II
prestito, attenendosi strettamente alle regole predisposte dall’Autorità di
Vigilanza.
L’Accordo di Basilea 2 sta spingendo, inoltre, le banche ad adottare lo
strumento dei rating interni per razionalizzare i processi di erogazione e
monitoraggio del credito. Il rating, ovvero la valutazione effettuata dalla
banca o da un’agenzia esterna sull’impresa, viene espresso
convenzionalmente da un simbolo alfanumerico che esprime, all’interno di
una scala significativa, la cosiddetta probabilità di default ovvero il rischio di
insolvenza di un’impresa. L’introduzione di tali strumenti comporterà un
notevole impatto sull’operatività delle banche e, di conseguenza, sui rapporti
banca‐impresa. Infatti, uno dei motivi di maggior preoccupazione nel
dibattito tra sistema bancario e sistema imprenditoriale è l’idea che
un’eccessiva automazione nell’erogazione e gestione del credito possa
togliere progressivamente valore alla conoscenza diretta e alla qualità del
rapporto tra istituto di credito e impresa cliente, ostacolando l’accesso al
credito delle imprese medio‐piccole, di norma dotate di un’informativa di
bilancio limitata e poco significativa. Di conseguenza, molte aziende temono
che gli effetti negativi di Basilea 2 possano derivare da un utilizzo
opportunistico da parte delle banche dello strumento del rating con
l’obiettivo di scaricare sulle imprese le loro inefficienze.
Basilea 2 senza dubbio rappresenta una minaccia che potrebbe trasformarsi
in una notevole opportunità sia per le imprese che per le banche, a
condizione che entrambi gli interlocutori cambino atteggiamento
migliorando la propria trasparenza e riducendo le asimmetrie informative.
Da un lato, le banche dovranno fornire maggiori informazioni sui sistemi di
valutazione della clientela con l’aggiunta di servizi alternativi come la
consulenza sul merito creditizio, dall’altro le imprese dovranno attivare
processi di comunicazione costante e potenziare la gestione finanziaria
d’impresa. In altre parole occorre modificare il rapporto banca‐impresa,
passando da un modello di Transaction banking, riferito alla semplice
transazione, ad un modello di Relationship banking, dove viene privilegiato il
rapporto con il cliente in una logica di partnership.
III
Da ultimo, per facilitare tale rapporto, un ruolo fondamentale potrebbe
essere riservato ai Confidi, organismi aventi struttura consortile o
cooperativa che esercitano in forma mutualistica l’attività di garanzia
collettiva di finanziamento a favore delle imprese socie o consorziate.
I Consorzi di garanzia collettiva fidi favoriscono l’accesso al credito delle
imprese associate e riducono il costo del finanziamento attraverso il rilascio
di garanzie (reali e personali). Le banche, conseguentemente, avranno più
fiducia a concedere credito alle imprese associate con effetti positivi sia in
termini di riduzione del costo del finanziamento che in termini di minor
razionamento del credito. Basilea 2 riconosce le garanzie dei Confidi quali
elementi di mitigazione del rischio di credito e, inoltre, delinea per questi
organismi una serie di prospettive di sviluppo indirizzate soprattutto alla
fornitura di servizi di consulenza per le problematiche inserite nella logica
della finanza d’impresa.
Il lavoro è suddiviso in 4 capitoli, e lo scritto che segue si propone di
“fotografare” in maniera quanto più chiara, come viene a configurarsi, alla
luce delle novità nella gestione dei processi di credito, il nuovo rapporto tra
istituto di credito e imprese, la nuova finanza d’impresa e il rinnovato ruolo
dei Confidi nel mutato contesto finanziario.
Nel Primo Capitolo, dopo aver illustrato le origini e le funzioni del Comitato di
Basilea, si evidenziano i limiti dell’Accordo del 1988 che hanno dato vita al
processo di revisione sfociato nel nuovo impianto regolamentare strutturato
sui c.d. “pilastri”. Una trattazione privilegiata viene riservata al primo pilastro
riguardante i requisiti minimi patrimoniali, in quanto coinvolge direttamente
anche le imprese destinatarie dei nuovi processi di valutazione del rischio di
credito utilizzati dalle banche.
