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riforma del diritto societario ha previsto per le società di capitali al fine di facilitare
il reperimento di risorse finanziarie. In specie, nuove tipologie di azioni e
strumenti finanziari dotati di particolari caratteristiche, la possibilità di conferire
qualsiasi elemento suscettibile di valutazione economica e l’emissione di titoli di
debito, rappresentano alcune delle innovazioni che caratterizzano,
rispettivamente, la disciplina delle società per azioni e delle società a
responsabilità limitata.
Lo scopo del presente lavoro è quello di valutare se Basilea 2 costituisce
esclusivamente una minaccia per le imprese o, piuttosto, può essere
un’opportunità da cogliere quanto prima per migliorare, crescere e instaurare un
nuovo rapporto con le banche.
Il lavoro si articola in cinque capitoli.
Nel primo capitolo viene fatta una breve descrizione del tessuto
imprenditoriale italiano. Considerandone la peculiarità dell’elevata
frammentazione, l’attenzione principale è stata rivolta alle PMI e agli elementi
che ne caratterizzano il funzionamento e che costituiscono il punto di partenza
per la valutazione degli effetti che il Nuovo Accordo potrebbe produrre su di esse.
La trattazione delle grandi imprese è stata rimandata al capitolo 5.
Nel secondo capitolo viene proposta un’ampia trattazione delle novità
introdotte da Basilea 2, riportando i meccanismi che le banche dovranno adottare
per calcolare il patrimonio da immobilizzare.
Sulla base degli elementi dei primi due capitoli, nel capitolo terzo
vengono analizzati i possibili effetti per le imprese, quali in razionamento del
credito, la prociclicità, la concorrenza tra imprese, il rischio di uscita dal mercato
per le imprese marginali e le maggiori difficoltà per le “start up” ad ottenere
finanziamenti.
Il quarto capitolo propone le novità introdotte con la riforma del diritto
societario, cercando di evidenziare il loro contributo al ridimensionamento del
possibile impatto negativo del nuovo Accordo nel nostro Paese.
8
Infine, nel quinto capitolo, viene completato il quadro descrittivo del
nostro Paese. Attraverso lo sviluppo di un modello di scoring basato su indici di
bilancio, viene proposta un’analisi del livello di solvibilità di buona parte dei settori
dell’economia italiana. Il campione preso in considerazione ingloba quasi
totalmente le grandi imprese. Ragion per cui, i risultati ottenuti possono essere
considerati come un buon riferimento per valutare i punti di forza o di debolezza
che contraddistinguono le grandi realtà imprenditoriali e che, di riflesso,
influenzano il loro giudizio di affidabilità da un punto di vista finanziario, utile ai
fini dell’analisi dell’impatto di Basilea 2 proposta.
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1. IL TESSUTO IMPRENDITORIALE ITALIANO
La valutazione di quelli che saranno i possibili effetti del Nuovo Accordo di
Basilea nel nostro Paese, non può prescindere da una preventiva analisi del
tessuto imprenditoriale italiano. Tessuto fortemente caratterizzato dalla presenza di
piccole e medie imprese. Ragion per cui in questo capitolo mi soffermerò nella
descrizione di tali soggetti, attraverso un’analisi delle loro principali caratteristiche
strutturali, cercando di cogliere gli elementi che contribuiscono ad aumentarne il
livello di rischiosità nell’ottica di Basilea 2.
L’economia italiana non è però solo piccole imprese. Numerosi sono i
grandi gruppi, pubblici e privati, che hanno fatto la storia industriale del Paese. La
trattazione delle grandi imprese viene rimandata al capitolo 5 dove, attraverso
un’analisi dell’affidabilità settoriale con l’ausilio di un modello di scoring basato su
indici di bilancio, verranno valutati quelli che sono i principali elementi critici o di
successo delle maggiori imprese che caratterizzano il nostro sistema.
