaggio
comune da parecchio tempo, ma ha visto crescere l’interesse della ricerca
scientifica, medica e psicologica, solo negli ultimi vent’anni circa.
Quando si tratta questo concetto, sono chiamate in causa questioni filosofiche
ed esistenziali, poiché è inevitabile trovare, sotto ad ogni tentativo di delineare
le dimensioni che lo compongono, una determinata concezione della vita e delle
sue componenti più importanti, nonché un punto di vista ben preciso sul
significato della felicità e del benessere all’interno dell’esperienza umana.
Risulta perciò difficile comprendere come si sia potuto decidere di indagarlo da
una prospettiva scientifica, vista l’assoluta soggettività cui è sottoposto e di cui
ognuno può fare in qualsiasi momento esperienza; alla domanda – Cos’è per te
la qualità della vita? -, chiunque risponde senza pensarci su troppo, magari non
in termini elaborati, ma comunque personali, che dimostrano come capisca al
volo di cosa si sta parlando.
LA QUALITA’ DELLA VITA
1.1 MEDICINA E QDV
Nel campo della medicina l’interesse per la QdV, inteso quale concetto
scientifico, può essere fatto risalire agli anni ’70 negli USA: montava in quegli
anni un’accesa protesta contro uno stato sociale che non garantiva nei
trattamenti sanitari un’adeguata attenzione al punto di vista soggettivo del
paziente sulla cura intrapresa. Un esempio lampante veniva dall’impiego della
chemioterapia, somministrata senza dare peso alle conseguenze dei suoi effetti
collaterali sulla vita del paziente, il quale poteva in linea teorica preferire una
rinuncia al trattamento piuttosto che patirne le sofferenze. Un caso del genere
rende bene l’idea del problematico rapporto fra la medicina e l’attenzione alla
QdV degli individui: di primo acchito non dovrebbe esserci contraddizione fra i
due termini, perché la prima, cercando di ristabilire uno stato di salute laddove
si è insediata la patologia, mira a migliorare la situazione della persona, però se
si analizza più in profondità la questione si può notare come tante volte la
medicina si sia disinteressata, una volta trattati i sintomi, delle conseguenze
sulla vita del paziente che il proprio agire causava.
Questa constatazione non ha l’obiettivo di oscurare tutto ciò che di buono la
ricerca medica ha portato all’umanità nel corso dei secoli, ma vuole solo
sottolineare l’importanza del punto di vista con il quale si considera l’uomo e la
sua esistenza, quando questa s’imbatte nella malattia. Se l’angolazione con cui
lo s’inquadra per curarlo è quella che lo mostra quale un contenitore di una
patologia che da questa va liberato e nulla di più, allora ci si trova ad avere a
che fare con una concezione antiquata di salute quale mera assenza di malattia
e d’uomo non quale unità bio-psico-sociale, ma quale agglomerato di
compartimenti stagni indipendenti. Se invece l’angolazione mostra l’uomo quale
un’inscindibile fusione di mente e corpo, allora crolla l’equazione “no malattia
(no sintomi) = fine della sofferenza”, perché è indubbio che possano rimanere
infinite questioni dopo il trattamento medico che non permettono all’individuo di
riprendere la propria vita secondo gli standard cui era abituato, questioni in
parte fisiche e materiali, ma pure e soprattutto affettive, emotive e psicologiche.
LA QUALITA’ DELLA VITA
In sostanza si può dire che solo una visione olistica dell’uomo può permettere
alla medicina di avere a disposizione tutti gli strumenti adeguati per
programmare ed attuare le proprie conoscenze in quei casi delicati in cui
intervenire può paradossalmente voler dire peggiorare le cose, o in cui si ha a
che fare con situazioni di cronicità o di handicap. La stessa prospettiva olistica
di cui si è detto è quella che emerge, fortunatamente, dalla definizione di
“salute” dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) quale “uno stato di
completo benessere fisico, mentale e sociale”. L’adozione di un criterio-guida,
ma anche di valutazione/validazione, da parte del mondo medico quale la QdV,
benché altamente complesso, multidimensionale e lontano da una definizione
univoca, va proprio nella stessa direzione della definizione del massimo organo
istituzionale della sanità mondiale e si lascia alle spalle criteri ormai antiquati, e
insensibili alla realtà soggettivamente percepita dal paziente, quali i tassi di
mortalità o di morbilità, “…insoddisfacenti nel descrivere lo stato di benessere di
una persona, proprio perché misurano la sua carenza piuttosto che la salute.”
(Soresi, 1997, p.259).