Il Secondo Capitolo analizza più dettagliatamente come opera la banca nella
valutazione delle imprese attraverso le due metodologie alternative
utilizzabili per valutare il rischio di credito (standardized approach e
approccio IRB). In particolare viene illustrato l’approccio IRB basato sui
rating interni, innovazione di maggior portata introdotta da Basilea 2,
destinato a rivoluzionare in modo radicale il processo di affidamento
bancario nei confronti delle imprese.
IV
Nel Terzo Capitolo si considerano le possibili implicazioni che il Nuovo
Accordo produrrà nelle tradizionali regole di comportamento e
comunicazione tra sistema bancario e sistema imprenditoriale. Vengono,
altresì, presentati gli effetti di Basilea 2 sulle piccole e medie imprese e le
possibili soluzioni da intraprendere, soprattutto a livello di finanza di
impresa, per scongiurare il temuto razionamento e aumento del costo
credito.
Nel Quarto Capitolo si osserva come opera un consorzio fidi all’interno del
sistema finanziario, nella sua attività tipica di concessione delle garanzie per
facilitare l’accesso al credito bancario da parte delle imprese associate. Dopo
aver indagato il contesto normativo e operativo in cui operano i Confidi, la
trattazione si concentra sul ruolo che la garanzia fornita riveste ai fini della
mitigazione del rischio di credito nell’ambito dell’approccio standard e IRB,
senza tralasciare le opportunità che tali organismi potrebbero sviluppare e le
possibili evoluzioni nel nuovo quadro regolamentare disegnato da Basilea 2.
1
CAPITOLO I
Struttura e finalità del Nuovo Accordo di Basilea 2
1 Generalità
Il periodo che stiamo vivendo rappresenta una delle fasi principali di
cambiamento, o meglio progresso delle regole che sono alla base del sistema
economico e finanziario globale. E in questo quadro che si inseriscono le
novità nella gestione, rilevazione e misurazione previste dall’Accordo di
Basilea 2, il quale si configura come un accordo sulla vigilanza bancaria. La
nuova disciplina costituisce, per le autorità la base per la modifica delle
normative nazionali e, per gli intermediari il riferimento per adeguare
processi e strutture aziendali
1
.
Basilea 2 è una sigla che indica la proposta di revisione della normativa
sull’adeguatezza patrimoniale delle banche (altrimenti detta dei requisiti
patrimoniali) elaborata dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria
2
. In
base ad esso le banche dei paesi aderenti dovranno accantonare quote di
capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti,
valutato attraverso lo strumento del rating.
In base a questo Nuovo Accordo, applicabile nella maggior parte dei paesi
economicamente avanzati, cambiano i criteri con cui le banche decidono in
merito alle capacità dei propri clienti di restituire il capitale preso a prestito e
di remunerarlo adeguatamente. Nelo specifico l’Accordo si propone,
attraverso una regolamentazione, di misurare il rischio di credito, di mercato
e operativo (Primo Pilastro), in un ambito di rinnovato e attivo intervento
della vigilanza (Secondo Pilastro), e di maggior comunicazione, al fine di
favorire la formazione di una consistente disciplina di mercato (Terzo
Pilastro).
1
LENOCI F.,PEOLA,Negoziare con le banche alla luce di Basilea 2,Ipsoa, Milano, 2004, pag.127.
2
METELLI F., Basilea 2: Che cosa cambia, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003, pag. 1.
2
Questo Nuovo Accordo quindi, incide soprattutto sulle imprese e sulle
banche. Le prime, vedono in Basilea 2 rischi non trascurabili di razionamento
del credito e di aumento del suo costo, soprattutto con riferimento alle
aziende di minore dimensioni. Le seconde, al contrario, affermano
l’infondatezza di tali rischi e evidenziano come la vera finalità del Nuovo
Accordo sia quella di rinforzare le garanzie a tutela della stabilità dei singoli
intermediari e dell’intero sistema
3
.
Basilea 2 si presenta come punto di svolta intorno al quale si definiscono
scelte fondamentali da parte di banche, imprese e di tutti quei soggetti
coinvolti nelle relazioni tra il sistema finanziario e sistema imprenditoriale.