1.1 IL SISTEMA ITALIA
Ad Agosto 2006 risultavano attive, in Italia, 5 754 289 imprese. In
particolare:
società di capitali 958 681
s. di persone 1 146 157
ditte individuali 3 490 855
altre forme 158 584
10
17%
20%
60%
3%
s. capitali
s. di persone
ditte individuali
altre forme
Fonte: “cerved”
Su una popolazione di 57 milioni di italiani, ciò significa che esiste circa
un’impresa per 10 abitanti. Si può dunque affermare, e i dati lo confermano, che il
nostro paese è caratterizzato dalla prevalenza di imprese di piccole dimensioni.
Questo stock è sostenuto da un saldo, tra nuovi ingressi e cessazioni,
costantemente positivo negli anni. Le imprese di minori dimensioni hanno
contribuito in misura rilevante ai fenomeni di nascita imprenditoriale; anzi, la quota
maggiore di nuove imprese risulta non avere addetti: si tratta di imprenditori basati
sul lavoro prevalente proprio o dei familiari.
1
Va quindi sottolineato che il tessuto produttivo nazionale si caratterizza
per un’elevata frammentazione che può essere considerata come una sorta di
evoluzione strutturale. Nel periodo che va dall’immediato dopoguerra agli anni
Settanta, era, infatti, predominante la grande impresa; si stava affermando la
produzione di massa, concentrata principalmente nelle merci e servizi di base
(trasporto e comunicazione, siderurgia, petrolchimica) e nei beni di consumo
durevoli (elettrodomestici, auto). La congiuntura era favorevole alla grande
impresa, capace di conseguire economie di scala grazie ad un lavoro molto
1
Fonte: il “sole24ore”
11
parcellizzato e despecializzato. È, poi, iniziato il lento declino della produzione di
massa, trasferita, in buona parte, dai Paesi industrializzati a quelli in via di
sviluppo per diverse ragioni, tra cui la crescente richiesta di prodotti
personalizzati e di qualità da parte di consumatori sempre più esigenti.
Nello scenario sinteticamente descritto, le piccole imprese, che avevano
mantenuto competenze artigianali e che erano in grado di svilupparle al meglio,
hanno trovato nuovi spazi.
Né va sottaciuto il sistema di valori che ha favorito il passaggio dal
lavoro dipendente nella grande impresa a quello autonomo: il primato
dell’individuo, il desiderio di autoesprimersi, il valore della famiglia che si
identifica con la propria attività imprenditoriale. Quest’ultima è la notazione che
spiega la scarsa presenza, nelle imprese di piccole dimensioni, di figure
dirigenziali estranee all’ambito familiare dell’imprenditore; in queste realtà la
funzione principale è quella produttiva, e tale funzione viene impersonata dal
proprietario.
Ulteriori fattori esterni, quali la pressione fiscale e la rigida
regolamentazione del lavoro, vengono spesso citati per spiegare il mancato
sviluppo dimensionale del sistema PMI.
1 .2 LA DEFINIZIONE DI PMI
La determinazione della dimensione d’impresa riveste un ruolo
fondamentale negli studi di economia aziendale e di microeconomia. La
misurazione della dimensione aziendale viene utilizzata spesso per lo studio di
diversi problemi: talvolta, ad esempio, viene utilizzata come obiettivo strategico
d’impresa, oppure per la determinazione della dimensione ottimale, o ancora, per
il calcolo di indici statistici.
La definizione appare difficoltosa poiché non esistono parametri
quantitativi e qualitativi che consentono una definizione univoca. Tale definizione
varia, come sostenuto da Zappa, in base al settore produttivo d’appartenenza e
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allo scopo sottostante la classificazione. Possiamo considerare piccole imprese,
ad esempio, quelle con un numero di dipendenti limitato, oppure con capitale
investito ridotto.