LA QUALITA’ DELLA VITA
1.2 PSICOLOGIA E QDV
La psicologia, per sua stessa costituzione, si è da sempre occupata del
benessere delle persone con una visuale che comprendesse tutta la persona,
un fisico più una mente, perciò non ha dovuto allargare il campo dei propri
interessi come la medicina. Però nel momento in cui la psicologia si rivolge alle
situazioni patologiche e di disagio e tenta di apportare, tramite le proprie
conoscenze, dei miglioramenti, ecco che per questa disciplina si presentano gli
stessi problemi che si sono visti per la medicina: c’è bisogno di un
criterio/obiettivo forte, la QdV appunto, che permetta di orientare le scelte in
modo da tenere in considerazione tutte le conseguenze che un trattamento
genera.
Si pensi per esempio al campo della psicologia clinica, in cui si tenta attraverso
tipi d’intervento diversi (a seconda dell’orientamento teorico) di guarire la
patologia psichica: il mantenimento o il miglioramento della QdV del paziente
può considerarsi un fondamentale punto di riferimento per la valutazione dei
risultati, tenendo conto del fatto che questa è una branca della psicologia che
non vanta indici di valutazione “forti” e “scientifici” come altre discipline (si può,
in molti casi, avere la certezza di una guarigione? di un “cambiamento
strutturale” della persona che eviterà ricadute?). Il campo della psicologia
dell’handicap, che è quello che in questa sede interessa maggiormente,
amplifica ancora di più la questione: se s’impiegano forze ed energie per la
riabilitazione, è proprio perché esiste il convincimento che, finché tutte le risorse
a disposizione del disabile non siano sfruttate al massimo, la QdV dell’individuo
è migliorabile, e avvicinabile per esempio agli standard precedenti la
menomazione (nel caso, ovviamente, di una disabilità acquisita), perciò la
psicologia non può fare a meno di confrontarsi con la teorizzazione e
l’operazionalizzazione del concetto di QdV.
LA QUALITA’ DELLA VITA
1.3 QDV CRITERIO-GUIDA E OBIETTIVO.
La situazione odierna vede il concetto di QdV acquisire sempre maggior
attenzione per due sue funzioni ben diverse, ma complementari:
1) obiettivo;
2) criterio-guida dell’azione.
Il miglioramento o il mantenimento del massimo livello di QdV è un meta-
obiettivo della programmazione di molti interventi su situazioni patologiche gravi
croniche o di handicap, poiché non viene considerato come il primo fine da
raggiungere, ma una condizione più ampia su cui si spera di agire tramite le
attività pianificate. Esso è poi obiettivo vero e proprio dell’intervento, in primis
nelle situazioni di handicap, perché laddove una menomazione ha portato danni
irreversibili, bisogna agire sulla persona e sull’ambiente in cui vive per
permettergli di sfruttare al massimo le risorse residue, senza concentrare la sua
esistenza sul deficit. Esso è infine obiettivo degli sforzi in ambito di prevenzione
della malattia e di promozione della salute, perché la prima strada da imboccare
per evitare che nella popolazione si diffondano comportamenti potenzialmente
patogenetici è quella di far conoscere stili di vita sani; l’OMS in occasione della
Prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute del 1986 ha
definito la promozione della salute “il processo per rendere capaci le persone di
incrementare e di migliorare il controllo sulla loro salute” (trad.it. di WHO, 1986,
p.1).
Il miglioramento o il mantenimento della QdV è criterio-guida in ambito politico-
sanitario, perché tutta l’attività decisionale, non solo a livello locale, ma anche
mondiale tramite l’OMS, degli orientamenti, delle politiche di salute pubblica, di
riforma dello stato sociale e d’allocazione delle risorse economiche disponibili è
focalizzata a garantire la miglior salute al maggior numero di persone e quindi il
miglior standard di vita possibile. Esso è inoltre criterio-guida nel campo
dell’attività di ricerca medica e psicologica, in particolar modo per quel che
concerne la valutazione/validazione dei risultati degli interventi terapeutici,
perché è la capacità che ha un trattamento di modificare (si spera in meglio) la
LA QUALITA’ DELLA VITA
percezione soggettiva della qualità della propria vita, che può dare maggiore
credibilità e forza ad un’ipotesi teorica di terapia.
LA QUALITA’ DELLA VITA
1.4 BREVE STORIA DEL CONCETTO DI QDV
Prima di diventare un tema di così ampio dibattito nella ricerca scientifica, il
concetto di QdV ha attraversato momenti di maggiore e minore “popolarità”. Si
è soliti ricordare un suo primario utilizzo, come emerge dalla ricostruzione che
hanno fatto Day e Jankey (1996) della storia del concetto dagli anni ’60 fino ai
giorni nostri, in ambito politico da parte del presidente degli USA Lindon
Johnson nel 1964 quale argomento di campagna elettorale: egli indicava fra gli
obiettivi di una “Grande Società” quello di garantire al cittadino non una gran
quantità di merci, ma una buona QdV. Anche il successore, Richard Nixon,
adotta questo termine che pian piano entra nel gergo comune, prima appunto
dei politici (con palesi fini elettorali) e poi della gente. Inizialmente in campo
scientifico il concetto di QdV viene scisso in alcune variabili sociodemografiche
(titolo di studio, entrate economiche, tipo di abitazione, vicinanza ai servizi etc.)
che riguardano la popolazione e che vengono scelte autonomamente dai
ricercatori; questo trend è influenzato dagli studi economici che scandagliano la
società per programmare la distribuzione delle risorse economiche delle
amministrazioni.