Tale scenario vede sicuramente un ruolo più attivo da parte dell’impresa nei
rapporti con la banca, attraverso l’adozione di una serie articolata di
comportamenti. Ciò comporta la necessità di sviluppare strategie di governo
delle attività operative dell’impresa, una cultura della relazione con la banca,
nonché una politica delle garanzie in funzione del tipo di banca con cui
l’impresa interagisce
4
.
Il Nuovo Accordo di Basilea 2 pone in gioco una serie di variabili in grado di
influire sulla qualità del rapporto banca‐impresa, in quest’ottica l’impresa
può trarre vantaggio trasformando la nuova normativa in una grande
opportunità
5
. Le banche a loro volta sono incentivate a sviluppare nuovi
sistemi di valutazione della clientela grazie alla maggior flessibilità sui
requisiti patrimoniali di vigilanza stabiliti dall’Accordo. Ad ogni giudizio di
rating corrisponde un assorbimento diverso di capitale destinato ad
accantonamenti prudenziali e di vigilanza, conseguentemente per rating
migliori vi è, per l’istituto di credito, un minore assorbimento di capitale che
permette di concedere il finanziamento ad un tasso inferiore mentre, per i
clienti con giudizio di rating non buoni si profila un aumento del tasso di
interesse applicato, a causa del maggior assorbimento di capitale.
3
CASELLI S., DE LAURENTIS G., Miti e verità di Basilea 2, Egea, Milano, 2006. Si veda anche,
RUOZI R., ZARA C., Il rapporto tra banca e PMI: caratteristiche strutturali e tendenze evolutive,
in “Bancaria”, n. 10, 2001, pag. 7.
4
BONIFAZI A., TROISE G., SINOPOLI A., Basilea 2: Il nuovo merito del credito: Strumenti
operativi per migliorare il rapporto BancaImpresa, Ipsoa, Milano,2005, pag. 251.
5
PAOLAZZI L., Una lama a doppio taglio, Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2004.
3
2 Il Comitato di Basilea: origini e obiettivi
Nel corso degli anni 80 cambia il peso relativo delle varie forme di vigilanza
passando da una “vigilanza strutturale”, che definisce analiticamente le scelte
aziendali in modo da influenzare la struttura competitiva del sistema di
intermediazione finanziaria, ad una “vigilanza prudenziale”, che invece lascia
liberi gli intermediari di articolare le proprie scelte strategiche e operative
nel rispetto del vincolo della patrimonializzazione. La ragione di questo
passaggio sta nell’esigenza di aumentare la competitività tra le banche al fine
di migliorare l’efficienza e di offrire ai risparmiatori e alle imprese servizi
finanziari migliori ed economicamente più convenienti.
Tutto ciò ha portato all’emanazione nel 1988 del I° documento di
consultazione, International Convergence of Capital Measurement and Capital
Standards
6
, da parte del Comitato di Basilea.
Il Comitato di Basilea
7
per la vigilanza bancaria è un organismo di
consultazione che si riunisce periodicamente presso la Banca dei
Regolamenti Internazionale (Bank for International Settlement‐B.I.S.) con
sede a Basilea e comprende le banche centrali e le Autorità di Vigilanza dei
paesi del Gruppo dei Dieci nonché di Spagna e Lussemburgo, mentre la BCE vi
partecipa come osservatore
8
.
Esso fu istituito nel 1974 dalle banche centrali dei paesi appartenenti al G10,
a seguito di uno dei fallimenti più importanti della storia, quello della
6
BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, International Convergence of Capital
Measurement and Capital Standards, B.I.S., 1988.
7
Le attività del Comitato si svolgono sotto l’egida della Banca dei Regolamenti Internazionali
(B.I.S.), un’organizzazione internazionale che promuove la cooperazione monetaria e
finanziaria, e serve da banca per le banche centrali. Il Comitato per la vigilanza bancaria
svolge le sue funzioni principalmente in tre aree:
1. la trattazione di questioni relative alla vigilanza bancaria;
2. il coordinamento delle responsabilità tra le Autorità di Vigilanza in relazione alla
creazione di filiali estere di banche con l’obiettivo di assicurare un’efficace
sorveglianza sull’attività bancaria internazionale;
3. il rafforzamento degli standard di sorveglianza, in particolare in relazione alla
solvibilità degli istituti finanziari.