Differenti sono i parametri quantitativi e qualitativi utilizzati per la
classificazione. I primi possono essere di natura quantitativo-monetaria (esempio
il fatturato o il valore aggiunto), oppure di natura tecnica (capacità degli impianti),
oppure di natura organizzativa (numeri di addetti, numero dei livelli direttivi
compresi nell’organizzazione aziendale). È necessario, in ogni caso, considerare
in parallelo taluni parametri qualitativi.
Possono considerarsi PMI
2
, da un punto di vista qualitativo quelle:
- gestite direttamente dal proprietario o, in modo indiretto, con
l’ausilio di collaboratori non specializzati. In questo caso il
proprietario preferisce svolgere tutte le mansioni direttive
piuttosto che delegarle ad altri soggetti. La vita dell’impresa
risulta condizionata in modo determinante dalla mentalità, dalla
personalità e dagli obiettivi dell’imprenditore, mettendo spesso
in pericolo la stessa sopravvivenza;
- che hanno un potere di mercato nei confronti dei fornitori,
clienti e concorrenti ridotto; hanno, infatti, una minore capacità
di influenzare il prezzo e la quantità dei beni venduti, pur
garantendo una migliore qualità del servizio/prodotto;
- caratterizzate da elevata flessibilità, intesa come capacità di
adattamento alle mutevoli condizioni ambientali ed ai bisogni
del mercato;
- connotate da una ridotta formalizzazione delle diverse funzioni
gestionali, con la conseguenza della mancanza di una vera e
propria definizione delle responsabilità dei manager;
2
Classificazione tratta da appunti dal corso di “strategia d’impresa”
13
- nelle quali vi è la possibilità, da parte dei manager, di
instaurare rapporti diretti e personali con i dipendenti
dell’azienda.
Sebbene l’utilizzo di parametri qualitativi sia da preferire, risulta
necessario l’utilizzo di parametri quantitativi per esigenze di automaticità e
certezza.
I parametri quantitativi più utilizzati per la classificazione delle imprese
sono:
a) Il capitale investito diverse sono le configurazioni utilizzate dal
legislatore italiano. Nella legge n°623 del 1959 il capitale investito era definito
come somma algebrica delle immobilizzazioni, al netto dei fondi ammortamento,
più il capitale circolante netto. Erano considerate PMI quelle imprese con capitale
investito fino a 6 miliardi di Lire. Numerosi però i limiti:
- non si tiene conto dell’attività economica effettuata, in altri termini se è
di tipo labour intensive o capital intensive;
- non sono considerati i beni in leasing e cioè non di proprietà;
- non è considerata l’appartenenza ad un gruppo.
Negli anni ’70 le norme diedero una nuova configurazione di capitale
investito, definito come totale delle immobilizzazioni al netto dei relativi fondi
ammortamento e delle riserve di rivalutazione monetaria, creando così benefici
verso le imprese più anziane e quell’imprese che avevano fatto ricorso agli
ammortamenti anticipati.
b) Il numero degli addetti. È uno dei parametri più utilizzati anche a
livello europeo. Infatti in Germania, in Francia, in Olanda e Belgio il limite
occupazionale utilizzato vari da 50 a 200 dipendenti. Soffre però dei medesimi
limiti del capitale investito perché influenzato dal tipo di attività. Nella legge n°623
del 1959 si fissò un numero massimo di 500 dipendenti.
c) Il fatturato. Il suo utilizzo presenta notevoli limiti perché si potrebbero
classificare nella medesima categoria dimensionale due imprese situate a monte
14
e a valle del processo produttivo e , di conseguenza, con differenti dimensioni
“reali”. L’utilizzo di tale parametro è inoltre sconsigliato per la presenza
dell’inflazione, in particolare nei periodi in cui il tasso inflazionistico raggiunge le
due cifre decimali.
d) Il valore aggiunto. Può essere calcolato in due modi:
- diretto: si sottraggono dal valore della produzione i beni ed i servizi
acquisiti dall’esterno;
- indiretto: si sommano all’utile netto le imposte sul reddito, gli oneri
finanziari, le retribuzioni al personale e gli ammortamenti.