Questo approccio alla QdV viene molto contestato all’inizio degli anni ’70
perché non prende in considerazione gli aspetti soggettivi e psicologici che
intervengono nella valutazione (Campbell e Roger, 1972). Il nuovo punto di
vista apportato rappresenta un importante passo avanti per la ricerca, perché
tenta di avvicinarla maggiormente alla percezione diretta che le persone hanno
della qualità della propria vita, ma d’altro canto introduce quella che è la tuttora
non risolta questione della scelta di misure oggettive (ritenute impersonali,
lontane dalla realtà, decise dal ricercatore) piuttosto che soggettive (considerate
troppo mutevoli nel tempo, non misurabili, non generalizzabili) per
operazionalizzare la QdV.
Michalos (1986) propone di superare la “diatriba” adottando un metodo
comparativo, col quale la QdV risulterebbe dal confronto fra lo standard di vita
desiderato (soggettivo) e quello in cui si vive (oggettivo): è la cosiddetta
“Multiple Discrepancies Theory”, che considera 6 tipi di comparazione:
LA QUALITA’ DELLA VITA
1) ciò che si ha VS ciò che si vorrebbe avere;
2) ciò che si ha VS ciò che si considera essere l’ideale da avere;
3) circostanze attuali di vita VS aspettative maturate precedentemente;
4) QdV attuale VS miglior QdV mai esperita;
5) ciò che si ha VS ciò che ha il gruppo di riferimento per il soggetto;
6) caratteristiche personali VS caratteristiche dell’ambiente in cui si vive.
Gutek et al. (1983) hanno contribuito alla teoria della discrepanza teorizzando il
concetto di “referenti interni” (livello di comparazione, di aspirazione e di
aspettative), visti come variabili mediatrici cognitive fra gli aspetti soggettivi e
oggettivi della QdV, ma la critica a lui rivolta è che queste sono troppo personali
e mutevoli per avere una reale utilità a fini operativi.
Negli anni ’80 si è sviluppato anche un approccio legato alle variabili di
personalità: sembrava evidente che la personalità giocasse un ruolo importante
nel determinare il modo in cui le persone percepiscono la qualità della propria
vita. Il maggior numero di studi ha indagato l’autostima, il “locus of control”,
l’auto-efficacia, la socievolezza e l’ottimismo, ma il concentrarsi su un solo
elemento della personalità si è rivelato un grosso limite, perché implicava che
se si voleva intervenire per migliorare la Qdv di un individuo, agire sull’ambiente
era inutile, poiché le cause della condizione attuale risiedevano solamente in un
deficit personale. Attualmente in letteratura non è stato abbandonato lo studio
dei tratti e delle variabili di personalità rapportate alla QdV, ma esse vengono
inserite in modelli multidimensionali e non più considerate quali le uniche
determinanti della QdV.
In medicina ormai il concetto di QdV ha acquisito una sua solidità, che si
riscontra negli oltre 2000 articoli che vengono editi ogni anno sul tema, ma solo
negli anni ’90 si è sentita la necessità di una teorizzazione, perché fino a quel
momento venivano preferiti concetti quali gravità dei sintomi, gravità del dolore
etc. (dati considerati “forti” e che se vengono alleviati porterebbero
automaticamente ad in miglioramento della Qdv) a fattori emozionali o sociali
(Cella e Tulsky, 1993) per valutare i risultati degli interventi terapeutici.
Albrecht e Fitzpatrick (1994) sostengono che attualmente sono 4 gli usi che la
medicina fa del concetto di QdV:
LA QUALITA’ DELLA VITA
1) nella pianificazione delle cure cliniche per il paziente;
2) nella misurazione dei risultati dei processi clinici e delle ricerche sui
servizi sanitari;
3) nella valutazione dei bisogni sanitari della popolazione;
4) nella allocazione delle risorse.
Per confermare quanto la medicina sia ancora molto legata all’attenzione
primaria per il sintomo, va detto che in questo campo si preferisce parlare di
“QdV collegata alla salute” (“Health-related QoL”), intendendo con questo
termine un concetto di QdV da relazionare agli effettivi risultati di eliminazione
dei sintomi e di riduzione del dolore, perciò in una posizione che si può definire
secondaria nella gerarchia degli obiettivi da raggiungere.