Il Comitato ha ampliato la sua sfera di attività oltre la cerchia dei paesi del G10, lavorando in
stretta collaborazione con le Autorità di Vigilanza di vari paesi esterni, con il Fondo
Monetario Internazionale e con la Banca Mondiale.
8
B.C.E., Il Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali: principali caratteristiche e
implicazioni, Bollettino ufficiale, gennaio 2005, pag 53.
4
Bankhaus Herstatt tedesca
9
, crisi che fece nascere l’esigenza di un intervento
a supporto di un migliore funzionamento e di una maggiore stabilità dei
mercati finanziari internazionali. Il Comitato è formato dai rappresentanti
delle autorità responsabili della regolamentazione per la vigilanza sul
business bancario
10
e non ha potere legislativo, ma formula proposte e linee
guida orientate a due fondamentali obiettivi
11
:
ξ rafforzare la solidità e la solvibilità del sistema bancario
internazionale;
ξ diminuire le differenze competitive fra le banche internazionali
12
.
Entrambi gli obiettivi sono mirati a ridurre il verificarsi di crisi bancarie
prestando però attenzione a non minacciare la concorrenza internazionale
all’interno del sistema creditizio.
Alla luce di questi obiettivi, sin dal 1975 il Comitato ha iniziato un’estesa
produzione di documenti nelle materie d’interesse. Di particolare rilevanza è
l’insieme di raccomandazioni formulate nel 1988 poiché da essi scaturisce
l’assetto attuale della regolamentazione sull’adeguatezza patrimoniale delle
banche (Basilea1).
A distanza di un decennio, i contenuti di Basilea 1 sono stati oggetto di una
rivisitazione critica terminata nella definizione di un nuovo set di proposte
che integrano quello che è definito “Nuovo Accordo di Basilea” ovvero Basilea
2. Tali proposte sono contenute in un documento pubblicato dal Comitato nel
gennaio 2001, successivamente modificato sulla base dei rilievi critici emersi
9
Il fallimento di una banca, in virtù del c.d. effetto domino (cioè il rischio che tutti i soggetti
economici che avevano rapporti con la banca fallita si troveranno anch’essi in grave difficoltà
con il rischio di fallire al loro volta e di coinvolgere nella crisi le altre loro banche), può avere
effetti molto più gravi rispetto al fallimento di una singola azienda e produrre effetti
devastanti per l’economia di un’intera nazione.
10
I membri del Comitato provengono dai seguenti paesi: Belgio, Canada, Francia, Germania,
Giappone, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Svezia, Svizzera.
Ciascun paese è rappresentato dalla banca centrale ovvero dall’Autorità Garante cui sono
attribuite le competenze in materi di vigilanza prudenziale sulle banche, se le stesse non
rientrano nella competenza della banca centrale.
11
MARCOLINI C., Il rapporto bancaimpresa alla luce di Basilea 2, Editrice le Fonti, Milano,
2006, pag. 9. Si veda anche, UNIONCAMERE, Il Nuovo Accordo di Basilea sul capitale delle
banche, in UnioncamereVeneto (quaderno di ricerca), Venezia, settembre 2005, pag. 19.
METELLI F., Da Basilea 1 a Basilea 2, in”Guida pratica a Basilea 2”, Il Sole 24 Ore, modulo n.1,
2006, pag. 10‐11.
12
In effetti l’Accordo, che era stato in origine immaginato dal Comitato di Basilea per le
“banche attive a livello internazionale” dei paesi del G10, fu poi nella realtà adottato da oltre
100 Paesi anche nei confronti delle banche operanti a livello domestico.
5
dalle consultazioni con le parti interessate e degli studi d’impatto che si sono
nel frattempo susseguiti. A fine giugno 2004 il Comitato ha emanato il testo
definitivo del Nuovo Accordo, la cui attuazione è prevista entro la fine del
2006. Con riferimento all’Unione Europea, è prevista, inoltre, l’emanazione di
una direttiva del Consiglio Europeo per il recepimento dell’Accordo nei
sistemi normativi degli stati membri
13
.