L’utilizzo di tale parametro è consigliato da diversi studiosi, perché
consente di riassumere in pochi dati l’efficienza aziendale. Nonostante ciò non è
stato ancora utilizzato dal legislatore, nelle norme di politica industriale, per
mancanza di automaticità e semplicità di calcolo. potrebbe presentare dei limiti,
come l’inclusione di proventi su titoli che nulla hanno a che fare con
l’attività caratteristica; inoltre non fornisce informazioni sulle partecipazioni non di
controllo eventualmente detenute dall’impresa, se non le informazioni relative ai
dividendi percepiti
Nella realtà i parametri più utilizzati per la classificazione sono il numero
degli addetti e il fatturato.
La Commissione europea ha messo un po’ d’ordine nella classificazione
delle imprese di piccole e medie dimensioni fissando una definizione che viene
utilizzata dal 1° gennaio 2005 e, introducendo anche il concetto di
“microimpresa”.
3
3
Cfr., Internet, www.ipi.it
15
Tabella: definizione di PMI
Definizione di PMI
Attività estrattive e manifatturiere Fornitura di servizi
Parametri di identificazione
delle PMI
PI MI PI MI
1
Numero di DIPENDENTI
Inferiore a
50 250 20 95
2
FATTURATO (ml di euro)
non superiore a
7 40 2,7 15
3
TOTALE di BILANCIO (ml
di euro) non superiore a
5 27 1,9 10,1
4
INDIPENDENZA DA
IMPRESE
PARTECIPANTI
Il capitale sociale o i diritti di voto non devono essere detenuti per il 25% o
più da una impresa, o congiuntamente da più imprese, non conformi alle
definizioni di piccola e di media impresa, secondo il caso.
1.2.1 Nuova definizione per le microimprese e le PMI
4
La Commissione europea ha adottato una nuova definizione d’imprese
di dimensioni ridottissime (microimprese) o piccole e medie (PMI) nell’intento di
promuovere l’imprenditorialità, gli investimenti e la crescita, di agevolare
l’accesso ai capitali di rischio, di ridurre gli oneri amministrativi e consolidare la
certezza del diritto. Nello stabilire la categorie di microimprese e PMI la nuova
definizione mantiene le soglie relative al numero di dipendenti, ma stabilisce un
aumento considerevole del massimale finanziario (fatturato o volume totale del
bilancio), principalmente per tener conto dell’inflazione e degli incrementi di
produttività verificatisi dopo il 1996, data della prima definizione comunitaria di
PMI.
Nello specifico, questi i nuovi parametri: impresa di media dimensione è
quella che, sempre con un numero inferiore a 250 dipendenti, ha un fatturato
annuale minore o pari a 50 milioni di euro (era 40 milioni nel 1996) e un totale di
4
“COMMISSION RECOMANDATION (2003/361/EC) of May 2003 concernig the definition of micro, small
and medium – size enterprices” – pubblicata su “Official journal of the European Union”.
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bilancio che non supera i 43 milioni di euro (27 milioni nel 1996); è invece di
piccole dimensioni l’azienda con meno di 50 dipendenti, un fatturato minore o
pari a 10 milioni di euro ( era 7 milioni nel 1996) ed un totale di bilancio sempre di
10 milioni ( era di 5 milioni nel 1996); infine si considera di piccolissime
dimensioni l’impresa con meno di 10 dipendenti, un fatturato inferiore o pari a 2
milioni di euro (cifra in passato non definita), la stessa cifra indicata anche per il
totale di bilancio annuale.
Tabella: Parametri della nuova definizione di microimpresa e PMI
categoria dipendenti Fatturato Totale di bilancio
Medie <250 ≤ € 50 milioni ≤ € 43 milioni
piccole <50 ≤ € 10 milioni ≤ € 10 milioni
Micro <10 ≤ € 2 milioni ≤ € 2 milioni