La psichiatria all’interno della medicina occupa un posto particolare, perché il
suo obiettivo è sempre stato quello di far raggiungere al paziente uno stato di
soggettivo benessere, quindi il dare voce alla soggettività, come sta avvenendo
nella medicina somatica, non è sufficiente per la disciplina in questione (che già
lo fa per propria natura), e per questo motivo il concetto di QdV potrebbe
diventare a breve termine un primo obiettivo dell’intervento psichiatrico che
preceda la riduzione dei sintomi e la prevenzione delle ricadute. I motivi buoni
per mettere in pratica tale proposito esistono (Sartorius, 1997):
1) innanzitutto è lontano il momento in cui la ricerca medica, attraverso il
progresso tecnologico, sarà capace di sconfiggere ogni patologia, e
quindi appare un dovere il pensare strategie che nel frattempo
consentano ai malati di trascorrere una esistenza decente;
2) nel caso di una malattia cronica, o di un handicap psichico, è giusto
tentare di migliorare la QdV della persona, senza fossilizzarsi
sull’ineluttabilità della permanenza dei sintomi;
3) ancora nelle situazioni di cronicità e di handicap, pare sensato affiancare
all’obiettivo dell’integrazione (che tante volte non è raggiungibile) quello
di un miglioramento della QdV del soggetto;
4) alla psichiatria non compete solo la prevenzione e il trattamento, ma
anche una sorta di leadership nel rendere la tutela della salute più
LA QUALITA’ DELLA VITA
umana e maggiormente improntata all’ascolto dei bisogni e delle
sensazioni degli individui malati;
5) la comunicazione è un settore di dominio della psichiatria, ed è anche
una condizione imprescindibile per poter ottenere pareri, opinioni
personali e feed-back dai pazienti, quindi non bisogna permettere che
queste competenze finiscano inutilizzate.
Perché questo si realizzi c’è però bisogno di un costrutto ampio e
multidimensionale di QdV, ottenuto tramite valutazioni soggettive del malato ed
esterne (non per forza oggettive) dei familiari o dello staff curante, dato che nel
campo della salute mentale emergono dei problemi specifici (Katschnig, 1997):
1. il momentaneo stato affettivo del malato mentale può modificare il
giudizio sulla propria condizione;
2. i deficit cognitivi associati alla malattia mentale, o essi stessi quale
patologia, impediscono una comprensione sufficiente della propria
condizione e di conseguenza della soddisfazione o meno rispetto a
questa;
3. la distorsione della realtà di alcune psicopatologie non consente al
paziente di mantenere un contatto che gli permetta una valutazione della
propria situazione.
Nel momento in cui si desidera che la valutazione della QdV orienti l’azione
terapeutica, bisogna che tre aree specifiche vengano distinte e indagate
singolarmente (Katschnig, ibidem):
1) il soggettivo benessere;
2) lo stato funzionale;
3) i fattori contestuali (l’ambiente in cui si vive).
Il distinguo è necessario perché le tre aree hanno un diverso rapporto con la
dimensione temporale, la prima è piuttosto fluttuante, la seconda muta
abbastanza lentamente e la terza è stabile, e quindi anche con la
programmazione degli obiettivi (a breve e lungo termine) dell’intervento che si
vuole attuare.
Il miglioramento degli strumenti di misurazione della Qdv in persone che hanno
difficoltà comunicative, l’adozione di strumenti transculturali di rilevazione della
LA QUALITA’ DELLA VITA
QdV, l’integrazione degli strumenti di misurazione della QdV con altri strumenti
adottati dalla pratica medica e la possibilità di un uso semplice ed immediato da
parte degli operatori sanitari dei suddetti strumenti costituiscono le più
importanti sfide metodologiche per la psichiatria affinché il concetto di QdV
possa essere sfruttato in tutta la sua potenzialità; ma esistono anche sfide
concrete molto impegnative: 1) rendere la valutazione della QdV parte
integrante di qualsiasi tipo di trattamento; 2) far divenire l’attenzione alla QdV
del paziente parte essenziale di ogni procedura sanitaria; 3) costruire un
linguaggio comune fra gli operatori in merito alla valutazione della QdV
(Sartorius, ibidem).
Riassumendo, la situazione odierna presenta una gran varietà di studi,
contributi e modelli che hanno le radici nelle teorizzazioni sopraesposte o che
ne hanno sviluppato determinate intuizioni, ma è un dato di fatto che si è ancora
molto lontani dall’aver raggiunto un punto di vista univoco con cui considerare la
QdV: esso è un concetto assai complesso, pur nella comprensione immediata
ed intuitiva che chiunque può averne. Sembra che per questo concetto si possa
azzardare un parallelismo con quanto detto da S.Tommaso a proposito del
tempo “…. se non mi si chiede cos’è, lo so, ma se mi si chiede cos’è non lo so
più”.