3 L’Accordo di Basilea del 1988
Nel corso degli anni la crescente competizione internazionale fra banche
mise in evidenza le condizioni di disparità, in termini di concorrenza,
esistenti tra i diversi sistemi di regolamentazione del capitale. Per prevenire
l’insorgere di situazioni critiche nei mercati finanziari internazionali ed
evitare le successive ripercussioni sul sistema economico, nel 1988 il
Comitato di Basilea propose uno strumento per valutare l’adeguatezza
patrimoniale degli istituti creditizi, noto come Basel Capital Accord
14
o Basilea
1, la cui previsione fondamentale, in estrema sintesi, consiste nel richiedere
che il patrimonio bancario sia adeguato ai rischi assunti.
L’Accordo di Basilea del 1988 per la prima volta, ha stabilito delle regole
precise sui requisiti di capitale
15
, che legano gli stessi ai rischi delle banche.
Infatti le più frequenti discussioni degli anni novanta insistono proprio sugli
aspetti base dell’adeguatezza del capitale, cioè capitale e rischio. È evidente
che il capitale assume un ruolo fondamentale nelle banche poiché
contribuisce al mantenimento dell’equilibrio economico, patrimoniale e
finanziario.
13
In Europa, il recepimento dell’Accordo di Basilea è avvenuto tramite le direttive
comunitarie n. 299/89/CE e n. 647/89/CE.
14
BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, International Convergence of Capital
Measurement and Capital Standards, B.I.S., 1988.
15
Le banche devono soddisfare tre requisiti di adeguatezza patrimoniale: 1) un minimo
rapporto tra capitale e attività, in misura pari almeno al 5% (leverage ratio); 2) un minimo
rapporto tra capitale e attività ponderate per il rischio pari almeno all’8%; 3)un minimo
requisito di capitale per far fronte al rischio di mercato relativo a strumenti negoziabili (es. i
titoli), in bilancio e fuori bilancio. In aggiunta a questi requisiti di capitale, il B.I.S. (Bank for
International Settlement) ha stabilito anche dei limiti ai rischi di concentrazione. I grandi
rischi, cioè quelli che eccedono il 10% del capitale, devono essere riportati dalla banca, e le
posizioni che superano il 25% del capitale non sono consentite.
6
Basilea 1 si poneva alcuni importanti obiettivi
16
:
ξ creare un’uniformità di regole in campo internazionale;
ξ stabilizzare il sistema bancario internazionale al fine di evitare
possibili crisi bancarie;
ξ incrementare la copertura dei rischi e la capitalizzazione del sistema
bancario;
ξ costringere le banche ad un efficiente e corretto utilizzo del capitale in
funzione del rischio di credito, al fine di garantire la solvibilità.
La necessità di regolamentare il livello minimo di capitale delle banche nasce
dall’esigenza di tutelare i terzi creditori dal rischio di una forte riduzione nel
valore degli attivi detenuti dalle istituzioni creditizie, riduzione che potrebbe
compromettere non solo la liquidità, ma la stessa solvibilità delle imprese
bancarie
17
.
L’approccio tradizionale della teoria d’impresa ha sempre operato una chiara
distinzione tra capitale e debito, indicando con il primo la risorsa che, in
ultima istanza, si assume il rischio del risultato d’impresa, una volta ripagati
tutti gli obblighi contratti con gli altri creditori che a vario titolo sono entrati
a sostegno del ciclo economico. Il capitale assume in queste imprese non
soltanto il ruolo di protezione dei creditori, come avviene nelle imprese non
finanziarie, quanto anche il ruolo di buffer (tampone) per assorbire eventi
futuri, incerti e non identificabili a priori (perché poco probabili), che
possono generare perdita di valore nelle proprie attività.
L’Accordo di Basilea 1, proponeva una metodologia univoca per calcolare il
Capitale di Vigilanza, e cioè ogni attività posta in essere da parte della banca
comportava l’assunzione di un certo grado di rischio (rischio di credito e
rischio di mercato); tale rischio doveva essere quantificato e supportato dal
capitale (il cosiddetto patrimonio di vigilanza)
18
. In altri termini si indicava
un requisito patrimoniale minimo obbligatorio dell’ 8% rispetto alle attività
16
PETRULLI M., Basilea 2. Guida alle nuove regole per le piccole e medie imprese, Halley
editrice, Avellino, 2007, pag. 16.
17
RESTI A., Il capitale in banca: significato e funzione economica, in Saita F., Sironi A.,
“Gestione del capitale e creazione di valore nelle banche”, Edibank, Roma. 2002.
18
Patrimonio di vigilanza = capitale proprio + riserve libere + capitale supplementare. Per
capitale supplementare si intende l’insieme degli accantonamenti e delle riserve vincolati.
7
della banca ponderate per fattori di rischio standard definiti dalla stessa
normativa
19
.
PATRIMONIO DÌ VIGILANZA
≥ 8%
ATTIVO
SOTTOPOSTO A RISCHIO
Calcolo del capitale di vigilanza secondo l’Accordo di Basilea 1 del 1988.
La ragione dell’ 8% era quella di evitare un’esposizione al rischio eccessiva
da parte degli istituti di credito, al fine di prevenire e ridurre il rischio di
fallimento della banca
20
.
Il patrimonio di vigilanza è suddiviso dall’Accordo in due categorie
21
:
1. patrimonio base (Tier 1), composto da: capitale azionario versato,
riserve palesi (riserva sovrapprezzo azioni, riserva legale, utili
accantonamenti a riserva), alcuni fondi generali e alcuni strumenti
innovativi di capitale. Dalle somme delle voci menzionate occorre
infine dedurre l’ammontare dell’avviamento e di altre poste previste
dalle singole Autorità di Vigilanza.
2. Patrimonio supplementare, a sua volta distinto in Tier 2 e Tier 3. Il
Tier 2 è composto da riserve di rivalutazione, riserve occulte, fondi
rischi, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, e prestiti
subordinati ordinari. Il Tier 3, introdotto solo a partire dal 1996
22
con
l’estensione dei requisiti patrimoniali ai rischi di mercato, è composto
invece dal debito subordinato a breve scadenza e viene ammesso alla
19
CASELLI S., DE LAURENTIS G., (2006), op. cit., pag. 5. METELLI F., Da Basilea 1 a Basilea 2,
in”Guida pratica a Basilea 2”, Il Sole 24 Ore, modulo n.1, 2006, pag. 12.
20
PETRULLI M., Basilea 2. Guida alle nuove regole per le piccole e medie imprese, Halley
editrice, Avellino, 2007, pag. 17.
21
FERRARI P., Un’analisi comparata della struttura del patrimonio delle principali banche
internazionali, in Saita F., Sironi A., “Gestione del capitale e creazione di valore nelle banche”,
Edibank, Roma. 2002.
22
BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, Amendment to the Capital Accord to
Incorporate market Risk, B.I.S., 1996
Di CREDITO
Di MERCATO
8
computazione del patrimonio di vigilanza unicamente ai fini del
rispetto del requisito patrimoniale relativo al rischio di mercato.
L’attivo sottoposto a rischio si basava esclusivamente su cinque coefficienti,
in relazione alla tipologia di debitori
23
:
ξ 0% per gli impieghi verso governi centrali, banche centrali e Unione
Europea;
ξ 20% per gli impieghi verso enti pubblici, banche e imprese di
investimento;
ξ 50% per i crediti ipotecari e le operazioni di leasing su immobili;
ξ 100% per gli impieghi verso il settore privato
24
;
ξ 200% per le partecipazioni in imprese non finanziarie con risultati di
bilancio negativi negli ultimi due esercizi (oggi non più in vigore).
A fronte di attività giudicate più rischiose le banche devono possedere una
quantità superiore di capitale, richiesta dalla ponderazione più elevata.
Inoltre la distinzione tra le diverse poste dell’attivo viene realizzata seguendo
tre principali criteri: grado di liquidità, natura dei debitori e area geografica
di residenza.
La logica di Basilea 1 fu quella di unire il rischio insito nel portafoglio attività
delle banche con la rispettiva dotazione patrimoniale.
Ruolo fondamentale, quindi, viene giocato dal “rischio”, definito di credito se
legato alla inadempienza della controparte nel soddisfare un obbligo
contrattuale, di mercato
25
se legato alla possibilità di perdite dovute a
variazioni dei prezzi delle attività finanziarie.
In pratica Basilea 1 stabiliva il principio base al quale i finanziamenti concessi
dalle banche dovevano trovare adeguata copertura nel capitale di rischio
delle banche in misura fissa dell’8% del finanziamento concesso
26
. In sintesi,
il rischio riconducibile alle attività assunte, opportunamente quantificato,
23
BANCA d’ITALIA, Accordo Internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti
patrimoniali minimi, in “Bollettino Economico”, n.11, 1988. Pag. 29. Al riguardo si veda anche,
UNIONCAMERE, Il Nuovo Accordo di Basilea sul capitale delle banche, in UnioncamereVeneto
(quaderno di ricerca), Venezia, settembre 2005, pag. 21.
24
In questa categoria rientra la maggior parte dei finanziamenti concessi dalle banche
italiane. Tuttavia, per alcune controparti (segmento retail) esistono alcune agevolazioni.
25
Il rischio di mercato è stato introdotto dal Comitato solo nel 1996 con specifico
emendamento. (si veda pag. 11)
26
BONIFAZI A., TROISE G., Basilea 2: leve di governo del rating bancario, Ipsoa, Milano,2007,
pag. 18.
9
deve essere sempre coerente con il vincolo costituito dalla dotazione
patrimoniale della banca. Qualora ciò non si verificasse, nasceva l’obbligo per
la banca di intervenire aumentando la sua disponibilità patrimoniale rispetto
al rischio
27
.
3.1 Limiti e distorsioni di Basilea 1
L’Accordo del 1988 pur delineando nei suoi punti fondamentali l’architettura
del sistema finanziario internazionale rappresenta solo il primo passo per il
conseguimento della stabilità finanziaria internazionale. Successivamente
l’evoluzione delle gestioni bancarie degli ultimi dieci anni e, in particolare, dei
rischi di credito che le banche si trovano a fronteggiare, ha indotto il
Comitato di Basilea a rivedere l’Accordo
28
in alcune parti sostanziali, a causa
dei limiti di particolare rilevanza che lo fanno apparire inadeguato e
insufficiente.
Il sistema di adeguatezza patrimoniale ha retto con sufficiente solidità le sorti
della maggior parte dei sistemi di intermediazione finanziaria dei paesi
sviluppati per oltre un ventennio. È certo che l’Accordo nella sua versione più
aggiornata, ha svolto un ruolo decisivo nel delineare l’assetto del sistema
finanziario internazionale ed ha soddisfatto, almeno parzialmente, quelli che
erano gli obiettivi prefissati
29
.
Nella configurazione iniziale, Basilea 1 mirava a costituire una dotazione
patrimoniale adeguata a fronteggiare principalmente il rischio di credito.
Tuttavia , benché esplicitamente correlato al solo rischio di credito, il
coefficiente minimo dell’8% fra patrimonio di vigilanza e attività ponderate
in base al rischio veniva ritenuto sufficiente ad offrire una copertura implicita
27
AA.VV., Arriva Basilea 2: Che cosa cambia dal 1° gennaio 2007, in “ Guida pratica a Basilea
2”, Il Sole 24 Ore, modulo n.1, 2006, pag. 12.
28
È necessario ricordare che l’Accordo del 1988 aveva già vissuto un importante modifica
nel 1966, quando nello schema iniziale è stato introdotto il rischio di mercato. A fronte di
questo nel calcolo dell’adeguatezza patrimoniale, alle banche fu permesso di usare modelli
interni di misurazione del rischio basati sulle tecniche di Value at Risk (VaR).
29
Il rafforzamento del livello di patrimonializzazione delle grandi banche del G10 passa dal
9.3% del 1988 all’11.2% nel 1999.
10
anche nei confronti di altri rischi bancari: di mercato, operativo, di liquidità e
di reputazione
30
.
Alle soglie del nuovo millennio, però, apparivano sempre più evidenti i limiti
del sistema che erano riconducibili ai seguenti aspetti:
ξ le misure di rischio sono poco differenziate;
ξ la semplicità del sistema di ponderazione vigente non consente di
istituire una stretta correlazione fra il rischio d’insolvenza specifico di
una determinata controparte e la relativa copertura patrimoniale;
ξ la relazione (rischio d’insolvenza/copertura patrimoniale) può essere
sfruttata dagli operatori per realizzare i cosiddetti “arbitraggi
prudenziali”
31
: se il requisito di patrimonio è standard (cioè poco
differenziato in base al reale contenuto di rischio), è meglio impiegare
in attività rischiose che generano un maggiore ritorno a fronte della
stessa dotazione patrimoniale richiesta;
ξ tutto questo potrebbe determinare un peggioramento della qualità
media del portafoglio
32
bancario in quanto, non viene riconosciuto il
ruolo svolto dalla diversificazione di portafoglio quale fattore
correttivo del rischio. Infatti esistono ampie evidenze che la che la
diversificazione è in grado di ridurre il rischio complessivo e questo
influisce, specialmente, sulle banche che hanno impieghi ben
diversificati come quelle specializzate nel mercato retail e nelle
piccole e medie imprese;
ξ l’insufficiente riconoscimento a fini prudenziali di alcune tecniche di
attenuazione del rischio può condurre gli intermediari a conservare
una minore attenzione a una prudente gestione del rischio;
ξ il grado di rischio viene considerato insensibile alla struttura per
scadenze e quindi non viene considerato il fatto che un’esposizione
30
METELLI F.,(2003), op. cit., pag. 15.
31
Un “arbitraggio” è un’operazione che consiste nell’acquistare un bene o un’attività
finanziaria su un mercato rivendendolo su un altro mercato, sfruttando le differenze di
prezzo al fine di ottenere un profitto. L’operazione è possibile se il guadagno che si ottiene
supera i costi per il trasferimento del bene trattato da un altro mercato e deve essere senza
alcun rischio per l’operatore.
32
Un portafoglio è un insieme di attività finanziarie, appartenenti a persone fisiche o
giuridiche, in seguito a un investimento. La creazione di un portafoglio si spiega con
l’esigenza per l’investitore di operare una diversificazione dei propri investimenti, così da
ridurre il più possibile il rischio di subire perdite a causa della perdita di un singolo titolo.
11
creditizia presenti un grado di rischio diverso a seconda della vita
residua (il rischio aumenta con l’allungamento della scadenza
contrattuale);
ξ rimangono escluse le altre tipologie di rischio, che sono comunque
presenti nell’attività bancaria
33
.
Questi limiti sono apparsi, con il passare del tempo, sempre meno accettabili
ed hanno costretto il Comitato di Basilea ad intervenire su alcuni aspetti
dell’Accordo
34
. In tal senso nel 1996 il Comitato decise di introdurre una
modifica, concernente la determinazione dei requisiti patrimoniali richiesti a
copertura dei rischi sul portafoglio non immobilizzato delle banche (il
cosiddetto portafoglio di trading, composto da azioni, obbligazioni e
derivati). Lo scopo di tale modifica è quello di favorire un allineamento tra il
capitale di vigilanza e quello economico, e di indurre le banche a guardare
con maggiore attenzione i rischi assunti. Sono stati, quindi, individuati i
requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato
35
, introducendo un
emendamento che ha permesso, per la prima volta, l’utilizzo di modelli
interni per la determinazione dei rischi e dei presidi di capitale necessario
36
.
4 Necessità di una revisione: da Basilea 1 a Basilea 2
Alla fine degli anni Novanta nasce la necessità di revisionare l’Accordo di
Basilea 1 per gli evidenti limiti che presentava, in quanto valutava le aziende
in base a requisiti molto semplificati. In altre parole Basilea 1 si limitava a
prendere atto della “storia” patrimoniale di una ditta, senza avere la
possibilità di valutare se e in quanto tempo la ditta avrebbe generato reddito.
Era quindi necessario elaborare una struttura di analisi molto più sofisticata
33
METELLI F., Da Basilea 1 a Basilea 2, in”Guida pratica a Basilea 2”, Il Sole 24 Ore, modulo
n.1, 2006, pag. 15.
34
Si trattavano di limiti che non potevano essere ignorati e che, unitamente allo sviluppo del
financial risk management (disciplina che si occupa della gestione dei rischi finanziari) e dei
relative modelli di analisi, hanno indotto il Comitato di Basilea ad intervenire e a superare il
vecchio Accordo, arrivando al Nuovo Accordo sul capitale del 2004, nato con l’ambizioso
progetto di superare i suddetti problemi e non solo.
35
BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, Overview of the emendment to the Capital
Accord to incorporate market risks, Consultative document, B.I.S., 1996.
36
ANTONELLI V., D’ALESSIO R., DELL’ATTI V., Analisi di bilancio e Basilea 2: Indici, rating di
settore, valutazioni, Ipsoa, Milano, 2006, pag. 631.